Lo shiatsu, disciplina evolutiva

Definire lo shiatsu come una tecnica di “Massaggio orientale”, per dare alla parola un sapore esotico che attrae, in quanto suscita una curiosità dal fascino misterioso un po’ come tutto ciò che alla nostra cultura occidentale proviene dal lontano ed enigmatico oriente, significa togliere a quest’arte le radici che l’alimentano, i rami che dalla luce del sole si nutrono, i fiori che donano all’albero il frutto dell’energia che l’incessante scambio che avviene tra la terra ed il cielo.

Lo shiatsu è una disciplina evolutiva.

Lo shiatsu valorizza le risorse vitali delle persone coinvolte nella pratica, permettendone la migliore espressione secondo le potenzialità, i tempi, le modalità peculiari di ciascuno. La sua azione è rivolta a tutti, qualunque sia l’età, la condizione e lo stato di salute; esso stimola il naturale processo di “autoguarigione” ripristinando l’armonico fluire dell’energia lungo i meridiani (canali energetici) dell’organismo e favorendo in tal modo un miglioramento delle capacità psico-fisiche.

Lo shiatsu non è, quindi, soltanto massaggio per rilassare il corpo, rimuovere tensioni, sciogliere blocchi, ma diventa un processo unificante che coinvolge tutta la vita. E’ benessere fisico, è alimentazione, è filosofia, è meditazione, è spiritualità, è armonia, è un modo di vivere.

Lo shiatsu diventa veicolo per una profonda trasformazione personale.

Il nome shiatsu, che in giapponese, da cui origina, significa letteralmente  pressione con le dita (shi = dita; atsu=pressione), nasce più o meno all’inizio del secolo scorso, anche se le sue origini  vanno molto indietro nel tempo. Si tratta di una sintesi tra la teoria medica classica orientale, che risale alle origini dell’agopuntura, oltre 4000 anni fa, e la medicina popolare. La sua pratica si svolge mediante pressione effettuate dalle dita, dalle mani, dai gomiti e dalle ginocchia su particolari percorsi chiamati meridiani  sui quali si trovano 361  punti chiamarti tsubo che significa punti di trasporto in quanto sono deputati al passaggio interno esterno dell’energia.

Alessandra Federico

I cinque pilastri della salute, i diritti civili e i diritti dei più fragili

Durante la lezione sui diritti civili e i diritti dei più fragili dell’antropologa Margaret Mead, uno studente venne colto da una forte curiosità riguardo quale fosse stato il primo segno di civiltà in una cultura. La domanda venne accolta con grande piacere dalla Mead la quale volle dare una risposta esaustiva ai fini di trasmettere un messaggio forte e chiaro ai suoi studenti; ciò che conta ed è sempre contato, a quanto pare, è la premura che abbiamo verso il prossimo. Difatti, il primo segno di civiltà in una cultura è stato un femore rotto e poi guarito. Un femore guarito è la prova che qualcuno si è preso cura del ferito, che ne ha bendato le ferite, che lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a sentirsi meglio. “Aiutare qualcun altro che si trova in difficoltà è il punto da cui una civiltà inizia” – concluse l’antropologa.

Lo studente fu sorpreso ma allo stesso tempo compiaciuto dalla risposta, in quanto credeva che la Mead gli avrebbe raccontato di armi, pentole e terracotta, di macine di pietra. Ma la risposta fu ben più complessa. Infatti, quel giorno, gli studenti hanno imparato non solo qual è stato il primo segno di civiltà in una cultura, ovvero la prima volta che l’uomo ha provato il sentimento dell’empatia e l’ha riconosciuto (aiutando il prossimo) ma hanno compreso e imparato a provare empatia verso chi ha bisogno di aiuto e, quindi, ogni alunno ha appreso il concetto di fragilità. Questo concetto si traduce in “facile rottura”: la persona fragile e insicura, di conseguenza, ha scarsa autostima, si scoraggia e si deprime facilmente. Ed è colei che ha proprio più bisogno di aiuto.

Ma quali dimensioni includono il concetto di fragilità? Nella dimensione spazio-tempo la fragilità assume connotati che includono i regni di ogni natura; dall’aspetto fisico e psicologico,  a quello socio economico e territoriale. Comprendere che ogni essere vivente possa essere fragile, fa sì che ogni individuo si riconosca parte della comunità, e si assuma la responsabilità sociale di non lasciare mai nessuno solo nelle difficoltà e nella disperazione. Se lo stato trasmettesse sicurezza e certezza ai cittadini, ( a partire dall’organizzazione dei servizi pubblici, a fornire lavoro, e tanto altro) quest’ultimi sarebbero di certo persone appagate e avrebbero quella serenità mentale fondamentale per condurre uno stile di vita sano e di conseguenza per vivere in empatia con il prossimo e riuscirebbero, così, a prendersi cura l’uno dell’altro.

Alessandra Federico

Oggi la tavola rotonda “I limiti della solitudine per la società dell’inclusione”

Si terrà oggi 14 giugno, alle ore 16.00, presso la sede della Federfarma Napoli in via Toledo n. 156, la tavola rotonda “I limiti della solitudine per la società dell’inclusione”.

Un momento di importante riflessione a 360° sul tema dell’inclusione e dei diritti “negati” in particolare alle persone diversamente abili e alle loro famiglie. Un incontro che vede la presenza di religiosi, rappresentanti del mondo dell’Università, del diritto, della medicina e della cura, dell’associazionismo, tutti insieme per analizzare l’attuale situazione che risente ancora, in maniera forte, dell’appena trascorso periodo di pandemia e fare proposte.

In Federfarma Napoli in una tavola rotonda si discutono “I limiti della solitudine per la società dell’inclusione”

Si terrà mercoledì 14 giugno, alle ore 16.00, presso la sede della Federfarma Napoli in via Toledo n. 156, la tavola rotonda “I limiti della solitudine per la società dell’inclusione”.

Un momento di importante riflessione a 360° sul tema dell’inclusione e dei diritti “negati” in particolare alle persone diversamente abili e alle loro famiglie. Un incontro che vede la presenza di religiosi, rappresentanti del mondo dell’Università, del diritto, della medicina e della cura, dell’associazionismo, tutti insieme per analizzare l’attuale situazione che risente ancora, in maniera forte, dell’appena trascorso periodo di pandemia e fare proposte.

Un periodo post pandemico quello che stiamo vivendo a cui, alle insicurezze e alle difficoltà generate in tanti campi della società e dell’economia dalla situazione pandemica si sono aggiunti, come ulteriori elementi di insicurezza e precarietà, la situazione internazionale e la crisi energetica.

Le persone si trovano a vivere in una società sicuramente più debole, più timorosa, più complessa e sostanzialmente anche più povera. Se pensiamo alle persone diversamente abili e alle loro famiglie ci rendiamo subito conto di quanto ciò possa ulteriormente incidere su una situazione già di per sé complessa. Spesso, infatti, le famiglie e le persone diversamente abili, sono lasciate sole, nella nostra società, a districarsi nei meandri di leggi e norme, spesso senza conoscere i propri diritti o come poterli rendere effettivamente fruibili.

Incontri come quello presso Federfarma Napoli sono utili per diffondere la cultura della conoscenza dei diritti e per fornire gli strumenti essenziali per poterli agire per poter vivere in una società realmente inclusiva.

Interverranno: (indirizzi di saluto) Don Luigi Castiello, Cappellano Capo dell’Ospedale del Mare; dr. Gaetano Marotta, presidente Oltre il muro Autismo onlus di Napoli; dr. Riccardo Iorio, presidente Federfarma Napoli; (relatori) prof. Alessandro Pepino, delegato del Rettore per la disabilità e DSA dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”; prof. Claudio Roberti, dirigente ANS, Associazione Nazionale Sociologi e Comitato Esigibilità CRDP; avv. Giuseppe Cataldo; avv. Angelo Pisani; avv. Lucia Marino, segretario generale Comitato Disabilità Unite; avv. Claudia Rossetti Quadri.

A chiudere i lavori moderati dalla giornalista dott. Bianca Desideri,  il dott. Raffaele Federico, presidente nazionale del Comitato Italiano per la Tutela della Salute CITS. La segreteria organizzativa è a cura della dr.ssa Alessia Scarano. Comitato scientifico: avv. Fabrizio Torre e prof.ssa Ermelinda Di Lieto.

A tutti i partecipanti verrà dato l’attestato di partecipazione.

I limiti della solitudine per la società dell’inclusione

Si terrà mercoledì 14 giugno, alle ore 16.00, presso la sede della Federfarma Napoli in via Toledo n. 156, la tavola rotonda “I limiti della solitudine per la società dell’inclusione”.

Un momento di importante riflessione a 360° sul tema dell’inclusione e dei diritti “negati” in particolare alle persone diversamente abili e alle loro famiglie. Un incontro che vede la presenza di religiosi, rappresentanti del mondo dell’Università, del diritto, della medicina e della cura, dell’associazionismo, tutti insieme per analizzare l’attuale situazione che risente ancora, in maniera forte, dell’appena trascorso periodo di pandemia e fare proposte.

Positività nella tua vita: circondati di persone che fanno bene al cuore

 “Ero diventato chi non sono mai stato, mi ero incattivito e i miei pensieri erano solo negativi, ma non me ne rendevo conto, stavo davvero toccando il fondo. D’un tratto ho intuito quale fosse la causa di tutto ciò: ero avvolto da negatività. Ho allora capito quanto fosse importante circondarsi di persone positive per essere sereni perché le relazioni tossiche ti tolgono energie mentali e condizionano il tuo modo di essere”.

La mancanza d’amore verso sé stessi, a volte, ci fa credere di aver bisogno d’affetto indipendentemente da chi lo riceviamo. Di conseguenza affidiamo la nostra vita a qualcun altro, ignari del fatto che ci stiamo accontentando di un affetto qualunque e che potremmo incontrare colui che approfitta della nostra debolezza per annientarci e manovrarci.

Circondarsi di persone che fanno bene al cuore stimola la mente e arricchisce la vita. Spesso si sottovaluta l’importanza di sentirsi a proprio agio con chi si frequenta nel quotidiano e non ci si rende conto di quanto il nostro modo di essere sia spesso condizionato da chi ci circonda: amici, familiari, fidanzati, colleghi di lavoro. È fondamentale, quindi, fare una severa selezione laddove si ha la possibilità di farlo perché è importante costruire relazioni sane per condurre una vita serena. Le persone belle le riconosci perché sono quelle dall’animo sereno, quelle che, anche se hanno avuto il peggio dalla vita, non fanno ripercuotere sugli altri la loro sofferenza, quelle dall’indole sensibile e profonda, quelle che non fanno del male solo perché ricevuto. Le stesse persone che tirano fuori la parte bella di te, che ti fanno sentire a tuo agio, che emanano energia positiva, quelle con la quale una semplice conversazione diventa interessante perché il tuo cervello è stimolato a elaborare pensieri positivi poiché sono persone che lasciano libera la tua mente senza condizionarla, senza giudizio alcuno. Rispettano il tuo pensiero, rispettano il prossimo. Quelle tossiche, invece, sono pericolose e dannose per il cervello, perché non permettono di realizzare i propri obiettivi dal momento che il loro modo di essere negativo toglie energia mentale, distrugge e manipola chi ha intorno al fine del loro scopo: avere persone accanto incapaci quanto loro di non realizzarsi, essere fermi con loro nella stessa casella di gioco, in modo da non sentirsi gli unici ad aver fallito. Allontanati, dunque, da chi fa di tutto per tirare fuori la parte più brutta di te, quelle insoddisfatte della propria vita, perché rischi di farti buttare addosso tutte le loro frustrazioni, tutti i loro insuccessi. Perché in qualche modo ti fanno diventare chi non sei, ti fanno diventare come loro solo per sentirsi un po’ meglio. Frequentarsi e confrontarsi con persone positive può solo migliorare la nostra vita.

 

“Una relazione d’amicizia o d’amore deve arricchirti l’anima, non deve cercare di svuotartela, non deve cercare di spegnerti. E invece mi stava accadendo. Mi sono dunque chiesto se con le persone che fanno parte della mia vita il mio cervello elaborasse pensieri costruttivi e positivi e ho capito che il mio cervello non elaborava più e basta, perché non mi sentivo a mio agio, perché chi avevo accanto, in qualche modo e per giunta subdolo, cercava di sminuire ogni mia parola tanto da farmi sentire sbagliato e non farmi più ragionare con la mia testa. Colui che si definiva il mio migliore amico mi stava lentamente distruggendo”.

 

Nicola, trentacinque anni, napoletano, racconta la sua esperienza con Marco e come è stata la sua rinascita interiore una volta allontanatosi da lui.

 Nicola, in che modo hai conosciuto Marco ?

Ho sempre sorriso alla vita, sono sempre stato una persona gioiosa e altruista e forse proprio per questo motivo per alcune persone sono un punto di riferimento. Ma è anche vero che chi non sa essere come te cerca in tutti i modi di annientarti. Era una di quelle meravigliose giornate di primavera di ormai quindici anni fa, una di quelle in cui inizi ad uscire di casa senza cappotto, una di quelle giornate dal profumo intenso di fiori e dai bei sorrisi per strada. Decisi di trascorrere la mattinata in villa comunale di Napoli, quella di fronte al mare in via Caracciolo. Da solo ma in compagnia dei miei libri da studiare. Marco aveva avuto la mia stessa idea. “Hai visto che bella giornata?” mi chiese. Da quelle parole a diventare un “fratello” non passò molto tempo. Una bella amicizia intensa apparentemente sincera. Ma dopo diversi mesi stava diventando una relazione morbosa. Era invadente, me lo ritrovavo sempre a casa, cominciava a controllare con chi parlassi al telefono e senza accorgermene iniziavo a dargli spiegazioni per ogni cosa che facevo, anche per andare a mangiare una pizza con altri amici, quasi come se fossimo fidanzati e il dubbio che potesse essere innamorato di me iniziava a insinuarsi nella mia testa ma sarebbe stata una spiegazione troppo scontata. Era invidioso di ogni mio successo, anche per un 30 preso ad un esame all’università. Io sono laureato in Archeologia, lui è diplomato e lavora come commesso in un negozio di abbigliamento femminile e questo lo faceva sentire inferiore, ma non per me, per me era solo il mio migliore amico. Io guardo l’animo delle persone, non la posizione economica ne culturale. Mi sono laureato per passione, non per sentirmi migliore. Stavo iniziando a rendermi conto di quanto fossi stanco dopo aver trascorso una serata con lui perché tornavo a casa esausto mentalmente più di quanto potessi stremare la mia testa dopo una settimana di studio intenso. Mi stava togliendo energia vitale. Non ero più felice. Mi lasciava un senso di spossatezza.

C’è stata una vicenda in particolare che ti ha fatto capire che il problema della tua infelicità era lui?

Quando ero felice e allegro lui mi guardava male, quando ero triste lui era sereno. Mi spiego: queste persone godono dell’infelicità altrui, perché non sanno essere felici, non riescono ad esserlo e non ci provano nemmeno. Una persona solare e allegra urta la loro sensibilità, li destabilizza. Le persone come lui sono in grado di trattarti male anche senza un motivo, quasi a farti sentire in colpa di essere felice. Non ce ne rendiamo conto ma siamo fortemente condizionati e manipolati da queste persone. Sono persone che rompono l’armonia, capaci di distruggere un’atmosfera gioiosa. Ricordo perfettamente quella vicenda: era un sabato sera come un altro e alla radio passavano la mia canzone preferita “E fu la notte” di Fabrizio De Andrè la canzone che mi ha accompagnato per tutti e 5 anni di studi all’università e questo i miei amici lo sapevano. Nella mia macchina c’era un silenzio imbarazzante, stavamo andando a festeggiare il mio ultimo 30 e lode prima della laurea. A quel punto non mi aspettavo festoni e champagne ma nemmeno musi lunghi come se stessimo andando ad un funerale. La verità è che era lui che trasmetteva angoscia. Volevo accanto le persone per me importanti e invece Marco non aveva che parole di sfottò nei miei confronti e quella sera ebbi la certezza che tutto ciò che diceva era pura cattiveria. Non ero più me stesso, vivevo un senso di irrequietezza interiore. “Tra poco sarai laureato, non sei felice?Io non avrei mai scelto questa università, mi fa schifo” disse, mentre con una mano si grattava il collo fino a far uscire delle enormi macchie rosse, come se qualcosa gli stesse tremendamente dando fastidio, come se avesse un’improvvisa allergia. Non era mai stato così chiaro. Aveva, al contrario, sempre cercato di farlo in modo insospettabile, subdolo. D’altro canto il giorno della mia laurea si stava avvicinando infatti dopo pochi mesi mi sono laureto. Ma per fortuna avevo già rotto i rapporti con lui”.

Quando ha iniziato a dire parole offensive e sminuirti?

L’ha sempre fatto ma io non gli ho mai dato peso perché credevo fosse il suo modo di scherzare anche se un po’ cinico ma allo stesso tempo sembrava innocente, ma mi sbagliavo. Fin quando i miei familiari mi hanno fanno notare quanto fossi cambiato, quanto mi fossi incupito. Grazie al mio analista ho capito che il problema era Marco e che soffriva di un complesso di inferiorità, il che non è una cosa da sottovalutare ma purtroppo non potevo aiutarlo io. Decisi allora di allontanarmi. Marco cercava sempre di sminuire me in presenza di altri amici credendo che in qualche modo avrebbe potuto rendere la sua persona più interessante o che in quel caso saremmo potuti essere allo stesso livello. Io credo che ciò che più conta nella vita è essere umili, sensibili e profondi e soprattutto avere empatia per poter rispettare il prossimo. Sì, perché per avere un rapporto sano con chi ci circonda c’è bisogno soprattutto di una forte empatia. Le raccomandazioni di mia nonna le ricordo perfettamente: “sii sempre te stesso, sii buono con il prossimo e accetta tutti, ma non permettere a nessuno di spegnere il tuo sorriso”. Sono sempre stato d’accordo. Ma sono anche del parere che non si può essere buoni con tutti e per essere felici è fondamentale allontanare le persone che cercano di annientarti. Quelle non puoi cambiarle, non puoi accettarle. Quelle persone non vogliono il tuo bene e non devono far parte della tua vita.

Cosa dovrebbero fare secondo te queste persone per non avere più questo comportamento?

L’unica soluzione è quella di prendere esempio da chi si prova invidia e cercare quindi di migliorarsi, ma ad esempio Marco è una persona troppo orgogliosa per poter ammettere le sue debolezze. Io credo che l’eccessivo l’orgoglio si tramuta in stupidità, in ottusità nel momento in cui non si riesce ad ammettere i propri limiti e capire che di imparare nella vita non si finisce mai, soprattutto dal prossimo. Scambiarsi idee e opinioni e rispettare quella degli altri, aprire la mente a pensieri diversi dai propri, può insegnarci a guardare lontano, oltre il proprio naso, e può solo diventare una sana competizione necessaria per la crescita personale perché c’è differenza tra invidia e sana competizione: “mi piace come sei, voglio imparare da te” così dovrebbe essere quest’ultima, mentre l’invidia non ti fa crescere. È difficile ammettere di aver bisogno di aiuto ed è altrettanto difficile ammettere di avere dei limiti che non si riescono a scavalcare. Se non riusciamo da soli chiediamo aiuto, andare in terapia da uno psicanalista potrebbe tirarci fuori da questo tunnel. Smettiamola di pensare che ammettere di aver bisogno di aiuto è sintomo di debolezza perché è proprio da li che inizia la nostra crescita personale e diamo una svolta alla vita. Se sei infelice rendi migliore la tua vita, non cercare di rovinare quella degli altri. Ammettere che da soli non possiamo uscire da una situazione e riconoscere di aver bisogno d’aiuto è già un passo avanti.

Che consiglio ti senti di dare a chi come te ha avuto a che fare con questo tipo di persone?

Fare attenzione a chi si frequenta. Non bisogna fare selezione solo nella sfera amorosa ma soprattutto in quella dell’amicizia perché è la più pericolosa, paradossalmente. Le persone subdole, quelle false, quelle che “navigano sott’acqua” sono le più pericolose perché prima di rendertene conto hanno già ottenuto ciò che vogliono da te. Per uscire da questa situazione mi hanno aiutato i miei familiari e il mio analista, mettendomi in guardia da questo tipo di persone facendomi capire quali sono i segnali da percepire: queste persone sono apparentemente “normali” anzi, sembra che vogliano il meglio per te perché ti riempiono di belle parole, ma la verità è che ti stanno solo buttando fumo negli occhi per non farti accorgere che ti stanno manipolando. Ed è proprio qui che diventa difficile prendere coscienza del fatto che stai pian piano facendo il loro gioco. A volte siamo quello che gli altri vorrebbero che fossimo e non ce ne rendiamo conto ma non deve essere così. Se con certe persone non riusciamo più ad esprimerci per come siamo realmente, se non ci fanno sentire a nostro agio meglio dare un taglio netto alla relazione. D’ altronde non è così difficile riconoscerle: si offendono per ogni cosa, hanno manie di vittimismo cercando di farti sentire in colpa se hai qualcosa che loro non hanno o se non ottengono ciò che vogliono, ti offendono buttandola sullo scherzo, ti chiedono scusa per ogni cosa come quasi a mortificarsi anche nelle cose più banali, dove non ce n’è motivo. E alla fine, se sei una persona buona, finisci anche per impietosirti e pensare che tu stia sbagliando. Una profonda conoscenza di se stessi e una forte autostima può aiutare a riconoscere una persona trasparente da una meschina. Ad oggi penso che forse non mi amavo abbastanza. Credo che la cosa che conti più al mondo sia l’amore verso sé stessi per circondarsi di persone positive, perché infondo attiriamo ciò che decidiamo di essere.

Com’è diventata la tua vita da quando hai allontanato certe persone?

Decisamente una rinascita. Ho voluto a tutti i costi capire chi io fossi realmente senza queste persone e se il mio stato d’animo angosciato fosse davvero dipeso da loro. Ho quindi trascorso un periodo da solo con me stesso per disintossicarmi da tutta quella negatività assimilata durante quegli anni, e ho poi iniziato a circondarmi di persone positive e le cose nella mia vita sono cambiate. Io sono cambiato. Per capire la nostra vera essenza c’è bisogno anche di un periodo di solitudine, per guardarsi dentro e capire davvero come vorremmo essere e per far si che possiamo sentirci bene nella nostra pelle, in modo tale da capire anche chi vogliamo accanto nella nostra vita. È importante. Non accontentiamoci, non facciamoci andare bene le situazioni ne le persone. Io ora scelgo sempre e solo il meglio per me. Ad oggi sono fiero di come sono, perché ho imparato a mie spese quanto possa essere meschina la gente, dove è in grado di arrivare per un loro tornaconto. Sono anche felice del fatto che sono finalmente stanco di giustificare i comportamenti scorretti delle persone che hanno un vissuto difficile alle spalle, e l’ho capito solo quando ho conosciuto due persone che hanno avuto le stesse esperienze ma che hanno poi assunto comportamenti differenti. Questa per me è una delle cose fondamentali della vita per capire se sei una persona buona nell’indole o meno. Sono felice perché ho la coscienza pulita, ho il cuore in pace perché so che nella mia vita ho fatto sempre del bene. Dovrebbe star male chi ha fatto del male, dovrebbero dannarsi coloro che fanno cattiverie perché prima o poi la coscienza ti parla e ti tormenta, sempre se ne hanno una. Questo ancora non l’ho capito.

Alessandra Federico

Una petizione contro la chiusura del PSP Elena d’Aosta

Il  presidio sanitario polifuzionale Elena d’Aosta non deve chiudere! Questo l’oggetto della petizione promossa dal Movimento per il diritto alla salute e rivolta al Presidente della Repubblica, al Presidente della Regione Campania, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Sanità, al Prefetto di Napoli, al Presidente della Regione Campania, all’Assessore alla Sanità della Regione Campania, al Sindaco di Napoli e ai presidenti delle 10 Municipalità della Città di Napoli.

“Una iniziativa di democrazia diretta” quella promossa dal Movimento che, nel testo della petizione, sottoscrivibile dal 31 gennaio 2017 evidenzia l’esigenza di una rivisitazione del piano sanitario della Regione Campania che prevederebbe la “chiusura di servizi, ospedali e pronto soccorso, senza peraltro provvedere a realizzare quei servizi intermedi che comunque sono previsti dalle  leggi nazionali e dallo stesso piano sanitari nazionale”. “Noi riteniamo –  si legge ancora nella petizione – che il piano regionale vada rivisto sotto l’ottica del diritto alla salute dei cittadini che, in uno stato democratico, sono i reali depositari del potere”.  Il PSP Elena d’Aosta è un presidio situato in un edifico storico donato con finalità d’uso e posto in una posizione geografica “felice per l’accesso dell’utenza, con due ingressi, giardino, posti auto per gli utenti e di facile accesso per i disabili motori” che evidenziano gli estensori della petizione “sta subendo  un progressivo disfacimento”. La richiesta del Movimento prevede  non solo la richiesta di non chiusura ma anche che “il Presidio  Sanitario Polifunzionale Elena d’Aosta, sia ulteriormente potenziato con altri  ambulatori e servizi,  a garanzia del Diritto alla  salute ed al benessere dei cittadini”.

Alessandra Desideri

Quale futuro per il PSP Elena d’Aosta

banner-1133772_640

Il CITS-cc  (Comitato Italiano per la Tutela della Salute – cittadinanza compartecipativa) ha promosso una tavola rotonda sul tema:“QUALE FUTURO PER   IL  PSP ELENA D’AOSTA, un presidio per la salute dei cittadini”.

L’iniziativa si terrà venerdì 1° luglio alle ore 17.00 presso la Chiesa di Santa Marta – Salita San Sebastiano 42 Napoli.

L’iniziativa, promossa in collaborazione con le associazioni del coordinamento per il diritto alla salute, segue quella tenutasi il 28 aprile 2016 presso la chiesa di San Severo al Pendino sull’Articolo 32 della Costituzione  seguita dal seminario su “i 5 pilastri della salute”.

Il “Coordinamento sul diritto alla salute”, considera il medesimo diritto come fondamentale e trainante  per l’affermazione e l’attuazione di tutti gli altri Diritti Sociali.

Il tema dell’incontro non è da considerarsi riduttivo rispetto la problematica generale, bensì  pone, la situazione in cui versa il Presidio Sanitario Polifunzionale Elena d’Aosta, come  esempio della situazione in cui versa l’intero sistema sanitario nazionale e regionale.

L’art. 32 e altri articoli della Costituzione sui Diritti Sociali, impone alle Istituzioni pubbliche di provvedere affinché siano date risposte efficaci alla domanda di salute e di benessere dei cittadini.  Invece sembra che attualmente il SSN si stia trasformando in un sistema prono alle richieste di tagli alle spese sociali imposte dalla UE e che vanno nella stessa direzione degli interessi delle multinazionali del farmaco e delle assicurazioni private.

Il piano sanitario della Regione Campania si è adeguato a questo dettato e sta procedendo alla chiusura di servizi, ospedali e pronto soccorso, senza provvedere a realizzare quei servizi intermedi che comunque sono previsti dalle leggi e dallo stesso piano sanitario nazionale.

Noi riteniamo che il piano regionale vada riformato in base del diritto alla salute dei cittadini che sono i reali depositari del potere in uno stato democratico,

Il PSP Elena d’Aosta è un esempio concreto ed evidente di come la Pubblica Amministrazione si sia dimostrata incapace di gestire ed organizzare in maniera efficiente il bene pubblico.

Un presidio allocato in un edifico storico donato dalla famiglia Savoia con la precisa destinazione d’uso di assistenza sanitaria ai bisognosi, posto in una posizione geografica felice per l’accesso dell’utenza, con due ingressi, giardino, posti auto per gli utenti e di facile accesso per i disabili motori, sta subendo, per volontà degli amministratori, un progressivo disfacimento.

Potrebbe divenire invece un vero polo strategico a garanzia della salute ed il benessere dei cittadini.

Introduce il lavori il dott. Angelo de Falco  Presidente onorario  “CITS cc”. Modera la dott. ssa  Bianca Desideri  giornalista Vice Presidente Associazione “Napoli è”. Gli interventi sono affidati a:

dott. Raffaele Federico Presidente nazionale “CITS cc”; dott. Raffaele Giannattasio; dott. Rosario Barra Responsabile nazionale Consiglio Scientifico “CITS cc”; dott. Alfredo Aperuta Presidente “Associazione in cammino per la vita”; dott. Paolo Bassano; dott. Vincenzo Andreoli; sig. Ferdinando Somma e sig. Salvatore Musella.

seers cmp badge