Napoli è partecipa con l’I.S. Marconi di Giugliano a “Le voci celate: dialoghi a confronto”

Al via il 28 novembre dalle 10.00 alle 13.00 presso l’IC. 9° Cuoco – Schipa  in via Salvator Rosa la seconda edizione de “Le Voci Celate” Dialoghi a confronto

Contro il fenomeno della violenza di genere

 

Dalla violenza al bullismo, dall’amicizia alla dipendenza, dal disagio alla differenza, dalla liberta alla memoria: questi, alcuni dei dialoghi nei quali si confronteranno le scuole coinvolte per “Le Voci Celate”, manifestazione di riflessione sul fenomeno della violenza di“genere”. L’aumento, nella contemporaneità, di abusi, prepotenze ed episodi discriminatori, lascia spazio ad interrogativi difficilmente superabili: e proprio in tal senso, la brutalità, la prepotenza e il maltrattamento subiti dalle donne rappresentano un punto di partenza necessario per riflettere su ogni forma di violenza. Attraverso l’informazione e il dialogo, arricchiti dal contributo di esperti del settore forense, della psicologia e pedagogia, della musica, del teatro e dell’arte, è possibile costruire un nuovo percorso culturale che porti le nuove generazioni a riflettere diversamente sulla figura e sul ruolo femminile all’interno della società.

Da un’idea di NomoΣ Movimento Forense, la Consulta delle Associazioni e delle Organizzazioni di Volontariato della Municipalità 2 di Napoli presenta la seconda edizione diVoci Celate. Dialoghi a confronto”. L’evento, aperto al pubblico,patrocinato dalla Municipalità 2 del Comune di Napoli e con la partecipazione della Fondazione Premio Napoli, si svolgerà mercoledì 28 novembre, dalle ore 10:00 alle ore 13:00, presso l’Aula Magna del I.C.S.9° Cuoco -Schipa(Via Salvator Rosa, 118 – Napoli) e vedrà le scuole I.C.S. 9o Cuoco –Schipa, Liceo A. Genovesi, VI I.C. Fava-Gioia,I.C.S. Foscolo – Oberdan e I.I.S.G. Marconi di Giugliano in Campania, protagoniste nel dialogo-confronto con i rappresentanti delle associazioni della Consulta delle Associazioni e le istituzioni locali nonché con professionisti e artisti. Sensibilizzare e condividere quindi, trasferire informazioni ma anche comunicare le proprie esperienzeriguardanti il fenomeno della violenza.

Dopo la prima edizione del 30 novembre scorso (presso il Liceo A. Genovesi), Le Voci Celate – per quest’anno – ritornano forti e incisive come un coro polifonico: performances teatrali, proiezioni artistiche, cortometraggi ed esibizioni musicali si alterneranno con le testimonianze di avvocati, giornalisti, insegnanti, psicologi ed istituzioni cittadine, per individuare le cause della violenza di genere. «La violenza nei confronti della donna – spiega l’avvocato Argia di Donato, Presidente di NomoΣ Movimento Forense – è un fenomeno in costante aumento e ciò, nonostante l’opera di grande informazione fatta negli ultimi anni; occorre potenziare l’attività pratica sul territorio attraverso manifestazioni di sensibilizzazione per favorire il processo di formazione di una consapevolezza reale del problema. La cultura e l’educazione sono strumenti necessari per aiutare i ragazzi ad avere una “diversa” concezione del ruolo della donna all’interno della società contemporanea. I nuovi linguaggi, come le arti visive e raffigurative, o come la musica o il canto sono metodi comunicativi assai efficaci e di maggiore appeal per le nuove generazioni».

«Come Consulta delle Associazioni e delle Organizzazioni di Volontariato della Municipalità 2 di Napoli, – afferma il Presidente della Consulta,  l’Arch. Giovanna Farina – nell’intento di rafforzare la cooperazione tra le Istituzioni scolastiche, l’Ente comunale e le Associazioni del territorio, abbiamo pensato a questa seconda edizione come ad un’opportunità per gettare le basi per una vera rete che, oltre a favorire lo scambio di conoscenze e la collaborazione tra le scuole e l’ente locale, intende farsi promotore di buone pratiche di solidarietà e pari opportunità di contrasto alla discriminazione e alla violenza». Grande la partecipazione da parte degli istituti scolastici per questa seconda edizione che vedrà protagonisti gli studenti con i lavori realizzati durante i laboratori scolastici sul tema della violenza. Tra le le personalità che interverranno al dibattitoper offrire ai ragazzi spunti di riflessione, Giuliana Covella, giornalista de Il Mattino, EdgarColonnese, edizioni San Gennaro, Domenico Ciruzzi, Presidente della Fondazione Premio Napoli.

Programma

Porteranno i saluti agli studenti, Francesco Chirico, Presidente della Municipalità 2 di Napoli, Angela Longo, Dirigente scolastico del I.C.S. 9° Cuoco – Schipa, Maria Filippone, Dirigente scolastico del Liceo A. Genovesi, Assunta Bottone,Dirigente scolastico del VI I.C. Fava – Gioia,Donatella Delle Vedove, Dirigente scolastico del I.C.S Foscolo – Oberdan, Giovanna Mugione, Dirigente Scolastico I.I.S. G. Marconi di Giugliano in Campania. Introdurranno ai dialoghi Giovanna Farina, Presidente della Consulta delle Associazioni e delle Organizzazioni di Volontariato, Municipalità2 e Argia di Donato, Presidente di NomoΣ Movimento Forense.

Aprirà la manifestazione con il dialogo “Libertà e Memoria”,l’associazioneNomoΣ Movimento Forense con “Forte come me” – Momenti di vita drammatizzati” di Gianluca Masone, regista e attore, e con la partecipazione di Rita Licenziato, attrice, e di Emanuela Monaco, avvocato eSegretario di NomoΣ Movimento Forense. A seguire, brainstorming con Giuliana Covella, scrittrice e giornalista de IL Mattino.

Interpreti del dialogo “Bullismo e Genere” gli alunni delle classiII F, IIG, VE del Liceo Genovesicon i dialoghi “Sogno d’amore”, “Se mi uccidi a chi picchi” e i Monologhi “Nora”, “La modella”,“Break the chain”, con introduzione di Daniela Esposito, docente.Seguiranno il cortometraggio “Io… tu… Caravaggio”, a cura degli alunni delle classi III della scuola secondaria I.C.S. 9o Cuoco – Schipa con introduzione diMaria Emilia Nardo, docente, e il video “Non è una scuola per bulli” a cura degli alunni dell’I.I.S.G. Marconi di Giugliano in Campania, con l’introduzione dei docenti Antonello Picciano e Cristina Morone. Chiude la sessione, il Plesso Flavio Gioia – 6° I.C. Fava  –  Gioia, con “Non è Amore”, performance emotiva teatrale visiva a cura degli alunni della classe V Econ introduzione di Elena Varriale, docente e poeta e Anna Perna, docente.

Affronteranno il dialogo “Amicizia e Dipendenza”,l’Associazione Psicologi in Contatto Onlus con Salvatore Rotondi, Presidente, che proporrà il cortometraggio sulla dipendenza dei videogiochi “L’Amicizia non è un gioco” e il Centro  Antiviolenza Teresa Buonocore con “Vero o Falso?”,workshop a cura dell’avv. Claudia Esposito, Presidente.

Per il dialogo “Disagio e Intercultura” gli alunni della III F dell’I.C.S. Foscolo – Oberdan, proporranno “Mare Nostrum”, con introduzione di Marina Sica, docente.

Per il dialogo “Accessibilità e Differenza”, gli alunni delle classi III della scuola secondaria dell’I.C. 9° Cuoco –Schipapresenteranno “Generazione Napoli”, canzone rap sulla legalità, con introduzione diMaria Emilia Nardo, docente, e si confronteranno con il “Decalogo per la città accessibile aperta e senza barriere” a cura dell’Associazione Donne Architetto – Napoli con il Presidente Emma Buondonno, architetto, Giovanna Farina, architetto e Rossella Russo, architetto.

Per il dialogo “Legalità e Lavoro”,Legambiente Parco Letterario del Vesuvio con Paola Silvi, Presidente, e con Pino Perna, Presidente dell’associazione Annalisa Durante, presenteranno “Nuove risposte. La conoscenza della qualità del territorio”.

A chiusura della manifestazione interverranno, con riflessioni e testimonianze, la dott.ssa Anna Aiello –Direttore della Municipalità 2, la dott.ssa Maria Alifuococonsigliera Commissione Scuola Municipalità 2,  la dott.ssa Maria Teresa Belgenio– Associazione SentitaMente, la dott.ssa Clara Capraro –Coordinatrice GPA Municipalità 2, Assunta Cimminielloassessore alla Scuola e Welfare Municipalità 2, l’avv. Domenico CiruzziPresidente Fondazione Premio Napoli,Edgar ColonneseEdizioni San Gennaro, la dott. Bianca Desiderivice Presidente dell’Associazione Napoli È, Francesco Grandullo –Presidente Commissione Scuola e Pari Opportunità Municipalità 2, l’avv. Vincenzo ImprotaPresidente di “Dialettica”, la dott.ssa Assunta Landripsicologa,il prof. Livio Severino e il prof. Carlo Valledocente I.I.S. “G. Marconi” di Giugliano in Campania.

Durante l’intero incontro saranno proiettate le fotografie della campagna di sensibilizzazione contro la violenza di genere “#ognidonnahainseunadea”

Al termine, l’Aperitivo School.

Comitato organizzatore dell’evento: Pina Molinari (segreteria Municipalità 2), Maria Alifuoco, Maria Emilia Nardo, Argia di Donato, Giovanna Farina.

 

25 novembre: Non è normale che sia normale

Il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha aderito alla campagna ‘Non è normale che sia normale’ contro la violenza sulle donne.

All’inizio della conferenza stampa a margine del Consiglio straordinario sulla Brexit oggi a Bruxelles Tajani si è messo un tratto di rossetto sotto l’occhio.

Un importante adesione che si aggiunge a quelle che fino ad oggi sono pervenute da personalità del mondo della cultura, dello spettacolo, ecc. all’iniziativa promossa dalla vicepresidente della Camera dei Deputati Mara Carfagna in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne che si celebra il 25 novembre.

Un video e l’hashtag #Nonènormalechesianormale stanno veicolando attraverso mass media e social l’importante messaggio della lotta contro la violenza sulle donne che deve raggiungere quante più persone possibile in modo da poter affrontare in maniera capillare il tema così delicato e al tempo stesso così importante soprattutto per le gravi ripercussioni che molestie e violenze hanno sulla vita delle Donne, conducendole spesso a morte.

Sono 106 le donne uccise dall’inizio dell’anno, un bilancio alto destinato ad aggravarsi come accade, purtroppo, ogni anno.

“Non è normale che sia normale” vuole raggiungere ogni persona, ogni luogo, ogni ambito della vita sociale e lavorativa perché in ovunque si parli e si lavori per evitare che di violenza sulle donne e di violenza di genere si muoia.

Alessandra Desideri

Fernana: la capitale delle bambine domestiche

 

In Tunisia circa il 10% dei minori tra i 5 e i 17 anni, lavora, nonostante la legge lo vieti; mentre i bambini vengono impiegati generalmente nel commercio e nell’agricoltura, alle bambine tocca una sorte diversa, impiegate come domestiche presso ricche famiglie alle quali vengono vendute in cambio di soldi sicuri e costanti.

Fernana, una città di 5mila abitanti, nel nord-ovest del Paese, è considerata la capitale di questa tratta; lì avvengono le trattative e lo scambio delle “merci”. Questo è un altro volto della Tunisia: povero e marginalizzato, dove i più deboli, in questo caso bambine tra i 9 e i 10 anni (questa è la fascia di età preferita dai padroni), vengono brutalizzate a colpi di legnate per imparare a pulire o a badare ad altri bambini, figli più fortunati di loro, ma anche seviziate e violentate. Alcune di queste bambine non riescono a superare il trauma e si suicidano.

Il problema esiste, anche se le autorità che prima tolleravano oggi cercano di attrezzarsi per combatterlo, ma la questione è ancora sentita come un enorme tabù. Quasi sempre sono le famiglie a tacere ed insabbiare, anche se è risaputo che le bambine vendute per fare le domestiche subiscono di tutto nelle case che le accolgono.

Lo scorso anno, però diversi casi hanno rotto il silenzio. Proprio a Fernana è stato fondato un gruppo di attivisti che si occupa di monitorare il territorio e denunciare casi sospetti di sparizione di minori; una decina di abitanti, inoltre, si sono riuniti e hanno organizzato una manifestazione per denunciare il lavoro domestico delle bambine: era la prima volta che Fernana vedeva una tale iniziativa.

Slah Hyadri, il commissario regionale per la donna, il bambino, la famiglia e gli anziani, nella regione di Jenduba, ha preso molto sul serio il problema, parlando con le madri delle bambine ed integrandole in  un programma per impedire che le figlie siano costrette a lavorare.

A luglio 2017 il Parlamento ha votato all’unanimità una legge contro le violenze sulle donne, una parte è dedicata specificamente al lavoro delle minorenni.

Il problema è storico, come ammette anche Neziha Labidi, la Ministra della Donna, della Famiglia e dell’Infanzia: «la sfida più grande che abbiamo è sensibilizzare i genitori che pensano solo a guadagnare soldi ma anche gli intermediari e questo per noi è un modo di lottare contro la violenza e la corruzione».
Nel febbraio 2017, la Tunisia si è dotata della sua prima piattaforma nazionale contro la tratta degli esseri umani. Il caso delle lavoratrici domestiche è uno dei più classici che gestisce.

Due numeri verdi e un sito internet ricevono le segnalazione che ogni cittadino può fare.

Nel 2016, al livello nazionale, i servizi di protezione dei minorenni hanno ricevuto 141 segnalazioni di bambini sfruttati lavorativamente, una cifra stabile, mentre sarebbero più di 200mila i minorenni che lavorano nel paese.

Rossella Marchese

L’onda rosa nel Congresso USA

Dopo le elezioni di metà mandato in America, tutti hanno vinto.

Il Presidente Trump è soddisfatto, per aver rafforzato la sua posizione al Senato, vero organo legislativo dello Stato Federale; i democratici sono soddisfatti per il risultato alla Camera dei rappresentanti, che mantiene una natura di controllo (oltre ad essere organo legislativo) sull’attività del Presidente in primis.

Tutti contenti, nessuno escluso; soprattutto le deputate dei Democratici, mai così numerose ed eterogenee come dopo questa tornata elettorale.

Ha ragione la reporter del New York Times, Amy Chozick, quando dice: “Sono convinta che l’alto numero di deputate donne che vedremo nel 2019 al Congresso non nasce solo dalla reazione alla misoginia di Donald Trump. Lo dobbiamo in parte anche a Hillary Clinton. Nel bene e nel male: perché se è vero che la sua corsa non ha rotto il soffitto di cristallo, la barriera che da sempre impedisce alle donne di arrivare ai vertici, di sicuro ha mostrato a tante, soprattutto in casa democratica, che la strada è possibile”.

Sembra che il Partito Democratico abbia compreso, almeno questa volta, che per risalire la china è impossibile prescindere dal ruolo politico della donna e dalle sue competenze: non si può parlare ad un Paese soltanto con metà voce.

Indubbiamente, il fatto che le elette siano donne americane di ogni etnia ed età appartenenti a quella cospicua fetta di America maltrattata ed umiliata dalle politiche e dai modi trumpiani, ha contribuito al successo delle urne.

Le nuove elette, infatti, sono rappresentanza di quella diversità che tanto spaventa il Presidente ma che ha sostanzialmente fatto grande l’America, per dirla con un’espressione a lui cara.

Così, Alexandria Ocasio-Cortez, 29 anni, eletta nel suo distretto per la Camera nello stato di New York, diventa la più giovane rappresentante al Congresso della storia americana: non una sprovveduta, ma un’attivista che ha sconfitto Joe Crowley, che in molti consideravano come il possibile successore di Nancy Pelosi come capogruppo del partito. Il suo trionfo conferma il trend già registrato nelle scorse primarie democratiche che favorisce candidati donne, liberal, esponenti delle minoranze e millennial.

Nel numero record di donne elette per il midterm, moltissime sono esponenti di minoranze, come le prime due deputate musulmane, Rashida Tlaib, avvocato di origine palestinese, votata in Michigan, e Ilhan Omar, 36enne somala con un passato da rifugiata nei campi profughi kenioti, in Minnesota;  o le prime deputate native americane, Sharice Davids e Deb Haaland, elette in Kansas e New Mexico. La Davids è diventata anche la prima donna nativo-americana a mettere piede nel Congresso.

Ed ancora, la rifugiata afghana Safiya Wazir, 27 anni e madre di due figlie, è stata eletta con i democratici all’Assemblea legislativa dello Stato del New Hampshire; fuggita dall’Afghanistan dei Talebani nel 1997 con la sua famiglia quando aveva sei anni, Safiya è la prima ex rifugiata a ottenere un seggio all’Assemblea legislativa del New Hampshire.

Dunque, delle 92 donne che occuperanno gli scranni del Congresso americano, 28 sono quelle neoelette, un risultato davvero ragguardevole.

L’augurio è che il trend americano, in questo caso, diventi mondiale.

Rossella Marchese

La House of Sharing a Seoul, per non dimenticare

Si tratta di una casa di riposo a tutti gli effetti, ma le sue ospiti sono davvero particolari. Sono le superstiti della Seconda Guerra Mondiale, le comfort women che l’esercito nipponico utilizzò come schiave del sesso al fronte per soddisfare i propri soldati.

Una ospite della struttura, ad esempio, nacque da una famiglia di umili origini. Non poté studiare e appena adolescente venne messa a servizio presso una famiglia abbiente. Nel 1942, mentre camminava per strada, venne rapita da due uomini, un coreano e un giapponese, e portata a Yanji, nel nordest della Cina, dove venne impiegata in una comfort station e costretta a prostituirsi per l’esercito giapponese, allora di stanza in Manciuria. Lavorò nel bordello di Yanji per tre anni e, a causa delle ripetute iniezioni di medicine contro la sifilide, divenne sterile. Liberata dalle truppe americane, alla fine della guerra rimase in Cina, dove si sposò con un coreano conosciuto a Yanji, anch’egli costretto dai giapponesi a servire nell’esercito. Si stabilì con lui a Baodaozhen, nella provincia dello Jilin, ma allo scoppio della guerra di Corea il marito venne di nuovo arruolato e scomparve nel nulla. Si risposò di nuovo dopo dieci anni e nel 2000, alla morte del secondo marito, rientrò finalmente in Corea del Sud andando a vivere nella House of Sharing, tirata su nel 1992 attraverso una raccolta fondi di gruppi civici e diverse organizzazioni buddiste che accoglie le halmoni (nonne), come affettuosamente vengono oggi chiamate in Corea del Sud le comfort women.

Anche le altre donne della House of Sharing hanno alle spalle una storia di deportazione ed orrore, ma rappresentano la parte delle favorite dalla sorte che, scampate al conflitto mondiale sono riuscite, pur fortunosamente, a fare ritorno nella loro terra natia; molte altre, la maggior parte, finita la guerra e con essa la loro utilità, dovettero continuare a prostituirsi per poter sopravvivere, oppure si uccisero per la vergogna o, semplicemente sparirono, inghiottite dall’indifferenza generale.

Si parla di circa 300mila donne, taiwanesi, thailandesi, filippine, indonesiane, ma soprattutto coreane,   rapite e deportate con la forza in Cina, dove l’esercito nipponico aveva necessità di consolidare la propria posizione durante la guerra, e impiegate come schiave del sesso nei bordelli gestiti direttamente dal governo di Tokyo. Il governo giapponese, infatti, impegnato nella conquista della Cina, pensò all’epoca di creare una rete di bordelli militari allo scopo di arginare il problema degli stupri contro la popolazione civile dei territori occupati, che causava non solo una perdita di immagine, preziosa per un paese che aveva come scopo il controllo di tutta l’Asia orientale, ma anche un fastidioso aumento delle malattie veneree tra i soldati stessi. La quotidianità nelle comfort station era scandita dalle visite: soldati semplici al mattino, graduati al pomeriggio e ufficiali la sera.

Per le superstiti di questo orrore, dunque, è stata creata una apposita struttura, una rete che protegge queste donne e tiene alta la memoria, visto che nella House of Sharing c’è anche un museo, The Museum of Sexual Slavery by Japanese Military, che racconta la storia di queste donne. Inoltre è proprio dalla House of Sharing che si rinnova ogni mercoledì, dal gennaio del 1992, la protesta davanti all’ambasciata giapponese a Seoul per chiedere le scuse ufficiali dal governo nipponico, che ancora tergiversa riguardo al suo coinvolgimento nella vicenda delle comfort women.

Rossella Marchese

Maxi condono per la Sagrada Familia

L’iconica basilica della Sagrada Familia di Barcellona dovrà pagare circa 36 milioni di euro alle autorità comunali per non essere mai stata in regola con i permessi edilizi; nessuna licenza di costruzione per tirare su uno degli edifici religiosi più famosi e suggestivi del mondo.

La splendida opera dell’architetto spagnolo Antoni Gaudì è in costruzione da 133 anni, ma senza alcuna supervisione ufficiale o permesso da parte del consiglio locale o del governo regionale; la basilica non è elencata nel registro delle proprietà e dal 1995 è segnalata nelle mappe topografiche comunali come un lotto vuoto appartenente alla diocesi di Barcellona, almeno secondo il quotidiano spagnolo ElPais.

La questione, davvero imbarazzante, ha imposto di correre ai ripari, così il Consiglio comunale, guidato dalla sindaca Ada Colau, e il comitato di costruzione dell’opera architettonica hanno raggiunto un accordo dopo lunghe trattative: un condono per regolarizzare la posizione dell’edificio di culto e permetterne l’ultimazione dei lavori. Nel 2026 la Sagrada Familia sarà portata finalmente a termine, mentre nei prossimi mesi i permessi verranno regolarizzati e sarà solo da quel momento che il monumento inizierà a pagare normalmente le tasse.

Quando Gaudì iniziò il suo progetto, nel 1882, esso non fu mai effettivamente approvato dal consiglio locale e le cose sono rimaste nascoste e immutate fino allo scorso ottobre. Adesso la sindaca di Barcellona è corsa ai ripari ed ha assicurato, via Twitter, che quei soldi saranno utilizzati per migliorare il trasporto pubblico locale; tragicomico dato che lo stesso Gaudì morì nel 1926 investito proprio da un tram barceloneta.

I lavori che porteranno a termine il faraonico progetto dell’architetto di Dio non seguiranno, tuttavia, le sue originali intenzioni; molto di quello che verrà realizzato è solo un’interpretazione dato che parecchie carte e disegni di Gaudì sono scomparsi durante la Seconda Guerra Mondiale.

In ogni caso, l’ultima pietra è prevista per il 2026, anno del centenario della morte dell’artista.

Nicola Massaro

L’emancipazione della donna nel mondo orientale

 Il tema è quanto mai complesso, ricco di sfaccettature che possono apparire anche poco comprensibili agli occhi dell’occidentale che legge la questione interamente sotto il lume dei movimenti femministi del Novecento, eppure il tema esiste, perché esiste la questione dell’emancipazione femminile per le donne  del medio e dell’estremo Oriente.

Prendiamo la storia dell’eroina baha’i Tahirih, nata da radici azere, simbolo ed ispirazione dell’Azerbaijan: è stata una campionessa per l’uguaglianza tra uomo e donna nel XIX secolo.

Fátimih Zarrín Táj Baragháni, o Táhirih, “la Pura” in persiano, fu una influente poetessa ed intellettuale, menzionata e riconosciuta come esempio di coraggio nella lotta per i diritti delle donne.

Lo scorso 25 gennaio, il Museo di storia nazionale dell’Azerbaigian ha tenuto una celebrazione per l’istruzione femminile nei secoli XIX e XX durante la quale sono stati riconosciuti la dedizione e i contributi di Tahirih all’avanzamento delle donne. “Tahirih è tenuta in grande considerazione. Non è famosa solo all’interno della Fede baha’i, ma è anche molto conosciuta e rispettata in tutto l’Oriente”, ha spiegato Azer Jafarov, professore dell’Università di Baku.

La poetessa che ha influenzato la letteratura moderna, perorato l’emancipazione delle donne e ha avuto un profondo impatto sulla coscienza pubblica oggi è studiata nelle scuole di tutto il Medio Oriente e la sua vita è portata come esempio di espressione del libero pensiero. La sua grande personalità, che le costò in vita la persecuzione e l’arresto per essersi battuta per vedere riconosciuta l’autonomia della fede baha’i rispetto all’Islam, di cui riconosceva il Corano ma rifiutava la Sharì’a, è stata omaggiata da scrittori cristiani, atei e musulmani. Ed oggi, non solo le donne dell’Est, ma tutte le donne possono imparare dal suo carattere e dalla sua vita cosa sia la libertà di pensiero, l’emancipazione delle donne e l’atteggiamento di ricerca indipendente della verità.

Oggi, infatti, la statua di una donna che si toglie il velo è stata eretta nel centro di Baku, una rappresentazione della storia di Tahirih.

Il monumento, noto come “la statua di una donna emancipata”, è stato creato nel 1960 dallo scultore Fuad Abdurrahmanov.

Rossella Marchese

 

Il mistero dell’iceberg perfetto

È stato individuato e fotografato dalla NASA nei giorno scorsi un bizzarro iceberg dalla forma rettangolare perfetta che ha subito scatenato sui social media la caccia all’intervento alieno.

Lo strano fenomeno è stato individuato vicino alla piattaforma di ghiaccio di Larden C, nella penisola antartica. Le foto mostrano uno spesso blocco di ghiaccio lungo un miglio che spicca minaccioso da un mare di acqua gelata e sottile, e che si pensa sia stato recentemente scheggiato.

Gli scienziati hanno preso lo scatto da un aereo usato per monitorare il cambio di terra e ghiaccio marino nel Polo Sud e, non appena reso noto, molti hanno sottolineato la sua forma particolare in relazione, alternativamente, con un lavoro di Photoshop o come opera aliena.

Tuttavia la scienziata della NASA Kelly Brunt, esperta dei ghiacci e dei loro comportamenti, ha spiegato che il processo causa della stranezza è, invece, abbastanza comune. Esistono due tipi di iceberg: un primo tipo, molto comune, anche nel nostro immaginario collettivo, prismatico come quello che speronò il Titanic, per intenderci; il secondo tipo, meno comune, chiamato “iceberg tabulare” la cui forma e sviluppo è assimilabile a quella di un’unghia che cresce troppo e alla fine si spezza. Questo spiega la forma bizzarra dell’iceberg individuato dalla NASA; staccandosi dalla piattaforma ghiacciata, esso si è spezzato in maniera geometrica e regolare, nessun alieno, dunque, soltanto madre natura.

Come per tutti gli iceberg, anche per quelli tubolari vale la regola del 10%, per cui la parte visibile è solo quella minima e superficiale, il resto, la quasi totalità della sua mole, rimane sommerso.

L’operazione della NASA che ha portato a questa scoperta si chiama Icebridge, la più vasta missione di ricognizione aerea dei poli mai fatta. Con questa missione la NASA vuole raccogliere immagini tridimensionali dall’Artico e Antartide come non è mai stato fatto prima.

I voli di Icebridge offriranno, ogni anno, uno sguardo sui rapidi cambiamenti dei ghiacci di Groenlandia e Antartide, aiutando a completare i dati raccolti con il satellite della Nasa IceSat nel 2003 e 2010, e ICESat-2, programmato per il 2018. I voli si faranno da marzo a maggio in Groenlandia e da ottobre a novembre in Antartide.

Nicola Massaro

 

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