Le pensioni d’oro in Italia

Le pensioni d’oro rappresentano un vero problema oppure occorre mettere in discussione il concetto di diritto acquisito quando le condizioni economico sociali necessitano di cambiamenti innovativi e di equità sociale sul piano dei diritti?

Il provvedimento di tagliare le pensioni d’oro è senz’altro eticamente condivisibile, ma si scontra con due ordini di problemi: quello giuridico-costituzionale che impedisce di aggredire i cosiddetti “diritti acquisiti”  e quello che riguarda l’entità del possibile risparmio per le casse previdenziali. Per conoscere la realtà bisogna osservare gli ultimi dati resi disponibili da Inps e Istat – le fonti primarie di statistiche previdenziali – che rilevano come nel 2015 il 6,7 per cento del totale dei pensionati, poco più di 1 milione di individui abbia ricevuto un assegno mensile superiore ai 3 mila euro lordi (il valore medio è di 4.354 euro mensili lordi per 12 mensilità) costando 54,8 miliardi di euro (il 20 per cento della spesa pensionistica totale).  Poi, i più ricchi, quelli con un reddito annuale superiore ai 300 mila euro, erano 7.884 (il reddito medio è di 542 mila euro). Quindi, la pensione incide mediamente per il 40 per cento del reddito totale, ma per i più ricchi è il 13 per cento delle entrate complessive. Allora, se si ipotizza di fissare un tetto massimo mensile di 5 mila euro lordi per l’assegno pensionistico, tagliando l’eccedenza ai pensionati che hanno un reddito complessivo superiore ai 100 mila euro, si otterrebbe un risparmio stimabile in 490 milioni di euro, che a sua volta produrrebbe una riduzione della tassazione Irpef, riducendo così il risparmio netto a 280 milioni di euro, poco più dell’1 per cento della manovra di bilancio approvata a dicembre 2017. Questo calcolo evidenzia come l’entità del taglio produca un maggiore o un minore risparmio e che poi, non garantirebbe una cifra tale da dare grande respiro ai conti pubblici (vale lo 0,016 per cento del Pil) e neanche alla  politica redistributiva.

Attualmente il Presidente dell’Inps evidenzia come  “l’abolizione della pensione anticipata e il ritorno all’anzianità con 40 anni di contributi o con il meccanismo delle quote avrebbe un costo aggiuntivo attorno ai 15 miliardi l’anno, con un’incidenza sul debito pensionistico implicito di 85 miliardi, vale a dire cinque punti di Pil, che finirebbero sulle spalle delle generazioni più giovani”. Inoltre, il presidente Boeri ha anche evidenziato come il costo di una pensione da mille euro per le casalinghe, che hanno tra i 60 e i 65 anni, producendo in 5 anni la spesa di circa 10 miliardi di euro. Infine, se in futuro si decidesse di bloccare l’adeguamento dei requisiti pensionistici all’aspettativa di vita, allora ci sarebbero altri costi importanti da sostenere.

Danilo Turco

seers cmp badge