Umanoide non umano, nel mondo variegato dei robot

I robot possono essere considerati una specie ancora in evoluzione; si tratta di un mondo variegato: ci sono robot da intrattenimento, robot che si sostituiscono agli esseri umani per facilitarne alcune attività, finanche a salvare vite. Alcuni sono ormai indispensabili e per altri le sembianze sempre più umane inducono allo sbigottimento ed alla meraviglia.

Progettarli, costruirli e venderli implica investimenti che devono rispondere alle leggi di mercato ed a criteri di utilità sociale, ma non sempre è così. Dal 1970 si producono robot, anche in Italia, per costruire oggetti di largo consumo, robot speciali sono volati sulla Luna e su Marte ed altri sono stati inventati per scopi medici, diventando essenziali in molte operazioni chirurgiche. La IFR (International Federation of Robotics) informa che nel 2016 la robotica industriale è cresciuta, come avviene ormai da circa 20 anni, con percentuale a due cifre, ed a questa crescita l’Italia contribuisce con un prestigioso ottavo posto.

Capitolo a parte è la robotica con forme umanoidi che, a differenza di quella di “servizio”, ha un mercato pressoché inesistente, per i problemi legali, di assicurazione e di sicurezza che ancora non hanno trovato giustificazioni per una soluzione razionale e in effetti, la sicurezza e l’affidabilità sono il dogma essenziale in questo campo; quando negli anni Ottanta, al Politecnico di Milano, venne costruito il robot Gilberto, che già parlava, ascoltava, vedeva e si adattava ad ogni visitatore parlando in diverse lingue, ogni elemento di quel progetto era sotto controllo, per essere totalmente affidabile.

Chi è del campo sa che la robotica umanoide è piena di grandi promesse ed annunci, come quello lanciato dal colosso della telefonia TIM, che ha ingaggiato robot animati per i suoi prossimi spot, ma anche di silenziose sparizioni, un esempio su tutti, il progetto del robot cagnolino della Sony, programmato per conquistare l’affetto di milioni di padroni umani, ma che ha chiuso nel silenzio. In questo senso è difficile giudicare un campo che non interroga il mercato, ma promette miracoli di cui ancora non si comprende bene l’utilità e, sul nostro fronte, gli investimenti di decine di milioni di euro promessi dall’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) sui robot umanoidi  non fanno eccezione nel destare perplessità.

Tuttavia la robotica italiana cresce altrove ed ha esportato ed esporta in tutto il mondo.

Punti di eccellenza nello sviluppo sono le Università, come quella di Parma che ha vinto il progetto DARPA (dell’Agenzia di Difesa degli Stati Uniti) per un percorso con automezzo senza guidatore, ed ha bissato il successo con il recentissimo viaggio su strada dall’Italia a Pechino con un camion autocondotto.

La robotica industriale italiana, dunque, è quella che va guardata con rispetto. Le industrie nostrane sono le prime al mondo nell’integrazione dei robot nelle fabbriche, distinguendosi per le caratteristiche di qualità, sicurezza ed affidabilità e l’appello che si leva dagli imprenditori del settore è quello di mettere a bando, aperto a tutti, ogni fondo pubblico destinato alla ricerca ed all’applicazione della robotica, di modo che possa emergere l’idea migliore e la più sensata.

Rossella Marchese

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