La Chiesa luterana di Svezia adotterà un linguaggio neutro per riferirsi a Dio

Che la Svezia fosse il Paese simbolo di welfare funzionante è cosa nota, ma che il rispetto e la tolleranza, da sempre cardini di quella cultura, potessero passare anche attraverso gli appellativi con cui ci si riferisce a Dio, è notizia recente.

Lo scorso 23 novembre, infatti, a conclusione di un meeting durato 8 giorni tra le massime autorità luterane del Paese, si è deciso che a partire dal prossimo 20 maggio, giorno di Pentecoste, il nome di Dio sarà oltre le determinazioni di genere. Per evitare di dare una connotazione maschile al Creatore, i vertici svedesi hanno specificato che basterà parlare genericamente di Dio, il cui sesso determinato a priori; a tal proposito la Chiesa ha fornito ai sottoposti un vademecum dettagliato, in cui si spiega come le liturgie e gli inni dovranno essere declinati in vista di questa decisione.

In Svezia si discuteva di un linguaggio inclusivo sin dal 1986.

Il capo della Chiesa svedese, l’arcivescova Antje Jackelén, che guida un gregge di 6 milioni di anime, in un paese in cui ci sono 10 milioni di abitanti, ha affermato in proposito: “da un punto di vista prettamente teologico, sappiamo che Dio è oltre le nostre determinazioni di genere. Dio non è umano”, pertanto basta riferirsi a Dio con la parola Signore, o utilizzare un linguaggio volto al maschile: è discriminatorio nei confronti delle donne. È questa la motivazione ufficiale con cui la Chiesta luterana evangelica ha deciso di esortare i suoi religiosi a “moderare le parole”, ovvero ad adottare un linguaggio neutro dal punto di visto del gender.

La svolta linguistica, tuttavia, non è piaciuta a tutti; tra gli intellettuali le maggiori perplessità, Christer Pahlmblad, ad esempio, professore associato di teologia all’università di Lund, è convinto che tutto ciò rappresenti un danno alla dottrina della Trinità e alla comunione con le altre dottrine cristiane; far passare la Chiesa di Svezia per quella che non rispetta l’eredità teologica comune non sarebbe una scelta auspicabile. Ma al di là delle dispute e discussioni teologiche e filosofiche sulla questione, rimane il fatto in sé:eccesso di zelo o problema culturale su cui riflettere tutti?

Rossella Marchese

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