Un addio partecipato a Paolo Villaggio, il mite Fantozzi,

Omaggio della politica e dello spettacolo per la scomparsa del grande attore Paolo Villaggio.

“Addio a #PaoloVillaggio e ai suoi personaggi, maschere amare di un certo costume italiano entrato nel nostro lessico e nella nostra memoria” ha scritto su Twitter la Presidente della Camera Laura Boldrini, mentre il presidente del Senato Pietro Grasso, sempre sul social, ricorda: “#PaoloVillaggio ci ha fatto ridere del peggio di noi stessi, smascherandolo e trasformando in comico il lato ‘tragico’ della vita”. Aveva 84 anni. Nato a Genova il 30 dicembre del 1932 è stato interprete televisivo e cinematografico di personaggi legati a una comicità paradossale e grottesca, come il professor Kranz, il timido Giandomenico Fracchia e il ragionier Ugo Fantozzi. L’Italia piange tutti i personaggi da lui interpretati magistralmente, ma soprattutto il ragionier Ugo Fantozzi uscito prima dalla sua penna e poi come trasposizione cinematografica. Ma Villaggio è stato anche l’interprete scelto da Federico Fellini, Marco Ferreri, Lina Wertmüller, Ermanno Olmi e Mario Monicelli. Nel 1992, in occasione della 49 Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera ed il Pardo d’onore alla carriera a Locarno. Fratello gemello di Piero Villaggio, morto nel 2014, nasce a Genova dal padre, un ingegnere edile palermitano e la madre, insegnante veneziana di lingua tedesca. Dopo gli studi ha diverse esperienze lavorative: da cameriere a speaker della BBC a Londra, fino a diventare cabarettista e intrattenitore sulle navi della Costa Crociere, insieme con l’amico Fabrizio De André. Era stato profetico e rivelatore, Villaggio, nel corredare idealmente ciascuno di noi di una sfigatissima nuvoletta, di congiuntivi improbabili e obblighi succubi, vergognosi e sempre più alienanti, nel parlare di posto fisso con toni apocalittici e mai buonisti. Ci lascia in eredità un cinismo prezioso, che sapeva farsi sguardo sul mondo e chiave di lettura illuminante, senza tramutarsi in astio bilioso né tantomeno in ironia ammiccante e a buon mercato, facilona e dunque puntualmente innocua. Una lezione più che mai fondamentale, specie di questi tempi. Tra i registi che hanno lavorato con lui c’è stato Carlo Vanzina, che ha conosciuto Villaggio quando era assistente alla regia di Monicelli sul set Brancaleone alle crociate, poi per il film con il padre Steno (Dottor Jekyll e gentile signora) e lo ha diretto in due titoli (Io no spik english e Banzai). “Era un uomo intelligentissimo, con la maschera Fantozzi ha raccontato la frustrazione ma anche la goliardia dell’ambiente dei colletti bianchi. Posso dire che era l’uomo più divertente che abbia mai conosciuto e con questo lavoro di persone divertenti ne ho conosciute parecchie”.

Nicola Massaro

Amburgo, G20: strumenti legittimi di difesa commerciale

I Paesi del G20 hanno raggiunto un accordo per quanto riguarda la stesura del comunicato finale del vertice di Amburgo, anche nel settore del commercio internazionale.

Prendendo atto della decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’accordo di Parigi, gli altri Paesi del G20 hanno riconfermato ad Amburgo il loro impegno per un’integrale attuazione degli impegni previsti dall’accordo. Anche se il protezionismo è stato condannato, allo stesso tempo, il G20 ha riconosciuto ai Paesi il diritto di difesa e di contrasto alle pratiche commerciali illegittime. Tale posizione rappresenta un compromesso con gli USA riluttanti a impegnarsi esplicitamente in una lotta contro il protezionismo all’interno del sistema G20. Donald Trump ambisce a proteggere i salari americani dagli effetti della globalizzazione. Pertanto gli USA – durante il G20 di Amburgo – hanno ottenuto una concessione in cambio di una loro variazione: sarà riconosciuto ai Paesi il diritto d’impiego di strumenti legittimi di difesa commerciale. Tuttavia, questi strumenti non rappresenterebbero un’alterazione dello scenario economico mondiale, piuttosto sarebbero un terreno di intesa all’interno dell’attuale sistema.

Danilo Turco

La profezia musicale dei Kraftwerk, inventori del pop elettronico

Sono tra i gruppi di musica pop più influenti della storia, anche se quasi nessuno li conosce, i Kraftwerk, tedeschi doc, a loro è attribuita l’invenzione del pop elettronico. Pionieri del genere, hanno incominciato ad usare strumenti elettronici, da loro stessi realizzati, alla fine degli anni Sessanta. E mentre la storia, in quella fine di decennio, ancora impregnato di controcultura, era ancora ispirata dalle utopie sessantottine, i quattro pionieri dell’elettronica di Dusseldorf, con visionarietà estrema e predisposizione alla profezia, descrivevano un futuro che è il nostro presente.

Si sono sempre fatti chiamare Kraftwerk, gli “uomini macchina” ed a loro si sono ispirati artisti del calibro di David Bowie, Iggy Pop, U2, Coldplay, ognuno dei quali ha dedicato loro dei brani, ma anche Michael Jackson, Depeche Mode, Daft Punk, fino alla insospettabile Madonna.

Tuttavia è più interessante seguire come i Kraftwerk abbiano sviluppato l’intuizione di un’integrazione tra l’uomo e la macchina, tale da condurre ad un processo di alienazione inquietante ed affascinante. Nella Dusseldorf a cavallo tra Sessanta e Settanta, nell’artisticamente fecondo clima della guerra fredda nella Germania divisa, i Kraftwerk sconvolsero il mondo con i loro primi 2 album che parlavano di alienazione in un mondo dominato dalle macchine. Nel 1978 si presentarono, anzi non si presentarono, ad una conferenza stampa per il lancio del loro nuovo cd, facendosi sostituire da dei robot, ancora rozzi nelle finiture ma perfettamente identici nell’aspetto e nell’espressività ai quattro musicisti.

Il mondo dei Kraftwerk è così, completamente spersonalizzato e venato di ironia, molto simile a quello tratteggiato da Andy Wharol e dalla sua tecnica di riproduzione meccanica delle opere d’arte.

Lo scorso anno il Moma di New York ha deciso, per la prima volta nella storia, di dedicare ai vati della musica elettronica una retrospettiva di 7 serate, con 7 spettacoli 3D, uno per ogni cd della band, in cui l’uomo macchina profetizzato Quaranta anni fa  è stato definitivamente consacrato come emblema di uno status quo che spaventa e che è diventato reale.

Andare ad un loro concerto, ancora oggi vuol dire vedere esibirsi dei robot e non degli uomini, sotto un bombardamento tridimensionale di numeri e algoritmi su enormi maxischermi. Le braccia meccaniche dei sostituti dei Kraftwerk on stage, gli occhi fissi e la glacialità della loro musica ripetitiva e sottilmente angosciante, forniscono una sintesi perfetta dell’apocalittico archetipo del post-umano, che se nel 1970 poteva apparire in linea con la perdita di identità della Germania divisa, oggi è quanto mai atteggiamento globalizzato, quasi a precisare che il mondo attuale non ha più bisogno dell’uomo che lo ha reso autosufficiente con la sua stessa produzione; basti pensare alle stampanti 3D che possono realizzare protesi umanoidi bioniche per quasi ogni parte del corpo.

Il mondo dei Kraftwerk è fatto da ex divinità in esilio, gli esseri umani, sostituite dalle loro stesse creature, le macchine, che si divertono, fanno musica, lavorano..tutto esattamente come i creatori, ma senza essere umani del tutto: metà essere e metà macchina, come i Kraftwerk stessi.

Rossella Marchese

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