Ivonne Mussoni: Sirene

Ivonne Mussoni è una studiosa dell’Università di Bologna. Nel 2013 ha pubblicato con Heket la plaquette A un quarto d’ora d’universo. Sue poesie sono presenti nell’antologia Post ’900 lirici e narrativi (Giuliano Ladolfi Editore, 2015) e in Centrale di Transito, ceci n’est pas une anthologie (Giulio Perrone Editore, 2016). Nel 2017 pubblica, sempre con Giulio Perrone, la raccolta La corrente delle cose ultime.

 

Dalle prime sirene rapaci all’episodio di Ulisse e le Sirene nell’Odissea, al Cratilo di Platone alla fiaba “La Sirenetta” di Hans Christian Andersen. “Eravamo quasi donne / nel poco che mancava / lucertole, uccelli, meduse, / tempeste, / orsi e serpenti”. Chi è la Sirena?
Rispondere a questa domanda è stato il lavoro di questo libro, ma ciò che realmente è credo si possa afferrare solo per intuizione. La sirena è tante cose, questa è la prima evidenza poiché nella propria immagine tiene in sé le contraddizioni del doppio: è una donna ma è anche una bestia. È un uccello con la voce e le labbra, è un pesce, è un serpente. In ogni caso, in qualsiasi forma si presenti, è un’immagine del profondo e, come tale, sarà complessa e mai univoca. Se guardata dal punto di vista del maschile è una creatura misteriosa e seducente che esce dalle acque, simbolicamente dall’inconscio, per portare una verità all’interno dell’uomo segretamente taciuta. La sirena è quindi l’Anima dell’uomo. Il femminile invece si riconosce nella sirena stessa e nelle sue ambiguità, sa di avere una parte inaccessibile, connessa con i sentimenti più bassi e profondi e sa che presto o tardi dovrà farci i conti.
Al centro della sua raccolta poetica si trovano i versi di Marguerite Yourcenar “Attraverso me poteva spiare l’invisibile / ricordare cosa c’era / prima che ci fosse giorno e notte / prima del firmamento / che separa le acque dalle acque”
La Sirena, pertanto, intesa quale ambasciatrice dell’incorporeo, di un tempo passato e futuro?

Assolutamente, alle sirene-uccelli mandate alla ricerca di Persefone (la figlia di Demetra rapita dal dio dell’oltretomba) viene donato (o sarebbe meglio dire inflitto) lo sguardo degli uccelli rapaci, in grado di vedere molto lontano, uno sguardo dunque, tradotto metaforicamente, in grado di guardare nel profondo: nelle profondità del cuore e del tempo; in più, se pensiamo al canto delle sirene come canto poetico, si intuisce come possa essere in stretto rapporto con il tempo. La poesia è sotto l’egida di Mnemosyne, la dea della memoria che dona ai poeti la capacità di vedere al passato e ai profeti quella di vedere il futuro. Alla sirena, sibilla e poeta, appartengono entrambe le direzioni.
I cerchi sull’acqua, Quasi mezzogiorno, I cerchi sott’acqua fino a Sulla terra, la sezione conclusiva. Ebbene, come si evolve la Sirena sino al suo confronto con le regole terrestri?
L’evoluzione della sirena è culturalmente e letterariamente misteriosa, non ci sono leggende che ne cambiano i connotati, semplicemente succede, è un simbolo che si adatta all’epoca, che ne accoglie i dolori e le ansie. Quello che mi sorprende è come sia potuta cambiare così tanto, fino a rovesciarsi completamente e da carnefice diventare vittima. La fiaba de La Sirenetta di Andersen ne ha determinato in parte il destino, ma lo scrittore danese non è stato il primo a confrontare la sirena con le regole terrestri. Penso a Ondine di De La Motte Foqué e penso che la donna/sirena che cambia la propria natura per amore di un uomo non sia un fatto nuovo. Nel libro ho cercato di seguire la sua storia, la mia sirena diventa sempre più innocua, cede all’amore e si fa vulnerabile, fino a perdere la voce. Rendersi conto della portata di questa perdita è estremamente doloroso, vuol dire sentire minacciata la propria identità e non avere voce per dire chi si è realmente. Nonostante questo nelle nuove sirene terrestri c’è ancora il nocciòlo delle antiche compagne, questo è stato quello che ho cercato di fare nella raccolta: tracciare i confini del mutamento ma lasciando intravedere le origini. Andare all’inizio della storia per scoprire il canto di verità. La storia della Sirenetta diventa allora un monito: non lasciarsi rubare la voce. Non scambiarla per niente al mondo. La sirena che esce dall’acqua crede, uscendo, di farsi intera, ma in realtà perde solamente una parte di sé. L’integrazione avviene al contrario; accettando pienamente la propria parte mostruosa.
Il testo finale reca: “È pericoloso fare luce/ su una natura di bestia… Eravate voi, non io/ a fare più paura” Qual è l’urgenza, qual è la necessità qui evocata?
Questa è l’ultima poesia della raccolta e, contemporaneamente, l’ultima parola della sirena. Qui la sirena percepisce il rifiuto, ne soffre e, per la prima volta, non incolpa la sua oscurità, ma la paura di chi non riesce ad accettarla. Mi sono domandata a lungo se concludere la raccolta con questi versi, il mio primo libro si conclude con la parola Volo e mi è sempre sembrato un sintomo di grande apertura e possibilità verso il futuro, questa termina invece con la parola paura, ero restia a lasciare questa conclusione, ma se c’è una cosa che la sirena mi ha insegnato è non avere timore della propria zona d’ombra.
“Sott’acqua non ci sono le tempeste” Può commentare questo suggestivo verso per noi?

La pace del sott’acqua è simile al sonno, simile alla morte o al chiudersi nel proprio luogo sacro, questo è raccontato magnificamente nella leggenda di Melusina. Melusina è una fata dei boschi, di lei si innamora perdutamente un cavaliere Raymond che la chiede in sposa, lei accetta ma a alla condizione che l’uomo rispetti un patto inviolabile: ogni sabato le concederà il permesso di ritirarsi in solitudine. In quel momento solitario fa il bagno in una tinozza e non appena si immerge in acqua le gambe si trasformano in una grandissima coda di serpente. Tutto procede per il meglio fino a quando il cavaliere, fremente di gelosia, rompe la promessa e, aprendo la porta del bagno, scopre la parte mostruosa della moglie. Scoprendola la perde, Melusina se ne va. Ciò che la storia ci suggerisce è la necessità di fare quel bagno di sabato, in solitudine nel luogo dove non c’è altro rumore, dove appunto, non ci sono le tempeste, solo così è possibile recuperare le proprie energie psichiche ed essere chi si è realmente.

Giuseppina Capone

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