Marco Urraro. “Vucchella. Salvatore Di Giacomo”

Salvatore Di Giacomo afferma, conversando con Benedetto Croce che “Il napoletano è l’alfiere della vita eterna, secondo i dettami dell’immortalità della fede, attraverso secoli d’indipendenza geografica di questa città nella storia”.

Può fornire un’interpretazione di siffatta considerazione?

Napoli non è la capitale del mondo, ma è una città che da alcune migliaia di anni vede un fatto raro e unico ovvero che il napoletano è la dimora umana di uno Spirito del luogo che immagina sempre la bellezza di tale spirito con una fede inimitabile; tale fede spesso, confusa con la ben nota teatralità partenopea è in verità un’autonomia razionale rispetto alle altre popolazioni sempre però irraggiungibile: alfiere, fede, geografia, storia… sono solo parole chiave da me usate nella frase per tentare di ridestare, specie nel moderno napoletano, anzi per aprire una porta nella sua sensibilità offuscata nella sua visione del bello da anni di grandi problemi, elevati a sistema, come la criminalità organizzata che crede di essere romantica e la mancanza di senso civico.

Qual è la chiave per cucire la Napoli “alta” a quella “bassa” secondo la prospettiva romantica di Di Giacomo e la congerie post-unitaria?

Purtroppo devo dare una triste notizia ovvero che la speranza di cucire o meglio far parlare con un linguaggio comune, ecco il riferimento alla Vucchella, la Napoli alta con la Napoli bassa non si è mai attuata, né con l’opera monumentale di Di Giacomo né con il puro appello sentimentale del risanamento post unitario, questo perché oggi queste due considerazioni non esistono più. Chissà a volte mi chiedo se Di Giacomo, e con lui gli uomini e le donne della sua levatura in termini di sensibilità della loro epoca, avrebbe mai immaginato cosa oggi è diventata questa metropoli: una incognita convivenza tra cittadini onesti e disonesti nel complesso dal futuro incerto, una città nella quale la minaccia della violenza la fa da padrona e che penso un giorno si esprimerà in una sola volta prima di finire; ma io parlo naturalmente di quanto succederà nei prossimi decenni.

Elisa, donna amatissima da Di Giacomo, asserisce che “Imparare la storia non basta, bisogna anche esserla nel filo nascosto del discorso della sua molteplicità”. Cosa intende rispetto al dipanarsi degli eventi vicini e distanti? Penso alla prima guerra mondiale ed all’avvento del Fascismo intravisto da Matilde Serao.

Lei ha detto bene “donna amatissima da Di Giacomo” precisiamolo, e che difatti parla spesso nel romanzo all’apparente fredda logica del poeta con uno spirito di verità tuttavia abbastanza comune in una donna che ami il suo uomo. La frase che lei mi ricorda in realtà si riferisce al fatto che l’intelligenza che dimora nei nostri corpi ha sempre un’origine sostanzialmente divina; non voglio entrare nel difficile, ma come uomo di fede, al pari di come lo fosse sicuramente Di Giacomo, penso nello specifico che la coscienza di un cittadino come quello napoletano soffra due volte nel contemplare la sua città nella sua bellezza al tempo stesso del suo tremendo degrado urbano, e anche questa pur sempre è la magia di questo cittadino e di questa città nella quale puoi dire infine di aver incontrato Dio dietro ogni vicolo, via o piazza… tanto per parafrasare il grande Petronio Arbitro che spesso visitava Neapolis.

Lei giustamente invece ha intravisto nella frase detta attraverso Elisa eventi di massa come la prima guerra mondiale e il fascismo nei quali difatti la volontà individuale è stata seppur schiacciata, e vedi nel romanzo le scene del cinematografo con Di Giacomo: nel caso della Grande Guerra però vista come completamento dell’unificazione nazionale a costo di sacrificio di sangue, mentre il fascismo visto come tentativo inutile da parte di una élite di potere di creare un potere economico con il popolo italiano, poi fallito. Eventi difatti affrontati nel romanzo vuoi con la moderna impotenza individuale del poeta vuoi con la sua esasperazione sociale che come la situazione attuale decadente dell’Italia può essere sintetizzata attraverso una frase che vale la pena di citare e che io calo nel romanzo mediante la figura di Di Giacomo, ovvero “il male che è stato fatto, ma vanamente, è destinato a durare poco. La vita rassegna le sue dimissioni, la storia è stanca, la coscienza si dimena nel fuoco della sua perdizione. Esiste un tempo che nessuno può decidere, un tempo imprendibile.”. Ai posteri l’ardua sentenza.

La rimembranza del passato ed i suoi simboli floreali. In che misura si può discorrere di nostalgia?

Al tempo della preparazione editoriale di Vucchella avevo trovato un vecchio articolo di Benedetto Croce presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, più un elogio funebre quello scritto da Croce poco dopo la morte del suo amico: ebbene il filosofo non esitava a definire appunto il Di Giacomo, il poeta della nostalgia. La rosa, il garofano nel mio romanzo non sono altro che pure metafore, tuttavia tra i più semplici simboli arcaici e subliminali conosciuti dall’uomo, la rosa specialmente rappresenta lo sbocciare della maturità di un individuo… Che dire a questo punto di Vucchella, tengo a precisare: è un romanzo che sulle prime può sembrare scritto con una certa distaccata ironia, in realtà è profondo di una intensa drammaticità. Si apre con la similitudine di una rosa che sfiorisce, simbolo dell’esistenza umana, ma anche della sua incessante, sofferta e stimolata creatività da parte di ognuno di noi. Quando nasciamo e cresciamo la rosa che è in ciascuno si innalza e si sviluppa, ma prima o poi, soprattutto nel momento più indifeso della sua bellezza espressa e fiorita la rosa appassisce, quasi tra le mani, sotto il meccanico incedere di una sofferenza, o di una cattiveria, resta difatti qualche petalo e lo stelo ricco di spine… è da questo inaspettato presentarsi della sofferenza che noi poi dedicheremo tutta la vita per far rifiorire la rosa: nasciamo come una rosa e dobbiamo rifiorire e mantenerci come quella identica rosa secondo uno sforzo continuo e costante… intanto lo stelo spinoso è adesso l’invisibile e nascosta croce che ognuno abbraccia e porta con se, la corolla bella e profumata è l’ergersi di quella nuova consapevolezza che porta l’essere umano a vedere verticalmente dall’alto la vita nella sua rinnovata maturità, nella sua universale coscienza. Ecco dunque cos’è la nostalgia, il cercare di rinnovare un evento passato o peggio finito in cui abbiamo mostrato uno spiccato senso di maturità e abbiamo vissuto così un momento di bellezza ineguagliabile da figli di Dio.

Dionisiaco ed apollineo come codici comunicativi fusi nella produzione di Di Giacomo?

Questa è una domanda molto bella che coglie l’anima di tutta la produzione digiacomiana, non voglio sempre entrare in concetti difficili, ma sicuramente l’opera del nostro poeta si basa tutta su un concetto di bellezza, spesso musicata, propria della tragedia greca antica e che poi ritroviamo in Nietzsche. Da qui un concetto a me caro inteso come il super uomo. In questa che è pur sempre una biografia romanzata si evince lo sforzo dell’uomo apollineo, forte del suo ordine delle forme, essere messo in difficoltà dallo spirito dionisiaco il quale senza rispettare le forme è pura esaltazione, un’esaltazione che è lampante nell’opera poetica di Salvatore Di Giacomo e che mostra ogni singolo aspetto di quella povertà napoletana che tanto aveva attratto il poeta spesso nei fatti della cronaca nera e aveva rappresentato nelle sue seppur trascurate novelle dalla critica. Il tentativo di giustificare da parte di Di Giacomo la pur sempre connivente bellezza dei napoletani fu il tormentone del poeta; egli stesso nel romanzo è rappresentato come un uomo che rifugge il panorama partenopeo, se ne nasconde, se ne sente in colpa, dicendo di averlo rubato nella forma di un garofano, fino alla fobia per una prospettiva della città che fa di lui un gran sacerdote se non addirittura il Dio incompreso del suo giardino e delle sue creature che ora si dimenano dionisiache nelle sue novelle, ora nelle sue poesie in un desiderio apollineo.

Spero più che di essere stato chiaro di essere stato capace di rendere interessante la lettura del mio romanzo che già alcune persone hanno definito intanto pieno di romanticismo, una definizione che mi fa sorridere, ma vera per colui che tanto nella pur sempre invenzione narrante quanto nella vita di tutti i giorni vorrebbe che Napoli e i napoletani ritrovassero la perduta sensibilità che porta felicemente tutti insieme a fermare il tempo e a contemplare lo spazio in una bellezza eterna di cose e persone. I napoletani, al pari di come già pensasse Di Giacomo, hanno avuto sempre questa abilità e sono sicuro che un giorno se ne approprieranno nuovamente sotto i migliori auspici di chi saprà loro parlare nei termini dell’eredità sostanziale lasciataci da Salvatore Di Giacomo.

Giuseppina Capone

Raffaele Mantegazza: Caro bullo ti scrivo

Professore, quanto differisce il bullismo dalla comune violenza o dall’atavica sopraffazione del forte sul più debole?

Il bullismo è certo una delle forme di questa violenza, forse il suo aspetto più perturbante perché riguarda persone di giovane età. Il bullismo è uno dei dispositivi attraverso i quali la violenza si perpetua, si tramanda di generazione in generazione; interrompere la spirale del bullismo significa mettere in discussione il carattere apparentemente eterno della violenza proporre un nuovo modo di relazionarsi tra persone proprio a partire dai giovani.

La sua lettera è accorta nel non confondere vittima e carnefice altresì nel non cristallizzare ambedue nei loro ruoli. E’ questa una delle chiavi per spingere alla riflessione, avvalorando cambiamento, autocritica e redenzione?

Credo che proprio la cristallizzazione dei ruoli sia uno degli elementi fondamentali da affrontare in chiave pedagogica; il carnefice si ritaglia un ruolo sociale, pensando probabilmente che quella sia l’unica possibilità di autoaffermazione: anche la vittima viene relegata al suo ruolo che è di duplice sofferenza, da un lato fisica e psichica per l’atto subito, dall’altro per il gorgo nel quale si entra pensando che non sia possibile altro ruolo che quello di vittima. Sbloccare la situazione significa redimere il colpevole e offrire alla vittima la possibilità di una nuova serenità.

Il body shaming può essere ascritto al bullismo verbale e quali caratteristiche assume, ove mai rientri nel fenomeno di specie?

Si tratta certamente di una forma raffinata di bullismo che, come il bullismo fisico, prende di mira il corpo; in età puberale e adolescenziale ovviamente il corpo diventa fondamentale, la modellizzazione del proprio corpo su modelli imposti dalla moda o dal sistema mediatico spesso si associa al body shaming creando una vera e propria vergogna di sé, un non apprezzamento del proprio corpo che può arrivare in casi estremi, fino all’auto annientamento, all’autolesionismo. Ovviamente anche in questo caso occorre distinguere tra vittima e carnefice, ma occorre anche ricordare che chi attacca il corpo dell’altro dimostra una fragilità nei rapporti con il suo proprio corpo, dimostra di non star bene con se stesso, sentimento che viene negato attraverso lo star male dell’altro.

Alle parole, sovente, segue il cyberstalking. C’è chi pubblica foto, chi inserisce un commento fra gli innumerevoli possibili che avanzano nella sceneggiatura degli stereotipi sessisti, esorta altri a vessare, vilipendere, schernire, intimorire. Il bullo ha la piena consapevolezza dei suoi atti o la confonde con una ragazzata?

Credo che la mancanza di consapevolezza sia tipica del cyberbullismo; nonostante il ripetersi di iniziative meritorie e di progetti formativi sembra che la rete abbia un ruolo di fascinazione che rischia di rendere insufficienti gli interventi fatti a scuola dagli esperti. Occorre un discorso più complesso sulla rete che parte mio parere dall’eliminazione dell’anonimato. Finché in rete si potrà restare anonimi sarà molto difficile che al fascino del lato impunito e non imputabile si possa sostituire un uso consapevole di questi mezzi.

Quali sono le responsabilità di coloro che ricoprono un ruolo educativo?

Sono ovviamente fondamentali soprattutto nel proporre esempi di relazioni serene, di conflitti mediati in modo non violento; l’eliminazione della violenza nei rapporti tra adulti o tra adulti e ragazzi è il primo passo perché la critica e la condanna del bullismo sono semplicemente degli atti di ipocrisia adulta.

Raffaele Mantegazza insegna pedagogia interculturale all’Università di Milano-Bicocca. Ha scritto tra l’altro Di mondo in mondo. Tracce educative nella Commedia di Dante (Roma 2014), Diventare testimoni. Riflessioni e strategie per la Giornata della memoria a scuola (Parma 2014), Nessuna notte è infinita. Riflessioni e strategie per educare dopo Auschwitz (Milano 2014).

Giuseppina Capone

Le tue parole erano un panneggio di stelle/Galassie di mondi segreti e sommersi

La  silloge di  Donato Di Poce  racchiude meditazione e raccoglimento interiore, unione panica con la natura, disuguaglianza e sperequazione sociale nonché rilievo del poeta nel mondo coevo. Paiono tematiche prive di un fil rouge.

E’ possibile, invece, scorgere una traccia che le inanelli?

Io cerco da sempre la trama del silenzio e dell’ascolto dell’altro da sé e dell’equilibrio cosmico e di una humanitas sociale e poetica, di universi mondi (vedi poesia dedicata a Giordano Bruno) e Onde gravitazionali (dedicata ad Einstein cha dà il titolo all’intera raccolta), una traccia di parole alla ricerca della parola primaria e generatrice di senso e di sensi.

Lei consacra innumerevoli acrostici civili e sociali La ai derelitti, a chi è ai margini, vessato ed oppresso; evidenziando e sottolineando come sia esiziale una ripartenza dallo spirito di solidarietà, da un afflato comunitario. “Forse la poesia è un vento d’umanità/Che accarezza l’Anima del mondo”. Ritiene che la Poesia possa costituire un vettore di buone prassi?

Grazie per la citazione, La poesia è certamente una buona prassi umanitaria ed estetica è l’esempio del valore etico, stilistico e formale dei rapporti umani. Una praxis di conoscenza, di libertà e di empatia con le piccole cose del mondo che nessuno vede, con le cose invisibili che attraversiamo e ci attraversano ogni giorno.

Quali sono le ragioni profonde che l’hanno indotta e spinta ad istituire un parallelismo tra le onde gravitazionali e le voci che producono una poesia?

Forse lo scarto minimale e invisibile tra noi e la percezione del mondo, la correlazione tra le nostre azioni e parole e il cambiamento impercettibile che producono nella realtà e nello spazio/tempo. Le onde gravitazionali sono come piccole increspature del tessuto dello spazio-tempo che permea tutto l’universo. Secondo Einstein la gravità stessa è dovuta alla curvatura dello spazio-tempo causata dalla massa. Le onde gravitazionali sono prodotte dal movimento di corpi dotati di massa nello spazio-tempo. Nel 2016 a distanza di un secolo dalla teoria di Einstein, la fisica ha confermato che le onde gravitazionali esistono davvero e che la teoria di Einstein era giusta. I due buchi neri osservati, prima di fondersi hanno percorso una traiettoria a spirale per poi scontrarsi a una velocità di circa 150 mila chilometri al secondo, la metà della velocità della luce. Il fenomeno è stato accompagnato della fusione di un sistema binario di buchi neri. Non è forse vero che le sillabe assomigliano a un sistema binario di senso? E non è forse vero che la parola una volta rivelata, scoperta e messa in circolo nel sistema testo poetico, determina una variazione nel sistema poetico e culturale? Non è forse vero che la poesia è un sistema talmente complesso e potente da resistere e sopravvivere persino all’uomo stesso che le ha generate, create, scoperte?

La sua parola è minimale, quasi sussurrata. Quali emozioni intende risvegliare nel lettore?

“Amiamo le parole perché prima erano silenzi”, in un mondo che pensa solo all’immagine e ad apparire , che grida soltanto, il poeta è colui che tace più a lungo. La mia poesia nasce dal silenzio e dall’ascolto e vuole sussurrare e accarezzare una riflessione, una visione, un’immagine. Dopo anni in cui scrivevo poemetti, Alda Merini mi fece capire che in ogni mia terzina o quartina, c’era un mondo chiuso e risolto in sé. Mi invitò a scrivere aforismi ritenendo che io avessi il dono della sintesi tra poesia, ironia e filosofia. Nacquero così i miei “Poesismi”.  Ad oggi ben sette libri di poesismi.

Lei è un poeta, un critico d’arte, uno scrittore, un fotografo. Reputa che l’arte possa essere, come di fatto è, terapia dei mali dell’anima?

Certamente l’Arte e la poesia prima ancora che essere un veicolo di idee, emozioni estetiche e stilistiche è un’autoterapia interiore, un modo per prendere coscienza della propria interiorità, dei propri bisogni più intimi e creativi. L’uomo senza la sua creatività è solo un gregge consumistico, una macchina di like e di consensi sterile, un automa senza idee e senza pensiero. L’intera terza parte del libro: “Ulisse il cavaliere azzurro”, è dedicata all’amico poeta prematuramente scomparso Ulisse Casartelli, ed è una sorta di riflessione e dialogo a due sulla poesia, sulla vita e sul dolore del mondo.

 

Una stanza vuota

                         Per Ulisse Casartelli

Una stanza vuota racconta

La discesa agli inferi

E l’attraversamento del dolore.

Una stanza vuota racconta

Il ritrovamento di se stessi

E attraversamento della leggerezza

L’inchiostro d’amore e di parole

Attraversate dal silenzio.

Una stanza vuota racconta

L’ascolto e la solitudine

Il desiderio e il viaggio nell’altro e nell’oltre

La coscienza di un poeta

Che sfidò il nulla e vinse

Che accarezzò l’erba e conobbe il respiro

E un giorno abbracciò il mondo

E scoprì d’avere le braccia troppo piccole

Ma il suo cuore era diventato un nido di solitudini

Una pista d’azzurro per volare libero nell’infinito.

 

*dal libro di Donato Di Poce, Onde Gravitazionali, Arcipelago Itaca Edizioni, OSIMO (Ancona), 2020.

 

Donato Di Poce, ama definirsi un ex poeta che gioca a scacchi per spaventare i critici. Poeta, Critico d’Arte, Scrittore di Poesismi, Fotografo. Artista poliedrico, innovativo ed ironico, dotato di grande umanità, e CreAttività. Ha al suo attivo 23 libri pubblicati (tradotti anche in inglese, arabo, rumeno e spagnolo), 20 ebook pubblicati su Amazon e 40 libri d’arte Pulcinoelefante. Dal 1998 è teorico, promotore e collezionista di Taccuini d’Artista. Ha realizzato L’Archivio Internazionale di Taccuini d’Artista e Poetry Box di Donato Di Poce, progetto espositivo itinerante. (Vedi sito internet: www.taccuinidartista.it). Tra le numerose pubblicazioni di Poesie ricordiamo: Atelier d’Artista, I Quaderni del Bardo Edizioni, Lecce, 2020. Onde gravitazioni, Arcipelago Itaca Edizioni, Osimo (AN) 2020. Artaud: Il Poeta e il suo doppio, I Quaderni del Bardo Edizioni, di Stefano Donno, Sannicola (LC), 2019. La poesia dilata i confini. Omaggio a Tomaso Kemeny, I Quaderni del Bardo Edizioni, di Stefano Donno,  Sannicola (LC), 2018. Lampi di verità, I Quaderni del Bardo Edizioni, di Stefano Donno, Sannicola (LC), 2017. Ut pictura poesis,  Dot.com Press, Milano, 2017. Vita, Poemetto, Il Sottobosco, Bologna, 2017. Labirinto d’amore, Lietocollelibri, Como, 2013. La zattera delle parole, Campanotto Editore, Udine, 2005 e nel 2006 è stato ristampato e tradotto con testo inglese a fronte, con traduzioni di Daniela Caldaroni e Donaldo Speranza, sempre per la Campanotto Editore, Udine. L’origine du monde, Lietocollelibri, 2004. Poemetto Erotico. Vincolo testuale, Lietocollelibri, Como, 1998 “opera prima” in versi che era in realtà un’accuratissima scelta antologica, con testi critici di Roberto Roversi, e Gianni D’Elia.

Giuseppina Capone

Contro la violenza sulle donne. Non possiamo fermarci

Ogni lotta contro la violenza maschile sulle donne è lotta contro la discriminazione.

Ed ogni manifestazione in tal senso deve avere come obiettivo la sensibilizzazione contro questa violenza trasversale che travolge il corpo delle donne tra le mura domestiche, sul posto di lavoro e per strada. Nessun luogo è sicuro e non c’è un tempo dedicato alla lotta. Anche in un periodo straordinario e ricco di incertezze come quello attuale, in cui gli spazi si restringono e le piazze non possono accogliere le voci della protesta, non possiamo fermarci e dobbiamo parlare.

La discriminazione si perpetua viscida e sistematica a seconda degli ambiti e delle varie parti del mondo in cui si trovano le femmine e quando sfocia nella violenza fisica lo fa fisiologicamente.

Nel mercato del lavoro queste dinamiche non sono un’eccezione: salari più bassi a parità di mansioni, estrema difficoltà nel rivestire cariche apicali, stalking, mobbing, sfruttamento, in un’escalation di comportamenti aggressivi che mirano ad annientare la vittima in quanto persona rendendola ostaggio del proprio aguzzino. E a volte sono gli Stati ad avallare determinate pratiche che favoriscono discriminazione e violenza di genere.

È il caso del Kafala, parola araba che indica un sistema di garanzia o patrocinio, meglio tradotto in inglese con il termine sponsorship, adottato dai Paesi del Golfo per regolare l’ingresso e la residenza legale nei loro confini dei migranti economici.

Kafala è un sistema di controllo. Nel contesto della migrazione è un modo per i governi di delegare la supervisione e la responsabilità dei migranti a cittadini o aziende privati. Il sistema offre agli sponsor (datori di lavoro) una serie di capacità legali per controllare i lavoratori: senza il permesso del datore di lavoro, i lavoratori non possono cambiare, lasciare un lavoro o lasciare il Paese. Se un lavoratore lascia un lavoro senza permesso, il datore di lavoro ha il potere di annullare il visto di residenza, trasformando automaticamente il lavoratore in un residente illegale nel paese. I lavoratori i cui datori di lavoro annullano i loro visti di residenza spesso devono lasciare il paese attraverso procedure di espulsione e molti devono trascorrere del tempo dietro le sbarre.

Declinato sulla pelle delle donne questo sistema è diventato legittimazione di abusi e torture.

Come sempre tutto comincia con la promessa di una vita migliore. Una volta preso servizio nelle case saudite, le lavoratrici si ritrovano spesso a vivere alla stregua di schiave; costrette dalla necessità a sottostare al volere del loro sponsor molte non riescono ad affrancarsi, non ricevono salario e non possono denunciare qualcosa che è consentito dalla legge.

Il forum bengalese Samajtantrik Mohila denuncia che nei primi otto mesi di quest’anno 859 donne sono rientrate in Bangladesh per sottrarsi a condizioni di vita insopportabili, mentre si calcola intorno a 5000, negli ultimi 3 anni, il numero complessivo delle migranti rientrate in patria a causa delle violenze subite.  Almeno 19 invece si sono tolte la vita dal 2016 a oggi.  Prima di poter ritornare a casa le donne senza passaporto e senza la garanzia dello sponsor devono aspettare mesi, se non anni, alloggiate in strutture gestite dall’Ambasciata del Bangladesh in Arabia Saudita. Una volta rimpatriate, rischiano l’emarginazione sociale a causa delle violenze sessuali che in molti casi hanno subito, non solo da parte dei datori di lavoro sauditi, ma spesso anche nelle agenzie di reclutamento.

Queste ultime ottengono vantaggi cospicui operando da intermediari, arrivando a guadagnare fino a 120 dollari per ogni donna ingaggiata, una cifra consistente in un Paese  con un PIL pro capite ancora estremamente basso.

E tutto accade sembra con la compiacenza del governo di Dacca le cui  relazioni con l’Arabia Saudita si fanno sempre più strette in materia di commercio e investimenti.

Lo scorso anno il Bangladesh è uscito dalla lista dei Paesi meno sviluppati, sia secondo le Nazioni Unite che per la Banca Mondiale e proprio in un’ottica di espansione economica i rapporti con l’Arabia Saudita non possono essere compromessi, per cui su questa situazione si tace.

Al contrario di ciò che accade in altri Stati, come ad esempio in Indonesia o in Pakistan, in cui sono stati introdotti divieti che impediscono alle lavoratrici di recarsi in alcune zone del Golfo in seguito a ripetuti casi di abusi, il governo bangladese continua a promuovere l’emigrazione di lavoratrici domestiche poiché gli introiti derivati dalle rimesse costituiscono una fonte di entrate irrinunciabile.

Sul corpo delle donne passano investimenti e scelte politiche, si costruiscono voci d’incasso per alcuni governi e per tutti si potrebbero basare opportunità di crescita economica e sociale, basterebbe una maggiore considerazione di quei corpi.

Rossella Marchese

Vali per ciò che sei non per ciò che fai

“Io valgo per quello che sono, non per quello che faccio ma la maggior parte delle persone valuta sé stesso e gli altri in base a ciò che hanno realizzato nella propria vita. Credo che si dovrebbe misurare il valore di una persona per quello che ha nel profondo e per come tratta il prossimo, prima di ogni cosa.  Eppure ci si continua a giudicare in base alle scelte personali, che sia per la carriera o per la posizione culturale o economica. Se iniziassimo a osservare il mondo anche col cuore  la nostra vita cambierebbe, vivremmo davvero. Ho trascorso anni avendo una visione della vita sbagliata, superficiale, ora voglio andare oltre.”

Non è mai troppo tardi per cambiare direzione, per osservare la vita da un’altra prospettiva.  Per farlo bisogna adottare l’intelligenza anche nella sfera emotiva oltre in quella razionale. Come sostiene lo psicologo, nonché insegnante ad Harvard e collaboratore scientifico di New York  Times, Daniel Goleman: “Essere intelligenti non consiste solo nel sapere comprendere concetti complessi come la metafisica kantiana o le equazioni differenziali: intelligenza è (anche) le capacità di riconoscere le proprie emozioni, di mettersi nei panni del prossimo, di provarne empatia. È guardar la vita con la mente aperta e comprenderne il significato vero.”

Osservare la vita con la mente aperta può portare giovamenti per ognuno di noi,  al fine di mutare la propria, qualora se ne  abbia una, distolta percezione delle cose e del mondo e, soprattutto, per cogliere la vera essenza di sé e degli altri per poterne poi riconoscere il valore vero. Spesso ci si sente valorosi soltanto per ciò che si fa, ci si sente orgogliosi solo in base ad un buon risultato raggiunto di un obiettivo che ci prefissiamo quale lavorativo o universitario e, di conseguenza, si tende a valutare anche gli altri in base a tali requisiti senza pensare che non bastano per pesarne il valore.  Il valore di una persona si misura per la sua ricchezza d’animo e per come si comporta con il prossimo. D’altronde, sembra che questo vivere di futilità e frivolezze ci abbia portato a giudicare gli altri in modo superficiale. O, addirittura, in modo distolto. Perché spesso si tende  a dimenticare ciò che  davvero conta dando più importanza alle apparenze, senza riuscire ad andare oltre. In sostanza, una persona dotata di una profondità d’animo e che rispetta il prossimo è più rara di quanto si possa immaginare.

Rispettare il prossimo: la prima regola per stare al mondo

Un basilare concetto eppure in pochi lo sanno:  se si rispetta il prossimo si ha già capito come si sta al mondo. È la prima disciplina da imparare e finché non saremo soli sulla terra ci saranno delle regole da rispettare per poter vivere con gli altri.  Iniziamo,  dunque, a considerare ciò che davvero conta: il rispetto.  Una tematica apparentemente banale ma di vitale importanza perché quando quest’ultimo viene a mancare si può già considerare terminato un rapporto, perché sono queste le fondamenta che sostengono ogni tipo di  relazione.  È quindi fondamentale aprire la mente, guardare lontano, andare oltre ogni preconcetto, ogni pensiero di luogo comune, eliminando la presunzione e assumendo una gran dose di umiltà per tenere sempre la porta della nostra mente aperta in modo da lasciar entrare  nella nostra testa ogni nuova esperienza perché se la terremo chiusa ogni situazione nuova che vivremo, anche la più interessante ed entusiasmante, non ci insegnerà nulla.

Sin dalla tenera età

Se si spiega ai bambini che la cosa fondamentale della vita è la profondità d’animo e il rispetto verso il prossimo si avrà già insegnato loro come si sta al mondo e abbasseremo questo stereotipo di perfezione: “sei bravo solo se vai bene a scuola o se diventi qualcuno di importante per la società e guadagnerai tanto”. È questo che spesso diciamo ai nostri bambini.  Studiare e realizzarsi è fondamentale ma non bisogna sentirsi importanti o amati solo per questo.  Questi potrebbero essere alcuni dei motivi per cui tanti bambini, una volta diventate adulti, assumono atteggiamenti quali: egoismo, presunzione,  prepotenza, egocentrismo. Oppure, al contrario, fragilità e insicurezza  perché crede di meritare affetto solo se è bravo nelle cose che fa. Sarà quindi sempre alla continua ricerca della perfezione di sé. Spiegare, dunque, quali sono le cose fondamentali della vita prima di ogni altra cosa, e capiranno, sin dalla tenera età, che il rispetto verso il prossimo è la prima cosa, e conosceranno l’umiltà e il valore di sé stessi e di un qualsiasi tipo di rapporto. E questo, al contrario del pensiero di molti, vale molto di più di qualsiasi altra cosa.

 

“In passato pensavo che le persone si valutassero per ciò che fanno e non per ciò che sono, ma mi sbagliavo.  Ho voluto cambiare modo di vedere vita, ora mi piacciono le persone vere, quelle che ti guardano l’anima.”
Con queste parole Gaia, 28 anni, napoletana. Racconta il suo cambiamento di vita.

Gaia, cos’è che ti ha fatto cambiare modo di vedere la vita?

Provengo da una famiglia benestante. Ho studiato nelle scuole di alto prestigio e le persone che mi circondavano erano tutte in un ceto alto. Sono nata e cresciuta con questa concezione della vita e cioè che valgo solo se raggiungo i miei obiettivi e di conseguenza valutavo le persone solo per quello che fanno. Ad un tratto tutto questo iniziava a farmi stare male e decisi quindi di circondarmi di persone che mai nella mia vita avrei pensato potessi  considerare, persone semplici nell’apparenza ma ricche dentro. Quelle persone alle quali non importa cosa fai ma come sei. A dirla tutta, in passato ne andavo fiera di tutto quello che mi circondava: macchine di lusso, vestiti costosi, mai un capello fuori posto e unghie sempre perfette. Ma da un po’ di tempo stavo iniziando a sentire una sensazione di vuoto nell’anima  e quando stavo con amici non vedevo l’ora di andar via. Come se tutto quello che mi aveva reso felice, improvvisamente mi rendeva infelice, cercavo altro. Qualcosa di vero. Ciò che cercavo era  qualcosa che mio il cuore desiderava, qualcosa che in quella cerchia di gente nessuno avrebbe potuto darmi. Ho allora deciso di provare a cambiare vita allontanandomi da casa e andando a vivere da sola.

Che rapporti hai adesso con la tua famiglia?

Mi hanno criticata e ancora lo fanno, non i miei genitori ma parenti e vecchi amici. Perché il mio abbigliamento è cambiato: niente più abiti firmati, niente macchine di lusso, ne capelli sempre perfettamente in ordine, ne labbra gonfie e questo per loro è eresia. “Hai la possibilità di vivere come una regina e sempre alla moda  e hai scelto di essere una pezzente, quante donne darebbero l’anima  al posto tuo” dice spesso mia zia, sorella di mio padre. Credo che abbiamo un opinione diversa di ricchezza. La ricchezza la si cerca dentro di se, non nelle cose materiali. “Venderebbero l’anima al diavolo per essere ricche soltanto quelle ragazze tremendamente vuote d’animo. Io do valore all’essenza di una persona e questo mi basta per la vita per essere ricca”.  Le rispondo. Il mondo del lusso è ormai un lontano ricordo per me, questo non vuol dire che non mi prendo più cura del mio aspetto estetico ma non ne faccio più un ossessione o l’unico scopo della vita. Adesso vivo a Roma con il m io ragazzo per di più  mio compagno di università e per vivere lavoriamo nel week end, io come barista e lui come cameriere in un pub.  Siamo felici.

Non ti mancano i tuoi vecchi amici e la tua vecchia vita?

No, perché  i miei vecchi amici sono persone che non ti lasciano niente nel profondo. Spesso capita che può mancarti una persona che hai frequentato per pochi mesi e invece non sentire alcuna mancanza per una persona che hai vissuto anni e anni. Ciò che ti regala una persona non equivale al tempo che ci trascorri insieme ma a ciò che ti lascia nel profondo.  I miei nuovi amici sono persone sensibili.  Il mio vecchio stile di vita non mi manca nemmeno un po’. Continuare a Vivere in quel  mondo di apparenze mi avrebbe rovinato la vita e avrei represso tutto ciò che sento e che realmente sono.  Tre mesi fa ho scoperto di essere incinta  e ne sono felice anche se ancora non ho terminato gli studi, ma avere accanto un giusto compagno di vita, giuste amicizie e soprattutto un nuovo quanto giusto modo di vedere la vita, mi fa sentire sicura di me e avere la certezza di potercela fare. E poi non vedo l’ora di stringerla tra le mie braccia e insegnarle le cose importanti della vita.

Quali saranno le prime cose che insegnerai a tua figlia?

Guardare la vita attraverso il cuore. E poi le spiegherò il significato della parola empatia, perché  dovrà  cercare sempre di mettersi nei panni degli altri prima di giudicare; che dovrà  valutare le persone per come sono nel profondo e non solo per ciò che fanno e rispettare il prossimo, chiunque esso sia, qualunque lavoro faccia,  e da qualunque paese venga; che deve fare del bene o che almeno non deve fare del male.  Le dirò che deve tanto a chi merita,  che deve accettare i suoi limiti e non avere paura delle sue debolezze e di apprendere soltanto da chi crede sia migliore di lei, senza provare invidia, perché lei sarà capace di raggiungere ogni obiettivo alla pari di qualsiasi altra persona. Ed ancora di essere responsabile e razionale nelle scelte importanti della vita ma di prenderne qualcuna anche di pancia perché vivere e lasciarsi trasportare dalle emozioni e fare qualche follia certe volte fa bene al cuore e ti fanno sentire viva. Le dirò di raggiungere i suoi obiettivi, qualsiasi essi siano, ma di non farne un dramma qualora non dovesse riuscirci perché se non è brava in una cosa magari lo è in un’altra, m di provarle tutte prima di arrendersi.  E ancora che non è necessario piacere a tutti.  Non per forza.   Di non accontentarsi mai di un’amicizia ne tantomeno di un amore; che una piccola parte di sé rimanga sempre bambina perché a volte la vita diventa pesante e c’è bisogno di un po’ di leggerezza, almeno la giusta dose. Le insegnerò ad essere umile e gentile, ma sveglia e scaltra. E, ancora, ad avere gli occhi aperti su tutto e tutti e se qualora qualcuno dovesse ferirla le spiegherò che dovrà,  in un qual modo, trarre il lato positivo, perché è meglio essere troppo buoni che troppo cattivi. Le dirò che ogni tanto potrà anche vivere fuori dagli schemi, fuori dalle regole che impone la società; che la vita è sua e nessuno deve dirle come deve condurla.  Ma l’unica cosa che non dovrà mai dimenticare è che la sia mamma sarà sempre dalla sua parte.

Te la sentiresti di dare un consiglio a chi vuole cambiare vita?

La prima cosa da capire è che bisogna ignorare il giudizio degli altri altrimenti si finisce per condurre una vita che non sentiamo nostra. È la cosa più sbagliata del mondo. Bisogna essere se stessi e sentirsi a proprio agio prendendo scelte che ci rendono felici. Anche se nella vita ci saranno spesso situazioni difficili da affrontare o cose che faremo con meno piacere, è inevitabile. Ma nessuno deve decidere per noi. Ho l’impressione che molte persone abbiano paura di mostrarsi  per come sono e di parlare col cuore e di lasciarsi andare. Assumono un atteggiamento palesemente ovvio ai fini di volersi proteggere senza rendersi conto che così non vivono davvero.  Per intelligenza nelle sfera sentimentale si intende, oltre ad avere la mente aperta, anche vivere col cuore per vivere realmente ciò che si vuole.  Se si diventa forti e sicuri di sé si può anche mostrare per ciò che si è davvero senza paura di essere distrutti o giudicati da chi vive in un mondo di clichè. Perlomeno questo è quanto ho capito. Basta solo un po’ di coraggio, e non dimenticarci di vivere mentre viviamo.

Alessandra Federico

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