L’utilizzo dei fondi europei in Italia

In Italia non si parla mai di fondi Ue, ma se si analizzano i dati, emerge che esiste una seria difficoltà di spesa. Questo fatto impone  un ripensamento della costruzione funzionale della politica di coesione in vista del prossimo  negoziato sul bilancio dell’Unione.

In Italia manca ancora un primo documento ufficiale che certifichi il livello di spesa per il periodo 2014-2020, ma basta consultare i  dati della Commissione europea per rilevare che l’Italia, a marzo 2018, è all’8 % della spesa, risultando agli ultimi posti insieme a Malta, Croazia e Spagna. Va poi evidenziata l’alta possibilità di spesa offerta che si rifà a oltre 75 miliardi di euro, risultando il secondo stato membro beneficiario, dopo la Polonia, che invece ha speso in valore assoluto più del doppio dell’Italia.

Dai dati della Commissione emergono numerosi spazi finanziari disponibili per l’attuazione della politica di coesione in Italia. Infatti a marzo 2018 risulta allocato solo il 42 per cento del budget. Restano così 44 miliardi di euro da associare a singoli progetti che avrebbero potuto risolvere questioni e problemi emergenti riguardanti gli investimenti pubblici.

In Italia non sono bastati oltre quattro anni per programmare progetti di crescita e sviluppo, e quindi neanche per spendere. Questo accadde anche nel ciclo 2007-2013, ma alla fine si è riusciti a certificare quasi tutto, perdendo qualche decina di milioni di euro.

Non è bastata la nascita dell’Agenzia per la coesione e del dipartimento per le politiche di coesione, per invertire le sorti di questa difficile missione italiana. Anzi, proprio l’Agenzia, che negli obiettivi avrebbe dovuto accelerare i meccanismi di spesa ed entrare in surroga delle amministrazioni meno efficienti, fa registrare per i due Pon (Programma operativo nazionale) di cui è autorità di gestione, i livelli di spesa più bassi (0,3 per cento per il Pon Gov. e 0,5 per cento per il Pon Metro). Risulta difficile per le amministrazioni  svolgere il ruolo di stazioni appaltanti, sia per le difficoltà oggettive introdotte dalla riforma del codice degli appalti e sia, per le attività di progettazione, attivate in tavoli di concertazione che durano anni. Per risolvere occorrerebbe decidere di rimettere mano alla governance dei fondi strutturali e ripensare a nuovi strumenti per la politica di coesione, che nella contribuzione al bilancio dell’Unione,siano lasciate nelle casse degli stati membri più risorse vincolate all’attuazione di una politica di coesione a sfondo sia europeo e sia nazionale insieme, per meglio rispondere ai bisogni immediati di crescita,con investimenti mirati sui singoli territori.

Danilo Turco

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