La libertà secondo Françoise Giroud

Françoise Giroud (1916-2003) è stata giornalista, scrittrice e attivista politica di origine ebrea. È stata vice-presidente del Parti radical-socialiste e due volte Segretario di stato; ha fondato Elle, nel 1945, e L’Express, nel 1953, con il collega e compagno Jean-Jacques Servan Schreiber. Senza dubbio una guerriera, o, come direbbero i francesi suoi compaesani, una vera maniaca dell’allure.

A 15 anni dalla sua morte, le sue parole e il suo stile giornalistico asciutto ed incisivo, rimangono l’eredità più grande.

La sua biografia, scritta nel 1960, ma uscita postuma nel 2013, inizia con questa frase: “Io sono una donna libera. Sono stata, e dunque posso essere, una donna felice… Esiste qualcosa di più raro al mondo?

Ma come può parlare di felicità una donna che ha sofferto la separazione intollerabile dall’uomo della sua vita, il collega Jean-Jacques Servan-Schreiber, per il quale ebbe anche a tentare il suicidio? Una donna costretta a lasciare il settimanale L’Express, il primo periodico innovativo europeo che lei stessa aveva fondato assieme al compagno; una donna devastata dalla depressione dopo la fuga forzata da Parigi verso la Provenza e poi verso Capri? Può farlo perché, come dice lei stessa: “essere libera vuol dire anche accettare di perdere”.

La Giroud non è stata mai afflitta da mediocrità o disinteresse. Immigrata, partigiana, cineasta e soprattutto giornalista della femminilità prima ancora che giornalista del femminismo, fu sempre divorata da un’autentica passione per la liberazione della donna, tant’è che il combattere è stata la componente fondamentale della sua personalità. Crebbe allevata nel principio che nulla è mai facile, niente è scontato e tutto è da conquistarsi e da difendersi. In effetti non si può comprendere la scrittura fatta di frasi brevi, di paragrafi snelli e ricchi di citazioni letterarie di Françoise Giroud se si trascura il fatto che il suo ambiente, la sua famiglia (di media borghesia), il suo sesso e le sue origini erano da lei considerati degli ostacoli. Perciò bisognava essere la migliore per entrare di merito in quegli ambienti mondani della Tout-Paris, come lei li definiva ironicamente, e che tante volte descrisse e recensì dalle pagine dei suoi settimanali in modo enigmatico e polemico, combattuta tra il volerne far parte e riuscire ad emergerne completamente.

Alla fine della sua vita dichiarò apertamente la necessità che le donne dovessero poter accedere a tutte le più alte cariche di responsabilità, specificando che non si doveva sperare che rendessero meglio degli uomini: non è la donna che trasformerà il potere; è il potere che trasformerà tutto.

Un’autentica manifestazione di pensiero libero e anche di pari opportunità.

Rossella Marchese

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