Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina

Con Alessandro Aresu parliamo di politica ed economia.

l capitalismo politico rappresenta la chiave di lettura principale da lei proposta per accedere al presente. Può definire siffatta categoria?

Il capitalismo politico è l’accoppiamento tra economia e politica all’interno delle potenze, attraverso diversi strumenti. Questi strumenti sono l’uso politico del commercio, della finanza e della tecnologia, la partecipazione statale nelle imprese e più in generale i rapporti tra apparati burocratici e aziende, le sanzioni, le barriere agli investimenti esteri.

Nel mio lavoro, sostengo che questo sistema governi il mondo, perché praticato da Stati Uniti e Cina, seppur in varietà diverse.

Lei descrive minuziosamente l’antagonismo tra diritto ed economia in atto fra Stati Uniti e Cina. Quali sono i termini filosofici di questo scontro?

Le due potenze vedono diversamente il mondo, si pensano diversamente rispetto al mondo, nelle alleanze, nell’influenza internazionale, nell’idea di conquista, nel rapporto tra l’individuo e la comunità. La comune adesione a un sistema capitalistico non cambia queste differenze molto profonde, che pertanto è importante studiare. Ed è sempre cruciale il ruolo dei “traduttori” tra le culture, anche durante i conflitti.

Pechino e Washington vivono un infiammato conflitto di geodiritto: quanto sanzioni, istituzioni internazionali, blocchi agli investimenti esteri influiscono su una guerra ormai tecnologica e giuridica?

Influiscono molto e l’influenza avviene a più livelli. Anzitutto perché le sanzioni degli Stati Uniti non riguardano solo loro stessi, per via della centralità globale di Washington, in particolare nel sistema finanziario. Come cerco di mostrare nel libro, per esempio, l’esclusione di alcune aziende cinesi da parte degli Stati Uniti in alcuni mercati – pensiamo oggi alla discussione sulle telecomunicazioni, un tema presente sulla scena da più tempo riguarda lo spazio, per esempio i satelliti – non coinvolge solo gli Stati Uniti, ma anche gli altri Paesi che hanno rapporti con quelle aziende. Diventa quindi una questione globale.

Nelle grandi operazioni di fusioni internazionali, possono intervenire inoltre le decisioni delle autorità competenti dei vari Paesi. Non solo e non tanto il merito delle loro decisioni, ma anche le loro tempistiche possono essere influenzate da considerazioni geopolitiche. Anche questo rientra nei casi del geodiritto.

L’economia politica al suo primo vagito è stata delineata nei suoi confini da un’affermazione di Adam Smith: “La difesa è molto più importante della ricchezza”. Anche oggi il mercato ha il suo unico limite nella sicurezza nazionale?

Il limite che la sicurezza nazionale impone al mercato è importante perché il concetto di sicurezza nazionale è centrale per la comprensione e per l’articolazione della sovranità. Leggere le trasformazioni della sicurezza nazionale, a mio avviso, è più utile di parlare semplicemente del ruolo dello Stato nell’economia. La sicurezza nazionale ha un forte rilievo per mettere in luce il rapporto tra sicurezza e tecnologia, che orienta e limita il mercato.

La sua ricerca segue tre filoni: la storia dello Stato moderno e dei suoi apparati burocratici; gli ordinamenti giuridici con cui i mercati interagiscono; la storia dello spazio in cui, in passato, è germogliato il capitalismo. Tali direttrici possono convergere?

Sì, è importante evidenziare i rapporti tra queste direttrici e tra questi aspetti, per esempio nella storia e nella continuità dei vari apparati burocratici e nella considerazione storica della progressiva marginalizzazione dello spazio europeo. Chiaramente la ricostruzione che propongo sugli Stati Uniti e la Cina potrebbe essere ampliata anche facendo riferimento ad altre realtà, come per esempio il Giappone, la Russia, la Turchia, e approfondendo meglio i rapporti tra i Paesi europei.

 

Alessandro Aresu è consigliere scientifico di Limes, direttore scientifico della Scuola di Politiche e consigliere del Ministro per il Sud e la Coesione Territoriale. Si è laureato in filosofia del diritto con Guido Rossi all’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, dove è stato anche allievo di Enzo Bianchi e Massimo Cacciari. È stato consulente e consigliere di diverse Istituzioni, tra cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, l’Agenzia Spaziale Italiana. Collabora, tra gli altri, con Treccani e L’Espresso. Tra le sue ultime pubblicazioni, L’interesse nazionale. La bussola dell’Italia (con Luca Gori, il Mulino, 2018).

 

Giuseppina Capone

Scomparso il fotografo cinese Lu Guang

È dallo scorso 3 novembre che si sono perse le tracce del pluripremiato fotografo cinese Lu Guang.

A denunciarne la scomparsa, dagli Stati Uniti, è stata la moglie Xu Xiaoli.

Lu Guang è stato tre volte vincitore del premio fotografico World Press, vive a New York ma si occupa soprattutto di temi ambientali e sociali in Cina. Era stato invitato nello Xinjiang per una conferenza lo scorso ottobre, lì sarebbe stato fermato dalla polizia della regione e, secondo le pochissime indiscrezioni trapelate, lì detenuto per motivi di sicurezza.

Questa parte dell’estremo occidente della Cina è diventata tristemente famosa per la repressione e i programmi di de-radicalizzazione a cui sono stati sottoposti migliaia di cittadini della minoranza musulmana degli uiguri e non solo; i campi di re indottrinamento in cui sarebbero chiuse queste persone sono argomento top secret del governo cinese che impedisce qualsiasi filtro di notizie dal loro interno. Tuttavia, la severità del sistema di polizia del Xinjiang è conosciuta da tutta la comunità internazionale e da tutte le Organizzazioni per la tutela dei diritti umani; nelle sue maglie sono spesso finiti dissidenti e reporter intenti a documentare i problemi del Paese e Lu Guang è certamente un personaggio scomodo.

Lu Guang ha preso per la prima volta una macchina fotografica in mano nel 1980, quando lavorava come operaio nella sua città natale, nella regione cinese di Yongkang. Dieci anni dopo, si è iscritto all’Accademia delle Belle Arti dell’università di Tsinghua a Pechino; da allora ha fotografato i problemi sociali, sanitari e ambientali causati dall’industrializzazione nel suo Paese.

Le sue opere degli ultimi 25 anni sono state incentrate su temi delicati come l’AIDS, l’inquinamento e la povertà. Il fotografo è sempre stato consapevole che la sua attività lavorativa e a scopo umanitario lo esponessero a rischi nel suo Paese e, durante un’intervista, aveva dichiarato che proprio nel momento dell’apice del suo successo sarebbe stato maggiormente in pericolo se avesse continuato la sua attività di reportage dei problemi della Cina.

I suoi lavori, dalla serie di fotografie Il mio obiettivo non mente alla campagna per la lotta all’AIDS, gli hanno conferito ampia fama sia in patria che all’estero, così come lo hanno portato ad affrontare diversi scontri con le forze dell’ordine e le autorità cinesi.

In particolare, il reportage di Lu Guang sull’AIDS gli aveva causato uno scontro diretto con l’ufficio governativo della provincia dello Henan, allora guidato dall’attuale governatore del Xinjiang.

Che ci sia il rischio per Guang di rimanere vittima del proprio Paese, come è stato per Khashoggi, potrebbe attualmente essere un’ipotesi probabile ed inquietante. In altri casi, la pressione internazionale è riuscita ad evitare che detenuti scomparissero nel silenzio, per questo Il fotografo e videomaker Hugh Brownstone ha lanciato una petizione su Change.org.

Rossella Marchese

La House of Sharing a Seoul, per non dimenticare

Si tratta di una casa di riposo a tutti gli effetti, ma le sue ospiti sono davvero particolari. Sono le superstiti della Seconda Guerra Mondiale, le comfort women che l’esercito nipponico utilizzò come schiave del sesso al fronte per soddisfare i propri soldati.

Una ospite della struttura, ad esempio, nacque da una famiglia di umili origini. Non poté studiare e appena adolescente venne messa a servizio presso una famiglia abbiente. Nel 1942, mentre camminava per strada, venne rapita da due uomini, un coreano e un giapponese, e portata a Yanji, nel nordest della Cina, dove venne impiegata in una comfort station e costretta a prostituirsi per l’esercito giapponese, allora di stanza in Manciuria. Lavorò nel bordello di Yanji per tre anni e, a causa delle ripetute iniezioni di medicine contro la sifilide, divenne sterile. Liberata dalle truppe americane, alla fine della guerra rimase in Cina, dove si sposò con un coreano conosciuto a Yanji, anch’egli costretto dai giapponesi a servire nell’esercito. Si stabilì con lui a Baodaozhen, nella provincia dello Jilin, ma allo scoppio della guerra di Corea il marito venne di nuovo arruolato e scomparve nel nulla. Si risposò di nuovo dopo dieci anni e nel 2000, alla morte del secondo marito, rientrò finalmente in Corea del Sud andando a vivere nella House of Sharing, tirata su nel 1992 attraverso una raccolta fondi di gruppi civici e diverse organizzazioni buddiste che accoglie le halmoni (nonne), come affettuosamente vengono oggi chiamate in Corea del Sud le comfort women.

Anche le altre donne della House of Sharing hanno alle spalle una storia di deportazione ed orrore, ma rappresentano la parte delle favorite dalla sorte che, scampate al conflitto mondiale sono riuscite, pur fortunosamente, a fare ritorno nella loro terra natia; molte altre, la maggior parte, finita la guerra e con essa la loro utilità, dovettero continuare a prostituirsi per poter sopravvivere, oppure si uccisero per la vergogna o, semplicemente sparirono, inghiottite dall’indifferenza generale.

Si parla di circa 300mila donne, taiwanesi, thailandesi, filippine, indonesiane, ma soprattutto coreane,   rapite e deportate con la forza in Cina, dove l’esercito nipponico aveva necessità di consolidare la propria posizione durante la guerra, e impiegate come schiave del sesso nei bordelli gestiti direttamente dal governo di Tokyo. Il governo giapponese, infatti, impegnato nella conquista della Cina, pensò all’epoca di creare una rete di bordelli militari allo scopo di arginare il problema degli stupri contro la popolazione civile dei territori occupati, che causava non solo una perdita di immagine, preziosa per un paese che aveva come scopo il controllo di tutta l’Asia orientale, ma anche un fastidioso aumento delle malattie veneree tra i soldati stessi. La quotidianità nelle comfort station era scandita dalle visite: soldati semplici al mattino, graduati al pomeriggio e ufficiali la sera.

Per le superstiti di questo orrore, dunque, è stata creata una apposita struttura, una rete che protegge queste donne e tiene alta la memoria, visto che nella House of Sharing c’è anche un museo, The Museum of Sexual Slavery by Japanese Military, che racconta la storia di queste donne. Inoltre è proprio dalla House of Sharing che si rinnova ogni mercoledì, dal gennaio del 1992, la protesta davanti all’ambasciata giapponese a Seoul per chiedere le scuse ufficiali dal governo nipponico, che ancora tergiversa riguardo al suo coinvolgimento nella vicenda delle comfort women.

Rossella Marchese

La democrazia nel XXI secolo

Il calo della democrazia degli stati nel mondo attuale  inducono a ricercare le ragioni, che sembrano essere sia economiche sia geo-politiche.

In questo ultimo decennio i diritti politici e le libertà civili garantiti dagli stati democratici sembrano essere sotto attacco e recentemente la situazione si molto acuita in tutte le regioni del mondo.

Non molto tempo addietro, dopo la seconda guerra mondiale e, soprattutto dopo la caduta dell’impero sovietico, i regimi democratici sembravano avere vinto la loro secolare battaglia.

Questo lo riporta uno studio che ogni anno Freedom House, un’organizzazione americana indipendente, pubblica attraverso un rapporto, “Freedom in the World”, che riporta le valutazioni sul grado di libertà di oltre 200 paesi. La metodologia adottata assegna ad ogni paese  un indicatore sintetico che può oscillare da 0 a 100. Questo a sua volta è composto da 25 indicatori, che oscillano tra 1 e 4 e misurano il grado di libertà in base a diversi parametri che traggono origine dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Secondo Freedom House, la percentuale di Paesi che possono considerarsi democratici (in termini di diritti politici, civili, economici, di opinione e altro), dopo essere cresciuta dal 35 al 48 per cento fra il 1987 e il 2007, si è ridotta al 45 per cento negli ultimi dieci anni e Paesi come Turchia, Venezuela, Ungheria e Polonia, che parevano essersi avviati a diventare solide democrazie, hanno riportato un duro peggioramento negli ultimi anni. Anche se esistono Paesi in cui il sistema politico e civile è migliorato, si è invece ampliata la forbice fra il numero degli stati in peggioramento e in miglioramento. I segnali più preoccupanti provengono dagli Stati Uniti, per molti decenni considerato paese leader dei valori democratici e sia Freedom House che The Economist Intelligence Unit, da qualche tempo, non assegnano più un punteggio pieno agli Usa, anche se i meccanismi presenti nel sistema statunitense risultano ancora saldi, nonostante la leadership americana nel mondo sia in calo.

Alla caduta dell’egemonia americana non ha corrisposto un maggiore intervento dell’Europa e del Giappone, cioè delle economie liberali storiche, ma si è assistito ad un aumento dell’attivismo dei due paesi tradizionalmente autocratici, Russia e Cina.

La prima ha cercato di interferire nelle ultime elezioni americane, francesi e tedesche e, forse, italiane, supportando i partiti xenofobi, e sostenendo militarmente i regimi autoritari nel Medio Oriente.

La seconda, presenta ambizioni egemoniche più globali e il potere economico è stata la migliore arma. La recente decisione di abolire il limite di eleggibilità del presidente in Cina, il rigido controllo dei social network e la forte repressione dei dissidenti residenti all’estero, sembra rendere più improbabile il passaggio del sistema verso la democrazia.

Oggi il mondo è diventato multipolare e il modello occidentale si è rivelato meno seguito da numerosi paesi emergenti sul piano economico, che considerano la democrazia un sistema non efficiente. La Cina è un esempio. Si tratta di una sfida da dover affrontare con determinazione, perché è evidente come i paesi meno democratici siano più inclini a seguire i conflitti militari.

Danilo Turco

Nuovi accordi fra USA e Cina

Anche se la guerra dei dazi tra Usa e Cina sembra rientrata, resta da chiedersi: cosa accadrà in futuro, vista la dipendenza della crescita mondiale da quella cinese?

L’accordo con Xi Jinping è stato trovato dagli Stati Uniti, ma la tensione delle relazioni economiche tra i due Stati ha sollevato una questione di ampie proporzioni sugli squilibri delle partite correnti delle due economie più grandi del mondo.

Va ricordato che la crescita mondiale dipende strutturalmente da quella cinese che nel 2017 è stata del 35 per cento (circa il doppio rispetto agli Stati Uniti). Infatti, se da una parte si assiste al fatto che la “fabbrica del mondo” la cinese, ha spiazzato investimenti e depresso il livello dei prezzi in numerosi settori e in molti paesi, accade che d’altra parte la domanda di consumatori e imprese cinesi ha sostenuto la produzione e l’export di molti altri e diversi paesi, non solo avanzati, ma anche emergenti e poveri. Per questo nessuno si augura un rallentamento dell’economia cinese causato eventualmente da una guerra commerciale minacciata tempo fa da Trump.

A Pechino il 19 maggio i negoziatori hanno fugato i timori di una guerra commerciale, ma non quelli di un forte ribilanciamento, che gli Stati Uniti vogliono accelerare in Cina. Infatti, se si va ad osservare con attenzione, il vero motore cinese per lo sviluppo è stato l’accumulazione di capitale che nel 2014 ha raggiunto un picco del 45% del Pil, per poi iniziare a rallentare con lo sviluppo dei settori delle costruzioni e delle infrastrutture, che sono andati a compensare la minor vivacità dell’export dovuta al crollo della domanda mondiale durante gli anni della crisi. Ma poi, con la diminuzione di fabbisogno di infrastrutture e di abitazioni si è avuto un ulteriore rallentamento del trend dello sviluppo,giunto al 6-7% annuo, e non più del 10%. Infine, sono venuti meno gli altri due pilastri della crescita e precisamente:

la diminuzione della popolazione attiva, registrato ininterrottamente dal 1960, per l’aumento delle generazioni anziane e una diminuzione del tasso delle nascite (per l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro urbano), per cui sembra che anche la Cina diventi“un paese di vecchi”, rispettando la tendenza occidentale, ma senza essere diventato un paese ricco;

l’andamento della crescita della produttività, che è fortemente legato alla crescita dell’export per poter competere sui mercati globali, come presentato dai dati di Conference Board analizzati da Capital Economics, si vede che dal 1960 i paesi che hanno saputo generare una crescita della produttività sono anche quelli con la maggior crescita delle esportazioni e raramente, (solo nell’1,2%dei casi) si è registrato un aumento di produttività che non fosse associato a una forte capacità di esportare. Questo ci chiarisce come sia difficile per la Cina, dal momento che l’export cinese mondiale ha raggiunto il 13 per cento e la domanda estera di beni cinesi è arrivata anch’essa al traguardo e associato a questo si rileva una diminuzione dei consumi.

E’ dunque necessario agire in favore di “un cambiamento strutturale”, come indicato dal rappresentante del Commercio Robert Lighthizer, ma senza bloccare quel meccanismo che ha da sempre contribuito alla crescita mondiale, che è fondato sul commercio estero e sugli investimenti nei settori di esportazione.

Danilo Turco

Alla Fiera del Libro per ragazzi di Bologna spopola il made in China

 

È stata la Cina il paese ospite d’onore quest’anno alla Bologna Children’s Book Fair, la Fiera del Libro per ragazzi che da 55 anni è il punto di riferimento per editori, autori, illustratori che lavorano nel mondo dell’editoria per l’infanzia. Tra gli appuntamenti più in vista di quest’anno   sono da sottolineare: il primo congresso europeo delle librerie indipendenti e il convegno per celebrare i 65 anni del prestigioso The New York Times Best Illustrated Children’s Books Award, l’unico premio al mondo che giudica il merito artistico dei libri valutandone le illustrazioni indipendentemente dal testo.

Il Dragone e la sua eccellenza, però, sono stati al centro dell’intera manifestazione.

La Cina ormai esporta in occidente anche i suoi eroi letterari, che già popolano l’immaginario dei bambini, creando nell’economia cinese, che non è solo vestiti ed acciaio, un microcosmo dai risvolti davvero interessanti.

Ci sono 367 milioni di ragazzi sotto i 18 anni in Cina, più dell’intera popolazione degli Stati Uniti e con lo sviluppo economico la domanda di cultura si è allargata enormemente. Tra i titoli più richiesti da grandi e piccini: Le avventure di Cipollino, di Gianni Rodari, Peppa Pig e il cofanetto del bestseller locale Piante contro zombie, che dal 2012 ha venduto circa 120 milioni di copie.

Nel suo complesso il mercato cinese conta un volume di circa 780 milioni di libri l’anno, con un potenziale che nei progetti del più grande editore del settore, Li Xueqian, può addirittura raddoppiare. Tuttavia, anche in Cina si combatte con il problema dei troppi titoli stampati all’anno, dei quali molti di bassa qualità, questo porta indecisione nei consumatori, famiglie ed insegnanti. Ciò, alla lunga, rappresenterebbe un problema, contando che per le famiglie della classe media cinese la lettura rappresenta un trampolino di lancio per i propri figli; mettere i bambini in età prescolare a contatto da subito con la parola scritta li attrezza ad affrontare un sistema scolastico dalle condizioni spietate. Giocare di sponda con le scuole, per l’industria del libro è, quindi, un canale di influenza, non solo di profitti.

Anche rispetto agli acquisti di libri on line, in formato digitale o cartaceo, si possono fare alcune riflessioni. La divaricazione culturale è evidente tra i giovani cinesi di città e quelli che in città non vivono: nove libri su dieci vengono acquistati e letti solo nelle grandi città, mentre nell’altra metà del paese il provincialismo e l’isolamento culturale sono ancora spaventosi.

Rimane il fatto che la fetta di giovani lettori cinesi è consistente. Quanto ai gusti, la scelta ricade molto spesso sulla narrazione ufficiale della “riscossa cinese”, ossia su argomenti che mettono al centro la rinascita culturale della Cina del 1800, ad opera dei suoi poeti ed intellettuali, subito dopo l’umiliazione della guerra persa contro il Giappone. Su questo fenomeno c’è addirittura chi parla di nuovo realismo, una vera e propria corrente letteraria che affonda le sue radici nella tradizione cinese (perciò estremamente cara anche al regime politico) e che si potrebbe imporre anche all’estero, in contrapposizione a tanti autori occidentali che si limitano ad imitare le atmosfere di Harry Potter e poco altro.

Rossella Marchese

Le guerre commerciali con i loro risultati

Usa e Cina, con la controversia innescata fra i due Paesi, con le sanzioni minacciate, darebbero vita a un gioco pericoloso sia per i due Paesi e sia, per gli scambi internazionali.
Si paventa che le mosse del presidente Trump in materia di politica commerciale potrebbero sfociare in una disputa fuori controllo (Financial Times), visto che gli Stati Uniti colpiscono i settori strategici in cui la Cina sta cercando di crescere, sia in termini di quota di mercato globale che nel livello tecnologico, seguendo la dottrina “Manufacturing 2025” voluta da Xi Jing Ping. Una strategia questa che a stretto giro potrebbe non portare bene, visto che a novembre negli Stati Uniti si vota per il rinnovo di metà Camera e Senato, per cui alcune industrie e stati americani potrebbero essere particolarmente colpiti dalla ritorsione cinese. Quindi, appare difficile trovare spazi di ottimismo per una risoluzione consensuale della suddetta controversia.
Nel momento in cui le sanzioni minacciate dovessero attivarsi, la posta in gioco appare troppo alta per entrambi i paesi per cui anche nel commercio internazionale sembra valga il detto “se vuoi la pace, prepara la guerra” e attualmente si è in attesa dell’annuncio di una nuova rappresaglia cinese, senza comprendere dove questa insensata guerra commerciale condurrà il sistema degli scambi commerciali internazionali, il principale motore della crescita economica mondiale.
Danilo Turco

La nuova via della seta verso la Cina

Oggi ci si chiede quale effetto produrrà la Belt and Road Initiative (Bri),  nuova frontiera della globalizzazione economica, quali le implicazioni possiamo attenderci sul commercio internazionale? Di certo il potenziamento delle infrastrutture di comunicazione e di trasporto terrestre e marittimo ne ridurrà i tempi e i costi, ma anche nuove relazioni commerciali  potranno rivelarsi convenienti tra gli stati che oggi sono tra di loro isolati o proibitivamente distanti. A riguardo attualmente va riconosciuto come la carenza di collegamenti internazionali nell’Asia per quei paesi che non hanno accesso al mare come il Pakistan. Infatti, a riguardo vanno considerati i costi di connettività marittima e l’efficienza logistica, le due variabili che incidono sui costi di trasporto più della distanza geografica. Infatti pare che l’assenza di un collegamento marittimo diretto riduce del 55 per cento il valore dell’export di un paese.

Per questo l’effetto di Bri che è più difficile da prevedere, da considerare piuttosto dirompente, è quello che riguarda le suddette sulle modalità di trasporto del commercio internazionale, per cui solamente se ci sarà potenziamento delle rotte terrestri per il trasporto via terra, le rotte marittime potrebbero subire la concorrenza e che riguarderà i rapporti commerciali Europa-Cina.

Oggi i costi di trasporto del commercio bilaterale Cina-Europa risultano più alti della media mondiale per cui in alcuni settori, high-tech ed elettronica, stanno già spostandosi su rotaia e d’altro canto, le agenzie marittime e le autorità portuali si sono messi all’opera per riprogettare le corsie marittime, con la finalità di migliorare , riducendo i tempi di spedizione.

Danilo Turco

Vertice annuale Ue-Cina: divergenze commerciali e cambiamento climatico

L’1 e il 2 giugno si è svolto a Bruxelles il consueto e annuale vertice tra l’Unione europea e la Cina.

Il vertice tra l’Unione europea (rappresentata dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker) e la Cina (rappresentata dal primo ministro Li Keqiang) – svoltosi l’1 e il 2 giugno a Bruxelles – serve a far progredire il partenariato strategico Ue-Cina su vari temi. Circa il cambiamento climatico, i due partner hanno riaffermato esplicitamente il loro impegno comune, anche se per il secondo anno consecutivo Cina e Ue non hanno redatto una dichiarazione congiunta.

Tra le questioni commerciali che hanno impedito la firma di tale testo, lo status di economia di mercato della Cina nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) si è rivelato essere il principale ostacolo.

L’Ue e gli USA rifiutano di accordare tale status alla Cina poiché esso consentirebbe l’elusione della normativa antidumping ora in vigore. Le divergenze in materia di commercio riguardano i livelli di sovrapproduzione e di esportazioni – spesso a prezzi molto competitivi e soprattutto nel settore dell’acciaio – raggiunti dalla Cina.

A dispetto della grande importanza riservata alla questione climatica, il risultato del vertice è stato offuscato. Tuttavia, Cina e Ue hanno confermato il loro impegno comune nel voler fornire una risposta all’instabilità della congiuntura internazionale e al “grave errore” dell’uscita degli USA dagli accordi di Parigi.

In teoria, l’Unione europea e la Cina si impegnano a ridurre l’impiego di combustibili fossili, a sviluppare ulteriormente le tecnologie verdi e a finanziare un fondo annuale di novanta miliardi di euro entro il 2020, al fine di supportare i paesi più poveri a ridurre i loro tassi di emissioni di gas a effetto serra.

Danilo Turco

Cina: un orizzonte commerciale dal profilo più preciso

 

Le esportazioni commerciali cinesi sono aumentate. La Cina sta giovando di una favorevole congiuntura internazionale e della ripresa della domanda a livello globale.
Secondo le statistiche pubblicate il 13 Aprile dall’amministrazione delle dogane, a marzo le esportazioni commerciali cinesi hanno subito un forte incremento (pari al 16,4% su base annua). Questa crescita – la più forte da due anni – rappresenta una novità positiva insieme al tono più conciliante che il Presidente degli USA sembra voler adottare con Pechino.
Una ripresa della domanda a livello globale è segnalata dall’aumento degli scambi commerciali cinesi non solo con i Paesi emergenti, ma anche con gli Stati Uniti e con l’Europa (i suoi due principali partner commerciali). Secondo il centro studi Oxford Economics, nel primo trimestre 2017, il commercio mondiale sarebbe cresciuto con un ritmo, il più veloce da sei anni. Inoltre anche le importazioni continuano sensibilmente ad aumentare (+ 20,3 %) soprattutto nei settori del petrolio e del ferro.
Durante il primo trimestre, il PIL cinese sarebbe aumentato del 6,8% (con lo stesso ritmo dell’ultimo trimestre 2016 secondo gli economisti sondati da Reuters). E’ probabile che le esportazioni cinesi continuino a giovare di una migliore domanda mondiale nei prossimi mesi secondo Louis Kuijs (Oxford Economics). L’incontro fra Trump e il Presidente cinese Xi Jinping – dello scorso 6 e 7 aprile in Florida – ha contribuito a ridurre la tensione e i rischi commerciali.
Tuttavia, permangono ancora dei fattori destabilizzanti per la Cina. Il Presidente statunitense è disponibile a un compromesso se Pechino contribuisce a risolvere il problema della Corea del Nord. Trump e Xi (dopo l’incontro) si sono accordati sull’istituzione di un piano di 100 giorni per sviluppare delle soluzioni per le loro controversie commerciali (soprattutto il cronico deficit commerciale che gli USA registrano rispetto alla Cina). In che modo, però, le autorità cinesi ancora non lo hanno affermato. Pertanto, in Cina, il commercio estero rimane ancora un settore complesso e ricco di fattori potenzialmente destabilizzanti.

Danilo Turco

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