Giovanna Cristina Vivinetto: Dolore minimo

 Quando nacqui mia madre / mi fece un dono antichissimo. / Il dono dell’indovino Tiresia: /mutare sesso una volta nella vita.

Dolore minimo” è un diario in versi, una dolcissima raccolta in cui la poesia si fa dispositivo d’esistenza e ci pone in grado di renderci gioiosi, allegri, sofferenti, mutando i mali più intimi in astri scintillanti ed in luminosi pensieri appaganti. La poesia come volano di profondi contenuti sociali, esistenziali ed umani. 

Qual è la ragione che l’ha indotta a scegliere il versificare per dar voce al suo vissuto?

Sin dall’adolescenza sono sempre stata affascinata dal mezzo poetico per la sua capacità di condensare significati profondissimi, spesso dirompenti e necessari, in uno spazio limitato, fatto anche di pochi versi. Per questo motivo, per la sua intrinseca essenzialità, nella stesura di Dolore minimo mi è venuto naturale utilizzare la poesia, perché con essa mi è stato più semplice arrivare al cuore della “questione”, centrare con efficacia l’obiettivo che mi ero prefissata. La transizione mi ha dato la possibilità di riflettere molto e a lungo sulla scrittura poetica, e lo stesso vale per il contrario: la poesia è stata per molti versi quasi una forma di “psicoterapia della parola scritta”, permettendomi di capire e dare un valore aggiunto all’esperienza di vita che mi son trovata ad affrontare. Oggi si parla della poesia come “bene inutile”, “non necessario”; e invece, anche con la testimonianza racchiusa in Dolore minimo, voglio ribadire esattamente il contrario: l’assoluta necessità della poesia come mezzo che, oggi più che mai, si fa interprete (e, talvolta, risolutore) in sommo grado dei conflitti del reale.

La raccolta è divisa in tre sezioni, Cespugli d’infanziaLa traccia del passaggio e Dolore minimo. Nella prima sezione si leggono liriche su una fanciullezza spesa a Siracusa tra una forma di religiosità cupa, zeppa di tabù e la tenerezza d’una madre sempre tesa a profundere dolcezza e compassione.

Può fornirci la chiave di lettura di parole come “Nella quiete di quelle strade la malattia giunse d’agosto. Travolse le madonne e gli occhielli…” ma anche di “La prima scoperta furono le mani”?

Le poesie a cui fai riferimento fanno parte della prima sezione, in cui la consapevolezza di “essere in un certo modo” viene reinterpretata alla luce dei ricordi e delle movenze dell’infanzia. La prima citazione è collegata a due elementi caratterizzanti il “dramma” della transizione e di per sé antitetici (eppure poi conciliati nella chiusa della poesia a cui ti riferisci): quello della “malattia”, cioè della “scoperta” della disforia di genere, quindi di una diversità assoluta e spaventosa, e quello di una fede ancestrale tipica di molti piccoli paesi del Sud e di per sé indiscutibile, quasi cieca a manifestazioni “altre” che avvengono nella stessa immobile circoscritta realtà. La seconda citazione fa riferimento a un ciclo di tre poesie in cui centrale è il processo di perdita e di scoperta: come se la raggiunta contezza della transessualità avesse fatto perdere qualcosa ma, al tempo stesso, scoprir qualcos’altro di nuovo (ma che in realtà già c’era) e di profondamente unico e prezioso. La transizione, insomma, come processo intimo e fondamentale di “messa a fuoco” dell’esistenza in tutta la sua complessità.

Lei ci insegna come il corpo “Transessuale”(il cui simbolo è la pillola “Quella che serve a riempire i fianchi, abbozzare i seni…”) sia un corpo di singolare incanto; un corpo che riproduce la compiuta evoluzione e realizzazione del corpo femminile e che decreterà la “fine” di Giovanni.

La transizione, si deduce dai versi, ha lasciato delle ferite. Lei quale balsamo ha adoperato per curarle?

Sicuramente d’aiuto mi è stata in generale la mia famiglia, essenziale nel supporto a questo nuovo percorso di vita che mi sono trovata a intraprendere. È grazie all’amore dei miei parenti, alla loro intelligenza e alla loro sensibilità che oggi io sono una donna serena. Avere alle spalle una famiglia che accetta e ama senza riserve è importantissimo, fondamentale. E questo vale indubbiamente per tutti, ma soprattutto per le persone transessuali, socialmente più fragili ed esposte. All’affetto di chi ti sta vicino va poi ad aggiungersi il potere “terapeutico” della letteratura e della scrittura. Esse, infatti, hanno costituito per me quel mezzo che permette di ricucire gli strappi, conciliare le contraddizioni, interpretare in sommo grado, sublimandole, le ambiguità del reale. La poesia è stata l’occasione per scendere a patti con una me che non riuscivo a capire in pieno  o meglio che credevo di capire ma, in verità, non conoscevo affatto. Nel momento in cui ho nominato quel “male” in poesia, esso ha cessato di essere “male”: nella chiusa dell’ultima poesia della prima sezione scrivo che “…quel mostro che in tanti anni / avevo allontanato, fu assai più / docile quando, abolite le catene, / lo presi in fine per mano”. La poesia concede questo miracolo.

Una parte considerevole dell’ultima sezione è occupata dai ricordi, tra cui si stagliano anche quelli di una sessualità schiavizzata ed oltraggiata. Il sesso sembra profilarsi come un’ombra scura.

Come ha valicato il filo spinato di un ricordo che appare come motivo di turbamento?

Attraverso il distanziamento che solo il tempo può dare. La distanza dagli eventi inevitabilmente comporta una loro sublimazione e, di conseguenza, una focalizzazione maggiore e certamente più oggettiva nel momento in cui si decide di parlarne o scriverne. Per questo motivo, ad esempio, la storia narrata in Dolore minimo non è stata scritta “a caldo” bensì a distanza di diversi anni proprio perché, come dicevo, solamente la durata del tempo consente di “raffreddare” (e accettare consapevolmente) tutte quelle cose che magari sul momento ci sconvolgevano a tal punto da non riuscire ad esternarle in alcun modo.

Ovidio, Tiresia, Kafka, Ermafrodito, Ifi, Ceni narrano o sono essi stessi casi di “metamorfosi” che minano e demoliscono ciò che è la certezza, l’edificio stabile su cui si accomodano gli esseri umani.

La precarietà e lo spaesamento su cui c’invita a riflettere le hanno procurato critiche asperrime. Lei è giovanissima. Come ha reagito?

Immediatamente dopo la pubblicazione di Dolore minimo, ho iniziato a ricevere alcuni attacchi personali. A rivolgermeli, gli esponenti della pagina Facebook “Pro Vita Onlus”, i quali, considerando la transessualità il “vuoto assoluto”, hanno a più riprese sostenuto che l’autrice di questo libro avrebbe fatto meglio a curarsi invece di diffondere un simile male spacciandolo come una cosa “normale”. I social, purtroppo, sono un’arma a doppio taglio. Se, infatti, da un lato consentono il confronto e la diffusione di idee positive, dall’altro lato – e il più delle volte, purtroppo – al confronto subentra lo scontro, fatto di ignoranza, pregiudizio e analfabetismo funzionale. Una delle soluzioni, allora, potrebbe essere proprio questa: far sì che la letteratura inizi a permeare anche il mondo virtuale dei social, facendo propria una missione civile e culturale finalizzata in primis ad abbattere questi muri invisibili costruiti sull’odio, sull’intolleranza e sulla mancanza di rispetto per tutto ciò che è percepito come “diverso” e “minaccioso”. Personalmente sono molto attiva sui social anche per questo: dimostrare che la transessualità può essere una cosa “normale” come tante altre e verso cui è totalmente illogico provare “paura”. Infatti, poco dopo l’attacco dei “Pro Vita”, le conseguenze delle loro azioni non sono tardate ad arrivare: nel giro di qualche ora il libro è andato esaurito su tutti gli e-commerce, arrivando ad una seconda edizione in pochissimi giorni. La mia risposta all’odio, dunque? L’amore per la vita.

 

Giovanna Cristina Vivinetto è nata a Siracusa il 6 febbraio 1994. Laureata in Lettere moderne, vive attualmente a Roma, dove si è specializzata in Filologia moderna all’Università “La Sapienza”. Sue poesie sono state pubblicate sulla rivista Atelier (n°86) e in rete, su Poetarum Silva, Atelier online, Pioggia Obliqua, Patria Letteratura, Carteggi Letterari, Poesia di Luigia Sorrentino, La Tigre di Carta, Nuovi Argomenti, Le Parole e Le Cose, Nazione Indiana, e diversi altri siti e blog. Dolore minimo è la sua opera prima, pubblicata nel maggio 2018 per l’editore Interlinea. Con prefazione di Dacia Maraini e postfazione di Alessandro Fo, il libro è apparso ed è stato recensito sulle maggiori testate giornalistiche nazionali, tra cui «Il Fatto Quotidiano», «La Repubblica», «La Stampa», «Il Messaggero», «Il manifesto», «Il Sole 24 ORE», «Panorama», «Il Corriere della Sera», «La Sicilia», «Cosmopolitan», «Confidenze» e altri; in televisione su Rai Uno all’interno del programma “Il Caffè di Rai Uno”, a cura di Yari Selvetella. Una selezione di testi inediti, introdotti da una nota di Alberto Bertoni, è inclusa nel Quattordicesimo Quaderno di Poesia Contemporanea (Marcos y Marcos, marzo 2019).

Giuseppina Capone

 

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