Continuare a riflettere sulla riforma fiscale di Trump

La riforma fiscale di Trump non può essere interpretata come un’azione contro l’Unione Europea. Molte delle sue misure sono già adottate da tempo nelle legislazioni europee. È un intervento finalizzato a far riguadagnare competitività.

Attualmente i paesi europei Francia, Olanda, Gran Bretagna, Spagna, Italia già adottano regimi di patent box, la tassazione agevolata dei proventi derivanti dall’utilizzo di beni immateriali (intangibles), per cui, l’aliquota ridotta dell’Usa sulle cessioni all’estero di proprietà intellettuali non può essere considerata una violazione delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio sui sussidi all’esportazione, così come accade per la web tax europea che si intende applicare in UE, sui ricavi delle multinazionali americane, che costituirebbe dal canto suo una realtà di dazi all’importazione, anch’essi vietati dal Wto.  Di fatto, l’aliquota corporate deliberata dal Congresso Usa  allinea il sistema americano allo standard internazionale, che prevede  un’aliquota societaria flat (dal 35 al 21 per cento ), così come non va poi trascurato che negli Usa anche i singoli stati applicano di solito un’imposta sul reddito societario, che, secondo la media Ocse, per i 50 stati americani è pari al 6 per cento. Petanto, più che un attacco all’UE, la riforma della fiscalità societaria Usa andrebbe ritenuta un ammodernamento dei meccanismi della tassazione e un legittimo tentativo di riguadagnare la competitività del passato.

Danilo Turco

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