A colloquio con Salvatore Di Maio

Salvatore Di Maio nel suo libro intitolato “Nato il 4 luglio a Napoli. Le metamorfosi di uno scugnizzo, per i tipi delle Edizioni La Città del Sole, mostra attraverso la sua esperienza un’interessante spaccato della vita napoletana.

Il volume sarà presentato presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo a Napoli il 28 febbraio. Abbiamo rivolto a Salvatore Di Maio alcune domande in particolare sul suo percorso di vita trascorso alla Casa dello Scugnizzo.

Salvatore Di Maio, di grande significato le dediche che aprono il volume. Una dedicata alla moglie Maria Antonietta e una alla figlia Francesca. L’altra al padre Peppe e a Don Mario. Perché questa scelta?

Mio Padre Peppe rappresenta per me l’amore, quello irrazionale che non ha bisogno di spiegazioni, c’è e te lo porti appresso. Don Mario, che in una dedica a me destinata si definì “padre adottivo, è la persona a cui devo la mia normalità. la Casa dello scugnizzo da lui creata mi ha offerto la possibilità di crescere con riferimenti che altrimenti non avrei avuto. Mia moglie e mia figlia sono il mio presente e il mio passato di uomo adulto, all’una debbo quasi tutto quello che sono, con tutto ‘o buono e tutto ‘o malamente. Mia figlia è l’amore razionale e irrazionale, parte di me.

Quanta importanza ha avuto nella sua formazione e nella sua vita l’esperienza educativa vissuta con don Mario Borrelli presso la Casa dello Scugnizzo?

Tantissima, perché mi ha dato una adolescenza da ricordare e mi ha fornito gli strumenti e la curiosità per affrontare la vita. mi ha fatto scoprire che il mondo andava oltre Napoli ed è grazie alla Casa che ho imparato la lingua inglese che è stata poi fondamentale per la mia carriera da pubblico dipendente.

Perché “metamorfosi di uno scugnizzo”?

Perché l’insicurezza che accompagna il personaggio del libro, lo costringe a continui cambiamenti per somigliare, quanto più possibile, alle figure di riferimento che man mano ha incontrato nella sua vita. la sensazione di non sentirsi all’altezza nel mondo fuori la Casa dello scugnizzo lo spingono a trasformarsi di volta in volta, fino a quando non si renderà conto di essere accettato per quel che è.

Per lei Scugnizzo è un modo di vivere?

No, non credo sia un modo di vivere, ma mi rendo conto che esserlo stato può, in qualche modo, condizionare il carattere. aver sofferto quella condizione che lo escludeva e lo destinava ad un destino da ultimo, gli ha sicuramente consentito, una volta uscito da quella condizione, di rispondere alle avversità con ottimismo e fantasia.

Quanto di lei c’è in Tore, il protagonista del libro?

Il mio vissuto ha fatto da canovaccio, come quelli della “commedia dell’arte, una traccia su cui improvvisare. c’è quindi tanto di me, Tore mi somiglia ma non è pienamente Salvatore.

Attraverso il racconto del protagonista si snoda anche la storia di una generazione e di una città…

La Storia, quella con la “S” maiuscola, da il tempo agli eventi cui il protagonista partecipa. a volte gli eventi storici ne condizionano le scelte. Tore è partecipe di tanti momenti storici della città, ne è coinvolto come membro delle truppe che hanno consentito ai Cesari di meritarsi la menzione nella Storia.

Alessandra Desideri

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