Distretto 108 Ya Lions International: I Giovani e la sicurezza stradale

“I Giovani e la sicurezza stradale” è il tema di uno dei numerosi service posti in campo dai Club del Distretto 108 Ya Lions International, ne parliamo con Antonio Porcaro Coordinatore Distrettuale.

Un service molto importante dedicato alle giovani generazioni?

Un service permanente nazionale. Già da diversi anni i Lions si dedicano anche a questa attività per cercare di educare i giovanissimi al senso della legalità. Fino a quando non ci sarà l’obbligo, nelle scuole, di studiare nell’educazione civica anche l’educazione stradale noi saremo vicino ai giovani.

La scuola è protagonista di queste iniziative che i Club del Distretto 108 Ya e da lei coordinate stanno mettendo in campo sin dai primi giorni del mandato del Governatore del Distretto Pasquale Bruscino…

I  Consigli di Istituto sono ben lieti di inserire, nei programmi annuali, “I Giovani e la sicurezza stradale” per cui accolgono favorevolmente le nostre richieste.

Foto di Luciano Campanile

Quanti Service fino ad ora in tema di sicurezza stradale avete effettuato?

Essendo responsabile del Distretto  108Ya al momento non mi sono state comunicate altre attività oltre alle quattordici a cui ho presenziato per un totale di circa 1600 alunni, di ogni ordine e grado, incontrati.

Ci sono altre iniziative in programma?

Da quanto mi risulta altri Lions  del nostro distretto stanno calendarizzando le attività.

Ritiene che in tema di sicurezza stradale sia necessario fare di più, che servano ulteriori norme per tutelare la sicurezza delle persone?

Non saranno mai troppe ulteriori norme per tutelare la vita delle persone. Difronte a tragedie così gravi, dove ogni anno muoiono migliaia di giovani, per incidenti stradali, nessuno può restare indifferente. Tutti dobbiamo contribuire a ridurre  il numero dei morti.

Purtroppo causa, probabilmente, il ridotto numero di pattuglie che vigilano sulle strade, soprattutto di notte, non si rispettano le regole e vige la legge del più forte, del più ubriaco e o drogato.

Diversi anni addietro i giovani, considerando che alle uscite di molte discoteche e o locali notturni c’era una pattuglia di polizia a controllarle il tasso alcolemico, avevano un sacrificato uno a turno, che non aveva bevuto perché era addetto alla guida dell’auto. Non mi risulta che ci sia ancora questo servizio.

Antonio Desideri

Il patrimonio di Napoli e della Campania: Parco del Poggio

Napoli è davvero la città dei Miracoli.

La collina dei Colli Aminei è parte della terza Municipalità comprendente il Rione Sanità dove si trova la piazza dei Miracoli.

Dal rione Sanità partono numerose strade in salita che custodiscono la storia della città e appaiano come percorsi di campagna.

Salendo via della Conocchia arriviamo all’antico convitto Pontano alla Conocchia  chiamato così per l’antico mausoleo romano che si trovava nei pressi del Parco del Poggio.

Nel 2001 quel piccolo ma stupendo luogo naturale e salubre fu restituito alla cittadinanza trasformandolo in un parco pubblico.

Il Parco si trova in un’antica cava di tufo che fino agli Anni  Sessanta era utilizzata per l’edilizia. Terminata l’estrazione del tufo, la cava fu abbandonata per diversi anni fino a quando nel 1998 il Consiglio comunale pervenne a progettare la realizzazione in quell’area di un parco urbano.

Quella realizzazione fu commentata dall’Amministrazione Comunale con queste parole: “Sulla collina di Capodimonte, il parco è un esempio di recupero di un’area di cava, sottratta alla nuova edificazione che ha modificato tra gli anni sessanta e settanta l’aspetto della zona”.

Dal parco si gode uno dei più bei panorami della città che si affaccia direttamente sul centro storico e sul meraviglioso golfo di Napoli.

Questo fazzoletto di terra è davvero un gioiello, non molto conosciuto per la sua posizione nascosto tra le stradine dei Colli Aminei, ma chiunque lo raggiunga rimane colpito profondamente dalla sua straordinaria totalizzante bellezza e dalla magia del luogo.

Il parco ha una superfice di 40.000 mq e si apre al visitatore con un giardino botanico e una piccola area giochi per i bambini. Il percorso che conduce all’interno si snoda attraverso leggere pendenze che portano il visitatore accanto al laghetto dove si tuffano numerose cascate d’acqua. Si attraversano i viali coperti da pergolati che proteggono dai raggi del sole. L’intero parco è costituito da vari terrazzi avvolti da ginestre e da una flora mediterranea costituita in prevalenza da olivi e corbezzoli.

Gli alberi che circondano il laghetto sono in maggior numero pini e lecci contornarti da bambù e strelitzie che si affacciano sul lago dove, di fronte ad un piccolo anfiteatro a scalinata, si trova una pedana sulla quale si realizzano spettacoli.

La meraviglia vi attende.

Alessandra Federico

 

Pasquale Buscino sigla il protocollo d’intesa con il Centro SINAPSI della Federico II

Martedì 26 marzo 2024 alle ore 10.00 presso il Centro SINAPSI, Università degli Studi di Napoli “Federico II” in via Giulio Cesare Cortese n. 29, Napoli, sarà firmato il Protocollo d’Intesa tra il CENTRO SINAPSI, Direttrice prof.ssa Maria Francesca Freda e il DISTRETTO 108 Ya Lions International, Governatore Dott. Pasquale Bruscino.

Dopo il protocollo siglato con il Garante regionale dei diritti delle persone con disabilità (Regione Campania), il Distretto 108 Ya (che racchiude i Club Lions di Basilicata, Calabria e Campania) realizza con il Centro SINAPSI dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” un’altra importante sinergia per promuovere e tutelare l’inclusione, la vita indipendente ed il benessere delle persone con disabilità.

25Alle 11.00 seguirà la firma da parte del Governatore Bruscino del Protocollo d’Intesa tra la Fondazione Genere Identità Cultura ETS, presieduta dal prof. Paolo Valerio e il Distretto 108 Ya.

A curare i protocolli sono stati rispettivamente il prof. Paolo Valerio, presidente onorario del Centro e la dott.ssa Valeria Mirisciotti, delegata distrettuale del Governatore per la disabilità e Kairos.

I Lions del Distretto 108 Ya da sempre impegnati con i loro Service in attività volte a favorire la tutela delle persone con disabilità, l’inclusione, il rispetto e la valorizzazione delle differenze, della lotta a pregiudizi e discriminazioni, avranno due strumenti in più per perseguire le loro finalità.

Il Lions Club Nola Host “Giordano Bruno” premia i vincitori di “Un Poster per la Pace”

Presso l’Istituto comprensivo “G. Bruno-Fiore” di Nola si è tenuta il 14 marzo scorso la premiazione dei vincitori del Concorso “Un Poster per la Pace” edizione 2023-2024 del Lions Club Nola Host “Giordano Bruno”.

Sono intervenuti Maria Ferrante, presidente del Club, Amalia Auriemma, referente X Circoscrizione “Un Poster per la Pace”; Lorenzo Di Palma, presidente Leo Club “G. Bruno”; Carmine Sautariello, vice sindaco Comune di Nola; Federico Totaro, presidente X Circoscrizione Distretto 108 Ya Lions International; Maria Iervolino, dirigente scolastica I.C. “G. Bruno-Fiore” Nola; Anna Iossa, dirigente scolastica I.C. “F.lli Mercogliano-Guadagni” di Cimitile; Concetta De Crescenzo, dirigente scolastica I.C.S. “Goffredo Mameli” Piazzolla di Nola; docenti in rappresentanza della dirigente scolastica Rosanna Lembo dell’I.C. “Omodeo Beethoven” Scisciano; Giuseppina La Montagna, dirigente scolastica I. C. “Don Milani – Aliperti” Marigliano; docenti in rappresentanza della dirigente scolastica Angela Sciancalepore dell’I.C. “San Giovanni I” Roccarainola.

Il pomeriggio è stato allietato dagli interventi musicali dei giovani allievi di chitarra dell’I.C. G. Bruno-Fiore con la docente Nunzia Napolitano e dell’I.C. “San Giovanni I” con il docente Antonio Correra.

A introdurre e moderare i lavori Marianna Napolitano, vice presidente del Lions Club Nola Host “Giordano Bruno” e responsabile del service “Un Poster per la Pace”, con lei parliamo dell’iniziativa.

Cosa significa per lei la pace?

Partendo dall’etimologia, pace deriva dalla parola  latina pax,  col significato di pattuire, legare, unire.

Quando si pensa alla pace, la mente corre alle immagini di morte e distruzione dei tanti conflitti, che i mezzi di comunicazione ci trasmettono.

Il concetto di pace, non deve essere considerato soltanto in contrapposizione allo stato di guerra.  La pace deve essere una condizione di armonia che accompagna la nostra quotidianità ed abbraccia i concetti  di solidarietà, amicizia, uguaglianza, condivisione, integrazione, inclusione, libertà, giustizia sociale, rispetto per l’ambiente.

La pace deve essere una priorità di tutti, in quanto ogni singolo uomo ha il dovere di costruire il sentimento di pace nelle sue relazioni umane.

Quando parlo ai ragazzi, che partecipano al concorso “Un Poster per la Pace”, faccio loro sempre un esempio molto semplice e chiedo: quando voi litigate con i vostri amici e poi vi riappacificate, cosa dite? “Abbiamo fatto pace”. Questo per far capire quanto la pace sia un concetto molto vicino a noi e non una condizione che riguarda solo i contesti bellici.

Da quanti anni il Club partecipa al service “Un Poster per la Pace”?

Il nostro club, il Lions Club Nola Host “Giordano Bruno”, opera sul territorio e per il territorio da 33 anni e si impegna per questo service da più di un decennio.  Me ne occupo con dedizione ed impegno dal 2018. Considero questo uno dei service più importanti del Lions International per due motivi fondamentali: è un concorso internazionale giunto alla 36ma edizione e riveste grande significato non solo per il tema trattato, ma anche per il target cui è rivolto (ragazzi dagli 11 ai 13 anni).

La nostra è un Associazione di servizio e  con questo concorso,  raggiungiamo pienamente  il nostro obiettivo. Per il solo fatto di riuscire a piantare un piccolo seme di riflessione su un tema così sentito ed attuale come quello della pace in ragazzi di un età cosi delicata, abbiamo già reso un servizio al territorio. In particolare perché sono coinvolte tante scuole che ogni anno ci aprono le porte e rinnovano la fiducia nei nostri confronti.

Foto di Raffaele Castaldo

Quest’anno il tema ha un significato ancora più forte…

Ogni anno il tema del concorso cambia. Ricordo quelli degli ultimi anni: “Guidare con compassione”, “Siamo tutti connessi”, “La pace attraverso il servizio”.

Tema di quest’anno sociale 2023/2024  è “Osate sognare”, di grande impatto simbolico ed emotivo, come dimostrano i tanti disegni che ci sono pervenuti. Un tema che mette al centro del nostro essere l’amore, che realizza l’impossibile e non conosce ostacoli, capace di trasformare tutto ciò che viene distrutto dall’egoismo e dalla cattiveria, per svegliarci in un mondo reale e nuovo dove respirare l’aria della vera pace.

Il tema scelto per il concorso per l’anno 2024/2025  è  “Pace senza limiti”.

Come si articola l’iniziativa?

Si tratta di un concorso internazionale che ogni anno coinvolge centinaia di migliaia di ragazzi in tutto il mondo, di età compresa tra gli 11 e i 13 anni, che esprimono la loro visione della pace attraverso la forma artistica del disegno. Ogni Club, all’inizio dell’anno scolastico,  invita le scuole del territorio ad aderire all’iniziativa e a consegnare i lavori che poi saranno valutati da alcuni soci. Tra questi si sceglie un disegno che dovrà essere inviato entro il 15 novembre al Distretto per le successive selezioni e che rappresenterà il singolo Club.

Ciascun Club, poi, organizza una premiazione a livello locale per le scuole che hanno aderito.

Come valuta la partecipazione dei giovani all’iniziativa?

Ogni anno aumentano le scuole ed il numero dei ragazzi che partecipano al concorso. Quest’anno hanno partecipato 6 scuole del territorio e ci sono pervenuti circa 400 disegni. Questo è motivo di orgoglio per il nostro Club e ci sprona a fare sempre meglio. Tutti i ragazzi hanno ricevuto un attestato di partecipazione e dei classici della letteratura. Occupandomene da anni, posso dire di aver creato un format di successo, che riceve consenso presso i dirigenti scolastici, i docenti, i ragazzi, le famiglie e le istituzioni locali e lionistiche.

Voglio ricordare, che anche durante la pandemia, il concorso non si è fermato. Essendo così sentito, hanno aderito tante scuole ed i ragazzi hanno lavorato a casa. L’anno successivo, poi, abbiamo organizzato un’unica premiazione per tutti.

Quale poster ha vinto?

Tra i circa 400 disegni che ci sono pervenuti, insieme alla presidente Maria Ferrante, che ringrazio ancora per la fiducia e alla socia Barbara Ogliaruso, che mi affianca nell’organizzazione, abbiamo scelto il poster di Marilù Ambrosino dell’I.C. “Don Milani – Aliperti” di Marigliano. Alla D.S. Giuseppina La Montagna abbiamo donato una targa di partecipazione per la scuola.

Un disegno ricco di simboli ed espressività, che dimostra la grande sensibilità di Marilù, che ha iniziato a lavorare al disegno già a luglio dello scorso anno. Alla vincitrice abbiamo donato una targa di partecipazione ed una gift card della Mondadori.

Il service che ha coordinato è stato un’esperienza che rivivrebbe?

Ogni anno per me e per tutti i soci, questo concorso rappresenta un  importante momento di crescita associativa ed umana. Per questo ringrazio il Lions Club Nola Host “Giordano Bruno” e i presidenti che negli anni mi hanno accordato stima e fiducia. Ringrazio inoltre i dirigenti scolastici, i docenti di arte e, soprattutto, i ragazzi, che sono i protagonisti di questo concorso. Ragazzi, che attraverso l’espressività dei simboli e della scala cromatica riescono a declinare la loro visione della pace a 360 gradi.

Tanti poi sono i ragazzi “Speciali” che ci  regalano forti emozioni e gratificano il nostro lavoro.

Concludo con una considerazione personale. Considero “Un poster per la pace”, un premio alla bellezza, non solo estetica, trattandosi di disegni, ma anche di valori universali. Per questo ritengo importante il ruolo della scuola nell’educazione alla bellezza per la crescita umana e morale dei ragazzi. L’educazione alla bellezza, può essere un punto di forza e nel caso specifico veicolo e strumento di pace.

Al prossimo anno.

Antonio Desideri

 

(Foto: Federico Totaro)

Marzo Donna 2024: La Donna Terra Madre

La Donna Terra Madre” è il titolo dell’iniziativa organizzata presso il Parco Ventaglieri in via Avellino a Tarsia (Napoli) mercoledì 20 marzo 2024 dalle ore 10 alle ore 13.00, dalla Consulta delle Associazioni, delle Organizzazioni di Volontariato e degli ETS della Municipalità 2 presieduta da Giovanna Farina.

L’evento è incluso nel calendario del “Marzo Donna 2024 – La donna e il tempo di cambiare” del Comune di Napoli.

“Un incontro partecipato aperto a tutti che porta il suo messaggio nel parco Ventaglieri per declinare e sollecitare riflessioni, sotto varie forme, contesti e modi diversi, intorno al tempo di cambiare, comprendere, vivere la relazione Donna Terra Madre”, questo l’intento della Consulta delle Associazioni, ODV e ETS proponente.

“La forte sinergia sviluppata all’interno della Consulta delle Associazioni, ODV e ETS della Municipalità 2 ha consentito anche in questa occasione di mettere in campo un evento di significativa rilevanza per il territorio che coniuga i temi più strettamente legati al Marzo Donna con quelli dell’ambiente e dell’importanza che l’associazionismo e la cultura hanno nel riscatto sociale della persona”, sottolinea Roberto Marino, presidente della Municipalità 2.

L’Assessore alle Politiche Sociali e giovanili, Manutenzione parchi e giardini, Salvatore Iodice, evidenzia che “non è stato un caso la scelta di Parco Ventaglieri dove da tempo sono in atto attività di riqualificazione e iniziative per il territorio non ultima quella della istallazione di paline recanti poesie scelte dai ragazzi del Liceo Gianbattista Vico che  presentata in questa occasione”.

“Ancora una volta la Consulta presenta all’attenzione del territorio e della cittadinanza un’iniziativa che concentra l’attenzione su alcuni importanti temi di discussione e approfondimento per la vita delle persone favorendo inclusione e partecipazione”, conclude Enrico Platone, Consigliere delegato Municipalità 2.

L’iniziativa sarà articolata:

Ore 10.00 Apertura e saluti

 Avv. Roberto Marino, Presidente Municipalità 2

 Dott. Enrico Platone, Consigliere delegato Municipalità 2

Arch. Giovanna Farina, Presidente Consulta delle Associazioni, OdV e ETS Municipalità 2

Introduzione

Salvatore Iodice, Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili Municipalità 2

Presentazione e inaugurazione istituzione del primo parco poetico sulla Municipalità 2

Interventi

Ambiente: la frontiera di una nuova alleanza

Avv. Argia Di Donato, Presidente Associazione NomoΣ Movimento Forense

La donna e “’O Mare”

Concetta Landolfi, Presidente Comitato Residenti del Borgo Antico

Il sorriso delle donne

Rodolfo Matto, presidente e Francesca Fredella, responsabile relazioni e affari Istituzionali Associazione Teniamoci per mano Onlus

I segni di Terra Madre

Arch. Giovanna Farina e Arch. Rossella Russo, Associazione Donne Architetto – Napoli

Una panchina per….

Paola Silvi, Presidente Associazione Legambiente Parco Letterario del Vesuvio

Donne artefici di futuro

Dott.ssa Bianca Desideri, Vice presidente Associazione Culturale “Napoli è”

Dott.ssa Matilde Colombrino, assistente sociale Fondazione Casa dello Scugnizzo Onlus

Dott.ssa Assunta Landri, Psicologa – Psicoterapeuta, Sportello d’Ascolto FoCS

Con la partecipazione di: dott. Raffaele De Magistris, Associazione Società dei Naturalisti in Napoli e Arch. Maria Teresa Dandolo, Presidente Associazione Fiab Napoli Ciclo Verdi.

 

Intervista a Valeria Melis: Il grido di Andromaca. Voci di donne contro la guerra

Professoressa Melis, per quale ragione proprio Andromaca diventa vessillo di tutte le donne preda e bottino di guerra?

Io e gli altri curatori del libro, Alberto Camerotto e Katia Barbaresco, abbiamo scelto di porre in primo piano il personaggio di Andromaca, perché, a nostro parere, la sua figura è quella che può rappresentare meglio le atroci sofferenze patite dalle donne quando la guerra abbatte le mura e devasta la città: Andromaca assiste dall’alto della rocca di Ilio alla brutale uccisione del marito, Ettore, e poi subisce la perdita del figlioletto Astianatte, gettato dalle mura di Troia senza alcuna pietà, per la sola “colpa” di essere il successore del padre nella guida e nella difesa del suo popolo. Dopo la caduta della città, Andromaca diventa preda e bottino di guerra di Neottolemo, da cui ha un figlio, Molosso, suscitando l’odio e l’invidia della legittima moglie di lui, Ermione. Inoltre, Andromaca non rappresenta solo la condizione della donna greca antica che patisce le conseguenze della guerra, ma assurge a simbolo assoluto. Nell’Iliade (VI 58-60), Agamennone, rivolgendosi al fratello Menelao, tuona che la distruzione di Troia deve essere totale e che nessun bimbo, nemmeno quello ancora nella pancia della mamma, deve sopravvivere. Un’idea, questa, drammaticamente attuale, che ci rimanda subito all’immagine scattata da Evgeniy Maloletka a Mariupol, in Ucraina: una giovane donna, Iryna Kalinina, viene portata via su una barella dopo il bombardamento dell’ospedale pediatrico nel quale si trovava. Il suo pancione è grondante di sangue. Ancora vi custodisce  Miron (nome che, proprio come quello della madre, significa ‘pace’), nato morto: né madre né figlio hanno avuto scampo. Andromaca, che, nel giro di poco tempo, perde marito, figlio e la propria libertà, ben rappresenta il dolore universale della guerra.

Dagli archetipi epici museali della guerra alla letteratura: quali convergenze?

Appena terminate le restrizioni più severe legate all’epidemia da Sars-CoV-2, non essendo ancora possibile riunirsi nei teatri o nelle scuole, il gruppo di ricerca Aletheia, creato e diretto da Alberto Camerotto (Professore di Lingua e letteratura greca dell’Università Ca’ Foscari Venezia), ha deciso di portare la voce dei Classici nei musei d’Italia. Abbiamo cominciato il 3 marzo 2022 al Museo Archeologico Nazionale di Venezia, in piazza San Marco, con un’azione intitolata La morte negli occhi. Filologi, archeologi, docenti e studenti si sono riuniti tra le statue e le steli del museo per parlare degli archetipi epici della guerra, del pianto e del dolore causati da tante morti cruente. Le parole volavano alate tra le statue dei Galati, effigi del nemico sconfitto, le quali ci ammoniscono rammentandoci un fatto ineludibile: nelle guerre e nei conflitti, anche nelle piccole beghe di ogni giorno, a trionfare è l’odio, la sofferenza, l’invidia: nessuno è davvero vincitore. Poi, abbiamo attraversato l’Italia, andando, novelli clerici vagantes, di museo in museo. A Vicenza, alle Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari e al Museo Naturalistico e Archeologico di Santa Corona, l’8 marzo 2022, è nata l’idea del libro Il grido di Andromaca. Voci di donne contro la guerra (Vittorio Veneto 2022). Quel giorno, a Vicenza, infatti si parlava di Donne e caduta della città. Al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, invece, è avvenuto l’incontro con La madre dell’ucciso, un bronzetto nuragico ritrovato a Urzulei, in provincia di Nuoro, e risalente al X-VII sec. a.C., quindi all’epoca in cui, in Grecia, gli aedi cantavano l’epos omerico. Il bronzetto raffigura una madre che compostamente piange la morte del figlio in guerra: l’uomo che tiene tra le braccia è infatti un guerriero spirato in battaglia. La sorte ha deciso il nostro incontro con quest’opera straordinaria, che abbiamo voluto nella copertina del libro come simbolo della dimensione universale del dolore della guerra.

Idea unica in tutto il teatro comico, si eleva al ruolo di star nientedimeno quella fetta della società attica libera ma debole ed inascoltata, tuttavia partecipe tanto quanto gli uomini dei lutti e dei dolori della guerra. Lisistrata racconta la sua storia: con quale obiettivo?

L’obiettivo, non solo nella finzione, è convincere i cittadini a porre fine alla guerra del Peloponneso, conflitto che ormai da vent’anni sconvolge la vita di Atene e Sparta e di tutto il mondo greco. Nella commedia, infatti, sebbene l’idea di attuare uno sciopero del sesso per indurre gli uomini a stipulare la pace sia dell’ateniese Lisistrata, partecipano all’azione tutte le donne della Grecia, ciascuna con le proprie forze: le giovani con l’arte della seduzione, le vecchie con l’azione e la saggezza, che suggerisce loro di occupare l’acropoli di Atene impedendo l’accesso al tempio di Atena, dove sono depositate le ricchezze che foraggiano il conflitto. Si è parlato molto della possibile “identità” delle protagoniste, che alcuni hanno descritto come lascive etère, dando, a mio parere, spazio eccessivo all’aspetto erotico della trama, senza considerare altri importanti elementi. Come si può evincere dalla commedia, le donne in azione sono astai, cioè cittadine, che, pur non godendo in alcun modo dello status dei cittadini di sesso maschile, costituiscono comunque parte importante e integrante della polis, cui offrono il tributo più alto: i figli, destinati a riempire le fila delle milizie cittadine e, quindi, a sacrificare la loro vita per la sopravvivenza della comunità (Aristoph. Lys. 650-651). Un altro errore prospettico su questa commedia è consistito nello scorgervi un manifesto femminista o, al contrario, maschilista: nulla di più lontano dall’orizzonte greco antico e da quello di Aristofane, che ha voluto, piuttosto, porre in scena una realtà paradossale (le donne al potere, come avviene anche nelle Ecclesiazuse) per dare maggiore potenza al suo messaggio. Non manca, comunque, un intento mimetico utile a carpire il punto di vista femminile sulla guerra.

Le opere greche si confermano quali testi archetipici del pensiero occidentale, contemporanee ad ogni epoca. Quali ragioni ravvede nella specifica proprietà della letteratura greca di porsi sempre in maniera speculare alle fratture epocali?

I poemi omerici sono spesso considerati come una sorta di “atto di nascita” della letteratura e della cultura occidentale. Dentro questi poemi così antichi e apparentemente lontani troviamo un’umanità, che, seppure filtrata dalla leggenda eroica e dalla fantasia, ci è vicina nei pensieri e nelle opere: la guerra, il viaggio, la scoperta di terre “altre”, l’amore, le amicizie, le inimicizie, le scelte giuste e quelle sbagliate, l’onore, la sconfitta e la vittoria, gli sfarzi dei re, la vita  degli artisti, la quotidianità della gente comune e le miserie di chi è tenuto ai margini sono tutte descritte in quei poemi. Poi, viene il resto: la lirica, il teatro, l’oratoria, la biografia, la satira… Si tratta di un bagaglio di esperienze umane che ci consente di meditare su di noi e su come desideriamo essere, come individui e come comunità, attraverso un processo di identificazione e di antitesi: per molti aspetti continuiamo a essere sempre gli stessi e a comportarci nel medesimo modo, ma per molti altri siamo cambiati, a volte in meglio, a volte in peggio. Il cammino degli esseri umani lungo i sentieri della Storia non è sempre lineare: si può anche regredire. La letteratura greca ci aiuta a dialogare con noi stessi e con la nostra Storia, a capire meglio il percorso che abbiamo compiuto e come vogliamo affrontare quello che ancora è innanzi a noi. Detto questo, confesso che non amo affatto pensare alla cultura greca e latina, così come ad altre culture, in termini di “radici”: la cultura occidentale non è frutto della sola cultura greca o romana antica e non è frutto di alcuna singola cultura. Affermare il contrario significa promuovere un falso storico, spesso condito da un sostrato di arrogante elitarismo che nulla ha a che fare con una cultura umanistica che voglia essere di spessore.

«Poi Zeus sposò la lucente Themis, che diede alla luce Horai ed Eunomia, Dike e la fiorente Eirene, colei che dà significato ai travagli degli uomini mortali». Così Esiodo. Nel complesso momento storico che viviamo quale significato assume il termine “Pace”?

Credo il significato dell’utopia, lo stesso, cioè, che il termine ha assunto anche in tanti altri periodi difficili della Storia. A partire dai piccoli conflitti quotidiani, passando per la guerra in Ucraina, fino ad arrivare a tante altre guerre ancora in corso, ma di cui non ci interessiamo più o non ci siamo mai interessati, la Pace resta un ideale da perseguire. Tuttavia, non direi che, al momento, vi sia un reale sforzo collettivo per realizzarla. Per questo è importante mettere in moto le menti e la coscienza collettiva, come faceva Aristofane in commedie come la Pace o la Lisistrata. Inoltre, ritengo che sarebbe buona cosa dare maggiore spazio allo studio e all’illustrazione dei processi e delle trattative di pace e delle loro conseguenze, non solo a scuola o all’università, ma anche nei documentari televisivi, ad esempio. Ne parlavo con una persona ben più autorevole di me in materia, la professoressa Elda Guerra (Università di Bologna), studiosa di storia contemporanea, in occasione della conferenza Non solo vittime. Donne di pace in tempo di guerra: l’antichità e il presente, che si è svolta lo scorso 17 novembre all’Accademia Roveretana degli Agiati: mentre allo studio delle cause e alla enumerazione e descrizione delle azioni di guerra si dà spazio adeguato, ai processi di pace, alle loro condizioni e conseguenze si dedicano meno attenzioni. Bisognerebbe, invece, che la collettività fosse meglio istruita sul tema della pace, dal momento che, come afferma Esiodo, è “colei che dà significato ai travagli degli uomini mortali”.

Simone Weil, ricordando Platone, scrisse: «Per noi la suprema giustizia è l’accettazione della coesistenza insieme a noi di tutti gli esseri e di tutte le cose che di fatto esistono». Anche dei nemici?

È una questione molto complicata questa, perché, a livello filosofico, la risposta alla domanda su quale sia la definizione di ‘giustizia’ e su che cosa sia l’‘essere’ (quello che Parmenide designava come τὸ ἐόν [to eon]) non è mai stata univoca. In ogni caso, l’esistenza di nemici è certamente ineludibile. Il problema è se si è capaci di stabilire e rispettare regole che pongano un limite al conflitto. Le Convenzioni di Ginevra del 1949 e i Protocolli aggiuntivi del 1977 e del 2005, ad esempio, hanno stabilito che, in guerra, i civili non devono essere colpiti. Eppure, non si può certo dire che, nella pratica, la distinzione tra obiettivi civili e obiettivi militari sia tenuta in considerazione. Interessante è, poi, il caso dello sport. Come mostrano anche i poemi omerici, le sfide sportive presentano alcune dinamiche simili alla guerra, ma, a differenza di ciò che avviene in contesto bellico, lo sport non ha tra i suoi obiettivi l’eliminazione dell’avversario: il fine ultimo è conseguire la vittoria attenendosi a regole chiare e condivise. Per questo lo sport è segno di grande civiltà ed è per questo che chi non rispetta le regole, nella vita come nello sport, merita di essere ammonito.

Virginia Woolf così si espresse all’alba del secondo conflitto mondiale: «Nella guerra attuale lottiamo per la libertà, ma la otterremo solo se distruggiamo gli attributi maschili, la violenza, e l’idolatria del potere».

È compito della donna instaurare la pace?

Credo che instaurare la pace sia un compito di tutte le persone, non solo delle donne. Di questo tema si è occupata molto autorevolmente la professoressa Marcella Farioli, nel contributo Sul resistibile pacifismo femminile. Note anti-naturaliste sulla Lisistrata di Aristofane (in A. Camerotto, K. Barbaresco, V. Melis, Il grido di Andromaca, pp. 219-232). La studiosa osserva che “secondo il senso comune (…) le donne sono naturalmente inclini alla pace. Lo sono perché partoriscono figli, danno la vita, accudiscono, allevano” (p. 221) e mostra come la relazione tra donne e pace costituisca un topos non recente, rafforzato non solo dalla cultura cristiana, spesso incline a rimarcare la ‘naturale’ propensione femminile alla cura, ma anche da diverse filosofie femministe essenzialiste e maternaliste e dall’ecofemminismo. L’articolo, poi, prende in esame la Lisistrata di Aristofane. Infatti, questa commedia contribuisce, da un lato, a dimostrare che gli antichi non ritenevano affatto che la donna fosse naturalmente propensa alla pace e, dall’altro, a chiarire che se in molti casi “le donne si sono schierate per la pace è perché, come afferma Lisistrata, esse portano «il peso della guerra più del doppio». Le vittime delle guerre, oggi come ieri, sono soprattutto i lavoratori, i poveri, gli sfruttati, i razzizzati, i gruppi minoritari, tutte categorie che – non per caso – nei secoli sono state analizzate tramite parametri e procedimenti naturalizzanti. Fra essi anche le donne, in particolare quelle povere, che pagano la loro oppressione ancor più in tempo di guerra. Queste categorie in una prima fase dei conflitti spesse volte si accodano al fervore bellicista suscitato dalla propaganda dalle classi dominanti, come forse era accaduto anche alle Ateniesi nel 431 a.C. allo scoppio della guerra del Peloponneso; ma in seguito giunge il momento in cui le donne, soprattutto quelle delle classi popolari, misurano sulla loro pelle che a trarre vantaggi dalla guerra non sono loro” (p. 230). Farioli conclude (e io sono perfettamente d’accordo) che i rifiuti femminili della guerra, più volte manifestatisi nel corso della Storia, derivano eventualmente da questo squilibrio di poteri, non dalla biologia.

Colui che è capace d’esprimersi non ha necessità di appellarsi alla violenza: vige una cesura netta tra linguaggio e violenza?

Non sempre c’è una cesura netta tra linguaggio e violenza: c’è chi ha la capacità di esprimersi e di sostenere le proprie tesi con l’argomentazione o servendosi del linguaggio non verbale, come avviene in certe forme di protesta non violenta, e chi, invece, a prescindere dalle proprie capacità argomentative, decide di usare la violenza fisica; altri ancora si servono della violenza verbale, che può avere conseguenze materiali e psicologiche non meno lievi della violenza fisica. Su questo tema suggerisco di leggere il saggio di Francesca Piazza (Professoressa ordinaria di Filosofia e Teoria dei linguaggi all’Università di Palermo), La parola e la spada. Violenza e linguaggio attraverso l’Iliade (Bologna 2019). Il libro mette in discussione l’idea che esista una cesura netta tra violenza verbale e  fisica mostrando, attraverso l’Iliade di Omero, come entrambe le forme di violenza possano avere pari forza distruttiva. Per chi volesse approfondire ulteriormente, è disponibile su Youtube un webinar, organizzato dal corso in Scienze della Comunicazione dell’Università di Cagliari nell’aprile del 2020, in cui io, Alberto Camerotto, Elisabetta Gola, Emiliano Ilardi, Martina Marras e Gian Pietro Storari discutiamo del libro con l’autrice.

 

Valeria Melis insegna a contratto Introduzione alla cultura classica presso l’Università Ca’ Foscari Venezia e ha insegnato Letteratura greca all’Università di Sassari. I suoi interessi di ricerca vertono sul teatro greco antico e le sue interazioni con il diritto attico, sul linguaggio dei personaggi femminili tragici e comici, sugli archetipi epici della guerra e sulle digital humanities. Si è occupata anche di Tucidide, di Lucrezio e delle teorie aristoteliche sul teatro di Euripide e di Aristofane. Più recente è l’interesse per le Vite parallele di Plutarco e la ricezione di quest’opera nel Cinquecento italiano e delle sue edizioni a stampa in Sardegna. Fa parte di diversi gruppi di ricerca nazionali e internazionali, tra cui il gruppo Classici Contro, ideato dai professori di Ca’ Foscari Alberto Camerotto e Filippomaria Pontani, che dal 2010 porta la voce dei classici antichi nei teatri d’Italia, in particolare al Teatro Olimpico di Vicenza. Tra le sue pubblicazioni vi sono il volume Le amiche di Lisistrata. Lingua, genere, comicità nel tempo (Morlacchi U.-P., 2021, con Rita Fresu) e il manuale Scripta manent. Dieci lezioni sulla scrittura argomentativa (Mimesis, 2021, con Francesca Ervas ed Elisabetta Gola).

Giuseppina Capone

 

 

Al via un nuovo anno di fotografia per la FIAF

Il numero di febbraio di FOTOIT la rivista ufficiale della FIAF si apre con l’editoriale del Presidente Roberto Rossi che sintetizza quanto la Federazione ha fatto per celebrare i 75 anni di vita e presenta le iniziative che vedranno tutti gli amanti della fotografia protagonisti dell tantissime attività in programma sia a livello nazionale sia a livello regionale e territoriale.

Online Il 9 marzo prende l’avvio la quarta edizione di Laboratorio Portfolio. A maggio e precisamente dal 15 al 19 si terrà ad Alba il 76mo Congresso. Il 14 giugno al via la prima edizione del Festival della Fotografia Italiana organizzato dalla FIAF a Bibbiena e in altri due comuni del Casentino.

Ricco anche questo numero con le numerose iniziative organizzate dai Circoli in tutta Italia, le interviste, i focus, i profili delle fotografe e dei fotografi.

Uno speciale ricordo a cura di Pippo Pappalardo di Gina Lollobrigida.

Antonio Desideri

Il patrimonio culturale di Napoli e della Campania: la festa di Piedigrotta

La festa di Piedigrotta ha le sue origini nei rituali pagani di epoca greco romana, dedicati a  Dioniso,  con un  riferimento al dio Priapo i cui baccanali erotici  destinati a propiziare la fertilità  si celebrava nella cripta  Neapoletana che era una rettilinea galleria romana lunga circa 700 metri scavata nel tufo che univa l’attuale Mergellina con Pozzuoli.

Secondo una legenda, questa grotta fu costruita in una sola notte da Virgilio, considerato un potente mago e considerato il primo patrono della città di Napoli, prima di San Gennaro.

Piedigrotta inizia alla fine dell’estate, nella notte tra il 7 e l’8 settembre, in prossimità con l’equinozio d’autunno, ed è  la festa del ringraziamento  degli uomini alla Terra per i preziosi e saporiti doni che gli ha offerto durante la stagione del sole.

E’ anche il sacro momento in cui  gli acini dell’uva vengono raccolti, pigiati e messi nelle botti a maturare per poi restituire agli uomini il nettare degli Dei.

La Chiesa Cristiana assorbì nel suo interno lo spirito pagano della festa e l’antica Cappella dedicata a Priapo fu sostituita dal Santuario di Piedigrotta dedicata alla Madonna secondo le indicazioni di tre differenti persone che raccontarono di essere state  visitati in sogno dalla Madonna stessa l’8 settembre  del 1353.

Dopo secoli durante i quali la festa della Piedigrotta  fu dimenticata, con i Borbone  la festa per eccellenza la festa del popolo di Napoli rinacque nella forma più sfavillante e regale.

Il Regno dei Borbone,  guidato da Re Carlo III fece assurgere la festa di Piedigrotta   al rango difesta nazionale, dando vita alle fastose luminarie, alla stesa di panni sui  balconi di panni e al lancio coriandoli, al cuppolone che si calava sulla testa dei passanti, alle tarantelle e alle trombette e putipù ed infine alla  grandiosa “Parata  di Piedigrotta” alla quale partecipavano nobili e spesso la stessa famiglia regnante  che si concludeva alla Chiesa di Piedigrotta dove si  porgeva l’omaggio alla Madonna.

Piedigrotta rappresentò fino alla sua ultima edizione di epoca Borbonica del 1859,  lo spirito più autentico e genuino del popolo napoletano, capace di unire  paganesimo e spirito cristiano ed affermare una condizione di armonia sociale, politica, culturale e religiosa che non può assolutamente andare perduta nell’oblio  e  nella mercificazione  dei valori.

Alessandra Federico

Isabella Gagliardi: Anima e corpo. Donne e fedi nel mondo mediterraneo (secoli XI-XVI)

Professoressa Gagliardi ripercorre la storia sociale delle donne appartenenti alle comunità cristiane, ebraiche e islamiche del bacino euromediterraneo tra l’XI e il XVI secolo.

Qual è la specifica percezione del corpo femminile nelle tre culture?

Una percezione fortemente funzionale nel senso di funzionale alla riproduzione. Le bambine diventavano ed erano considerate donne quando diventavano in grado di generare altri esseri umani: da allora in poi era possibile iniziare a pensare al loro futuro come spose e madri di famiglia. L’arrivo del menarca segnava la fine dell’infanzia e le proiettava su un altro e diverso livello. Il nuovo livello implicava la conoscenza e il rispetto di nuove regole, cioè rituali di purificazione accompagnati da strategie di “astensione” e di “contenimento” particolari. Il sangue mestruale, infatti, era considerato un elemento impuro, poiché potenzialmente capace di contaminare non solo gli esseri umani, ma anche gli elementi naturali, come le piante, o di interferire sulla lievitazione delle farine o sui processi di vinificazione. L’impurità mestruale era un retaggio arcaico, essendo attestata, nella koiné greco romana, fin da tempi antichi. La gestione del corpo della donna era, inoltre, la causa prima della sua qualificazione a livello morale.

Ebbene, emerge che in tutte, al netto delle differenze che pur vi furono, la sessualità e la sua gestione definirono ruoli ed identità.

In qual misura il profilo morale delle donne incide sui mutamenti sociali?

Direi che incideva moltissimo non tanto sui mutamenti sociali, quando sul posizionamento sociale delle donne: era la sessualità e la sua gestione a determinare il ruolo di ciascuna e, di conseguenza, a determinarne l’appartenenza al contesto delle persone rispettabili e di buona fama oppure il suo contrario. Inoltre dobbiamo ricordare che la fama, in epoca medievale, aveva una sua valenza giuridica molto forte, non si trattava affatto di un elemento secondario o di cui era possibile non preoccuparsi. Specie se si apparteneva a un livello sociale mediano.

La specificità dell’acculturazione femminile consisteva nella tendenza ad ottenere l’istruzione necessaria attraverso percorsi privati e informali: la casa familiare come agenzia formativa?

Si certamente, sono numerosi i casi di donne che imparavano mestieri, pure mestieri intellettuali, grazie ai padri, ai fratelli, ai mariti. Oltre al conosciuto e studiato fenomeno del passaggio di saperi e di pratiche specifiche tra donne, occorre considerare anche queste realtà. In alcuni casi sono le donne stesse a dichiarare che si sono formate, per esempio alla professione medica, grazie all’impegno paterno, per esempio. In altri casi si evince dalle fonti come i mariti creassero talvolta piccole aziende familiari che poggiavano interamente sulle loro spalle e su quelle di moglie e figlie: ne sono testimonianza interessante, per restare nell’ambito dei mestieri colti, i gruppi familiari che nelle città universitarie si occupavano della copiatura dei manoscritti che servivano come libri di testo per gli studenti universitari. Sono numerose le piccole aziende familiari di copisti in cui troviamo attive le donne della famiglia che, magari, avevano imparato a esercitare abilmente il mestiere anche in virtù degli insegnamenti dell’uomo di casa.

Leggendo, incontriamo poetesse, maestre di scuola, copiste, miniatrici, esperte di saperi curativi ed anche donne religiose.

Quale fu il loro ruolo sacrale?

Più che di ruolo sacrale parlerei di ruolo religioso. Il ruolo dipese dalle realtà sociali e dalle comunità di appartenenza. Così il mondo cristiano conobbe monache, oblate, terziarie, beghine ma anche circoli di laiche pie e devote ad alcune alle quali fu riconosciuto l’essere sante, cioè il godere di un rapporto molto particolare e speciale con Dio. In quanto sante goderono di una considerazione pubblica, di un rispetto e anche di una capacità di influire sulla realtà circostante piuttosto significativa. Analogamente, pur se con qualifiche e con identità molto diverse, le società ebraiche e islamiche medievali riconobbero ad alcune donne uno statuto particolare in quanto particolarmente sagge e particolarmente vicine a Dio. Infine dobbiamo considerare il ruolo svolto quotidianamente dalle donne all’interno delle loro famiglie dove, seppur in gradazione diversa a seconda dei contesti sociali e religiosi di appartenenza, esse svolsero il ruolo di prime educatrici alla religione dei propri figli e, almeno nelle case ebraiche, svolsero un ruolo importante per le funzioni sacre (ad esempio l’accensione dei lumi per il sabato e le feste, la preparazione dei cibi secondo le regole della purità, la macellazione e anche molto altro).

Le norme religiose, fin dalla Rivelazione, sono state enunciate da maschi, spesso, con sciolte e disinvolte estrapolazioni desunte dai Testi Sacri. Lei evidenzia che sia la singola persona che declina, in virtù della propria storia, della propria cultura e della propria sensibilità, le leggi civili.

Può offrirci qualche esempio di norma che riguarda il singolo e la società tutta?

In realtà nel libro ho inteso evidenziare altro, ovvero che, al di là della Scrittura, dal punto di vista della ricaduta sociale delle credenze, è fondamentale la sua interpretazione. E l’interpretazione della Scrittura, nel periodo che ho preso in esame e in tutte e tre le culture, era appannaggio degli uomini e di alcuni uomini in particolare, a cui era riconosciuto il legittimo esercizio della funzione che consentiva, appunto, di interpretare la Scrittura divina e di legiferarne l’applicazione concreta nella realtà quotidiana. Tra le norme che riguardano la singola persona e l’intera società sia sufficiente ricordare la questione dell’educazione religiosa dei figli e dunque la questione della loro appartenenza a una precisa e ben individuata comunità di fedeli. Nel caso dei matrimoni misti – praticati, per quanto socialmente non apprezzati –  l’appartenenza religiosa dei figli era una questione davvero dirimente. Un’ampia casistica mostra le difficoltà e i veri e propri travagli che erano suscettibili di originarsi in situazioni di questo genere.

 

Isabella Gagliardi attualmente insegna Storia del cristianesimo e delle chiese all’Università degli Studi di Firenze e coordina il settore Cristianesimo del Dottorato Nazionale di Studi Religiosi. È associata al Laboratoire LEM di Parigi e fa parte dello staff accademico dell’Istituto di Ricerca Statunitense The Medici Archive Project; nel 2022 è stata Directeur d’Etudes Associé alla Fondation Maison de Sciences de l’Homme di Parigi. Si occupa di storia dei movimenti religiosi in epoca medievale e proto-moderna, con particolare attenzione alla storia delle donne e di genere con taglio comparativo tra le religioni abramitiche.

Giuseppina Capone

La Reggia di Versailles, un luogo incantato

Scoprire le meraviglie della Reggia e dei giardini di Versailles attraverso le pagine di una delle pubblicazioni divulgative di National Geographic nella collana Regge e Castelli consente ai lettori di potersi immergere nei ricchi saloni e negli splendidi giardini anche senza essere presenti ma solo sfogliando le pagine della pubblicazione che presenta una delle più famose regge del mondo.

La fortuna della località dove poi sarebbe sorta la reggia iniziò nel 1607 quando il futuro re Luigi XIII giunse per la prima volta a Versailles per una battuta di caccia e successivamente vi fece edificare un casino di caccia, mano man nel corso degli anni la proprietà si ingrandì sempre di più. Sarà, però, il suo successore Luigi XIV di Borbone, il Re Sole, a iniziare i lavori di ampliamento dell’edificio esistente fino alla realizzazione di quel gioiello d’arte che vide lo splendore della corte dal 1682 fino alla Rivoluzione francese quando il sovrano Luigi XVI, la consorte Maria Antonietta  e la corte furono costretti a tornare a Parigi con l’epilogo che tutti conosciamo. Con il sovrano cadde anche la Reggia che fu abbandonata e svuotata dei tesori in essa contenuti per non tornare più agli splendori di una volta.

La ricca e fastosa residenza vide anche la firma nel 1919 del Trattato di Versailles che poneva fine alla Prima Guerra Mondiale.

La Reggia e i suoi giardini sono oggi meta di milioni di visitatori all’anno che visitano le sale e passeggiano per i giardini e i boschetti di quel gioiello simbolo dell’Ancien Régime.

Antonio Desideri

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