Le fiabe contro il Covid-19 a Campodimele

“Un paese incantato, festival delle fiabe” in modalità inedita quest’anno. Si conclude domani la due giorni dedicata alle fiabe organizzata dall’Associazione di promozione sociale Agenzia Arcipelago presieduta da Angela La Torre, dall’I.p.er.s. (Istituto di psicologia e ricerche socio sanitarie)  e dal Comune di Campodimele.

Un incontro che si sussegue ormai da 12 edizioni e che prima della pandemia ha visto la partecipazione numerosa di abitanti e turisti, appassionati e non delle fiabe.

Il festival è dedicato a Basile e al suo  “Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille”, una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile, edite fra il 1634 e il 1636 a Napoli. L’opera, nota anche con il titolo di Pentamerone, è costituita da 50 fiabe, raccontate da 10 novellatrici in 5 giorni.

Grazie alla partecipazione folta di artisti, esperti, psicologi, musicisti, scrittori, il borgo medioevale di Campodimele in provincia di Latina si trasforma “in un in un luogo magico”.

“Il festival – sostengono gli organizzatori – riesce a ricreare all’interno di un ambiente naturale  uno spazio narrativo e di gioco attraverso un ricco programma di storie, animazioni, racconti e laboratori, rivolgendosi non solo ai bambini ma anche agli adulti”.

L’iniziativa è stata fortemente voluta dal sindaco Roberto Zannella e sostenuto dall’assessorato alla Cultura guidato da Tommaso Grossi.

“Grazie al festival della fiaba – evidenzia il direttore Giuseppe Errico – continueremo a creare piccole occasioni di gioia per i piccoli. Le fiabe sono le più antiche memorie dei cuori umani (mondo delle emozioni), ed aiutano le bambine e i bambini a crescere in bellezza, ricordano a tutti noi la parte più vera della vita, fatta di  gentilezza, solidarietà, spontaneità, armonia e creatività”.

Causa pandemia il festival si tiene a distanza su Facebook (https://www.facebook.com/Festival-Della-Fiaba-Un-Paese-Incantato-105664205042261), dove sarà possibile conoscere strade e piazze di Campodimele.

L’evento si concluderà il 25 maggio con la premiazione La fiaba magica (XII edizione) al maestro scultore Franco Viola di Formia.

Alessandra  Desideri

Ugo Pontiggia: Frammenti d’amore di Ibico

Ugo Pontiggia  si è  formato a Urbino alla facoltà di filologia classica diretta da Bruno Gentili, poi laureato in letteratura greca a Milano con Dario del Corno. I suoi interessi si sono rivolti alla psicoanalisi e la sua formazione si è arricchita con il dialogo di formazione con Sergio Contardi, insieme al quale e a diversi altri intellettuali e psicoanalisti ha fatto un convegno a Milano sul “disagio della cultura nella modernità” nel 2013. Insegna da più di trent’anni nei licei classici, attualmente al liceo Virgilio di Milano. Ha pubblicato nei Quaderni Urbinati di Cultura Classica un articolo sulla vista nel 2006 e tradotto e commentato gli epigrammi di Anite di Tegea e i frammenti di Ibico, pubblicati nel 2018 e nel 2019 nella casa editrice La finestra.

“È diceria popolare che i lirici avessero la predilezione per le poesie di argomento Paidico. Queste cose si riferiscono anche agli amori, che riguardano Alceo e Ibico e Anacreonte” Ciò in uno Scolio a Pindaro, Istmica II,1.

Quali sono i tratti d’originalità che Ibico dona alla lirica corale

Molti autori lirici hanno trattano l’amore pederastico, da Teognide ad Anacreonte a molti altri, in Ibico troviamo però una descrizione dell’eros meno gioiosa, più sofferta e drammatica; la tempesta dei sensi, l’invasione dei corpi e della mente operata da Eros in Ibico diventa un’ossessione che turba violentemente. Questo anticipa l’eros tragico di Ippolito e Medea per fare degli esempi e naturalmente non è dovuto alla repressione della società in quanto, come sappiamo, la pederastia non era affatto condannata nella cultura greca arcaica.

In Ibico trovano espressione il desiderio e la violenza verso gli adolescenti. Orbene, quanta influenza ebbe a suo giudizio la corte di Policrate nell’esaltazione della bellezza degli efebi?

La corte di Policrate nell’isola di Samo ospitò Anacreonte e Ibico, dai testi di Anacreonte si ricava un modo di vivere più gentile e delicato che si riflette nel simposio, dove il bere vino insieme deve essere fatto con l’aggiunta dell’acqua e non tracannando vino per ubriacarsi alla maniera trace. Un modo di addomesticare Dioniso e in parte anche Eros, tuttavia l’eros pederastico non era confinato solo alla parte raffinata orientale ma era tipico della Grecia, la bellezza degli adolescenti era desiderata ma aveva bisogno di un amante adulto che perfezionasse quella bellezza e la trasformasse educandola ai valori della comunità aristocratica.

Eros, divinità dal potere abnorme, oscuro ed ossessivo, che turba ed atterrisce, non consente abbandono o estasi come nell’esperienza saffica né conosce la gioia lusiva di Anacreonte. Ebbene, i frammenti d’amore in cui si ode la voce di un Ibico davvero ardente, autenticamente sferzato dalla passione, come si conciliano con la coralità del pubblico cui erano rivolti?

In questa domanda si racchiude la sfida del libro. Ibico si rivolge ad un pubblico ristretto, che condivide esperienze e valori, però in alcune poesie testimonia un rapporto non edonistico con la bellezza ma tragico. Questa riflessione di Ibico, che sarà sviluppata più tardi dai grandi tragici in ambito eterosessuale, è l’aspetto che più mi interessava: i giovani aristocratici erano rapiti e oggetto di violenza, dovevano rimanere freddi nell’amore, ma che cosa provavano nei confronti degli adulti che li desideravano? Non abbiamo testimonianze nel mondo antico, sappiamo che quegli adolescenti, divenuti adulti con lo spuntare della barba, si sarebbero trasformati in amanti ma è lecito immaginare quali forti conflitti sorgessero nelle loro menti nei confronti dei padri e dei “padri d’amore” nella società patriarcale nella quale vivevano. Ibico in un passo dice che “Eros non dà riposo in nessuna stagione…nero, impavido, con forza tiene il mio cuore da quando ero bambino”. Ecco in questi versi mi sembra che si possa trovare una testimonianza della violenza dell’eros pederastico greco.

Ibico di Reggio, nonostante gli aspetti esteriori della metafora erotica, pare indirizzare l’Eros verso un fine differente da quello paideutico. Potrebbe esemplificare valore, funzione e scopo d’una esperienza offerta in modo così soggettivo e personale?

Anche in Ibico l’amore ha una funzione paideutica, era il modo per incontrare l’adulto e trovare la propria identità. L’unicità, potrei dire, di Ibico non fu tanto la sua propensione assoluta all’eros pederastico, come pure scrissero di lui gli antichi, molti alti poeti cantavano l’eros paideutico, ma la resa problematica e ancora meglio drammatica del tema, che non dipende credo da una personale realtà biografica ma da una sensibilità e intelligenza potente, tipica di un popolo, quello greco, che era sciente e tragico.

Professore, quale fu il ruolo e l’estensione del fenomeno pederastico, naturalmente variati a seconda delle usanze locali e delle inclinazioni individuali, tra il VII ed il VI sec a.C.?

In tutta la Grecia, in modi diversi, l’amore pederastico venne praticato, con una sessualità più sublimata a Sparta almeno nella fase tardo arcaica, in una forma più estetica ad Atene, in Eubea, Beozia, Ionia, ove si praticava il culto del corpo maschile nella sua prossimità estetica ed etica al corpo degli eroi, e a Creta con un rapimento rituale. Nel mondo greco gli dei erano luminosi e con corpi che non invecchiavano, non conoscevano la deformità della malattia; gli eroi si confrontavano con corpi così eccelsi e potevano essere per brevi momenti pari agli dei. L’appartenenza al mondo eroico e la vicinanza agli dei, a quanto i greci sognavano fin da bambini, era garantita dal passaggio all’età adulta e l’amore pederastico ne era uno dei fondamenti. Tuttavia tale passaggio avveniva in modo traumatico tanto che le metafore erano quelle del cavallo che viene domato.

Ibico oltre ad esaltare la bellezza delle forme è anche testimone di tale conflitto.

Giuseppina Capone

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