Industria 4.0 e i dottorati universitari

“Imparare facendo” rappresenta lo strumento per svolgere ricerca e studi innovativi per l’industria di oggi.

I cambiamenti che stanno oggi avvenendo nel mercato del lavoro fanno tornare in auge il concetto di “disoccupazione tecnologica” di John Maynard Keynes, che presentò negli anni Trenta del secolo scorso per spiegare gran parte della crisi di Wall Street.

Ecco allora che paure e conflitti antichi tornano alla ribalta (uomo contro macchina, materiale contro immateriale) procurati dalla innovazione che è comunque inarrestabile.

Ogni epoca ha avuto le sue rivoluzioni (industriali, intellettuali, scientifiche, tecnologiche e sociali) la moneta, la macchina a vapore, l’elettricità, l’iperuranio, il Pc e Internet, lo smartphone, novità ha abolito il passato aprendo una finestra sul futuro e nel fare questo produce disagi alla vita dell’uomo.  Come può difendersi l’uomo da questo malessere?

Rispondere che in un mondo “liquido” occorre imparare a nuotare non basta, è solo una risposta teorica… Occorre ad esempio un approccio alla formazione nuovo, il learning by doing (imparare facendo), che coinvolga più soggetti e istituzioni, dove imprese e università operino assieme, a favore dell’industria 4.0, trasferendo lo studio dalle aule scolastiche e universitarie, alle imprese e in tal modo l’alternanza scuola lavoro è da ritenere solo un primo passo ad esso si aggiunge l’apprendistato scolastico da realizzare e gli istituti tecnici superiori da rinforzare.

A riguardo il presente Governo italiano ha predisposto delle misure e dei fondi indirizzati anche ai cosiddetti dottorati industriali e intersettoriali, nell’ambito della Strategia nazionale di specializzazione intelligente 2014-2020 e del piano Industria 4.0 del “Piano Calenda”.

A riguardo già nel 2011 la Commissione europea intendeva promuovere azioni formative innovative nei Principi per una formazione dottorale innovativa per un approccio europeo, con percorsi innovativi, interdisciplinari, che offrissero ai dottorandi competenze trasversali, coinvolgendo anche le imprese.

Le linee guida del MIUR richiamano questi principi comunitari e chiariscono che i corsi accreditati con la dicitura “dottorati industriali” potranno essere: i corsi in convenzione con le imprese (articolo 11, comma 1, del Dm 45/2013) con la possibilità anche di riservare un numero di posti ai dipendenti di una o più aziende (articolo 11, comma 2, del Dm 45/2013) (tipo 1); i corsi di dottorato convenzionale che hanno, al proprio interno, dei curricula realizzati in collaborazione con le imprese (tipo 2). Tra i temi di ricerca, una priorità sarà data proprio a Industria 4.0.Il Miur ha quindi predisposto il nuovo bando del Pon Ricerca e innovazione 2014-2020 per il finanziamento di dottorati innovativi a caratterizzazione industriale nelle regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) e in transizione (Abruzzo, Molise, Sardegna). Alcune università si son già attivate, ma altre ancora non rispondono all’appello. La logica da attivare deve essere di ecosistema, Stato, Università e Industrie, una logica giusta per attuare un rinnovamento creativo, con la collaborazione fra queste tre sfere istituzionali e complementari, proprio per far ripartire il motore dell’innovazione che risulta fermo da un po’ di tempo e per non arretrare come paese europeo.

Danilo Turco

Continuare a riflettere sulla riforma fiscale di Trump

La riforma fiscale di Trump non può essere interpretata come un’azione contro l’Unione Europea. Molte delle sue misure sono già adottate da tempo nelle legislazioni europee. È un intervento finalizzato a far riguadagnare competitività.

Attualmente i paesi europei Francia, Olanda, Gran Bretagna, Spagna, Italia già adottano regimi di patent box, la tassazione agevolata dei proventi derivanti dall’utilizzo di beni immateriali (intangibles), per cui, l’aliquota ridotta dell’Usa sulle cessioni all’estero di proprietà intellettuali non può essere considerata una violazione delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio sui sussidi all’esportazione, così come accade per la web tax europea che si intende applicare in UE, sui ricavi delle multinazionali americane, che costituirebbe dal canto suo una realtà di dazi all’importazione, anch’essi vietati dal Wto.  Di fatto, l’aliquota corporate deliberata dal Congresso Usa  allinea il sistema americano allo standard internazionale, che prevede  un’aliquota societaria flat (dal 35 al 21 per cento ), così come non va poi trascurato che negli Usa anche i singoli stati applicano di solito un’imposta sul reddito societario, che, secondo la media Ocse, per i 50 stati americani è pari al 6 per cento. Petanto, più che un attacco all’UE, la riforma della fiscalità societaria Usa andrebbe ritenuta un ammodernamento dei meccanismi della tassazione e un legittimo tentativo di riguadagnare la competitività del passato.

Danilo Turco

Lavoro e contratti a tempo determinato

Le azioni messe in atto per ridurre i contratti a tempo determinato sembra che non bastino. Il mercato del lavoro presenta “lavori” temporanei che per loro natura non scompaiono.

Secondo Istat-Rfl e gli Osservatori Inps, il numero di lavoratori che nel corso di un anno (dati 2016) sperimenta almeno un rapporto di lavoro a termine è alto e ha riguardato 3,1 milioni, per cui ci si chiede è possibile ridurre la dimensione assoluta e quindi l’incidenza del lavoro a termine? Come risposta a tale richiesta diverse misure sono state attivate sino ad ora per incentivare i rapporti di lavoro a tempo indeterminato (decontribuzione in varie forme previste dalle leggi di stabilità 2014, 2015 e 2017; introduzione con il Jobs act del contratto a tutele crescenti, per eliminare nel tempo i contratti a termine).

Tutti questi interventi obbligano le imprese a intensificare il turnover dei lavoratori temporanei, ma di per sé non ne vincolano l’utilizzo. Per cui l’efficacia di ciascuna misura dipende dalla semplicità e capillarità dei controlli, che devono diventare tempestivi, non solo puntuali e non sporadici, per garantire che non vi siano applicazioni della norma discrezionali. Per questo occorre provare a individuare quanti posti fissi potenziali le aziende “omettono” con contratti temporanei, facendo ruotare nel corso del tempo diversi lavoratori sulla medesima posizione. Si tratta quindi di distinguere tra occupati con contratti a termine impiegati in posizioni di lavoro effettivamente temporanei (come accade per un commesso stagionale in un negozio) e occupati a termine che “occupano” invece posizioni lavorative che per natura risulterebbero stabili.

Un esempio di questa analisi è quella di Veneto lavoro da cui risulta che su circa 60 mila imprese utilizzatrici di lavoro a tempo determinato nel corso dell’anno 2016, circa (10 mila) risultano aver posti di lavoro a termine in tutti i dodici mesi, corrispondenti a circa 40 mila unità di lavoro full year equivalent, pari a meno di un terzo del valore corrispondente calcolato per tutti i contratti a termine. Simili stime approdano a risultati analoghii dati nazionali. Da questo si evince che una riduzione dei contratti a tempo determinato – qualora le norme riescano a centrare il bersaglio – è importante azione, ma non risolutiva, in quanto  gran parte dei posti di lavoro temporanei sono per loro natura tai e non possono essere trasformati a tempo indeterminato.

Danilo Turco

La Natura nella Creatività delle Donne: una mostra per la vita

Di grande interesse la mostra fotografica e il dibattito realizzati il 16 marzo dall’Associazione Donne Architetto ADA di Napoli e dalla   Consulta delle Associazioni e delle Organizzazioni di Volontariato della Municipalità 2,  presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi Federico II in via Forno Vecchio a Napoli,  nell’ambito delle iniziative organizzate per il mese di Marzo.

Invitati ad intervenire Emma Buondonno, Fabia Bellofatto, Giovanna Farina, Rossella Russo, Eugenio Frollo, Aniello Greco e Francesco Chirico.
L’intento dell’iniziativa è stato quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul grave stato  di degrado delle ultime aree verdi ancora esistenti nella città  metropolitana di Napoli.
“Nella densa ed estesa conurbazione la carenza di parchi e giardini sia   pubblici che privati compromette seriamente la salute e la qualità dell’aria e della vita di tutti i cittadini. La crescente isola di calore urbana rende la città di Napoli – sostengono gli organizzatori dell’iniziativa – per il   lungo periodo estivo inaccessibile alla gran parte della popolazione   ed in particolare ai bambini, agli anziani e alle donne. La trasformazione, inoltre, anche del suolo e del sottosuolo delle  ampie piazze, per funzioni di mobilità, parcheggi e aree di commercio,   ha aggravato ulteriormente la già grave condizione di  desertificazione  urbana”.
Per l’Associazione deve essere avviato al più presto un processo che porti ad un’inversione di tendenza negli interventi di riqualificazione urbana che può essere effettuato con un processo di Forestazione Urbana ormai non più rinviabile.
Da identificare e distinguere per le loro funzioni i Parchi Urbani dai Parchi di Quartiere, il Verde   Scolastico dal Verde Ospedaliero, il Verde Stradale dai Nuclei   Elementari di Verde, i Parchi e Giardini Storici dagli Orti Conclusi  dei Conventi religiosi, gli spazi rurali dai coltivi abbandonati e  così via.
Per ogni tipologia di giardino, secondo l’Associazione, va individuato una diversa tipologia   d’intervento e di opere che in una città come quella in cui viviamo potrebbero essere vera e propria utopia.

L’ADA sostiene che “il diritto allo spazio naturale è un diritto fondamentale per il   benessere soprattutto dei bambini e delle bambine perciò le Donne devono occuparsene come presupposto del diritto alla vita di ogni essere umano, le risorse naturali sono beni collettivi che vanno salvaguardati e la densificazione urbana coincide con la desertificazione delle città”.

Una foto per tutte, quella di Filomena Nardone, Panama, Finca di cacao, agosto 2016.

Salvatore Adinolfi

Carlo Del Preite, una voce per la poesia

Si è tenuta il 21 marzo, in occasione della giornata mondiale della poesia, la presentazione del volume di poesie in italiano Poesie II di Carlo Del Preite, per i tipi della Cuzzolin Editore e promosso dall’Associazione Culturale “Napoli è” nell’ambito delle proprie attività culturali.

Un pomeriggio intenso, quello presso la sala del Centro Studi “Mario Borrelli” della Fondazione Casa dello Scugnizzo messa gentilmente a disposizione dell’evento dal presidente prof. Antonio Lanzaro.

Oltre all’Autore Carlo Del Preite, avvocato ed eccellente poeta sia in lingua italiana che napoletana, sono intervenuti i giornalisti Bianca Desideri, vice presidente dell’Associazione Culturale “Napoli è” e Rosario Ruggiero, il critico letterario Ino Fragna, poeti e amanti della poesia.

E’ intervenuto, inoltre, Luigi Esposito, figlio di Gennaro Esposito, poeta dalla grande capacità umana e noto per la sua poesia rivolta a temi sociali e  di attualità, nato a Napoli il 3 novembre 1920 e scomparso il 28 febbraio 2004, amico di Carlo Del Preite.

Un’occasione ghiotta per ripercorrere la storia della poesia a Napoli negli ultimi decenni che hanno visto i due Autori frequentatori instancabili del Cenacolo poetico Culturale Napoli è presieduta dal giornalista Giuseppe Desideri.

La prima assoluta del libro di Del Preite Poesie II si è avuta presso la libreria Raffaello.

Salvatore Adinolfi

Ogni sabato: la tradizione del canto a Napoli

Sabato da assaporare con il repertorio della canzone classica napoletana  eseguito dal bravissimi Pasquale D’Angelo. L’appuntamento è settimanale, ogni sabato alle ore 19.00,  a partire da marzo e e proseguirà nei prossimi sei mesi nella sala di MUSEUM situato nel cuore del centro storico, largo Corpo di Napoli.

La canzone classica napoletana costituisce “un patrimonio senza eguali nel mondo, perché Napoli, – come sottolineano gli organizzatori – dopo l’eccezionale fiorire di scuole musicali, un plurisecolare straordinario intreccio di musica aulica, popolare e popolaresca, non poteva che generare – fine ‘700, ‘800 e primo ‘900 – una qualità artistica e una quantità di canzoni uniche nella storia universale della musica, un patrimonio da rendere fruibile stabilmente per turisti e cittadinanza secondo un progetto organico”.

L’iniziativa di MUSEUM è molto interessante e propone un Maestro napoletano “da sempre puntigliosamente refrattario alla qualifica di “artista”.

Il virtuosismo di Pasquale D’Angelo è ben noto agli amanti della musica non solo napoletana, visto il suo ricchissimo repertorio, e la sua grande abilità concertistica. Accompagnandosi con la chitarra classica, canta ed espone in italiano e in inglese la “Tradizione del Canto a Napoli” esplorando aspetti e nessi inediti trattati in un suo recente saggio.

Formazione giuridica coniugata a quella musicale, ha studiato, infatti,  chitarra sotto la guida di Edoardo Caliendo, canto sotto la guida di Thea Carcavallo e contrabbasso al Conservatorio di Napoli S. Pietro a Majella, fanno di Pasquale D’Angelo un’artista poliedrico e un mix di elevato livello.

Molti i concerti “voce e chitarra” in Italia e all’estero per il suo ricco repertorio di oltre cento canzoni napoletane a partire dal ‘700 e un vasto repertorio di canzoni d’arte d’Occidente.

Alessandra Desideri

Affreschi di Galileo Ghini ritrovati in una villa in Toscana

Da una villa abbandonata nel fiorentino riaffiorano affreschi di uno dei più importanti protagonisti dello stile Liberty in Italia, Galileo Chini, artista poliedrico, versatile, imprevedibile, sicuramente tra i pionieri del Liberty in Italia, della fine Ottocento inizi Novecento.

Si dedicò con passione all’arte della ceramica, partecipando all’abbellimento di facciate in molti palazzi e ville italiane e arricchendo l’arredamento interno di vasellame e rivestimenti ricercati. Dipinse nature morte, bellissimi paesaggi della Versilia e ritratti.

Cimentatosi nell’attività d’illustratore, realizza espressivi manifesti per eventi culturali, manifestazioni e rappresentazioni teatrali e per molte opere del tempo crea scenografie e costumi.

A scoprirli, è stato lo studioso e direttore del sito di settore ‘Italia Liberty’, Andrea Speziali. “Sono stati realizzati senza dubbio dal grande artista di Firenze”, spiega, dopo aver effettuato raffronti e indagini sull’autenticità delle opere. I grandi affreschi decorano le pareti di alcune stanze di una villa, privata e situata fuori da Castelfiorentino, ad alcune decine di chilometri dal capoluogo toscano, in stato di forte abbandono da alcuni anni. Per salvare i dipinti di Chini, Speziali ed Italia Liberty, hanno lanciato l’idea all’attuale proprietà dell’edificio, di una raccolta fondi: l’iniziativa servirebbe anche ad organizzare un convegno dedicato allo stile Liberty e all’opera di Chini nei prossimi mesi a Firenze.

Nell’ambito dell’evento verrà proposta l”istituzione del primo museo del Liberty italiano.

La nuova area culturale potrebbe trovare posto proprio nella villa abbandonata di Castelfiorentino.

La scoperta degli affreschi risale alla metà del mese scorso, quando l’attenzione di Speziali, è attirata da alcune nuove immagini pubblicate sul social di immagini e foto Flickr dal fotografo Jonathan Dellagiacoma, vincitore del primo premio nella prima edizione del contest nazionale Italian Liberty. Ritraggono le sale diroccate della villa a Castelfiorentino, dalle cui pareti l’occhio dello studioso riconosce istantaneamente l’affiorare di affreschi dall’inconfondibile tratto Liberty. “Il paragone con altri suoi lavori, tra pitture, ceramiche e disegni non lascia adito a dubbi, a dar vita alle forme, ai colori della villa fiorentina è proprio la mano di Chini, spiega lo studioso, è la stessa struttura degli affreschi a confermarlo. Inoltre lo studioso prova anche a ipotizzare una datazione per i dipinti ritrovati: “Considerata la villa nella sua caratterizzazione architettonica di inizio Novecento e la manifattura degli affreschi, è presumibile che essi siano stati realizzati tra il 1898 e il 1905”. Resta da capire, adesso, se il rudere di Castelfiorentino potrà rinascere e diventare, oltre che la casa dei capolavori dell’artista fiorentino, anche il primo museo del Liberty in Italia”.

Nicola Massaro

David speciale a Diane Keaton, icona femminile dello star system americano

David speciale a Diane Keaton. Cominciò la carriera a teatro, per poi esordire al cinema nel 1970. Ottenne la sua prima parte di rilievo interpretando Kay Adams ne “Il padrino” (1972), ma fu il sodalizio artistico con Woody Allen a consacrarla definitivamente. La quarta pellicola in cui la Keaton e il regista statunitense collaborarono, “Io e Annie”, valse all’attrice il successo agli Oscar 1978 come miglior attrice. In seguito si dedicò a lavori che le permisero di non essere più identificata dal pubblico solo ed esclusivamente come la protagonista dei film di Allen. Si affermò come esperta attrice drammatica recitando in “In cerca di Mr. Goodbar” del 1977 e si guadagnò altre tre candidature all’Oscar alla miglior attrice per le interpretazioni in “Reds”, ne “La stanza di Marvin” e in “Tutto può succedere – Something’s Gotta Give”.

I film a cui la Keaton ha preso parte hanno guadagnato oltre 1,1 miliardi di dollari solo nell’America del Nord.Dopo l’annuncio del premio a Stefania Sandrelli, la 62esima edizione dei David di Donatello continua a celebrare le protagoniste femminili del cinema internazionale.

In accordo con il consiglio direttivo, lo ha annunciato Piera Detassis, Presidente e Direttore Artistico dell’Accademia del Cinema Italiano. Il riconoscimento è stato consegnato, nel corso della cerimonia di premiazione della 62ª edizione dei Premi David di Donatello, in diretta in prima serata su RAI 1, condotta da Carlo Conti.

“Dagli anni Settanta a oggi, Diane Keaton si è rivelata come una delle attrici più influenti del panorama cinematografico internazionale,ha detto Piera Detassis.  Icona femminile e splendida interprete, Diane Keaton è stata capace di dare vita a ruoli dalle mille sfumature, dalla lunga e proficua collaborazione con Woody Allen, segnata dal premio Oscar per Io e Annie, fino al successo come attrice tra le più intense e carismatiche al fianco di registi del calibro di Warren Beatty, Alan Parker e Paolo Sorrentino”. “Impossibile non ricordare la sua interpretazione nella saga Il Padrino di Francis Ford Coppola, che la rese celebre nel ruolo di Kay Adams – prosegue Detassis – un’artista a suo agio sul grande schermo come a teatro e in tv, capace di vestire di ironia le nevrosi contemporanee: è un onore consegnare questo premio a una donna che da quasi cinquant’anni emoziona le platee di tutto il mondo”.

L’edizione del 2018 dei Premi David di Donatello si è svolta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, con il contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Direzione Generale per il Cinema, d’intesa con AGIS e ANICA e con la partecipazione di SIAE e Nuovo IMAIE.

Nicola Massaro

Isola, la nostalgia nei fiordi

Un romanzo di formazione che ripercorre la vita di una famiglia europea del profondo Nord dove i protagonisti assumono forme immateriali, essenze interiori e rappresentazioni di ambienti naturali da sogno. Visioni e toni che nelle impressioni di lettori d’eccezione rivelano una narrazione inedita, raccontata da fiordi, ricordi d’infanzia, colorati dai vapori dei battelli, vettori indispensabili per connettere il mondo moderno della civiltà alla quiete atavica di un’isola. Un’Itaca dell’anima circondata da un arcipelago di altrettante stazioni di solitudini e aspirazioni dove il rimpianto del tempo trascorso caratterizza una solidale unione d’intenti fra generazioni apparentemente diverse, riunite dal volo migratorio dei gabbiani e dalla forza centripeta di mirabile attrazione al ritorno sui luoghi delle radici identitarie.

Un vero e proprio canto d’amore per la sua terra natia, quello realizzato da Siri Ranva Hjelm Jacobsen, autrice danese classe 1971, al suo primo romanzo con “Isola”, in libreria dallo scorso sette febbraio per i tipi di Iperborea.

Cresciuta in Danimarca, la Jacobsen è nata in una famiglia originaria delle isole Faroe. Questa circostanza è il vulnus in questo suo primo libro, maturato dopo gli studi umanistici e un percorso avviato nella scrittura con la collaborazione a diverse testate e quotidiani. Isola è un libro che racchiude già nel titolo un luogo complesso e intrigante per natura.

Seguendo un solco chiaramente autobiografico, l’Autrice instaura una voce narrante poetica che da subito la colloca in una selezionata schiera di autori del Nord Europa: da William Heinesen sino a Jon Fosse e Jon Kalman Stefànsson.

La trama si snoda nella ricerca a ritroso nel tempo di una giovane ragazza danese che ha sempre saputo di un’isola verde delle Faroe. Un luogo impervio e familiare chiamato “casa” che non ha mai conosciuto, che diede i natali alla sua famiglia di origine, emigrata negli anni Trenta in continente. Comincia con questo impeto la ricerca nel suo viaggio di ritorno a Suouroy, dove vissero i suoi nonni: Fritz, il pescatore dell’Artico e Marita, giovane sognatrice irrequieta.

Lo scorrere delle pagine alterna in sequenza un paragrafo dedicato alle vicende antiche con i nonni ricordati con i teneri vezzeggiativi “Omma” e “Abbi” e il successivo al vissuto contemporaneo della vacanza con i genitori in quei luoghi inesplorati. Dove le asperità dello scenario ambientale contaminano i ricordi di memorie autoctone e legami di sangue con altri aneddoti, spesso confusi fra leggende e segreti indicibili, corrispondenze amorose e trasgressive.

Si staglia in un graduale orizzonte un affresco d’immagini: stati d’animo che rilanciano temi decisivi come le ricadute introspettive dell’emigrazione, il fascino incognito dell’insularità, la ricerca catartica della conciliazione con la propria identità culturale e affettiva.

Il romanzo che ha debuttato in Italia con la presenza dell’autrice al festival letterario I Boreali 2018, lo scorso 23 febbraio a Milano, si avvale della traduzione dalla lingua madre danese di Maria Valeria d’Avino.

Luigi Coppola

Origini e tradizioni diverse per la festa del papà

Il 19 marzo, in Italia e in altri Paesi a tradizione cattolica (Italia, Spagna e Portogallo su tutti) si festeggia la festa del papà e secondo la credenza lo si fa in questa data perché è quella della morte di san Giuseppe, “padre adottivo” di Gesù.

In altri paesi la festa del papà ha origini e tradizioni diverse. Ad esempio, in Germania la festa del papà coincide con il giorno dell’Ascensione – una festa che cade il giovedì, quaranta giorni dopo la Pasqua – ed è chiamata anche Männertag o Herrentag (“giorno degli uomini”, intesi come maschi). Una delle tradizioni più diffuse in molte città tedesche, sembra risalente all’’800 e criticata dalla stampa locale, è quella di formare comitive di uomini che spingono un carretto pieno di bevande alcoliche e festeggiano.

Negli Stati Uniti, invece, i papà sono “celebrati” la terza domenica di giugno, da quando il presidente Lyndon B. Johnson proclamò questa data festa nazionale nel 1966. L’idea della sua creazione si fa risalire a una donna, Sonora Smart Dodd che secondo la tradizione prese spunto sentendo un sermone in occasione della festa della mamma, che cominciava ad essere celebrata in quegli anni. La prima festa del papà fu celebrata negli Stati Uniti il 19 giugno 1910, nel mese di nascita del padre di Sonora Dodd, che aveva cresciuto sei figli dopo la morte di parto della moglie. La maggior parte dei paesi del mondo celebra la festa del papà la terza domenica di giugno.

Ad ogni modo, indipendentemente dal giorno in cui i papà vengono festeggiati è importante ricordare una cosa: “Colui che genera un figlio non è ancora un padre. Un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno (Fedor Dostoevskij)”.

Maria Grazia Palmarini

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