Metin Tunç: La Lingua Madre di Sa’piens. Archeologia orale

Metin Tunç, nato a Bingol nell’est Anatolia Turca, ha voluto chiamare “archeologia orale” il suo lavoro di ricerca “perché non conosco un’espressione più adatta alla teoria che espongo in questo libro”.
“La Lingua Madre di Sa’piens. Archeologia orale”, edito da Effigi, è un volume articolato,  dove il linguaggio scorrevole e le illustrazioni a supporto del testo rendono piacevole affrontare la lettura del complesso lavoro portato avanti sulla lingua. “Attraverso l’archeologia orale – evidenzia ancora l’autore –  possiamo affermare che la lingua rappresenta l’unico filo conduttore, garante della continuità dell’intera storia dell’homo sapiens, poiché non ha subito interruzioni e rallentamenti, come nel caso dell’archeologia classica che è basata soprattutto sullo studio dei reperti; il tempo ha cancellato quasi ogni traccia del viaggio dell’homo sapiens sulla Terra”.
Tunç  articola ancora il suo pensiero affermando che “nel campo dell’archeologia orale si può anche verificare quanto un concetto sia antico. Gran parte dei concetti antichi nascono durante il paleolitico e il mesolitico, ma nel neolitico li vediamo applicati alla neonata epoca agraria. Ma per poterli distinguere abbiamo bisogno d’analizzare il loro utilizzo sulla linea del tempo e dello spazio sul piano scientifico, accademico e sociale”.

Interessante la divisione in tre sezioni del libro che . La prima ha il suggestivo titolo “nascere dalle ceneri”; la seconda analizza le tre rivoluzioni, quella del Paleolitico, del Mesolitico e del Neolitico; la terza parte, intitolata “Inizio dell’agricoltura e nascita delle prime città cosmopolite”, affronta il tema cardine dello studio abbracciando vari secoli e civiltà.

Il volume si conclude con una rassegna di alcuni monoconcetti dell’antico lessico in diverse lingue.

Antonio Desideri

 

Viaggiando tra passato e futuro con la Macchina del Tempo

A chi non piacerebbe viaggiare nel tempo? Con i progressi della scienza e della tecnologia probabilmente in un futuro forse non tanto lontano il sogno dell’uomo potrebbe realizzarsi.

Nella letteratura e nella cinematografia questo sogno, quasi impossibile, si è materializzato in libri e film. Molti ricorderanno la mitica trilogia di “Ritorno al futuro”  con il giovanissimo Marty  e il suo bizzarro e geniale amico scienziato Emmett Brown che lui chiama “Doc” che ha costruito una macchina del tempo modificando una DeLorean DMC-12 con la quale scorazzano scoprendo passato e futuro. E come non ricordare il famosissimo romanzo di H.G. Wells “La macchina del tempo” che ha fatto e continua a far sognare generazioni di ragazzi. Questo capolavoro della letteratura è uscito da poco in edicola come primo volume di una collana dedicata ai maestri del fantastico da RBA che calerà i lettori nelle opere nate dalla mente geniale di autori del XIX secolo.

Fantasie scientifiche, mostri, avventure, terrore, fantastico questi gli ingredienti delle opere di autori di fama mondiale: H. G. Wells, E.A. Poe, B. Stroker, M. Skelley, H.P. Lovecraft sono per citarne alcuni in un’elegante veste editoriale con copertine illustrate che si ispirano ai cataloghi delle prestigiose edizioni d’epoca: Hetzel, William Heinemann, Scribner, ecc. I volumi sono arricchiti da illustrazioni e frontespizi originali dei grandi maestri Harry Clarke, H. Alvim Corrêa, Harry Rountree, Nino Carbe, e altri e da disegni interni e decorazioni che riprendono le prime edizioni originali.

Grandi capolavori da leggere e collezionare.

Antonio Desideri

Tommaso Greco: Curare il mondo con Simone Weil

Professore, Simone Weil è nota, oltre che per la vasta produzione saggistico-letteraria, anche per le drammatiche vicende esistenziali che attraversò, a cominciare dalla scelta di lasciare l’insegnamento per sperimentare la condizione operaia. Quale tratto della sua figura ritiene sia ancora celato?

Non credo ci siano aspetti della biografia weiliana che sono rimasti celati. La biografia scritta dalla sua amica Simone Pètrement, e i vari volumi che sono usciti sin dal dopoguerra, danno un quadro completo delle sue vicende, magari mettendo in luce un aspetto piuttosto che l’altro. Anche dal punto di vista dell’analisi del suo pensiero si è fatto moltissimo e direi che esso è stato scandagliato in maniera abbastanza approfondita. Lo sforzo che ancora va fatto è quello di “prendere sul serio” questo pensiero, considerandolo non solo un episodio della filosofia o della storia drammatica del Novecento, quanto piuttosto un pensiero che ci interroga e ci suggerisce strade precise da percorrere oggi.

Nel corso del tempo, Weil legò se stessa all’esperienza della “sequela” cristiana, pur nel volontario distacco dalle forme istituzionali della religione, per fedeltà alla propria vocazione morale di presenziare fra gli esclusi.

Questa risoluzione potrebbe essere indicata come l’elemento chiave per la sua sete di giustizia?

Certamente sì. La vicinanza di Weil al cristianesimo è tutta nel segno della sua sete di giustizia, che passa dal mettersi dalla parte della debolezza. Era questo, d’altra parte, secondo Simone il segno della divinità del Cristo: non la sua potenza, non la sua resurrezione, ma il suo morire da innocente come se fosse un criminale. C’è un brano particolarmente significativo nel quale dice che il punto più alto della vita di Cristo è stato la sua morte in croce, quando si è sentito totalmente abbandonato dal Padre. Insomma, l’innocente che muore, che si sacrifica totalmente è la più chiara manifestazione della divinità, una manifestazione che non appartiene al solo cristianesimo ma a tutte le grandi tradizioni religiose, come Weil si sforza di dimostrare negli appunti dei suoi Cahiers.

La posizione etica fondamentale di Weil è di mettersi costantemente dalla parte degli oppressi.

Oggi, gli sventurati sono un’enormità. Quale idea di giustizia suggerisce Weil per restituire piena dignità a chi è vittima di equilibri ingiusti?

Quella weiliana è stata una posizione etica costantemente accompagnata da una coerente azione personale e politica. Da quando scandalizzava i dirigenti delle scuole in cui insegnava, perché uscendo si univa ai disoccupati, a quando scelse di partire per la guerra di Spagna, a quando cercò in tutti i modi di condividere le sorti di coloro che combattevano, non però imbracciando le armi ma cercando di costituire un corpo di infermiere di prima linea. L’idea di giustizia alla quale lei si richiama, e che ha elaborato in maniera estremamente affascinante, è quella della giustizia-carità, una giustizia che non coincide con la legge perché rifiuta totalmente di accompagnarsi alla forza e alla violenza. È una giustizia che ha come sua prima caratteristica la capacità di vedere l’altro, e che perciò rifiuta il simbolo della benda; e vedere l’altro vuol dire proprio vedere le vittime di equilibri ingiusti, vuol dire vedere gli sventurati di cui nessuno si occupa. Oggi, Simone Weil direbbe che l’opposizione tra legge e giustizia è del tutto evidente nel modo in cui trattiamo i migranti, nel modo in cui facciamo di tutto per non vedere la loro sofferenza e non ascoltare il loro grido soffocato dalle onde del mare in cui affogano. Questa idea di giustizia è impegnativa e scomoda, perché non può aspettare di essere realizzata dentro un tribunale ma chiama ciascuno a realizzarla qui ed ora, momento per momento, situazione per situazione.

Simone Weil nel 1936 scrive tre inviti alla lettura di altrettante tragedie sofoclee: Antigone, Elettra e Filottete. Questi testi possono essere interpretati quali opere paradigmatiche della resistenza all’oppressione esercitata dal potere?

Si tratta di interventi che Simone aveva fatto in un corso serale riservato agli operai. Questo è importante per capire il modo in cui lei operava. Non si trattava di fare operazioni culturali fine a se stesse, o comunque finalizzate a un arricchimento meramente culturale. Si trattava di fare educazione e azione politica, nonché riflessione etico-giuridica al tempo stesso. E di farlo facendo vedere la straordinaria attualità dei grandi classici, che hanno la capacità di parlare a tutti, in ogni tempo. Quelle figure sono tutte rappresentative di un modo di pensare la politica e il diritto radicalmente lontano da quello che Weil vedeva realizzato nella storia e nel suo tempo. Di fronte al dominio e alla cecità della forza, che aveva caratterizzato ogni epoca e che dominava in maniera travolgente gli anni in cui ella scriveva — un dominio che non lasciava alcuna illusione circa la sopravvivenza delle testimonianze di verità e purezza (penso alla civiltà catara, alla quale Simone dedicherà due bellissimi saggi) —, di fronte a questo dominio rimane la necessità di testimoniare una logica differente. La logica dell’attenzione verso gli sventurati (Elettra e Filottete), e la logica dell’amore soprannaturale come unica possibilità di sottrarsi alla forza (Antigone). Antigone, in particolare, non è l’eroina della resistenza al potere, rappresentante di una forza ‘buona’ che si contrappone a quella ‘cattiva’, ma è l’eroina dell’amore soprannaturale che rifiuta totalmente il discorso e la logica del potere. Non un potere che si vuole sostituire ad un altro potere, una forza che vuole vincere su un’altra forza: ciò che Weil legge nelle opere di Sofocle è piuttosto la debolezza che si contrappone alla forza, l’infinitamente piccolo che non rifiuta di combattere, ma lo fa portando avanti un’idea di ‘grandezza’ completamente diversa, una grandezza che si realizza nella compassione e nella cura di ciò che è debole, piuttosto che nel dominio e nella sottomissione.

Professore, qual è il nostro dovere rispetto al presente ed alla materialità?

Se teniamo presente quanto detto finora, direi che è quello di prendere sul serio le suggestioni e le indicazioni che Simone Weil ci ha lasciato, non solo sul piano dell’etica e delle scelte personali, ma anche su quello politico e istituzionale, ad esempio ragionando sul nesso tra consenso e giustizia, sul rapporto tra governanti e governati, sulla funzione del giudice che deve amministrare la giustizia, sulla pace e sulla guerra. In ognuno di questi ambiti, il nostro dovere è di far sì che si sviluppi e realizzi quella facoltà di attenzione che è alla base della giustizia. Se le nostre istituzioni e i nostri comportamenti sono centrati sulla negazione dell’altro; se addirittura organizziamo la nostra convivenza su regole e leggi che scientificamente escludono o impediscono di vedere la sventura, il nostro compito è esattamente quello che fu di Antigone: cercare di mettere all’opera uno sguardo capace di vedere e poi agire di conseguenza, mettendo il nostro io al servizio di coloro che hanno bisogno.

 

Tommaso Greco è professore ordinario di Filosofia del diritto nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, dove è anche direttore del Centro Interdipartimentale di Bioetica. Dirige la collana “Bobbiana” dell’editore Giappichelli e la rivista di storia della filosofia del diritto “Diacronìa”. Ha pubblicato Norberto Bobbio. Un itinerario intellettuale tra filosofia e politica (Donzelli 2000), La bilancia e la croce. Diritto e giustizia in Simone Weil (Giappichelli 2006) e Diritto e legame sociale (Giappichelli 2012). Per Laterza è autore di La legge della fiducia. Alle radici del diritto (2021, Premio Nazionale Letterario Pisa 2022 per la saggistica) e Curare il mondo con Simone Weil.

Giuseppina Capone

Lo shiatsu, disciplina evolutiva

Definire lo shiatsu come una tecnica di “Massaggio orientale”, per dare alla parola un sapore esotico che attrae, in quanto suscita una curiosità dal fascino misterioso un po’ come tutto ciò che alla nostra cultura occidentale proviene dal lontano ed enigmatico oriente, significa togliere a quest’arte le radici che l’alimentano, i rami che dalla luce del sole si nutrono, i fiori che donano all’albero il frutto dell’energia che l’incessante scambio che avviene tra la terra ed il cielo.

Lo shiatsu è una disciplina evolutiva.

Lo shiatsu valorizza le risorse vitali delle persone coinvolte nella pratica, permettendone la migliore espressione secondo le potenzialità, i tempi, le modalità peculiari di ciascuno. La sua azione è rivolta a tutti, qualunque sia l’età, la condizione e lo stato di salute; esso stimola il naturale processo di “autoguarigione” ripristinando l’armonico fluire dell’energia lungo i meridiani (canali energetici) dell’organismo e favorendo in tal modo un miglioramento delle capacità psico-fisiche.

Lo shiatsu non è, quindi, soltanto massaggio per rilassare il corpo, rimuovere tensioni, sciogliere blocchi, ma diventa un processo unificante che coinvolge tutta la vita. E’ benessere fisico, è alimentazione, è filosofia, è meditazione, è spiritualità, è armonia, è un modo di vivere.

Lo shiatsu diventa veicolo per una profonda trasformazione personale.

Il nome shiatsu, che in giapponese, da cui origina, significa letteralmente  pressione con le dita (shi = dita; atsu=pressione), nasce più o meno all’inizio del secolo scorso, anche se le sue origini  vanno molto indietro nel tempo. Si tratta di una sintesi tra la teoria medica classica orientale, che risale alle origini dell’agopuntura, oltre 4000 anni fa, e la medicina popolare. La sua pratica si svolge mediante pressione effettuate dalle dita, dalle mani, dai gomiti e dalle ginocchia su particolari percorsi chiamati meridiani  sui quali si trovano 361  punti chiamarti tsubo che significa punti di trasporto in quanto sono deputati al passaggio interno esterno dell’energia.

Alessandra Federico

Un anno di fotografia con FOTOIT

Un unico numero raccoglie FOTOIT di dicembre 2023 e gennaio 2024. La rivista ufficiale della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche si apre con l’editoriale della direttrice Cristina Paglionico. Tante le novità e le iniziative editoriali presentate nella rubrica Periscopio che evidenzia anche le attività delle Gallerie FIAF.

Sfogliando le pagine Fulvio Merlak presenta i 20 anni di Portfolio Italia, Vincenzo Gerbasi l’opera vincitrice di Portfolio Jonico –Corigliano-Rossano con il portfolio di Massimo Napoli dal titolo “Omotesando”, e ancora Umberto Verdoliva che presenta il portfolio secondo classificato dal titolo “Verde memoria” di Fabiomassimo Antenozio e Mariateresa Cerretelli che illustra il secondo classificato ex-aequo dal titolo “Taranto non vuole morire” realizzato dal Maria Pansini. Spazio agli autori con Gabriele Lopez e alle attività dei Circoli con il Gran Premio Circoli 2023. Per visti per voi l’esposizione “American Beauty da Robert Cap a Bansky” a cura del Centro Culturale Altinate- San Gaetano – Padova. Sempre per visti per voi protagonista Don McCullin al palazzo delle Esposizioni a Roma. Irene Vitrano introduce Storia di una fotografia proponendo “Anime salve” di Isabel Lima adel 1996. E ancora sempre spazio alla fotografia con “Maurizio Galimberti… e la Storia continua”, Enrico Maddalena, la rubrica singolarmente fotografia che ospita singole fotografie di vari autori, il Gruppo Fotografico Freecamera, la lezione di stereoscopia, i concorsi banditi.

Antonio Desideri

Passeggiata di Natale al Centro Antico di Napoli, la Basilica di Santa Chiara e la Chiesa del Gesù Nuovo

Proseguiamo la nostra passeggiata (n.d.r. iniziata il 27 dicembre) nel Centro Antico di Napoli. Percorso l’ultimo tratto di via Benedetto Croce arriviamo ad un incrocio  dove a sinistra troviamo via Santa Chiara che costeggia le mura dell’Antica Chiesa dedicata alla Santa mentre sulla destra inizia l’antica Via di San Sebastiano, fino a qualche tempo fa conosciuta come la strada della musica per la presenza di numerosi negozi  ed artigiani di strumenti musicali.

Pochi passi ancora per via B. Croce e sulla sinistra notiamo l’ingresso  dell’imponente Basilica di Santa Chiara la cui costruzione risale all’anno 1310 per volontà del re Roberto d’Angiò e della sua seconda moglie Sancia di Maiorca.

La Basilica è la più grande  tra quelle in stile gotico-angioino esistenti nella città di Napoli ed  collegata al  monastero delle monache caratterizzato da ben quattro  chiostri  monumentali, da scavi archeologici e numerose sale arricchito da affreschi di Giotto.

Entriamo all’interno  della Basilica che si presenta  a navata unica  con dieci cappelle   per lato. Al centro della navata la tomba di Roberto d’Angiò mentre sul suo lato destro le tombe di Carlo di Calabria e di Maria di Valois realizzato dal Maestro Tino di Camaino mentre sul lato sinistro  si trova quella di Maria Durazzo.

La Basilica accoglie nell’ultima cappella sulla destra le spoglie della famiglia dei Borbone.

Usciamo dalla Basilica e di fronte a noi  si apre piazza del Gesù Nuovo con la guglia  del 1747  e l’omonima Chiesa, ricavata  dal Palazzo S. Severino edificato nel 1410 da Novello di S. Lucano. Il nobile casato fu costretto all’esilio in seguito ad una rivolta fallita contro il re Ferdinando I d’Aragona i beni furono confiscati alla famiglia e venduti  alla Compagnia di Gesù che vi fece costruire tra l’anno 1584  ed il 1601 la  Basilica dedicata alla Madonna Immacolata e chiamata del Gesù Nuovo.

Una recente scoperta dovuta agli studi dello storico Vincenzo De Pasquale, ha portato alla conoscenza dell’esistenza di note musicali incise su alcune pietre del bugnato. L’attento studioso, appassionato del rinascimento napoletano e   musicologo attento   è riuscito a decifrare l’enigma  dei simbolo occulti presenti sulle bugne che si tratterebbe  di uno spartito musicale  scritto all’inverso in aramaico.

Alla sobrietà dell’esterno contrasta  con un interno  barocco, riccamente decorato, con una pavimentazione ricca di marmi policromi, colonne ed altari.

Le pareti sono coperte di affreschi  di importanti artisti non solo napoletani mentre nelle  cappelle  si possono ammirare  sculture realizzati da artisti quali il Fanzago, e di Jusepe de Ribeira.

Tra le dieci cappelle troviamo la Cappella della Visitazione  che ospita il reliquiario  con i resti di San Giuseppe Moscati, medico dei poveri verso il quale i napoletani  nutrono una  profonda venerazione.

Usciamo dalla Basilica e tutt’intorno notiamo i Palazzi Pandola, Pignatelli di  Monteleone e Morisani, anch’essi del 500, che iniziano la Via della Trinità Maggiore.

La nostra passeggiata alla scoperta dell’arte storia e magia del Centro storico  di Napoli conclude, al momento, tanto ancora c’è da scoprire e da approfondire.

Alessandra Federico

Passeggiata di Natale al Centro Antico di Napoli

Siamo arrivati con la nostra passeggiata (n.d.r. iniziata il 27 dicembre 2023) all’incrocio tra Via San Gregorio Armeno e via San Biagio dei Librai, ovvero “Spaccanapoli”, dove si incontrano il Palazzo di Monte di Pietà (o Banco dei pegni), le chiese di S. Maria  della Stella eretta nel 1519, di S. Nicola a Nilo risalente  al 1647 e quella di S. Andrea  Apostolo, fatta costruire da Costantino, mentre l’altra che si affaccia nei suoi paraggi è  del Monte Verginella del 1314.

Proseguendo nella nostra passeggiata  giungiamo al Palazzo Carafa Montorio, dove nacque Giovan Battista Carafa, assunto al pontificato con il nome di Paolo IV, e al Palazzo Sant’Angelo di Carafa Maddaloni, che poco distava dalla Porta Ventosa oggi scomparsa.

Continuando troviamo Piazzetta Nilo con la statua di un vegliardo, di epoca  greca, ancora adesso considerata il simbolo del “Corpo di Napoli”, punto centrale della omonima via che da una parte sale a capo Napoli e dall’altra scende al Monte Erone, con l’Università vecchia, il Largo S. Marcellino, la Chiesa di S. Severino e Sossio e il Palazzo Carafa D’Andria, la Chiesa  di Sant’Angelo a Nilo (o Cappella Brancaccio) e la Biblioteca, costruita dal Cardinale Rinaldo Brancaccio nel 1385. Non lontano seguono le chiese  di Donna Romita e il Palazzo Pignatelli del 1400.

Nella parte alta di via Nilo si interseca la Strada del Seminario dei Nobili, con l’omonimo Palazzo che è del 1600. Questa strada si affaccia  sulla via di S. Severo alla Pietra Santa che, a sua volta, sbocca nella strada Francesco de Sanctis dove è ubicata  la Cappella di San Severo  de Sangro che custodisce  tra le sue numerose opere  la famosa scultura del Cristo Velato dell’artista Sammartino.

A pochi passi sulla sinistra entriamo in Piazza San Domenico Maggiore, dove si trova la chiesa domenicana (costruita dagli Angioini nel 1283 e rifatta nel 1700, epoca aragonese). La Chiesa di San Domenico era stata edificata sulla Cappella di S. Angelo a Morfisa , dei Padri  Benedettini, che la eressero  sui ruderi di un tempio pagano. La guglia elevata al Santo nel 1656 è del Picchiati. Importantissimi sono il Palazzo di Antonello Petrucci (segretario di Stato di Ferdinando d’Aragona), il Palazzo Calenda, il Corigliano, e quello di S. Severo de Sangro.

Entrando in via Benedetto Croce s’incontrano molti palazzi sorti  tra il ‘400  ed il 500. In particolare il Palazzo dei Foglia, quello dei Castelluccio Carafa del Belvedere ed ancora quello dei Mazziotti seguito del Palazzo della Serenissima (ex sede dell’Ambasciata di Venezia), ed infine il Filomarino del 1400, coinvolto in molti avvenimenti del Reame. I suoi locali sono stati rifatti nel 1600 e ritoccati del ‘700 così come appaiano attualmente ed il suo ultimo inquilino è stato proprio Benedetto Croce.

Alessandra Federico

Re Leone in miniatura

Un piccolo e prezioso cofanetto custodisce uno dei classici più amati dai bambini: Il Re Leone, uno dei capolavori della Disney che sin dalla sua uscita ha appassionato i bambini e continua ad incantare più generazioni.

Non è l’unico capolavoro che sarà riprodotto in miniatura, Hachette ha, infatti, lanciato in edicola le “Storie in miniatura Disney”, i “classici sempre nel palmo della tua mano”, così presenta la collana che riunisce le storie dei personaggi più noti al grande pubblico che dalla genialità creativa della Disney hanno conquistato gli schermi.

Pubblicazioni impreziosite da illustrazioni e disegni per far vivere ai piccoli storie entusiasmanti e perché no collezionarle per quando saranno più grandi nella loro biblioteca.

Simba, Cenerentolea, Mowgli, Bambi, Biancaneve e i sette nani, Frozen, Aladdin, La carica dei 101, La Sirenetta, Monster & Co., Peter Pan, Mulan, Lilli e il vagabondo, Pinocchio, Ratatouille, Toy Story e tanti altri sono i protagonisti della collana per allietare le giornate dei più piccoli che le possono ascoltare dal racconto dei grandi o leggere e far rivivere agli adulti il tempo della loro infanzia.

Antonio Desideri

Passeggiata di Natale al centro Antico di Napoli, da piazza Dante a San Gregorio Armeno

Ieri abbiamo varcato Port’Alba e dopo aver percorso un breve tratto di strada giungiamo a piazza Bellini dove  troviamo  le fondamenta delle fondazioni della prima porta greco-romana, chiamata “puteolana” perché dava  sull’attuale via Toledo fino a Mergellina e alla grotta che conduce a Pozzuoli.

Continuiamo la nostra passeggiata  transitando accanto al Conservatorio di musica   e raggiungendo  la piazza Luigi Miraglia  con la Chiesa  angioina  di S. Pietro a Maiella ed il vecchio Policlinico, che nel 1500 era la sede del convento della Chiesa  della Croce di Lucca.

In via Tribunali  sorgono: il tempietto del Pontano (Chiesa  di Santa Maria), il tempio di Diana, di epoca greca, la Chiesa della Pietra Santa, fatta costruire dal Vescovo Pomponio in epoca  vescovile-ducale  ed oggi sede del Museo dell’acqua.

Proseguendo a destra appare il sedile che si trova ai Tribunali, ovvero il Palazzo dell’Imperatore, costruito  intorno all’anno mille  con funzione di fortezza e rifatto in epoca angioina, poi aragonese ed infine spagnola. In questo palazzo hanno dimorato molti personaggi della storia della città tra i quali  Giovanna I d’Angiò, Carlo III, Carlo V imperatore, il Pontano ed il duca d’Avalos.

Difronte a questo palazzo vi è la Chiesa cosidetta “d’e ccap ‘e muorto”, risalente all’anno  1600. Nei pressi di questa Chiesa  si trovano:  vico Purgatoio ad Arco, il vico Fico, via Atri e la via San Paolo. Via San Paolo è un’antica arteria romana che  insieme alle strade Pisanelli, Anticaglia e Cinquesanti copre due teatri greci, il “piccolo” ed il “grande” (complessi monumentali dei quali il secondo ospitava  7.000 spettatori e che vide come attori e cantanti gli imperatori Claudio e Nerone).

Continuando per via Tribunali  arriviamo in piazza San Gaetano dove sorgeva il Foro, proprio sull’acropoli, davanti al tempio di Castore e Polluce  sui  cui resti,  in epoca cristiana, fu edificata la Chiesa di San Paolo Maggiore.

Il Foro era meraviglioso, ornato di colonne marmoree e di piccoli portici, pieno di botteghe artigiane, di profumieri, gioiellieri e di negozi per la vendita di generi alimentari e di vini. Era in quel luogo pieno di vita  che i napoletani  fissavano i loro incontri per contrattare affari e combinare operazioni commerciali, spettacoli teatrali o di gladiatori.

Inoltrandoci sulla discesa a destra incontriamo  l’antica strada del Tempio di Cerere, trasformato in seguito nella Chiesa da Santa Elena madre  di Costantino, che vi traslò il corpo di Santa Patrizia, dove avviene il miracolo della liquefazione del sangue della Santa.

Questa Chiesa  nel V secolo fu ampliata da S. Gregorio quando giunse dall’Armenia e dette il suo nome alla strada che è divenuta famosa nel mondo  per l’arte  presepiale  e dei pastori nata proprio a Napoli nell’anno 1000, poi diffusasi nelle altre città italiane, particolarmente  a Greccio, dove San Francesco nel 1223 costruisce il primo presepe vivente della storia.

In fondo a via San  Gregorio Armeno  abitò la  famiglia di San Gennaro, precisamente  dove appare la cappella di S. Biagio, alle cui spalle sorge il Palazzo Marigliano che affacciava sull’attigua Piazza dell’Olmo. Da queste parti visse anche Gian Battista Vico.

Alessandra Federico

Campi Flegrei. Tra i fuochi della storia

I Campi Flegrei sono i protagonisti  della pubblicazione de La Repubblica nella collana Novanta-Venti in collaborazione con Guida Editori.

Il volume è curato da Ottavio Ragone e Conchita Sannino in collaborazione con Valeria De Paola, Anna Laura La Rosa, con la prefazione di Maurizio Molinari  e il saluto del Sindaco di Napoli Gaetano Manfredi  e attraverso  i contributi degli autori i lettori possono approfondire i Campi Flegrei sotto vari aspetti, quello scientifico, quello storico, quello relativo alla popolazione, ecc., ma vediamoli in dettaglio.

I contributi sono divisi in settori. La scienza con Carlo Doglioni “Il vulcanismo e l’importanza delle geoscienze”, Fabrizio Curcio “Il piano per la popolazione”, Mauro Antonio Di Vito “In ascolto della terra” e “Il Monte Nuovo”, Francesca Bianco “I campi ardenti della Campania”, Italo Giulivo “485mila vite da proteggere”, Dario Del Porto “Il decreto del governo”, Gennaro Annunziata “La vulnerabilità degli edifici”, Iunio Iervolino “Terremoti e costruzioni”.

Le voci dei territori con Luigi Manzoni “Resilienza puteolana”, Josi Della Ragione “La sicurezza è un diritto”, Pasquale Raicaldo “1970, lo sgombero del Rione Terra”.

La cultura e l’ambiente con Fabio Pagano “Il segno della Storia”, Francesco Maisto “Un paesaggio che seduce”, Matteo Palumbo “Paesaggio di ombre e fumi: da Petrarca a Freud a Rossellini”, Marino Niola “Il fuoco amico”, Luigi Vicinanza “Hamilton, il fascino della terra che arde”,  Renata Caragliano “Artemisia Gentileschi nella cattedrale di Pozzuoli”, Patrizia Rinaldi “Ballando sui Campi”, a cura dell’Ufficio Stampa INGV e del Gruppo di Lavoro INGV Vulcani “Le domande più frequenti sui campi flegrei”.

Un volume arricchito da piante, grafici, immagini per scoprire e vivere i Campi Flegrei.

Antonio Desideri

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