Frankenstein, il mostro ginevrino ispirazione per la scienza

Frankenstein è ginevrino: il personaggio del libro di Mary Shelley nacque 201 anni fa sui bordi del Lemano, durante una sfida letteraria tra gli ospiti di Lord Byron, a villa Diodati a Cologny. Un aspetto messo in evidenza nelle celebrazioni in corso per il bicentenario del personaggio. Ma al di là delle circostanze legate al soggiorno ginevrino della scrittrice, il personaggio del dottor Victor Frankenstein, padre della creatura, è presentato nel romanzo come uno scienziato di Ginevra, figlio di un sindaco, ma è passato alla storia come il Prometeo moderno: il creatore di un essere umanoide che prese il suo stesso nome.

Ebbene, da Ginevra a Bonn il salto non è così eccessivo, ma fino a Mosca c’è ben altra distanza da tenere in considerazione, eppure, queste tre città sono legate da un fil rouge che le unisce proprio nel nome di Frankenstein.

È dell’ultim’ora la notizia che un gruppo di biologi dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca (Mipt) e dell’Università di Bonn, hanno ricreato in laboratorio il “cuore di Frankenstein”. Come spiegano nell’articolo “Synchronization of excitable cardiac cultures of different origin” pubblicato questo mese sulla rivista Biomaterials Science, frammenti di miocardio di diversa origine sono stati collegati tra di loro e fatti battere all’unisono, esattamente come fece il dottor Victor sulla sua creatura, creando dei patch cardiaci universali, il cui impianto nel futuro potrebbe diventare un’alternativa al trapianto di cuore per chi ha cardiomiopatie.  Ad oggi, come ha affermato Konstantin Agladze, uno degli autori dello studio e professore presso il Mipt, non è possibile sostituire parti di cuore danneggiato, ma soltanto trapiantarne uno in toto. Grazie alla scoperta di Agladze e dei suoi colleghi, in futuro e in teoria, sarà invece possibile creare una sorta di “cuore di Frankenstein”, com’è stato battezzato, usando frammenti di tessuto cardiaco di due diverse specie. Gli scienziati russi e i loro colleghi tedeschi hanno impiantato cellule di ratti e topi, sia appena nati che adulti, e ne hanno seguito la crescita e l’interazione con l’aiuto di un microscopio a fluorescenza. Queste colture di cellule erano in grado di comunicare tra di loro, generare un segnale elettrico e trasmetterlo alle fibre muscolari adiacenti, anche se appartenevano a diverse specie di roditori: ratto e topo.

Si può creare, dunque, un unico tessuto cardiaco eccitabile, anche con cellule diverse e a diversi stadi di sviluppo, appartenenti a specie animali differenti sebbene molto simili: ratto e topo e, di conseguenza, scimmia ed essere umano. Al momento però, la sperimentazione sull’uomo è ancora lontana, perciò il primo cuore di Frankenstein sarà quello di un roditore.

Rossella Marchese

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