Patrizia Poli: La pietra in tasca

Emily Brontë innalza la scrittura a “pulsazione, respiro, centro assoluto del vivere”. La narrazione in poesia e prosa da intendersi come rifugio paradisiaco?

Per Emily la scrittura era una fuga di libertà nella fantasia, una trascendenza romantica, e la poesia uno sfogo privatissimo. Ma non fuggiva dalla realtà quotidiana che amava oltre ogni dire. Adorava il luogo in cui viveva, la propria famiglia e i lavori umili che volentieri svolgeva nell’ambito domestico. Tuttavia la sua immaginazione, il suo cuore potente, la sua sensibilità sentimentale la spingevano verso lidi di gloria, di passione, tormento e turbamento, dove tutto era possibile e non esistevano mezze misure. Non cercava il paradiso, lo aveva già a portata di mano, le bastava guardare fuori della finestra. Cathy, nel romanzo, ha un incubo in cui si trova nel regno dei cieli e piange disperata perché vuole tornare sulla terra, nella brughiera e fra le braccia di Heathcliff, non certo un angelo, piuttosto un demonio che solo lei sa domare.

Può fornire degli elementi circa il contesto familiare e sociale in cui l’autrice ha scritto e vissuto?

Emily ha vissuto un’esistenza tragica ma quieta, in una famiglia che la amava e non era così rozza o isolata come poi si è voluto far credere. Figlia d’intellettuali, autodidatta come i suoi fratelli, ha poi perfezionato gli studi, anche all’estero. A Haworth non c’erano grandi distrazioni ma si leggeva, si dipingeva, si suonava, si commentavano le notizie politiche e sociali. Purtroppo un’atmosfera di morte ha accompagnato questa famiglia, a partire dal luogo dove i fratelli sono cresciuti, circondato da cupe pietre tombali, fino ai drammatici fatti che li hanno strappati al mondo nel fiore degli anni, uno dopo l’altro.

Emily Brontë pare essere in piena sintonia con gli elementi della natura.

Potrebbe essere questa specifica attitudine poetica la chiave per comprendere l’autrice di “Cime Tempestose”?

Senz’altro esiste fusione completa fra natura e opera poetica dell’autrice. I suoi personaggi non sono immorali ma premorali, agiscono come gli elementi atmosferici, come un fiume che esce dal suo letto o un terremoto che scuote le fondamenta della terra. Non importa quante vittime lascino sul cammino, loro devono fare quello che fanno, cioè amarsi, azzannarsi, fondersi. Ecco perché questo romanzo è così unico, così speciale, così fuori dal tempo.

Frammenti di lettere, poesie, testimonianze guidano direttamente il lettore in questa doviziosa biografia. Interessanti sono i rapporti intrafamiliari.

Quale analisi possibile?

In realtà la mia non è l’ennesima biografia, per questo vi rimando a quella classica, e fuorviante, di Elizabeth Gaskell – da cui è tratto il mirabile romanzo di Lynne Reid Banks e che ha contribuito a creare la “leggenda dei Brontë –, a quella monumentale, moderna e innovativa di Juliet Barker o a quella poetica e struggente di Paola Tonussi.

Qui è Emily che, ormai spirito nella brughiera come la sua Cathy e il suo Heathcliff, ricorda la propria vita e rivive il romanzo. Per questo ci sono ripetizioni e rimandi continui, per questo si va volutamente avanti e indietro nel tempo, mentre i ricordi si mescolano e rincorrono, insistenti, in un flusso di coscienza inarrestabile.

Emily era se stessa solo a casa, nella brughiera, con la famiglia e con i suoi amati animali: cani, gatti, falchi. Aveva un rapporto speciale con Anne, la sorella minore, ma adorava anche tutti gli altri componenti della famiglia: suo padre, serio, burbero ma giusto e compassionevole. Charlotte, severa e timida, romantica, l’unica a diventare famosa prima della morte. Branwell, che lei non giudicava ma sosteneva nonostante le malefatte. E poi la serva Tabitha che stimolava con i racconti la fantasia dei fratelli, la zia Elisabeth giunta a sostituire la madre morta. Il ricordo pietoso e struggente di Maria ed Elisabeth, le sorelle decedute da bambine.

Una famiglia unita nella fede e nel dolore ma anche molto nell’amore per le lettere e le arti, per la politica e l’impegno sociale. Una famiglia che, dopo aver perso la madre, ha visto morire in due mesi due sorelline e poi, a distanza di anni, altri tre fratelli in nove mesi.

Lettere, poesie e testimonianze sono state la base dalle quali sono partita, dunque, ma non le ho citate né riportate nel testo.

In “La pietra in tasca” emerge l’immaginario letterario di Emily Brontë.

Può motivare il suo interesse per l’autrice?

Credo di aver letto da ragazzina una vecchia edizione di “Cime tempestose” trovata in casa. M’innamorai subito dell’atmosfera “infestata e spettrale” del romanzo. Ho cercato di riproporla nella rivisitazione del testo che compone la seconda parte di “La pietra in tasca”.  All’università, poi, scrissi una tesina sull’argomento, approfondendolo, e da allora, il bisogno di scavare nell’animo di Emily e di Charlotte, e della loro disgraziata famiglia, non mi ha mai abbandonato.

Che cos’ha di tanto travolgente il romanzo di Emily? L’eroe byronico è scisso in due e non trova nessuna controparte capace di rabbonirlo e redimerlo. In realtà l’eroe satanico trova qui la sua amata metà dell’inferno. Heathcliff e Cathy non “s’innamorano”, non si scoprono, semplicemente “esistono” l’uno nell’altra, da sempre e per sempre (e, entrambi, sono Emily Brontë).

Un libro senza scampo, senza redenzione, almeno per i due eroi principali – dove la morte non è una sconfitta o una punizione bensì un premio. Non vanno in paradiso, questi due, né all’inferno, vanno in un luogo – la brughiera – al quale entrambi appartengono; si ritrovano, tornano a fondersi, a essere di nuovo la persona che la sorte aveva diviso.

Patrizia Poli

Si è laureata in lingua e letteratura inglese.

Ha gestito per molti anni un negozio in un quartiere popolare della sua città, poi si è dedicata a tempo pieno alla scrittura.

In passato ha collaborato al blog Critica Letteraria e al sito Livorno Magazine.

Dal 2012 amministra il blog culturale collettivo signoradeifiltri.

Ha tradotto alcuni saggi dello scrittore Guido Mina di Sospiro pubblicati sulla rivista Pangea.

Ha pubblicato:

L’uomo del sorriso, Marchetti Editore 2015, segnalato al XXVI premio Calvino e recensito su L’indice dei libri del mese, romanzo storico incentrato sulle figure di Gesù e Maria Maddalena.

Signora dei filtri, Marchetti Editore, 2017, romanzo mitologico basato sulla storia di Medea e Giasone e del viaggio degli Argonauti.

Una casa di vento, Marchetti Editore, 2019, storia di sentimenti familiari difficili, ambientata a Livorno ai giorni nostri.

L’ultima luna, Milena Edizioni, 2021, romance ambientato in Africa.

L’isola delle lepri, Literary Romance, 2021, romanzo storico su Santa Margherita d’Ungheria.

Axis Mundi, Literary Romance, 2021, historical romance sul ciclo arturiano.

Post Partum, Butterfly Edizioni, 2023, scritto a quattro mani con la scrittrice ogliastrina Federica Cabras.

La pietra in tasca, Literary Romance, 2023.

Giuseppina Capone

Nola: L’importanza della memoria

Nella fatidica data dell’11 settembre si è tenuta, presso il Teatro Umberto di Nola, la giornata in ricordo dell’eccidio di Nola, in occasione dell’80º anniversario.

L’evento ha avuto luogo alle 19:30 ed è stato un connubio perfetto tra filmati e recitazione, uno spettacolo dinamico, che ha saputo tenere gli spettatori, di tutte le età, sempre attenti alla scena, soprattutto scatenando in loro un forte senso di comprensione al ricordo degli eventi.

Certo, la tematica non è delle più felici, in quanto 10 ufficiali del 48º reggimento italiano furono fucilati ad opera della divisione nazista Göring, in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, ma i vari interventi degli attori in scena, tra monologhi, balli e canzoni, non hanno fatto calare una vena malinconica, ma sono stati capaci di suscitare un forte senso di appartenenza e commemorazione per le imprese di chi ha difeso la città di Nola.

Durante l’evento si sono alternati filmati ufficiali dell’Istituto Luce, accompagnati dalla narrazione di chi era sul palco, prima da un punto di vista degli Alleati, spiegando modalità e dettagli dello sbarco avvenuto tra Salerno e Agropoli il 9 settembre 1943, successivamente anche dalla parte di chi era quel giorno sul luogo, nella caserma Principe Amedeo, ovvero il tenente Michele Nicoletti. Infine la parte che sicuramente ha colpito di più è stata quella della “memoria”, considerata nemica del tempo e ben diversa dalla storia, il cui compito era in questa occasione ricordare chi eroicamente si è mosso in prima linea per la difesa di Nola, e che anche da innocente ha pagato con la vita, come i tenenti Antonio Pesce ed Enrico Forzati.

Lo spettacolo si è concluso con i saluti del Sindaco di Nola Carlo Buonauro, il regista Gaetano Stella, la direzione artistica di Carmela Parmense e infine il colonnello Antonio Grilletto, ideatore dell’iniziativa e della frase:” Amare i caduti ed onorarne la memoria è dovere precipuo di ogni cittadino”.

Dopo i saluti, quando tutti si stavano per alzare, al pubblico è stata offerta una particolare sorpresa, infatti ad assistere c’erano due parenti degli eroi già citati, Alberto Liguoro, figlio del tenente Alberto Pesce e Antonio Forzati, nipote di Enrico Forzati, accompagnati da numerosi applausi.

Rocco Angri

 

(Foto Rocco Angri)

1527 Quando Napoli fece voto a San Gennaro

L’Associazione Culturale “Napoli è”  insieme al Museo dei Sedili di Napoli, diretto dalla giornalista Alessandra Desideri, partecipano alla VI edizione di “1527 Quando Napoli fece Voto a San Gennaro” evento realizzato sotto l’egida del “Comitato promotore UNESCO per la candidatura del culto e devozione popolare di San Gennaro a Napoli e nel Mondo” nato nel 2020 per iniziativa dell’Arcidiocesi di Napoli, del LUPT dell’Università Federico II, dell’ICOMOS, della Deputazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro, del Comitato Diocesano San Gennaro, del Museo Diocesano, della Fondazione Fare Chiesa e Città, nonché da Sebeto APS, Fondazione Ferrante Sanseverino e Associazione I Sedili di Napoli ONLUS (che coordina l’evento), con il patrocinio morale dal Comune di Napoli e dell’Istituto Cervantes in Napoli.

La Fotografia in Italia con FOTOIT

Il numero di settembre di FOTOIT, la rivista della FIAF (Federazione Italiana delle Associazioni Fotografiche),si apre con l’editoriale del Presidente FIAF Roberto Rossi in cui parla delle iniziative in corso e di quelle programmate  fra le quali quelle per la chiusura delle celebrazioni dei 75 anni di vita.

La sezione “Periscopio” segnala eventi fotografici  (mostre, concorsi, letture portfolio, presentazione di volumi, ecc.) in giro per l’Italia.

In questo numero, come usuale nella rivista, spazio agli autori: Robert Doisneau, Alessandro Fruzzetti, Francesco Faraci, Mario Cresci, Chiara Innocenti (che è anche l’autrice scelta per la copertina), Leonilda Prato, Massimo Alfano, Marco De Angelis, Anna Pierottini.

“Singolarmente fotografia” è dedicata alle foto dell’anno. Per “Lavori in corso” istruzioni di lavoro con “Il Focus Stacking 2”.

Interessante il saggio sulla Fotografia transfigurativa e la “Storia di una fotografia” con Tearful.

La rubrica Circoli FIAF presenta l’Associazione Culturale Fotografica La Tangenziale.

Antonio Desideri

 

“I Lunedì dei Castelli” appuntamento dal 2 ottobre con l’Istituto Italiano dei Castelli

Parte il 2 ottobre il ciclo di seminari “I Lunedì dei Castelli”, un appuntamento serale autunnale dedicato a tutti coloro che vorranno conoscere il variegato mondo delle fortificazioni e potranno incontrarsi con altre persone interessate al tema e con i soci dell’Istituto Italiano dei Castelli.

“Si tratta del primo ciclo strutturato a livello nazionale – sottolineano gli organizzatori –  promosso dal nostro Istituto, dopo l’esperienza pilota “paesaggio e fortificazioni” svoltasi nel 2021, durante la pandemia. L’obiettivo del corso è fornire ai partecipanti una prima chiave di lettura per la corretta conoscenza del vastissimo patrimonio di architettura fortificata ancora oggi presente sul territorio nazionale e che costituisce una componente fondamentale dei Beni Culturali Archeologici ed Architettonici”.

Il ciclo di seminari sarà svolto in modalità online su piattaforma Google Meet ed articolato in 11 incontri. I seminari saranno tenuti dai membri del Consiglio Scientifico dell’Istituto Italiano dei Castelli, da docenti delle Università italiane, da funzionari delle soprintendenze.

Quali sono i temi trattati nel ciclo di conferenze?

“Tra i temi trattati – elencano gli organizzatori – : le fortificazioni in epoca classica, con approfondimento dei casi paradigmatici di Paestum e Pompei; l’architettura difensiva normanno-sveva in Italia meridionale tra XI e XIII secolo; il sistema dei castelli viscontei in Lombardia; le caratteristiche architettoniche e funzionali dei castelli siciliani, con particolare attenzione alle influenze arabe; le artiglierie nevrobalistiche e la rivoluzione della polvere da sparo, tecniche che modificarono la prassi ossidionale a partire dal XIV secolo; le trasformazioni dei castelli in Italia centrale e nel Mezzogiorno nella seconda metà del XV secolo per l’adeguamento alle nuove tecniche di assedio (fase dell’architettura militare di Transito); la fortificazione cd. “alla moderna” caratterizzata dall’introduzione della traccia all’italiana (fronte bastionato) che caratterizzerà l’evoluzione dell’architettura militare per circa tre secoli, con gli esempi paradigmatici delle fortezze veneziane dello “Stato di Terra”; i grandi forti di sbarramento in Piemonte e Valle d’Aosta tra XVII e XVIII secolo (Exilles, Bard, Demonte, La Brunetta, Fenestrelle); la scuola militare prussiana e il caso dei forti di Verona e del Quadrilatero; le opere difensive in calcestruzzo armato e la protezione delle coste nel XX secolo, con particolare riferimento alla Sardegna e, infine, l’iconografia dei castelli nelle rappresentazioni artistiche in Trentino Alto Adige”.

Un ciclo di seminari dedicato non solo agli appassionati, ma, soprattutto, agli operatori dei beni culturali, studenti, architetti e ingegneri.

La partecipazione al ciclo di studi consente, agli studenti, di richiedere al proprio corso di laurea il riconoscimento di crediti per le attività a scelta/libere.

A fine corso agli iscritti sarà rilasciato attestato di frequenza.

Per iscrizioni e informazioni:: corsocastellologia@istitutoitalianocastelli.it tel. 392 7204031

Antonio Desideri

Il 12 settembre sms di sperimentazione in Campania per il sistema IT-Alert

Il 12 settembre sarà un giorno di svolta per la regione Campania, poiché la Protezione Civile inoltrerà a tutti i residenti in regione un SMS di allerta per terremoti o altre calamità.

Il Dipartimento di Protezione Civile continua così la sperimentazione del test IT-Alert, avvenuto anche in altre regioni della penisola, prendendo spunto dal modello statunitense, cercando di garantire più sicurezza ai cittadini, ma c’è da sottolineare come questo sia solo un esperimento e che quindi non c’è da preoccuparsi, in quanto la completa attivazione è prevista per il 2024.

Ci troviamo dinanzi ad un efficace e tecnologico programma di sicurezza, che attraverso gli SMS può arrivare anche alle fasce d’età più giovani, non sempre attente a comunicazione su giornali o in televisione, ma che con questo metodo si spera siano più attente.

Rocco Angri

Chiara Ricci: Anna Magnani. Racconto d’attrice

Anna Magnani è difficilmente etichettabile o incasellabile.

In quali luoghi della sua anima vanno ricercate le ragioni di un’identità tanto complessa e multiforme?

Anna Magnani è stata molto spesso accusata di avere un brutto carattere. È anche vero, però, che chiunque tenti di farsi rispettare e di far valere le proprie ragioni ottiene questo “risultato”. Anna Magnani ha avuto un’infanzia difficile, è stata lontana da sua mamma e solo da adulta ha scoperto il nome di suo padre (Pietro Del Duce, e a lei non piaceva essere chiamata “la figlia Del Duce” e così, pare, fermò le sue ricerche). È cresciuta con la nonna, le sue zie e lo zio Romano. Sin da piccola ha vissuto l’abbandono e la paura di poter essere lasciata da un momento all’altro ha segnato profondamente il suo carattere e il suo rapporto con gli uomini. Ha sempre cercato di avere il controllo della situazione uscendone molto spesso sconfitta. Ha sempre cercato di poter essere amata. Aveva una vorace fame d’affetto. È stata una donna che ha dovuto lottare per far valere il suo talento, per imporre il suo aspetto fisico, la sua bellezza non canonica. Anna Magnani è stata imprenditrice di se stessa, capofamiglia, donna e uomo di casa occupandosi anche di suo figlio Luca che, ancora bambino, si ammala di poliomielite. Non ha avuto produttori né registi potenti alle spalle pronti, in qualche modo, a tutelarla o difenderla. La vita le ha insegnato forzatamente a cavarsela da sola, ad essere diffidente, a colpire per prima perché, fedele a un proverbio, “chi mena prima mena due volte”. Anna Magnani ha nascosto tutte le sue fragilità dietro la corazza di una donna dal carattere forte, indomabile, impossibile, scostante. In parte è vero, perché sapeva essere anche tutto questo. Per difendersi. Per mettersi di traverso alla mancata professionalità o al solo sentore di ipocrisia. E ancora, per “vendicarsi” e “riscattarsi”, se così si può dire, di quei terribili abbandoni di una bambina con la testa colma di domande senza risposta.

Lei non ricostruisce semplicemente la biografia di Nannarella, pur interessantissima bensì ne traccia la valenza simbolica, estetica e politica.

Quali sono le ragioni che l’hanno indotta a concentrarsi proprio su questo nome?

Io ho “incontrato” per la prima volta Anna Magnani quando avevo circa sei anni. In realtà, ho conosciuto prima il suo nome e poi il suo volto che ho scoperto tempo dopo, quando ho visto per la prima Roma città aperta. Da allora non l’ho più dimenticata. Da ragazzina, dopo aver letto la bellissima biografia di Patrizia Carrano, ho iniziato a scrivere lettere e a telefonare a casa di persone che avevano lavorato con lei, che la conoscevano. Con alcune di queste persone sono nate delle bellissime amicizie: ad esempio, con la stessa Patrizia Carrano, Marcello Gatti, Rinaldo Ricci ovvero lo storico aiuto regista di Luchino Visconti. Il mio unico desiderio era fare qualcosa per “la” Magnani, dedicarle qualcosa di mio. I miei studi e poi la mia tesi di Laurea, tanti progetti, una prima pubblicazione. Ma non era ancora abbastanza. Ho creato un mio archivio personale (che curo da quando avevo tredici anni) contenente fotografie, locandine, riviste.. Ho allestito mostre e poi questo nuovo libro. Un omaggio e un dono a una donna e a un’artista che ammiro, che non si è mai arresa e non si è mai lasciata condizionare. In un certo senso, sono cresciuta con lei e le ho dedicato gran parte della mia vita. Ho voluto raccontare il suo “essere donna” e il suo “essere attrice” con rispetto, onestà e tanta passione. Ho desiderato “incontrare” e “conoscere” questa donna più da vicino, ho scelto di partire dal suo indissolubile amore per il teatro, di avvicinarmi alla sua vita privata, alle sue tante vicissitudini ma restando sempre in punta di piedi.

Dopo le riprese del film “Mamma Roma”, Pasolini commentò così la loro collaborazione: “Anna è romantica, vede la figura nel paesaggio, è come Pierre-Auguste Renoir, io invece sono sulla strada del Masaccio.”

Può interpretare questa sottile asserzione pasoliniana?

La pittura è una costante nel cinema di Pier Paolo Pasolini. La pittura del Masaccio è costruita sui chiaroscuri, sulla staticità, sulla precisa razionalità prospettica, sull’organizzazione geometrica dello spazio. Renoir, invece, è un’esplosione di colori intensi, luminosi, vivi, ma anche di movimento, le sue opere hanno un assetto geometrico che avvolge lo spettatore trascinandolo all’interno della tela. Ecco: questi due piani rappresentano i caratteri e le essenze profonde di Pier Paolo Pasolini e Anna Magnani. Ragione e istinto. Razionalità e impulsività. Proprio da questi opposti sono nate delle incomprensioni durante la lavorazione di Mamma Roma tali da portare Anna Magnani a dichiarare di sentirsi tradita dal suo regista, pur ammirandolo infinitamente. Nonostante questo la meraviglia e la potenza di questo film sono ancora tutte lì, intatte.

Il legame fra Anna Magnani ed il teatro: la “migliore scuola” che le fece “spuntare le ali”

Reputa che l’esperienza teatrale sia stata più intensa e viscerale rispetto alle indimenticabili prove cinematografiche?

Credo che Anna Magnani, come più volte ha dichiarato lei stessa, abbia avuto un amore profondo e assoluto per il teatro. Purtroppo, per sue scelte professionali e personali, lo ha “frequentato” poco preferendogli il cinema. Eppure sono convinta che i primi spettacoli, la rivista durante la Seconda guerra mondiale e poi le lunghe tournée de La lupa e Medea tra il 1965 e il 1966 abbiano lasciato dei segni indelebili nell’attrice. Sì, penso che il contatto diretto con il pubblico, lo studio della voce, la misura del gesto e dei movimenti sul palcoscenico, i riti prima di andare in scena e quelli del “dopo teatro” abbiano regalato ad Anna Magnani delle emozioni intense, uniche e immediate che il cinema, nonostante la sua “riproducibilità”  e la capacità di arrivare a tanta gente nello stesso momento, non è riuscito a darle.

Anna Magnani, forse, era un’intellettuale mancata, non già un’attrice popolaresca bensì un’attrice che tendeva ad essere enormemente funzionale ed intellettuale.

Qual è il suo lascito alle donne del nostro tempo?

Se posso, desidero sottolineare questo: Anna Magnani nonostante i suoi tanti personaggi di popolane, canzonettiste, fruttivendole e il suo carattere, il linguaggio spesso “colorito” era una donna molto colta. Parlava correttamente il francese, aveva acquisito un buon inglese, suonava il pianoforte, era amante della letteratura e dell’arte, sapeva a memoria le ballate del Seicento francese. Per lei hanno scritto Tennessee Williams, Eduardo De Filippo, Pier Paolo Pasolini. È stata ritratta di Renzo Vespignani, Tabet, Anna Salvatore, Carlo Levi… Poteva essere la più snob e la più spontanea delle donne, pronta ad abbandonarsi a quella che lei chiamava la “ruzza”, ovvero il buonumore, la voglia di ridere e di lasciarsi andare all’allegria più sfrenata. Proprio per questo alle donne del nostro tempo ha lasciato in eredità la capacità di essere ciò che si desidera senza mai tradirsi. Ha lasciato la determinazione di poter essere ciò che si vuole senza dover scendere a compromessi. Ha lasciato in eredità la possibilità di poter e dover rompere gli schemi, di non arrendersi all’ipocrisia e a qualsiasi sua manifestazione. E ancora, ci ha lasciato una grande umanità e un immenso talento magistralmente raccontati dalla vasta galleria di donne che ha portato sul grande schermo e in teatro.

 

Chiara Ricci

Nasce a Roma nel 1984. Nel 2008 si laurea in Dams (Discipline delle Arti, Musica e Spettacolo) con una tesi dal titolo Il Teatro davanti alla Macchina da presa – Elementi di teatro nel cinema di Anna Magnani. Nel 2010 consegue la Laurea Magistrale con lode in “Cinema, Televisione and Produzione Multimediale” con una tesi dedicata alla prima regista donna del cinema italiano Elvira Notari la cui riduzione è stata pubblicata negli Stati Uniti. Ha curato e scritto i saggi monografici: Anna Magnani. Vissi d’Arte Vissi d’Amore, Edizioni Sabinae 2009 (con il quale vince il Premio Internazionale Giuseppe Sciacca nella sezione “Saggistica”), Signore & Signori… Alberto Lionello (Ag Book Publishing, 2014), Valeria Moriconi. Femmina e donna del Teatro italiano (Ag Book Publishing, 2015), Il cinema in penombra di Elvira Notari (Lfa Publishing, 2016), Lilla Brignone. Una vita a teatro (Edizioni Sabinae, 2018), Ugo Tognazzi. Ridere è una cosa seria e Monica Vitti (Edizioni Sabinae, 2022). Nel novembre 2022, inoltre, viene pubblicato il saggio d’inchiesta Wilma Montesi. Una storia sbagliata (Golem Edizioni) dedicato alla ricostruzione della tragica e misteriosa morte della giovane ragazza romana trovata senza vita sulla spiaggia di Torvaianica l’11 aprile 1953. Nell’aprile 2017 l’Università degli Studi Roma Tre le conferisce la nomina di “Cultore della materia di Storia del Cinema e di Filmologia”. È Presidente dell’Associazione Culturale “Piazza Navona”, creatrice e ideatrice della Rubrica online “Piazza Navona” (www.riccichiara.com) e del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri”. È curatrice di mostre dedicate al cinema con materiale proveniente dal proprio archivio personale e tiene lezioni e conferenze in Italia e all’estero dedicate alla Storia del Cinema e del Teatro.

 

Giuseppina Capone

 

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