Luciano Bovina, autore dell’anno FIAF 2024

FOTOIT, la rivista ufficiale della FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) presenta in copertina, nel numero di giugno, l’autore dell’anno FIAF 2024 Luciano Bovina al quale  dedica a cura di Silvano Bicocchi una interessante intervista che presenta il fotografo partendo dai suoi inizi negli anni del collegio.

Lunga, interessante e complessa la sua esperienza fotografica sviluppata prima nella Marina militare, durante il servizio di leva, per poi specializzarsi sempre di più grazie a importanti collaborazioni per arrivare alla Formula1.

La sua capacità di cogliere attimi e di immortalarli negli scatti fotografici consente al pubblico di appassionati ed esperti di fotografia di poter vivere le situazioni quasi immergendosi nelle immagini stesse. Non solo, la grande apertura mentale, la curiosità e l’umanità fanno di Luciano Bovina un fotografo di grande spessore il cui lavoro e la tecnica fotografica possono essere approfonditi duranti gli incontri Autore dell’anno FIAF 2024 con i Circoli appartenenti alla Federazione.

Antonio Desideri

Annalisa Di Nuzzo: Etnografie Letterarie e Migrazioni: Scritture di Donne Migranti

Donne impegnate nel mondo accademico, nell’associazionismo, nelle professioni, nell’attività imprenditoriale. Donne affatto ignare di Dante, Shakespeare, Ionesco.

Perché, a suo avviso, lo stereotipo della badante rozza e priva di cultura stenta a morire? 

Mi occupo antropologia delle migrazioni in particolare di migrazioni femminili da circa vent’anni ho visto la trasformazione del fenomeno nel corso delle mie ricerche ma certo restano ancora alcune radicate resistenze e ostilità.

La risposta è nella nostra relazione con “l’altro” e con la diversità. Famosa ma efficace la definizione di  Claude Lèvi Strauss che sintetizzava paradigmaticamente l’ambivalenza di questo incontro/scontro  sostenendo che  con “l’altro o si fa la guerra o ci si sposa”. Dunque sull’altro noi proiettiamo quello che non accettiamo di noi stessi,  sopravvalutando noi stessi in un etnocentrismo che finisce con il disprezzare chi è diverso da noi rendendolo rozzo, incivile, ignorante nonostante forse l’altro ha una formazione e processi culturali interiorizzati complessi e significativi.  Del resto è necessario precisare che tutte le culture hanno bisogno del confronto con l’alterità, tutte le culture sono il frutto di continue contaminazioni nessuna cultura, per fortuna, è pura. Quando una cultura si chiude all’altro collassa su se stessa e implode. Il paradosso che io ho riscontrato nelle mie ricerche sul campo in Campania nell’incontro tra donne immigrate e donne campane è stato davvero singolare. Le datrici di lavoro delle cosiddette badanti erano e sono spesso meno “acculturate” delle donne a cui danno lavoro, sono spesso casalinghe o lavoratrici che hanno una cultura di appartenenza essenziale, semplice e  si confrontano con donne laureate, specializzate in settori lavorativi dirigenziali che magari parlano più lingue e tuttavia l’altro è sempre “meno” rispetto a noi che lo accogliamo e lo utilizziamo relegandolo in forme stereotipate che ci rassicurano e ci tranquillizzano circa il controllo che possiamo esercitare senza un’ autentica relazione di reciprocità. All’interno delle case di realizza una particolare dialettica tra donne che può diventare una comune crescita di consapevolezza delle rispettive identità quando si superano le reciproche diffidenze.

Pessimo umore, afflizione ostinata, anoressia, veglia continua, affaticamento e chimere suicidarie sono le avvisaglie della “Sindrome Italia”, definizione coniata nel 2005 da Andriy Kiselyov e Anatoliy Faifrych ad indicare gli effetti dell’”affetto a pagamento”.

Un Paese può essere foriero di stress patologico?

Assolutamente sì quando non si instaura una disponibilità al confronto culturale ovvero un autentico transculturalismo in cui si mette in gioco sia chi accoglie sia chi arriva . Lo spaesamento che si insatura nel migrante procura uno shock culturale e un crash identitario che procura sintomi etnopsichiatrici come per esempio la “sindrome di Ulisse” (ossia il rifiuto di parlare e ripercorrere quanto è accaduto durante il viaggio con relativi sintomi di disagio psico-fisico). Nello specifico poi l’accudimento e la cura diventa l’orizzonte di senso della vita quotidiana di queste donne che si sostituiscono ad un welfare spesso inesistente e ad una famiglia in cui le donne non possono e non vogliono più svolgere come nella famiglia ottocentesca e più rigidamente patriarcale, il loro ruolo esclusivamente domestico. Per restare nel mondo del lavoro si affidano ad altre donne che le sostituiscono specialmente per l’accudimento degli anziani. In generale nella percezione sociale rimane radicata la concezione arcaica e velatamente dispregiativa del lavoro di cura, la connotazione ribadisce, qualora ce ne fosse ancora bisogno, con il perdurare di questa scarsa consapevolezza sociale e scientifica del fenomeno badanti e quanto esso connoti un ruolo sociale sottostimato. Ho conosciuto e ascoltato donne migranti che “accompagnano” questi anziani alla morte, e si relazionano continuamente alla sofferenza e sono quindi logorate e spesso reagiscono in modo ambivalente a questo vissuto sia in atteggiamenti depressivi o al contrario in reazioni vitalistiche e di più libera sessualità.  In buona sostanza mi preme sottolineare che dietro il successo lavorativo e la rilevanza sociale di una donna occidentale c’è spesso una donna immigrata che le consente di vivere questa dimensione pubblica.

L’integrazione è un processo multifattoriale esteso nel tempo, un cammino con molteplici tonalità e multiple sfaccettature, un iter gravoso multidimensionale.

Un medium potrebbe essere rappresentato dall’esatta cognizione dei fatti?

La sua domanda pone un problema nel problema. Se analizziamo la comunicazione mediatica, del web, giornalistica della carta stampata o no, insomma  relativa a tutti i mezzi e le forme di comunicazione su tema migrazione, non c’è mai l’esatta cognizione dei fatti quando si comunica sulla migrazione. Il linguaggio, le immagini e quant’altro sono sempre esasperati amplificati sull’aspetto emergenziale dell’invasione e sulla necessità di difendersi. Tanti sono gli studi in proposito fatti anche dai miei studenti dell’università che confermano questa modalità; ne ricordo uno su tutti:  rispetto ai numeri di migranti in Italia ogni italiano ha una percezione triplicata dei dati rispetto a quelli reali. Quindi è chiaro che una comunicazione più autentica a tutti i livelli e in tutte le forme potrebbe dare una mano alla rimozione degli stereotipi e dell’immagine dello straniero brutto, sporco, cattivo, ignorante e delinquente.

Sono passati più di trent’anni dall’inizio della migrazione albanese verso l’Italia: la collettività femminile d’origine albanese è ancora bisognosa di ascolto e riconoscimento?

Tutte le comunità migranti in Italia hanno ancora molto bisogno di ascolto e di riconoscimento. Siamo ancora molto carenti da questo punto di vista nonostante lo splendido lavoro che svolge gran parte del terzo settore in progetti proficui di accoglienza e di integrazione. In particolare le donne come si diceva sono vittime di un doppio stigma negativo ovvero: donne e migranti. Un connubio esplosivo di marginalizzazione.

Il suo lavoro di ricerca pare incedere su due binari paralleli: la silloge del materiale medico-scientifico e la raccolta di colloqui, testimonianze, storie.

Quali sono gli elementi ricorrenti e, pertanto, di congiunzione?

Le metodologie  di analisi e ricerca dei fenomeni da parte dell’antropologo culturale sono complessi e fortemente caratterizzati dall’utilizzo di diversi strumenti che possono essere sintetizzati attraverso un approccio sincretico che coniuga  statuti epistemologici delle diverse scienze umane e sociali senza perdere di vista la specificità dello sguardo antropologico quindi non parlerei di binari paralleli ma di reti interpretative del “campo sociale transnazionale” che caratterizza tutte le società occidentali che vivono il fenomeno migratorio e che investe tutti gli attori sociali. Per comprendere il fenomeno e i suoi continui mutamenti è necessario raccogliere dati quantitativi, aspetti psicologici, sociologici dello stato di salute o di malessere ma poi, soprattutto, qualitativi; insomma al centro dell’indagine c’è una “antropologia della persona” e delle diverse persone del campo sociale che emerge dall’analisi sul campo, dalle storie di vita e dalle interviste (antropologicamente strutturate e non giornalistiche) che non riguardano solo i migranti ma anche gli attori politici, gli operatori sociali, i componenti delle famiglie ecc. Solo così emergono gli elementi ricorrenti  sia negativi che positivi quali l’emarginazione a scuola, la ghettizzazione urbana, le difficoltà nell’uso della lingua, l’incomprensione delle diverse ritualità culturali  ma anche elementi di successo dell’integrazione e della ricchezza che la diversità culturale può portare alle società complesse  quando cioè  si realizza un vero “cosmopolitismo vernacolare” e si cambia reciprocamente quando ciascuno acquista e perde qualcosa come spesso succede in  Campania

In Italia sono presenti pressoché 1.700.000 le donne migranti: filippine, sudamericane, ucraine, polacche, moldave, rumene.

Quale ruolo assumono gli Acli Colf rispetto alla loro tutela?

Nel corso degli anni c’è stata una profonda trasformazione del terzo settore e delle associazioni che si occupano del lavoro dei migranti. Siamo ormai di fronte a seconde, terze generazioni di immigrate che hanno dato una svolta ai sistemi migratori, nuove italiane e dunque in queste organizzazioni ci sono molte donne immigrate che si sono integrate con successo e con la loro intermediazione tutelano al meglio il lavoro di queste donne che rischiano sempre di essere invisibili, chiuse nella loro domesticità tendono a subire in silenzio o anche talvolta a reagire con insospettata aggressività.

Professoressa, le sue analisi sono rivolte altresì alla trasformazione che, progressivamente, ha portato le donne migranti ad affrancarsi dalla domesticità e ad approdare ad attività di tipo imprenditoriale.

Quali le motivazioni sottese ad una radicale ridefinizione del proprio ruolo?

Le mie ricerche attuali sono focalizzate sulle  trasformazioni del fenomeno migratorio e sulle seconde generazioni. In questa ultima fase l’analisi è soprattutto rivolta alla trasformazione che progressivamente ha portato queste donne ad affrancarsi dalla domesticità e ad approdare ad attività di tipo imprenditoriale. Ci sono state nel tempo diverse ondate migratorie di donne  che se in un primo tempo hanno scelto lo spazio del mercato delle cura perché offriva loro l’opportunità di inserirsi senza clamore nel paese di accoglienza, ora le figlie  di queste donne di prima generazione e le donne più giovani hanno acquisito un’assertività maggiore e una consapevolezza delle loro competenze dei loro desideri e della necessaria resilienza che le ha portate ad avere lavori in proprio,  spesso piccole aziende di servizi che ora, ancora una volta paradossalmente, in Campania danno lavoro anche a ragazze e ragazzi italiani. Giovani donne e nuove italiane che hanno vissuto a volte sofferto del lavoro della madri come badanti e sono state in grado anche attraverso non semplici percorsi di integrazione, di cambiare la loro posizione economica e il loro ruolo sociale.

Entrando più nello specifico dell’immigrazione femminile in Campania, area presa in considerazione nel corso delle sue ricerche, è possibile notare come la presenza straniera in Campania si sia modificata.

Quali sono le caratteristiche dei modelli migratori emergenti?

Come appena detto sono cambiati i flussi migratori e anche, in parte, le nazioni di provenienza ma per esempio l’Ucraina resta ancora  uno dei  paese di provenienza anche purtroppo per le recenti drammatiche vicende, che hanno portato in Italia e in Europa una nuova forte presenza di migrazione femminile. La continua analisi della qualità della composizione dei flussi attuali mostra come stiano ancora una volta cambiando anche le caratteristiche del profilo delle donne coinvolte. Ve ne sono molte  dotate di istruzione medio-alta, che migrano da sole. Il collettivo che presenta la più alta percentuale di presenza femminile è quello ucraino (77,3%), seguito dal polacco (74,1%), moldavo (66,1%) e bulgaro (62,6%).

L’analisi si orienta verso due distinte direzioni: da un lato si concentra sul ruolo giocato dalle relazioni di genere, ossia dalle nuove solidarietà tra donne, le reti d’informazione e di sostegno transnazionali nei processi migratori; dall’altro si cerca di comprendere le specifiche modalità di incorporazione delle donne migranti nei mercati del lavoro delle società di destinazione. Un dato emerge sull’evoluzione delle migrazioni  femminili che la donna migrante è dotata, rispetto agli uomini migranti, di una maggiore capacità di innovare, di trovare risorse e soluzioni, e di fare “rete”. Dalla ricerca sul campo emerge un profilo di donna immigrata in cui c’è un intreccio di assertività e determinazione, il voler essere artefice di una autonomia economica che non sia legata ad un lavoro dipendente, dunque la scelta di una migrazione che nasce già come desiderio di affermazione e non da un bisogno devastante scaturito dalla povertà, non una fuga scomposta e disperata ma una partenza verso una opportunità.

Non si tratta più della donna migrante di qualche decennio fa, chiusa tra le mura domestiche e invisibile. Si definiscono in questo modo nuove forme di identità femminili postmoderne e globali; un femminismo nuovo senza frontiere né ideologismi che attraversa vecchi confini e ne annulla le barriere spaziali, nazionali, post coloniali, etniche e psicologiche, rifondando nuove solidarietà nonostante i limiti della loro collocazione sociale e lavorativa.

 

Annalisa Di Nuzzo  (annalisadinuzzo.com) è antropologa culturale, professore abilitato II fascia in antropologia culturale, professore a contratto per l’insegnamento di Geografia delle lingue e delle migrazioni Corso di laurea in Lingue moderne per la comunicazione e la cooperazione internazionale, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa; coordinatore responsabile Fondo Durante Studi e scritture delle migrazioni  Biblioteca Suor Orsola Benincasa;  già professore a contratto di Antropologia culturale presso dipartimento DISUFF Università di Salerno, ha conseguito il PhD in Antropologia culturale, processi migratori e diritti umani.

Direttore  Scientifico e socio fondatore dell’Associazione Festival della filosofia in  Magna Grecia in qualità di esperta di antropologia culturale, antropologia del turismo, patrimoni immateriali e heritage tourism.

Socio del Centro di Ricerca Interuniversitario I_LAND (Identity, Language and Diversity) dal 2016.

Socia e membro del Comitato scientifico dell’associazione ALTERITAS Interazione culturale tra i popoli dal 2016 con sede a Verona, Alteritas http://www.alteritas.it/comitato-scientifico/

Tra i suoi maggiori campi d’indagine ricordiamo l’antropologia delle migrazioni, l’antropologia del turismo, antropologia e genere, antropologia e letteratura.

È autrice di numerosi saggi e  monografie tra cui:

Monografie:

Napule è… Piccola antropologia partenopea, il melangolo ed., Milano 2024.

La città e le sue culture. Adolescenza, violenza, gruppi di strada, la Valle del Tempo ed., Napoli, 2023

Conversioni all’Islam all’ombra del Vesuvio, CISU, Roma 2020.

Minori Migranti. Nuove identità transculturali, Carocci, Roma, 2020

Fuori da casa. Migrazioni di minori non accompagnati, Carocci, Roma, 2013

Il mare, la torre, le alici: il caso Cetara. Una comunità mediterranea tra ricostruzione della memoria, percorsi migratori e turismo sostenibile, Roma Studium 2014;

La morte, la cura, l’amore. Donne ucraine e rumene in area campana,  CISU, Roma, 2009.

Saggi tra gli altri:

Dall’invisibilità alla soggettività. Imprenditorialità femminile di donne immigrate in Campania, in “Dialoghi mediterranei”, n. 56 luglio 2022, ISSN 2384-9010 rivista on line

Giuseppina Capone

Massimo Fazzari, un lungo impegno nell’associazionismo 

Il mondo dell’associazionismo campano e napoletano è sempre stato molto attivo
Ne parliamo con Massimo Fazzari, docente e presidente dell’Associazione “L’Armonia”.
Come e quando inizia il vostro impegno associativo? 
Da incontri fra amici ed amiche, riuniti intorno ad interessi diretti o indiretti per l’Arte anzi le Arti. In un momento “catartico” come quello fra il 1987 e 1988 nasce da un lato il bisogno e dall’altro la passione per fare cultura, valorizzare l’esistente e costruire un futuro più positivo nell’ambito appunto culturale per la presa di coscienza generale “culturale ed artistica” di un territorio, di un popolo, di cittadini.
Come mai avete scelto il nome “L’Armonia” e chi partecipava nei “propositi” o programmi al vostro progetto?
Il nome “L’Armonia”, dopo varie riunioni, è stato proposto proprio da me, pur se non ancora Presidente ed ha trovato d’accordo prima i due protagonisti principali, consiglieri, amici e leader, allora “capi gruppo” anche per le serate e le uscite, Carmela (eviterò i cognomi sia per riservatezza, sia perché dopo tanto tempo non a tutti può far piacere riparlare del passato, ormai passato), che faceva anche da ospite molto piacevole per i vari incontri, sia Antonio, che sarà protagonista di vent’anni di impegno. Va però detto che ci fu proprio un senso di “armonia” per far sì che ognuno prendesse il suo posto per poter portare avanti il progetto e poi le iniziative che venivano fuori in modo corale e vulcanico e perciò bisogna ricordare Kriss, Enzo, Antonio, Betty ed altri ancora. Con senso artistico, con buoni programmi e programmazioni, con grande senso organizzativo e di iniziativa, si partiva veramente per una grande avventura che trovava riscontro qualche tempo dopo, i primi di gennaio del 1988, in uno Statuto e in una vera e propria Associazione che con quegli intenti “aggregativi e raccoglitivi di arte, artisti, sensibilità ambientale, tecnica e tecnologia, formazione, era la prima in assoluto. Il successo associativo, prendendo le mosse con le prime iniziative sempre originali e potenti (per passione e competenza), era molto positivo. Più di cento soci nel giro di un paio di mesi e fra questi soci la maggior parte attiva. Tornando al nome bisogna dire il sottotitolo per capire le sue fondamenta, parole presenti nel logo: alchimia d’euritmia. E’ un principio di esistenza e insieme un principio del divenire dell’essere. Quindi gli intenti erano grandi “spiritualmente” oltre che oggettivamente, nella pratica sociale. Alchimia, vale a dire la unione e la “messa insieme” di elementi eterogenei e euritmia che richiama il ritmo e l’essenza delle cose.
Quali sono state le prime iniziative o i principali programmi?   
La prima iniziativa, pur se un po’ abbandonata abbastanza presto per motivi logistici soprattutto, è stata la promozione e produzione di un “seminario  sullo spettacolo” (con corsi molto interessanti), poi dopo aver preso sede a Bagnoli, abbiamo iniziato la promozione di mostre (pittura, foto, e di artisti nascenti o giovanissimi) e poi di spettacoli. Un punto importante resta nella nostra storia il 1994. Sin dall’anno precedente, da un incontro fra me e Raffaele, che portava avanti già un progetto di “vivibilità, benessere in rapporto al territorio” si iniziò a lavorare per far “valorizzare il centro storico di Napoli” e penso che in questo siamo stati proprio i primi, pur se nessuno ne ha mai reso il merito o i limiti, da una piccola traversa ora notissima, dove si trova la “Cappella Sansevero” un po’ più su di Piazza San Domenico Maggiore, che divenne la protagonista perché facemmo una “Piazza di Recupero delle tradizioni, di Commercio e artigianato e di Cultura”: per una quindicina di giorni prima di Natale organizzammo per la prima volta a Napoli una manifestazione di rappresentazioni sceniche, di bancarelle, di artigianato, e tante altre cose… certo il promotore e protagonista era Raffaele, molto più pratico di me.
Quali sono stati gli obbiettivi della vostra attività o quelli raggiunti?
In primis erano le attività, che seppur non da professionisti si sarebbero fatte con la passione e con la precisione di chi “vuole fare” e senza avere prevaricazioni di organismi e controlli e tutto il resto che spesso impediscono l’espressione, la creatività, l’organizzazione autonoma.
Il primo vero e proprio obbiettivo è stato la formazione di un gruppo di spettacolo che però andava a coprire un po’ tutti i campi utili e con volontari che si facevano avanti, dopo una breve selezione dei responsabili di settore si mettevano all’opera. Il gruppo è stato chiamato “Gruppo Teatro Genesi” (proprio la Genesi come origine e come spirito). Il primo spettacolo e forse quello che ha rappresentato non solo un successo oltre le aspettative ma che è rimasto storico e indelebile è stato la Messa in Scena sul Culto Popolare di San Gennaro, fra il sacro ed il profano scritto da me, pur se nella creazione c’è stato l’apporto di tutti i componenti del Gruppo. Dal pomeriggio del 28 giugno 1988 si percorse tutta la Sanità e si sconvolse positivamente un quartiere che allora era quasi impossibile da penetrare, da conoscere, ecc., sicuramente molto diverso da oggi. Si iniziò un percorso spettacolare, sociale e culturale e forse anche politico: promotore un comitato locale legato all’Ospedale di San Gennaro, che aveva alle spalle la Basilica di San Gennaro extramoenia, chiusa prima di quell’intervento che servì proprio a riaprirla. Uno spettacolo che risultava indecente: opere d’arte accumulate, nell’umidità, statue sgretolate quasi, quadri e tavole pittoriche appoggiate in modo casuale alle mura della chiesa. Il nostro successo, se vogliamo, fu proprio il riaprire, riconquistare all’uso della popolazione quel gioiello storico ed architettonico che oggi è gestito da una Associazione e da una Fondazione (nate molto tempo dopo…).
Ci vuole ricordare altre iniziative? 
Questa iniziativa ne porterà tante altre, anche su richiesta delle Istituzioni comunali ed Enti privati, come ad esempio due idee che proposi in occasione di un Bando di Concorso sulle ricerche sui Campi Flegrei. Una riguardava il riappropriarsi da parte delle persone degli spazi sociali, culturali e anche artistici utilizzando o adottando insieme ad altre realtà luoghi e patrimonio artistico esistente in città. Un’altra proposta che facemmo fu quella del recupero delle piazze soprattutto al Centro Storico e così con l’aiuto anche di due Magistrati, queste si svuotarono dalle auto (prima erano solo parcheggi!!) e furono chiuse e da allora vennero rivalutate e riacquistate ad uso dei cittadini e di attività commerciali e culturali, insieme. Non è tanto per farsi belli che riporto queste cose, ma soprattutto per restituire alla storia, alla cronaca vera, quel che sono stati i passi, anzi i primi passi di attività sociali, culturali, artistiche nella nostra città dopo epoche di indifferenza, soprattutto ed anche per lasciare un testimone, per le generazioni che la vivono ora, eper quelli che verranno che si sappia che le cose non sono nate da un cilindro ma anche da attività di Associazioni e di cittadini volenterosi (e capaci). Si scusi l’immodestia ma pochi riconoscono i meriti di chi è stato emulato (senza “far soldi”!).
Alessandra Federico

Lions International Distretto 108 Ya e Distretto Rotary 2021: si apre una stagione di cooperazione

In occasione dell’Incontro Programmatico del Distretto Lions 108Ya tenutosi il 12 e 13 luglio a Salerno, nella cornice del Grand Hotel, il Governatore del Distretto Lions Tommaso Di Napoli e il Governatore del Distretto Rotary 2021 Antonio Brando hanno annunciato l’avvio di un programma di cooperazione tra le due associazioni per rafforzare l’azione per migliorare le condizioni di vita delle persone bisognose e promuovere la pace e la comprensione internazionale.
Entrambe le organizzazioni hanno una lunga storia di servizio e usando la forza combinata delle rispettive reti possono espandere la portata della loro azione e il loro impatto positivo nel mondo a favore dell’umanità sofferente, di chi vive in una situazione di bisogno e promuovendo l’inclusione.
“Affrontiamo insieme il futuro perché ce lo chiede il particolare momento storico. Dobbiamo andare controtendenza in un mondo che esalta la divisione e la contrapposizione”, spiegano i due Governatori, Tommaso Di Napoli e Antonio Brando.

Francesca Sensini: Afrodite viaggia leggera

Dal IV sec. a.C. l’iconografia della dea Afrodite muta radicalmente, a partire dall’Afrodite cnidia di Prassitele: in tale statua Afrodite è rappresentata mentre sta per immergersi nell’acqua per un bagno, con uno sguardo lontano che ne sottolinea il carattere ultraterreno.

In qual misura il primo nudo femminile dell’arte greca ha influenzato l’immaginario collettivo legato a questa divinità?

Di fatto, nel mondo antico, a partire dal IV sec. a.C., l’iconografia dell’Afrodite cnidia è quella più popolare. La dea è rappresentata completamente nuda, la veste appoggiata a un’idria, un tipo di vaso destinato a contenere dell’acqua. Afrodite sta per immergere in un bagno, o forse ne esce. Con una mano davanti al pube sembra quasi volersi coprire; di fatto, però, il gesto ha l’effetto di attirare lo sguardo di chi contempla la statua proprio su quel punto. L’esposizione della statua nel tempio dedicato alla dea a Cnido – città di traffici e commerci dell’antica Caria, oggi in Turchia – aveva suscitato un tale scandalo e, insieme, un tale successo di pubblico – pellegrini, viaggiatori, curiosi, assediavano il tempio per vedere la dea nuda – da imporsi naturalmente sulle altre immagini, velate e severe, della dea, o addirittura guerresche. Si pensi all’Afrodite “marziale”, areia, rappresentata armata di spada. Afrodite areia era venerata ad Argo, Sparta, Taranto ma anche a Citera e Cipro, le due isole collegate alla nascita della dea dal mare. Il culto di questa Afrodite combattente, in contraddizione con l’immagine vulgata di dea graziosa e imbelle, rinvia alle sue origini mediorientali e alle dee mesopotamiche, la sumerica Inanna, l’accadica Isthar, la fenicia Astarte, tutte dee dell’amore e della guerra, da intendersi come principi alla base del funzionamento del cosmo.

In Afrodite viaggia leggera racconto come Prassitele fosse stato ispirato da un modello dal vero, la cortigiana Frine – una donna intelligente, assai combattiva, anche in politica, e di grande bellezza – di cui era – così alcuni dicono –  innamorato. Fu in questo modo che, accanto ai nudi maschili, cosiddetti eroici, anche il nudo femminile trovò una sua cittadinanza nello spazio pubblico e ancora oggi, se pensiamo a Afrodite/Venere, pensiamo a una figura femminile nuda o seminuda.

Ai nostri giorni l’Afrodite pop è senz’altro la statua di marmo della Venere di Milo, esposta al Louvre, insieme alla Venere del dipinto di Botticelli, La Nascita di Venere, esposto agli Uffizi a Firenze.

Afrodite si presenta già nella Teogonia di Esiodo come la prima figura femminile in forme antropomorfe, emergendo da un contesto di desiderio e di violenza che ne caratterizza i tratti di seduzione e di inganno, poi presenti nella prima donna, Pandora.

Ella incontra la guerra ed il potere. Riesce a vincere, difendendo l’amore da ogni violenza?

La versione più nota della nascita di Afrodite – dalla spuma del mare, come si suole dire – è raccontata da Esiodo nella Teogonia, vv. 176-206. Secondo questo racconto la dea viene al mondo in virtù di una separazione violenta e non di un’unione sessuale. Di fatto non ha una madre ma deriva da una sorta di prodigiosa reazione dello sperma di Urano – evirato dal figlio Crono per costringerlo a interrompere il coito infinito con Gea, impossibilità così a sgravarsi del figli e delle figlie che nutriva nella sue viscere –  a contatto con le onde del mar Mediterraneo. La dea emerge da un abisso marino che è anche un abisso di mistero. Di ogni separazione e incompletezza Afrodite è in qualche modo l’antidoto, la cura, come ho tentato di raccontare nel mio libro, attraverso le storie d’amore e di avventura in cui è coinvolta, direttamente o come regista, complice, osservatrice.

E sì, nelle storie che racconto la dea riesce a difendere l’amore dal desiderio non corrisposto, dalla violenza, anche se lei stessa, ad un certo momento, deve ubbidire alla sua stessa legge e conosce così l’amore umano, destinato a finire, e la sua sofferenza, innamorandosi di un essere mortale, il cacciatore cipriota Adone.

Mentre la dea Era, legittima consorte olimpica di Zeus, presiede all’unione matrimoniale, nodo fondamentale nella grande rete dell’ordine sociale, nella quale i due coniugi si completano l’uno attraverso l’altro e hanno potere solo insieme – la coppia Era-Zeus non si separa, nonostante l’alto grado di conflittualità che regna tra le due divinità, perché il loro regno crollerebbe  – Afrodite è la dea dell’amore come festa, del matrimonio come rito che celebra la vita e la gioia. Anche questi aspetti emergono dalle vicende che ho scelto di raccontare, in parte riprendendo elementi della tradizione e delle fonti storiche e letterarie, in parte inventando intrecci sulla basi però di dati, di indizi, disseminati sulle rotte della dea.

Pandora merita un discorso a parte, essendo un artefatto – si tratta in sostanza di una prima donna-automa ideata e realizzata dall’abilissimo Efesto – che appartiene già a un altro spazio mitico, a un’altra età del mondo rispetto a quello in cui si situa originariamente Afrodite, che è una titana e appartiene all’età di Crono – l’età dell’oro e di un’umanità aurea che non conosceva alcune distinzione di sesso, né la fatica, né il lavoro, e viveva in armonia con il divino, senza bisogno di astuzie, di inganni, di rivalse, di Prometei. Ma, ripeto, è un’altra storia.

La dea viene soventemente riconosciuta con uno specchio, una mela, una corona di mirto, un uccello sacro – una colomba, un passero – fiori come le rose o il mirto.

Può disvelare questi simboli?

Più che simboli si tratta di attributi a cui si sono associati significati simbolici che hanno poi subito cambiamenti e adattamenti semantici nel corso del tempo e a seconda del contesto in cui vengono evocati. Anche la corona, e in generale gli ornamenti d’oro, come la sua famosa “cintura di Afrodite”, che è in realtà una fascia trapunta d’oro, fanno parte della dea e rappresentato i suoi poteri; anzi, sono veri e propri oggetti magici che fanno del corpo della dea uno spazio di potere che agisce nel suo stesso manifestarsi. Del cinto Afrodite viaggia leggera racconta la storia e prova a darne un senso.

Lo specchio serve alla bellezza per contemplarsi – e diventa simbolo di vanità con il mutamento della mentalità  – la mela. o “pomo della discordia”, rimanda al famoso giudizio di Paride e alla vittoria della dea sulle rivali, Atena ed Era (a cui è seguito la famosa guerra di Troia). Il mirto, che ha un suo  spazio nel paesaggio del mio libro, è un arbusto sempreverde e deliziosamente odoroso, con bacche che producono il buonissimo liquore, molto diffuso sui litorali del Mediterraneo. Nella Metamorfosi, Ovidio racconta la storia del mirto e riferisce di come Afrodite, appena nata, avrebbe coperto il suo corpo nudo con alcuni rami di questa pianta per sottrarsi allo sguardo lascivo di un satiro. Le rose sono legate all’amore di Afrodite per il cacciatore Adone e restano nella tradizione, specie se rosse come il sangue e la passione, fiori amorosi e da innamorati. Le colombe venivano talvolte allevate nei suoi santuari e le sono associate alla dea perché sembrare avere comportamenti simili a quelli umani – come il bacio – e perché amoreggiano tutto l’anno. I passeri, invece, le sono associati perché considerati tradizionalmente uccelli lascivi. Anche la melagrana è sacra dea – non solo a Persefone, con cui peraltro esistono legami interessanti e complessi – come la mirra, la lattuga, l’anemone; tra gli animale, l’oca, il cigno e creature marine come i tritoni, i molluschi a conchiglia e le loro perle. L’elenco è lungo e non ne esiste una versione unica, come non restano identici i significati dei vari attributi della dea. Occorre sempre interrogarci sul contesto.

“Afrodite, marina e dorata, celeste e terrena, viaggia leggera sulle rotte del Mediterraneo.”

Qual è il luogo di culto maggiormente rappresentativo?

Posso dire qual è per me, in questo mio libro, il luogo più rappresentativo: Ischia, l’antica Pithekoussai e la storia d’amore che si svolge sull’isola. Ma è una risposta personale che non ho nessuna pretesa di oggettività. Non ho infatti scritto un saggio sulla dea. Il mio è un lungo racconto, fatto di viaggi e avventure che ho scelto seguendo le mie inclinazioni, le mie fissazioni anche; in parte si tratta di materiale tratto dal mito antico, dalla storia, dalla tradizione letteraria, e riscritto, interpretato, completato nei suoi vuoti dovuti alle lacune della tradizione; in parte si tratta di storie di mia invenzione, che ho messo insieme analizzando e riassemblando dati ed elementi che ho rintracciato nei miei studi intorno alla dea.

“Tutto l’universo obbedisce all’Amore”. Così si legge nell’Elogio in Les Amours de Psyché, di Jean de la Fontaine.

Il fascino di Afrodite risiede nell’inspiegabilità d’un sentimento?

Il fascino di Afrodite è legato, a mio avviso, all’ineluttabilità dell’amore, del desiderio, dell’eros – con quello che comporta di istinti, di conflittualità, di lotta – in ciascuna e ciascuno di noi. Perché non lo sappiamo. Così è. In effetti, la spiegazione non c’è, c’è una legge. La forma che questa legge cosmica ha preso alle nostre latitudine è quella di Afrodite La dea è una fantasia mediterranea, nostra, tutta umana. Ed è in effetti una fascinosissima donna fatale, nel senso che appartiene al nostro destino di specie: il sesso, l’amore, le loro varie declinazioni civilizzate e civili, e la bellezza a cui aspiriamo ogni giorno, dopo tutto, come consolazione, come forma di possibile felicità.

Professoressa, Lei si occupa anche di studi di genere in ambito letterario. Le sue ricerche sono influenzate dalla sua formazione formazione classica?

Certo. La mia formazione classica influenza non solo le mie ricerche ma anche il mio sguardo sulle cose. Per questo mi occupo della ricezione del mondo antico nella modernità e oggi. Il ricorso a una lente di genere mi è utile per osservare aspetti e rintracciare nessi che, senza quella lente, non apparirebbero, rimarrebbero sulla sfondo, offuscati da altre prospettive. Un caso emblematico è il famoso incontro sulle mura di Ettore e Andromaca in Il. VI, su cui mi sono soffermata in un articolo “Se delle parola di occupano gli uomini”, apparso su Alias del 2.12.2023, e a cui rimando. Si tratta di un episodio notissimo, che io incontrari la prima volta alle medie e che mi fu spiegato esaltando l’amore dei giovani sposi sullo sfondo sanguinario della guerra, la tenerezza del padre, in una pausa del combattimento, che prende in braccio il figlio neonato dopo essersi tolto l’elmo piumato che spaventava il piccino, la tristezza del destino di un grande e coraggioso guerriero destinato a soccombere alla violenza del nemico straniero. C’è altro da osservare in quella scena, da leggere nei versi di Omero e usare lenti nuove aiuta a vedere di più e meglio. Peraltro, tutto è già in quei testi. Omero è una voce critica e non organica all’ordine sociale che rappresenta e racconta. Va letto e contestualizzato, come ogni autore, autrice, come ogni tema, per evitare di fare strame della storia, anche di quella delle idee, e dire delle solenni sciocchezze, in nome di una modernità senza vero progresso, che finisce per imporsi come un nuovo conformismo.

https://ilmanifesto.it/femminismo-se-della-parola-si-occupano-gli-uomini

 

Francesca Sensini è professoressa associata di Italianistica presso l’Université Côte d’Azur di Nizza. Classicista di formazione, dedica prevalentemente le sue ricerche alla letteratura italiana tra Otto e Novecento, agli studi della ricezione classica e agli studi di genere in ambito letterario. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo La Trama di Elena, Ponte alle Grazie. Tra le altre pubblicazioni recenti ricordiamo “Non c’è cosa più dolce”: Giovanni Pascoli ed Emma Corcos, lettere, Il Nuovo Melangolo, 2022; La lingua degli dei: l’amore per il greco antico e moderno, ivi, 2021; Pascoli maledetto, ivi, 2020. Ha curato la ristampa dei romanzi di Marise Ferro, La violenza, Elliot 2022; La ragazza in giardino, ivi, 2022; Le romantiche, Succedeoggi Libri, 2021; La guerra è stupida, Gammarò, 2020.

Giuseppina Capone

 

 

Protagonisti storici della lotta per Napoli capitale della cultura: Antonio Vitale

Il dibattito sulla questione della qualità della vita nella nostra città ha assunto in questi ultimi tempi i toni di una lotta senza quartiere, impegnando cittadini associazioni e comitati in un susseguirsi di attività  ed iniziative sociali culturali ed ambientali che sembrano essere nate improvvisamente dopo  un lungo tempo di silenzio e di disinteresse.

Andando studiare la  cronaca degli ultimi decenni, abbiamo “scoperto” che  da oltre trent’anni  la città  è percorsa da un  forte  impulso al rinnovamento  promosso da  alcune associazioni  che partire dagli anni  Ottanta/Novanta hanno stabilito la loro sede nel Centro Antico.

Da queste associazioni sono nate  molteplici e per quel  tempo originali iniziative  i cui effetti si possono rilevare oggi.

Il nostro viaggio l’iniziamo intervistando uno tra i molti protagonisti della lotta per il riscatto sociale e culturale della città: il dott. Antonio Vitale, presidente  dell’Associazione Culturale Napoli Centro Storico.

Quale è stato il principale argomento con il quale l’Associazione ha  dato vita al suo intenso programma di attività?

L’Associazione ha svolto sin dall’inizio della sua costituzione un programma di attività sulle problematiche  di salute ed ambiente.

L’Associazione ha realizzato conferenze e convegni su questi temi…

Già nel 2001, in un convegno organizzato con il patrocinio del Comune di Napoli,  abbiamo affermato la necessità  di organizzare una  efficiente  raccolta differenziata e l’istituzione di uno sportello verde al quale i cittadini potevano segnalare casi di inquinamento dell’aria causati da emissioni di fumo, smog ed esalazioni tossiche.

Come  avete affrontato, dal punto di vista medico-sanitario, il problema dei rifiuti e delle esalazioni tossiche?

Questi temi sono stati trattati  evidenziando in  maniera scientifica e documentata   le varie patologie oncologiche che stanno sempre più devastando l’umanità, oltre alle patologie  respiratorie, metaboliche, cardiovascolari e neurologiche.

La raccolta differenziata corretta  è  alla base del riciclo dei rifiuti, qual è la vostra posizione  nei riguardi  di questa attività che nonostante siano trascorsi anni dal suo avviamento, non ha raggiunto al momento i risultati  sperati?

Il riciclo dei rifiuti deve partire da una sempre più intensa campagna di informazione e di sensibilizzazione iniziando da quella specie più diffusa, pericolosa e di difficile  decomposizione in natura: la plastica che può essere utilizzata per realizzare  utensili, oggetti come panchine, sedie, tavolini, guaine di copertura stradale e perfino tessuti  per capi  di abbigliamento.

Importante il riciclo della carta per materiale ecologico, carta per la stampa o per imballaggi, contenitori, bicchieri e piatti per alimenti.

Altri materiali riciclabili sono i metalli, il vetro, il cosiddetto RAEE che consiste nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche che contengono anche materiali preziosi e rari.

Quale messaggio  pensa utile inviare ai nostri lettori?

In definitiva il mondo  potrebbe essere più pulito se si mettesse in atto un’attenta ed efficiente raccolta dei rifiuti ed un riciclo dei materiali, riducendo non solo le patologie oncologiche ma anche gli sconvolgimenti climatici che stanno distruggendo i nostri territori  con il cosiddetto effetto serra.

Pur essendo trascorsi oltre venti anni  da quando è stato trattato l’argomento le problematiche in oggetto non sono ancora state risolte, anzi, purtroppo, in alcuni casi sono addirittura peggiorate con un notevole incremento dell’elettrosmog  generato dalle apparecchiature  elettriche  e per la presenza  di numerosi ripetitori sul territorio.

Pertanto  ritengo che  sia indispensabile per gli anni a venire una di ripresa  ancora più intensa, concreta e fattiva  di quanto esposto che coinvolga sempre di più  tutti i cittadini.

Alessandra Federico

“Diritti in Comune”: ANCI e UNICEF Italia uniscono le forze per i diritti dei bambini e la sostenibilità.

In occasione del 33° anniversario della ratifica della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) e l’UNICEF Italia tornano a collaborare per l’iniziativa “Diritti in Comune”. La campagna, ormai giunta alla sua quarta edizione, punta quest’anno i riflettori sul tema della sostenibilità ambientale e sull’importanza degli spazi verdi per il benessere dei bambini e degli adolescenti. Il 27 maggio 2024 segna un importante traguardo: 33 anni dall’approvazione della Convenzione da parte dell’Italia con la Legge n.176 del 1991. Questo anniversario sarà celebrato con l’obiettivo di sensibilizzare cittadini e amministrazioni locali non solo sui diritti sanciti dalla Convenzione, ma anche sull’impatto che un ambiente sano e sostenibile ha sulla vita dei più giovani. L’edizione di quest’anno vuole coinvolgere attivamente i comuni italiani, invitandoli a promuovere azioni concrete e iniziative di sensibilizzazione. Tra queste, la realizzazione di contenuti dedicati sui social media e sui siti web ufficiali, la diffusione di materiali informativi come poster e locandine, e l’organizzazione di sedute del Consiglio Comunale focalizzate sull’anniversario. “L’ANCI accoglie con favore l’iniziativa ‘Diritti in Comune’, essendo da sempre impegnata nel supporto delle giovani generazioni,” ha dichiarato Luca Vecchi, Sindaco di Reggio Emilia e delegato ANCI al Welfare. “C’è un legame inscindibile tra la salvaguardia dell’ambiente e il futuro dei nostri ragazzi. Inquinamento e crisi climatica influenzano pesantemente la vita quotidiana dei giovani, e dobbiamo agire subito per invertire questa tendenza.”
Carmela Pace, Presidente dell’UNICEF Italia, ha sottolineato l’urgenza di affrontare i cambiamenti climatici: “Nel 50º anniversario dell’UNICEF Italia, ricordiamo quanto i cambiamenti climatici siano una minaccia significativa per migliaia di bambini e le loro famiglie. Ringraziamo l’ANCI per la costante collaborazione; questa iniziativa evidenzia l’importanza del ruolo dei comuni nell’implementazione dei principi della Convenzione ONU.” “Diritti in Comune” si inserisce nel quadro delle numerose iniziative promosse congiuntamente da ANCI e UNICEF Italia, rafforzate dal Protocollo d’intesa del Programma UNICEF Città amiche dei bambini e degli adolescenti. Questo protocollo mira a valorizzare il ruolo strategico delle amministrazioni locali nel garantire i diritti dei minori. I Comuni possono trovare tutte le informazioni necessarie per aderire all’iniziativa e scaricare i materiali informativi sui siti ufficiali di ANCI e UNICEF Italia. Con queste risorse, sarà possibile coinvolgere la cittadinanza e promuovere una maggiore consapevolezza sull’importanza di un ambiente sostenibile per il benessere delle nuove generazioni. La campagna “Diritti in Comune” non è solo una celebrazione, ma un vero e proprio invito all’azione. Attraverso la collaborazione tra ANCI e UNICEF, i comuni italiani sono chiamati a essere protagonisti nel costruire un futuro più verde, inclusivo e rispettoso dei diritti dei bambini e degli adolescenti.
Ivan Matteo Criscuolo

UNICEF Italia festeggia 50 anni al Giffoni Film Festival: anteprima del film “Shoes”

In occasione della 54ª edizione del Giffoni Film Festival, l’UNICEF Italia celebra un traguardo importante: 50 anni di attività dedicata alla protezione e al supporto dei bambini di tutto il mondo. L’evento cinematografico, in programma dal 19 al 28 luglio a Giffoni Valle Piana (SA), avrà quest’anno come tema “L’Illusione della Distanza”, affrontando argomenti di rilevante attualità come le discriminazioni etniche, il conflitto israelo-palestinese, lo sport come strumento di riscatto e le sfide della genitorialità. Il 27 luglio sarà una giornata speciale con la proiezione in anteprima del film “Shoes” di Giuseppe Carrieri. Il film verrà presentato in due appuntamenti: alle 17:00 in Sala Truffault e alle 18:00 in Sala Blu. “Shoes” narra la vicenda di K. e Peter, due ragazzi che vivono a Kibera, uno dei quartieri più poveri di Nairobi. I due giovani cercano di sopravvivere vendendo oggetti trovati nelle discariche. K. sogna di far camminare di nuovo il suo amico Peter, che è costretto su una sedia a rotelle, grazie a un paio di scarpe magiche. Il film, sostenuto dall’UNICEF Italia, vede la partecipazione di Joseph Odhiambo e Joris Omwamba ed è una produzione Natia Docufilm. Al termine delle proiezioni, seguirà un dibattito che vedrà la partecipazione del regista Giuseppe Carrieri, del direttore della fotografia Andrea Longhin e di rappresentanti dell’UNICEF Italia, tra cui Paolo Rozera, Andrea Iacomini e Lucio Melandri. La Goodwill Ambassador dell’UNICEF Italia, Alessandra Mastronardi, sarà l’ospite d’onore. “Essere presenti al Giffoni Film Festival ci permette di dialogare direttamente con i giovani su temi cruciali attraverso il linguaggio del cinema, che ha il potere di illuminare realtà lontane e favorire una maggiore consapevolezza,” ha dichiarato Carmela Pace, Presidente dell’UNICEF Italia. Jacopo Gubitosi, Direttore generale del Giffoni Film Festival, ha espresso il suo entusiasmo per la collaborazione: “Siamo fieri di lavorare con l’UNICEF, un’opportunità per promuovere valori fondamentali come la solidarietà e la tutela dei diritti dei bambini. Questa partnership ci consente di realizzare progetti importanti che sensibilizzano il pubblico e danno voce ai giovani.” Il Giffoni Film Festival 2024 si prospetta dunque non solo come una celebrazione del cinema per ragazzi, ma anche come una piattaforma significativa per discussioni sociali e culturali. I partecipanti avranno l’opportunità di riflettere su temi di grande rilevanza, grazie anche al contributo dell’UNICEF Italia, che celebra mezzo secolo di impegno continuo. Con questi presupposti, l’edizione di quest’anno promette di essere particolarmente rilevante e coinvolgente.
Ivan Matteo Criscuolo

Eduardo De Filippo e il Teatro San Ferdinando

Uno sguardo fra gli scaffali della “Biblioteca campana” dell’Associazione Culturale “Napoli è” ed ecco che attrae l’attenzione una pubblicazione di recente riportata alla luce da “la Repubblica”, in collaborazione con Fondazione Eduardo De Filippo.

Pubblicato per la prima volta nel gennaio del 1954, a febbraio di quest’anno è ritornato disponibile come ristampa “Eduardo De Filippo e il Teatro San Ferdinando” un volume che ripercorre pagine e storia del Teatro San Ferdinando chiuso all’indomani del terremoto dell’80 e poi per decisione della famiglia e di Luca negli Anni ’90 donato alla città affinché fosse continuata l’opera intrapresa da Eduardo.

Aprono la pubblicazione gli interventi di Tommaso De Filippo, Francesco Somma, Maurizio Molinari, Ottavio Ragone, Conchita Sannino, Roberto Andò, Gaetano Manfredi, Vincenzo De Luca.

La pubblicazione contiene gli scritti di illustri personalità della cultura dell’epoca dell’inaugurazione del teatro.

Locandine, fotografie, immagini, pagine d’arte di Eduardo, articoli, contenuti nelle sue pagine rendono ancor più rilevante, a distanza di 70 anni, la testimonianza  culturale e sociale contenuta in questa pubblicazione.

Antonio Desideri

Le 4 R a tutela del Pianeta

“Facciamolo insieme, facciamolo tutti” con questo spirito Miriam D’Ambrosio Coordinatrice del Service “Le 4 R” per il Distretto 108 Ya Lions International ha portato avanti l’impegno dei Lions per la sostenibilità ambientale.

Qual è il significato delle 4 R?

Sono le 4 pratiche fondamentali per la tutela del nostro Pianeta: Riduzione, Recupero, Riutilizzo, Riciclo.

Con il Recupero il rifiuto diventa risorsa per ricavare nuova materia o energia.

Con la Riduzione si invita a produrre meno rifiuti attraverso la lotta allo spreco.

Con il Riutilizzo si chiede di riusare più volte un oggetto prima di buttarlo.

Infine il Riciclo è la trasformazione in nuovi oggetti dei materiali raccolti in maniera differenziata, dando loro una seconda vita.

Cosa si propongono i Lions del Distretto 108Ya con questo service?

Il service è iniziato nel nostro Distretto nel 2015 ad opera del Governatore Toto’ Fuscaldo di Vibo Valentia ed è stato portato avanti in tutti questi anni da Sergio Esposito del L.C. Eboli Battipaglia Host.

L’obiettivo è proteggere la natura come la grande casa dell’umanità che per troppo tempo è stata violata. I Lions hanno la capacità di affiancare cittadini imprese ed istituzioni per accelerare la transizione ecologica, in quanto la trasformazione deve essere sia pubblica che privata, sia di impegno personale che di costo collettivo.

Il prossimo appuntamento è a Vibo Valentia, come hanno contribuito i Clubs della Calabria al service?

Hanno contribuito proficuamente; martedì 21 maggio, presso l’Istituto Professionale di Stato “E Gagliardi” il L.C. di Vibo Valentia ha organizzato con successo un incontro con gli studenti, presente anche l’iniziatore del service Totò Fuscaldo. Un altro appuntamento è stato quello di sabato 1 giugno, su Corso Vittorio Emanuele, per sensibilizzare tutta la cittadinanza ad un uso responsabile dei rifiuti, con la raccolta di cellulari e occhiali usati, pile e farmaci scaduti. La serata è stata allietata da musica dal vivo da parte dei musicisti del Conservatorio Musicale di Torrefranca e dalla “zeppolata” offerta dall’Associazione “ La Goccia”.

E Basilicata e Campania? Ci dia qualche dato…

Per la Campania cito un interessante connubio tra le 4 R e il progetto Erasmus STEAM presso l’Istituto Comprensivo “G. Salvemini” di Battipaglia, progetto che la scuola porta avanti con altri partner europei. Il tema è stato come le STEAM (acronimo di Scienze, Tecnologie, Ingegneria, Arte e Matematica) supportano le attività di Riciclo, Riutilizzo, Recupero, Riduzione, attraverso la produzione di elaborati concreti quali: un giardino pensile, la riproduzione di un’opera d’arte, la realizzazione di una touch screen pen, etc.

E poi il service con gli studenti dell’Istituto Superiore “E. Ferrari” di Battipaglia del 26 marzo scorso. Questa volta la tematica è stata: come parlare di problemi ambientali ai giovani col metodo Greenopoli (www.greenopoli.it). E’ stato proprio l’ideatore del metodo il Prof. Giovanni De Feo dell’UNISA che ha dimostrato come si possono trasmettere alle giovani generazioni idee, valori contenuti in maniera accattivante e coinvolgente anche a ritmo di “green rap”.

Per quanto riguarda la Basilicata, domenica 2 giugno si è svolto a Grumento un evento con la collaborazione di 9 Lions Club che condividono gli obiettivi di 3 service distrettuali: La via Herculea, Ambiente economia e lavoro e Le 4 R, durante la giornata sono previste varie attività.

Insieme si può fare la differenza?

Certamente, perché si sa che a livello individuale siamo una goccia, ma insieme diventiamo un oceano. Per vivere meglio dobbiamo impegnarci tutti, solo dallo sforzo collettivo si otterranno i risultati, uniti verso la meta. La causa ambientale per quanto impegnativa riguarda tutti.

Allora il motto deve essere: facciamolo insieme, facciamolo tutti.

Antonio Desideri

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