Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta

 Stefania Prandi, il femminicidio può essere attribuito al caso o è un fenomeno con radici culturali e sociali profonde, tenendo presente che, secondo il rapporto Eures, in Italia viene assassinata una donna ogni sessanta ore?

Come ha dichiarato l’Assemblea generale delle Nazioni unite nel 1993, «La violenza contro le donne è la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna, che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro, e ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne». Il femminicidio si inserisce in questa subalternità. In Italia viene assassinata, in media, una donna ogni sessanta ore e mentre il numero degli omicidi diminuisce, quello dei femminicidi, in proporzione, aumenta e rappresenta quasi il 40% del totale. Scrive il magistrato Fabio Roia in “Crimini contro le donne. Politiche, leggi, buone pratiche”: «Il fenomeno della violenza contro le donne è un atteggiamento diffuso, oscuro, antico, tollerato». Ci sono diverse statistiche a disposizione. Nei paesi dell’Unione europea una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della vita, e una su venti è stata stuprata. I dati sono in linea con l’Italia, stando ai rapporti annuali dell’Istat. Da noi, inoltre, manca una percezione reale del problema: appena un terzo di chi subisce violenza ritiene di essere vittima di reato.

Si reputa che la intimate partner violence si riveli una strategia per “fare il genere”, e per “fare le maschilità”. La polisemia di accezioni (genere linguistico, biologico e sociale) che la lingua sviluppa dimostra quanto la dimensione linguistica emani riecheggiamenti nella maniera in cui si avverte la realtà, si erige l’identità e si calcificano i preconcetti. Reputa che modi di dire, proverbi e battute possano costituire l’anticamera di forme di violenza?

Come scrive giustamente la ricercatrice e studiosa Chiara Cretella nell’introduzione al mio libro, “i processi di nominazione creano il reale”. Certe espressioni o modi di dire sono parte integrante della violenza, sono espressioni della cultura della violenza maschile contro le donne e della violenza di genere che ancora definisce la nostra società.

Chi paga le conseguenze del femminicidio ed in quali forme?

Quando una donna muore per mano di un uomo, non viene distrutta soltanto una vita, si colpiscono intere famiglie. A pagare le conseguenze dei femminicidi – che pesano per generazioni, duecento anni o più – sono madri, padri, sorelle, fratelli, figli . A loro restano i giorni del dopo, i ricordi immobili appesi ai muri, trattenuti dalle cornici, impressi nei vestiti impolverati, le spese legali, i ricorsi, le maldicenze nei tribunali («se l’è cercata», «era una poco di buono»), le giustificazioni: «stavano litigando», «lui era fuori di sé per la gelosia», «era pazzo d’amore», «non accettava di essere lasciato».

I media offrono plurimi e molteplici voci di famiglie che rifiutano di ripiegarsi nella sofferenza ed avviano battaglie giornaliere. Qual è il loro fine?
Sempre più familiari (nella maggioranza dei casi madri), intraprendono battaglie quotidiane, piccole o grandi, a seconda dei casi. C’è chi scrive libri, organizza incontri nelle scuole, lancia petizioni, raccoglie fondi per iniziative di sensibilizzazione e fa attivismo online. Lo scopo è dimostrare che quanto si sono trovati a vivere non è dovuto né alla sfortuna né alla colpa di chi è stata uccisa, ma ha radici culturali ben precise.

Le norme religiose, a cui sono poi seguite le leggi civili, hanno acuito le disparità e le differenze tra maschi e femmine. Qual è ad oggi lo status delle discriminazioni di genere, soventemente preludio a forme di violenza?
Tutti gli indicatori internazionali e nazionali ci dicono che le discriminazioni di genere sono ancora presenti e hanno un peso enorme sulle vite individuali e sulla società.

Stefania Prandi, giornalista, scrittrice e fotografa, ha realizzato reportage e inchieste in Italia, Europa, Africa e Sudamerica. Si occupa di questioni di genere, lavoro, diritti umani, ambiente e cultura. Tra le sue collaborazioni: Il Sole 24 Ore, National Geographic, Azione, Radiotelevisione svizzera, El País, Al Jazeera, Correctiv, BuzzFeed. Nel 2018 ha pubblicato con la casa editrice Settenove Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo. Con l’inchiesta legata al libro ha vinto numerosi riconoscimenti internazionali e premi come Henri Nannen Preis, Otto Brenner Preis, Georg Von Holtzbrinck Preis, Volkart Stiftung Grant, The Pollination Project Grant. A ottobre 2020 ha ricevuto la menzione speciale alla XXIma edizione del Premio di scrittura femminile “Il Paese delle Donne et Donna e Poesia”. Nel 2020 (settembre), sempre con Settenove, ha pubblicato il libro Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta col quale, lo scorso ottobre, ha vinto il premio letterario Essere Donna.

Giuseppina Capone

Annalisa Corrado: Le ragazze salveranno il mondo

Annalisa Corrado, ingegnera meccanica, ha conseguito nel 2005 un Dottorato di Ricerca in Energetica presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Dopo le prime esperienze con le società Ambiente Italia ed Ecobilancio come consulente/analista Life Cycle Assessment, per la valutazione del ciclo di vita di prodotti e servizi, ha ricoperto per 2 anni ruoli di consulenza specializzata presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Attualmente è responsabile dello sviluppo dei progetti innovativi della società ESCO AzzeroCO2 e referente delle attività tecniche dell’associazione Kyoto Club con le quali collabora stabilmente dal 2007; si occupa principalmente di promuovere e costruire azioni per la mitigazione dei cambiamenti climatici, strategie per la sostenibilità in chiave “agenda 2030 dell’ONU”, percorsi di economia circolare. Ha co-ideato con Alessandro Gassmann la campagna #GreenHeroes, che attualmente coordina. E’ co-portavoce, dal 2014, dell’associazione ecologista Green Italia. Parliamo del suo libro “Le ragazze salveranno il mondo” edito da People.

Per quale ragione, oggidì, sono le donne a scandire la grande lotta del movimento ecologista?

Pur non essendo un’amante delle generalizzazioni, che sono un terreno molto scivoloso, credo che tanti dei talenti e delle attitudini delle donne, abbiano moltissimo a che vedere con l’approccio ecologista alla realtà. Le donne hanno con più facilità uno sguardo sistemico, che non lascia indietro pezzi o persone; sono più spesso attente alle conseguenze delle proprie azioni e non lasciano che un singolo obiettivo possa divenire un alibi per abbandonare ogni remora o sguardo critico. Probabilmente l’ancestrale abitudine a tenere sotto controllo più cose e più persone è diventata un’attitudine preziosissima alla cura, alla condivisione, all’empatia e alla protezione: uno sguardo che invece è stato sistematicamente cancellato e dimenticato dalla mentalità fossile e turbo-capitalistica, che ha sempre considerato la natura un castello pieno di ricchezze da espugnare e saccheggiare, piuttosto che la nostra casa.

Le donne sono riuscite ad abbattere con fiera determinazione le gabbie concettuali in cui abbiamo abitato per lungo tempo. Ebbene in cosa si diversifica il punto di vista muliebre?

Mah, il cammino da fare è lungo. Il patriarcato si è insinuato così profondamente nella nostra società, da risultare molto spesso mimetizzato per molte persone. Ci sono ancora moltissime gabbie in giro e moltissimi fabbri che cercano di costruirne di nuove quando alcune vengono forzate o distrutte. E’ una battaglia continua per molte di noi, anche per alcune delle protagoniste del mio libro.

Un po’ ho risposto a questa domanda nella prima… Posso però aggiungere una riflessione: donne cresciute in una società in cui ai bambini si insegna la determinazione e l’arroganza, mentre alle bambine la remissione e la docilità, seppur portatrici di talenti, competenze e passione, saranno molto probabilmente soggette ad uno scontro durissimo con un senso di inadeguatezza profondo, con una pressione sociale spaventosa, solo perché osano prendere spazio e parola.

Nella mia esperienza, però, il senso di inadeguatezza diviene spinta all’evoluzione, desiderio di continuo apprendimento e consolidamento. E diventa uno strumento prezioso.

Rachel Carson, la donna che sconfisse le multinazionali del DDT, il premio Nobel Wangari Maathai, l’instancabile Jane Fonda, Alexandria Ocasio-Cortez e Greta Thunberg unite in un’alleanza intergenerazionale. Qual è il filo rosso, la traccia che le accomuna, pur nelle ovvie specificità?

Sono donne che hanno mostrato una grandissima determinazione e una profonda dedizione alle cause che hanno identificato come davvero importanti. Sono state capaci di creare reti, comunità, mobilitazioni che sono divenute vere e proprie onde anomale, in grado di scuotere l’opinione pubblica e cambiare, seppur in misura diversa, il corso della storia. Donne che non hanno fatto mistero della propria fragilità, ma hanno saputo renderla una specie di “super potere”, che le ha rese più credibili, più umane, più vicine alle persone che hanno deciso di mettersi in cammino al loro fianco.

Ecologia e democrazia sono un connubio inscindibile?

Lo dimostra chiaramente la storia di Wangari Maathai, che ha rischiato più di una volta la vita per essersi resa invisa al regime keniota, e al suo sommo esponente Moi, proprio per aver difeso i territori del suo Paese dagli scempi, le devastazioni e i veri e propri saccheggi che lo stra-potere di multi-nazionali voraci esercitavano indisturbate a danno di patrimoni di biodiversità inestimabili, della salute delle persone e della loro stessa possibilità di vivere una vita degna. Lo dimostrano anche le storie più recenti, in cui pochissimi detentori di un enorme potere (come le compagnie petrolifere o come le multinazionali della chimica) cercano di condizionare le scelte dei Governi con ogni mezzo, anche montando e alimentando vere campagne anti-scientifiche o nascondendo informazioni preziose, pur di tutelare i propri interessi, a discapito di tutti.

Qual è il futuro prossimo del movimento ecologista?

Credo che di fronte a un sistema di potere fossile così consolidato e pervasivo, di fronte ai grandi sconvolgimenti che l’umanità ha attratto su se stessa con miope auto-lesionismo (dal collasso climatico al COVID19, pandemia annunciata), sia necessaria una mobilitazione mai vista fino ad ora. Globale, intergenerazionale, intersezionale. Una mobilitazione che deve farci sentire tutti convocati, perché abbiamo il dovere di non sprecare questa ennesima crisi e pretendere che non si torni più ad una “normalità” di devastazioni e diseguaglianze, ma ad un nuovo modo di pensare le relazioni sociali ed economiche. Arriveranno molti soldi per aiutare i Paesi a gestire la crisi economica scatenata dalla pandemia. Dobbiamo fare in modo che non un solo euro vada sprecato, perché sono, ancora una volta, risorse prese in prestito dal futuro e al futuro devono essere dedicate. Dobbiamo uscire dall’era delle fossili ed entrare in quella delle energie rinnovabili, dobbiamo pretendere che i Paesi siano coerenti con gli impegni presi a Parigi nel 2015 con la COP21, dove si è deciso di decarbonizzare economia e società entro il 2050 (E, anche da questo punto di vista, la vittoria di Biden/Harris è un’ottima notizia); dobbiamo ricordare che non c’è giustizia climatica o giustizia ambientale senza giustizia sociale, e viceversa. Dobbiamo cambiare tutto, insomma. A partire dall’osare immaginare che il mondo possa diventare davvero un posto diverso.

Giuseppina Capone

 

 

 

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