Giacomo Balzano: Il vuoto dentro

Giacomo Balzano, psicanalista di orientamento adleriano. Fra le sue opere ricordiamo: Disagio Giovanile: storie di cambiamenti, Giovani del Terzo Millennio (volume che ha vinto nel 2006 il Premio Internazionale di saggistica “Città delle Rose”), I nuovi mali dell’anima, Oltre il disagio giovanile. Per Besa editrice ha pubblicato il romanzo Alessia e le sue tenebre (2011) e il saggio Alfred Adler e lo scisma della psicoanalisi (2014).

Può definire le peculiarità del senso di vuoto ed i modi più frequenti in cui si tenta di colmarlo nella scansione del proprio percorso umano ed esistenziale?

Il senso di vuoto è un vissuto di mancanza, di assenza affettiva che spinge il bambino (la personalità di un individuo si forma nei primi 5 anni) a rincorrere abnormi compensazioni per colmarlo e contenere le angosce associate. Queste compensazioni sono centrate sull’assunzione di condotte di stampo narcisistico che inseguono un’ipocritica grandezza. E il modello di Narciso, connota l’attuale spirito dei tempi e influenza la formazione e gli ideali perseguiti dalla persona.

Il disagio giovanile nella fase adolescenziale è il tema che affronta. Chi sono gli interessati?

L’OMS (L’Organizzazione Mondiale della Sanità) in un suo studio del 2008 aveva affermato che nel 2020 i Disturbi in Età Evolutiva, sarebbero stati la prima causa di morte e disabilità. Ed è ciò che sta accadendo. Il disagio nei bambini, nei preadolescenti e negli adolescenti sta diventando una vera e propria epidemia psicosociale. Un dato su tutti forse può illustrare la situazione: in Italia ogni anno si tolgono la vita 3.000 giovani dai 15 ai 25 anni, mentre gli incidenti stradali (spesso suicidi mascherati) sono la prima causa di morte in adolescenti e giovani adulti.

Lei è uno psicoanalista ad orientamento adleriano. Per i non addetti ai lavori, quali peculiarità riserva siffatta propensione rispetto a temi come prevenzione della devianza minorile e della dispersione scolastica, l’educazione alla salute, l’educazione affettiva e la formazione dei genitori e degli insegnanti?

Alfred Adler è stato il primo apostata della psicoanalisi (dopo aver collaborato con Freud per nove anni) e il primo analista a fondare un’autonoma scuola denominata “Psicologia Individuale”. E’ stato l’iniziatore del filone socio-culturale della psicanalisi ed ispirato l’opera di Fromm, Sullivan, Horney ecc. Tra i suoi allievi troviamo Victor Frankl il creatore della logoterapia mentre anche Karl Popper, che prima di diventare il famoso filosofo della scienza era uno stimato psicopedagogo, seguì il lavoro innovativo di Adler presso le scuole della Vienna socialdemocratica degli anni ’20. In quell’epoca, il governo della città diede proprio il compito all’analista viennese di riformare la Scuola. Adler e i suoi allievi si applicarono con abnegazione a questo lavoro e istituirono i primi consultori per i bambini problematici, tennero corsi di formazione per genitori e insegnanti, istituirono la figura dello psicologo presso gli asili e le scuole di ogni grado e crearono anche una scuola sperimentale che operava secondo i principi del cooperative learning. Tutte iniziative, come possiamo osservare, ancora attualissime.

La cronaca segnala, soventemente, episodi di inaccettabile violenza compiuta da o tra giovanissimi. Possono la brutalità, la sopraffazione, l’abuso essere percepiti dagli adolescenti come curativi rispetto all’indicibile dolore provato?

Il bullismo e le condotte eterolesive sono spesso un modo distorto del giovane di cercare valorizzazioni, dopo aver sperimentato insuccessi nel perseguire mete affermative più utili e socializzate. Sono quindi compensazioni fittiziamente curative, in quanto prevedono distanza affettiva dall’Altro (e il barometro della normalità è la capacità della persona di strutturare legami compartecipativi nel proprio contesto comunitario) e l’indurimento “dell’anima”. Di contro, le ansie e i sensi di inadeguatezza, che in ultima analisi hanno determinato lo stile “brutale”, non sono adeguatamente riconosciute e risolte dalla persona.

Terapista e giovane paziente, intelligente, precocemente classicista; ambedue pongono in discussione le proprie granitiche certezze. Può esemplificare i tratti del loro rapporto?

Ogni rapporto analitico efficace dovrebbe vertere sulla costruzione di una creativa relazione empatica così che l’analista “Vede con gli occhi del paziente, ascolta con le sue orecchie, vibra con il suo cuore”. Ciò che ho cercato di riportare nel romanzo. In ciò seguendo anche i dettami dal celebre poeta Walt Withman: “Non chiedo ad una persona ferita come si sente, io stesso divento la persona ferita”. Concetti simili a quelli alderiani che guidano il lavoro degli analisti di questa scuola e che hanno diretto anche la scrittura del mio romanzo.

Giuseppina Capone

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