Top Master in Fotografia Sociale

“Il Top Master in Fotografia Sociale” è un percorso di attività fotografica con la formula avanzata di Learning Action. Con l’espressione inglese Learning Action (apprendimento d’azione) s’intende dare la possibilità (attraverso l’esperienza pratica e con la riflessione e l’azione) a chi partecipa al percorso di acquisire un metodo di apprendimento che permette ad ogni singola persona di migliorare  all’interno di un team di persone. Difatti, durante il percorso, attraverso l’assegnazione di specifici temi, si avrà la possibilità  di acquisire un metodo di apprendimento che permetterà  di raggiungere un obiettivo ben preciso: migliorare e ottimizzare il funzionamento e l’andamento lavorativo nel campo della fotografia sociale.

Il Laboratorio Privacy Sviluppo (Istituto Internazionale  Organizzatore del Top Master in Fotografia Sociale), l’Accademia italiana per le Ricerche (Organizzatrice di  diversi programmi storici per Manager e Ufficio Stampa,) e ANDCI (Associazione Nazionale dei Difensori Civici italiani, unitamente alla Macroregione Mediterranea, al Difensore Civico campano e al Comitato Italiano per la Tutela della Salute sono gli Enti organizzatori del Top Master in Fotografia Sociale che si svolge con la formula della Learning Action presso Civicrazia. Il Direttore  della  didattica  di questa edizione sarà l’Avvocato Giuseppe Fortunato. Gli altri docenti saranno: Prof. Claudio Cavallieri d’Oro; prof. Ernesto Marino;  Giornalista Lucia Fiorentino; Avv. Mariagrazia Siciliano. Per la  particolare emergenza sanitaria (causa Covid 19), al corso di quest’anno non sarà obbligatoria la presenza fisica, salvo per i momenti di attività fotografica. La formula precedente del “Top Master”, invece, prevedeva l’obbligatoria presenza fisica quotidiana in Monte Citorio, che comprendeva la frequentazione di cinque giorni full-time (mattina e pomeriggio) e sovente anche il sabato mattina. Il percorso  di  240 ore è suddiviso per le singole attività  in relazione al programma individuale  e agli argomenti di fotografia sociale assegnati.

I partecipanti al “Top Master in Fotografia Sociale” dovranno avere a disposizione le proprie macchine fotografiche e relative apparecchiature, computer e cellulare con connessione internet. Il Top Master in Fotografia Sociale è a numero chiuso: i posti disponibili sono 5 e le candidature sono ammesse fino al 15 luglio 2022. È fondamentale, dunque, per procedere al “Top Master” e per non dichiararsi esclusi dal percorso,  riscontrare nei termini via e-mail. Gli interessati dovranno inviare, entro la data indicata, il proprio dettagliato curriculum  formativo e  lavorativo  a  civicrazia@civicrazia.org accompagnato dalla  richiesta di partecipazione al 2Top Master in Fotografia Sociale”, indicando nome e cognome, luogo e  data di nascita, la residenza completa di Cap, cittadinanza, codice fiscale, telefono/cellulare e email. I candidati selezionati verranno contattati dalla segreteria del Top Master. Il Top Master in fotografia sociale inizierà il 15 settembre 2022 e ha la durata semestrale di effettiva partecipazione. Il percorso sarà sospeso dal 15 dicembre al 15 gennaio 2023. A ogni partecipante, da parte degli Enti organizzatori, al termine dell’intero percorso, verrà rilasciato il Diploma di Top Master in Fotografia Sociale in prestigiosa pergamena. Inoltre, i partecipanti saranno totalmente esonerati da ogni quota (le quote sono interamente coperte dall’A.N.D.C.I. Associazione Nazionale Difensori Civici Italiani), di iscrizione e  partecipazione e svolgeranno, gratuitamente, il “Top Master in Fotografia Sociale”, mentre, a carico dei partecipanti, nelle forme volute,  sono esclusivamente trasporto, vitto, alloggio e apparecchiature utilizzate.

Alessandra Federico

 

 

 

Al via la nuova edizione del concorso “Scriviamo insieme la storia dei Sedili”

Al via, in occasione del Maggio dei Monumenti, l’edizione 2022  del concorso “Scriviamo insieme la storia dei Sedili” nell’ambito della manifestazione “Rivive la Napoli dei Sedili. Il PALIO DEI SEDILI“.

L’iniziativa nata nel 1997 a cura dell’Associazione Culturale “Napoli è” è  diventata un appuntamento fisso.

Frutto di un percorso di studio e ricostruzione storica a cura di esperti e giornalisti sull’evoluzione dei Sedili dalla loro costituzione alla loro soppressione, l’iniziativa ha visto nelle varie edizioni anche il coinvolgimento di maestranze e costumisti napoletani che hanno collaborato alla riuscita dell’iniziativa.

La manifestazione nel corso degli anni è stata inserita nel Maggio dei Monumenti ed ha ricevuto il patrocinio di Comune, Provincia e Regione nelle sue varie edizioni.

I mezzi di comunicazione hanno sempre seguito con attenzione la manifestazione sin dalla sua prima edizione nel 1997.

Le passate edizioni del “Palio dei Sedili di Napoli” hanno visto impegnati nel corteo storico che ha percorso le strade della città figuranti in costumi storici del 1400 preceduti dagli Sbandieratori di Cava de’ Tirreni, mostre, concerti, concorsi, convegni, rievocazioni storiche, collaborazioni con le scuole napoletane, partecipazioni di importanti artisti che hanno realizzato il Palio dei Sedili per il vincitore della coreografica sfida tra gli antichi sedili napoletani in costumi storici quattrocenteschi.

L’iniziativa intende tenere alta l’attenzione di cittadinanza e turisti sulla storia di Napoli e dei Sedili prime forme di organizzazioni che possono essere avvicinate alle circoscrizioni diventate poi municipalità.

Con “Scriviamo insieme la storia dei Sedili”, l’Associazione Culturale “Napoli è”, intende coinvolgere sempre più tutti i cittadini e le scolaresche nella difficile ma affascinante opera di recupero e ricostruzione della storia degli antichi Sedili napoletani, prime forme di decentramento amministrativo della città, riportate all’attenzione della cittadinanza dalla nostra Associazione nel 1997.

I lavori (fotografici, ricerche storiche e letterarie, disegni ed illustrazioni, studi, ecc.) – selezionati da una qualificata giuria composta da giornalisti, docenti, esperti – verranno premiati e resi pubblici in una serie di iniziative nel corso del 2022.

E’ possibile partecipare al concorso con materiale d’epoca o con lavori realizzati per l’occasione (fotografico, cartografico, iconografico, studi, ricerche storico-letterarie, contributi letterari, racconti, poesie, testi musicali, sartoriali, ecc.) che ripercorrano la vita degli antichi Sedili di Porto, Portanova, Capuana, Nilo o Nido, Montagna, Popolo, attivi dal ‘200 all’800.

La partecipazione è gratuita.

Chiunque voglia partecipare al concorso potrà proporre la propria collaborazione gratuita scrivendo o inviando materiali all’Associazione Culturale “Napoli è” presso Fondazione Casa dello Scugnizzo – piazzetta San Gennaro a Materdei n. 3 – 80136 Napoli oppure per e-mail: associazionenapolie@libero.it.

A tutti verrà consegnato un attestato di partecipazione.

Il termine ultimo per la partecipazione è fissato al 30 settembre 2022.

 

Maria Giovanna Luini. Parla come ami: L’infallibile potere delle parole

“Aderire con il cuore e la mente a una visione che oltrepassi la materialità”

E’ questa la chiave per giungere ad una piena coscienza di sé?

Non esiste una sola chiave, ognuno di noi può decidere di scovare chiavi che, passo dopo passo, portino a una visione sempre più consapevole. Non fermarsi al piano materiale, tangibile, fisico è un requisito essenziale per rendersi conto di ciò che realmente si è, ma anche usare la mente e il cuore all’unisono: viviamo in un contesto che privilegia la razionalità e il pensiero, considerando il sentire (e le emozioni) prodotti meno rilevanti e un filino pericolosi. La realtà è diversa: sentire, cioè percepire e provare emozioni, ha un’importanza almeno pari rispetto all’uso delle aree razionali del cervello, e contribuisce moltissimo spingerci nella dimensione più completa della consapevolezza.

«Quelle parole mi hanno fatto bene, non so perché ma mi sono sentito subito meglio.» «Ciò che hai detto mi ha fatto male, lo ricorderò per tutta la vita.».

Le parole travalicano il mero elemento comunicativo?

Le parole sono elementi energetici che possiedono un potere creativo o distruttivo. Possiamo considerarle pacchetti di energia che raggiungono destinatari rilasciando vibrazioni multi-livello e, di conseguenza, creando cambiamenti: il contenuto è importante, ma ugualmente importanti sono il tono e l’ispirazione con cui le parole sono emesse. Le parole ispirate, per esempio, arrivano da aree del corpo che associano in modo coerente mente e cuore e ottengono effetti molto più profondi rispetto al semplice contenuto. Come elementi di cura, le parole sono complete cioè non necessitano di altri rimedi: se diventassimo consapevoli di questo potremmo fare tantissimo per elevare il livello di salute, armonia e ricchezza nel mondo. Le parole che distruggono sono spesso inconsapevoli, buttate fuori senza badare a quanto siano potenti: potrebbero essere riconvertite in parole costruttive la cui vibrazione d’amore sappia guarire in modo ampio e duraturo.

La mimica di un volto, il tono di un’esclamazione involontaria, il colorito della pelle, il ritmo nel respiro di chi parla possono regalare o togliere energia a chi ci ascolta?

Certo, è utile restare presenti quando si parla. I cosiddetti aspetti metaverbale e paraverbale entrano a fare parte della comunicazione, in pieno. In studio o nelle sessioni in remoto sono consapevole che i sensi dei pazienti siano accesi e vogliano cogliere non solo ciò che dico, ma come lo dico: vale anche per me quando ascolto e colgo molto al di là del semplice contenuto. E l’energia risponde: ci sentiamo più o meno carichi, positivi, sani, respiriamo meglio o peggio in base a ciò che abbiamo percepito in termini di tono, sguardo, emotività, esitazione, fluttuazioni vocali. Le parole entrano in noi e istantaneamente di scatenano reazioni chimiche, ormonali: è inevitabile che accada, rispondiamo in modo fisico a ciò che riceviamo e l’effetto riguarda rapidamente tutto il corpo.

Dottoressa, lei è consulente all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano. Guardando la sua personale esperienza, quanto è tangibile il potere delle parole?

Il potere delle parole è meraviglioso e micidiale insieme: con le parole e i toni, con gli sguardi si può togliere o rinforzare la speranza, si può influenzare negativamente o positivamente l’adesione dei pazienti alle cure, si può implicitamente suggerire che una diagnosi di malattia sia una condanna senza appello oppure apra a molte possibilità di terapia. Da consulente in alcuni centri medici ho visto pazienti rinunciare a priori ad affrontare una cura solo per le parole e il tono usati nel colloquio specialistico.

Lei reputa che il potere delle parole d’amore sia infallibile ma esse possono altresì costituire un veleno a rilascio graduale. Ebbene, qual è l’antidoto?

Diventare consapevoli e presenti a se stessi, in una parola: risvegliarsi. Nella maggioranza delle ore di una giornata si vive addormentati, si funziona come automi caricati a molla e si seguono idee vaghe perlopiù appartenenti ad altri: risvegliarsi porta a vedere sul serio, sentire, rendersi conto. Siamo gli artefici della nostra esistenza, anche nelle parti buie: le parole sono il mezzo e lo strumento che usiamo per creare noi stessi e il mondo che percepiamo, ma non ce ne rendiamo conto. L’antidoto a ogni danno creato dal vivere senza consapevolezza è fermarsi, respirare e prestare vera attenzione a ciò che si sta facendo, dicendo, vivendo. Qui, adesso.

 

Maria Giovanna Luini è laureata in medicina, ha due specializzazioni e un master universitario in ambito medico e sta perfezionando la specializzazione in Psicoterapia Psicosomatica al Centro Riza di Milano. Dal 1994 è anche consulente all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) a Milano, dove è stata assistente medico personale di Umberto Veronesi alla Direzione Scientifica e con lui ha scritto alcuni libri. Si occupa di medicina psicosomatica e di approcci terapeutici non convenzionali, tiene sessioni individuali e di gruppo, seminari di meditazione e guarigione spirituale. Nel suo ultimo libro, Parla come ami (Mondadori, 2021), ha raccontato il proprio peculiare metodo terapeutico basato sulle parole e su un mantra in grado di interagire con la dimensione psicofisica umana. Grazie all’integrazione tra le diverse medicine accompagna i pazienti su una strada che persegue la guarigione attraverso un approccio personalizzato centrato sul sé.

Giuseppina Capone

 

Cento anni fa nasceva Enrico Berlinguer. A Sassari celebrazioni alla presenza del Presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha partecipato alle celebrazioni in ricordo di Enrico Berlinguer all’Università di Sassari.

“Voi mi avete ricordato delle frasi che mi sono piaciute particolarmente, di quelle dette da nostro padre. Io ne vorrei ricordare una che dà il senso giusto di come è stata la sua vita. Almeno per come l’ho pensata io. Quella che dice: – noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi, possa essere conosciuto, interpretato, trasformato. In vista del servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obbiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita. – E la sua vita è stata interamente dedicata al raggiungimento di questo obbiettivo.”.

Un velo di emozione, contenuto nella consolidata esperienza professionale al pubblico confronto, accompagna il saluto finale di Bianca Berlinguer.

La giornalista romana, già direttrice della terza rete Rai, ha concluso, con alcuni intensi, intimi ricordi di famiglia, la cerimonia in ricordo del centenario della nascita del papà Enrico.

L’iniziativa, promossa dal Senato Accademico dell’Ateneo sassarese, ha preso il via, intorno alle 11.00 del 25 maggio, con l’arrivo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Prima dell’ingresso in Aula Magna, dopo l’esecuzione del brano “Su patrioutu sardu a sos feudatarios” ad opera del Coro dell’Università di Sassari, diretto dalla Maestra Laura Lambroni, è stata scoperta una lapide dedicata alla vita di Enrico Berlinguer. Posta nel piano superiore del loggiato, accanto a quella in memoria del Presidente Francesco Cossiga.

L’impeccabile esecuzione dell’inno di Mameli è stata realizzata dal tenore turritano Francesco Demuro.

“Enrico Berlinguer ha portato queste virtù e anche qualche difetto di noi sardi, nel grande mondo dell’impegno politico. Per capire quale sia la sua influenza, il suo carisma, la sua eredità basterebbe ricordare il giorno triste ed epico dei suoi funerali.”.

Nel saluto iniziale il Magnifico Rettore Gavino Mariotti ha tratteggiato alcuni aspetti umani del politico sassarese. Valori che il Governatore della Regione Sardegna Christian Solinas, ha ampliato in un quadro storico. Presidiato da una selezione importante di politici e intellettuali sardi che precedettero o incrociarono l’impegno e l’azione di Berlinguer.

“Lavorare insieme. Essere uniti non significa pensare tutti allo stesso modo ma saper ascoltare.

Per dare il giusto valore a ogni contributo. Il programma europeo PNRR deve essere attuato.

Per un cambiamento che tutti comprendano. In questo ambito è determinante una adeguata comunicazione della ricerca scientifica.”

L’apertura al dialogo, lo sforzo di operare azioni sociali per il bene di tutti, riconosciute nel pensiero di Berlinguer sono state recepite dalla rappresentante del Governo nazionale intervenuta da Roma.

Sintetica e diretta, la Ministra dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa.

La figura politica dello statista è stata visitata nella prolusione del professor Omar Chessa, ordinario di Diritto Costituzionale, presso il dipartimento di giurisprudenza dell’ateneo sassarese.

“L’eredità morale e politica di Enrico Berlinguer”, il titolo conferito dal docente sassarese incentrato nella cifra etica insita nel pensiero berlingueriano.

“In realtà, l’eredità è una sola e si tratta perciò di un’endiadi. E’ questa, a mio avviso, la cifra specifica del lascito berlingueriano. Non c’è un’eredità politica che non sia anche morale e viceversa.”

L’incipit del giurista è il preludio di una lettura della vita politica culturale di Berlinguer a tutto tondo.

In una visione geo politica di quell’epoca, denominata talvolta in una vulgata approssimativa della così detta “Prima Repubblica”. 

L’attrattiva popolare che circonda la statura internazionale di Berlinguer, rendendolo degno del massimo rispetto da ogni differente credo politico, è espresso nella forma più lucida e fluida dal relatore.

“Non ci può essere una scissione tra agire pubblico e postura privata. Sotto questo profilo lo “stile Berlinguer” fu esemplare. Norberto Bobbio, in un articolo comparso nell’Unità del 12 giugno 1984, scrisse che la <<caratteristica fondamentale di Berlinguer>> era di <<non avere i tratti negativi che contraddistinguono tanta parte della classe politica italiana>>: la <<vanità>>, l’<<esibizionismo>>, il <<desiderio di primeggiare>>. La sua vita privata era nettamente separata da quella pubblica. La sua convinta e tenace riservatezza era una condizione imprescindibile del suo agire come politico.”.

Prima del congedo, il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Ateneo consegna alla famiglia Berlinguer, rappresentata in sala dai quattro figli, un attestato di Alta Benemerenza.

Nel saluto finale del Capo dello Stato: “da un lato l’orgoglio dell’ateneo per aver concorso a formare un protagonista della vita democratica del nostro Paese e dall’altro l’omaggio a questa figura, appunto, protagonista della vita del nostro Paese.”.

Una figura con “la tensione morale e il profondo rispetto per la Costituzione e le sue regole, due aspetti inscindibili, strettamente collegati che rappresentano un messaggio sempre attuale per la nostra Repubblica”.

Anche l’amministrazione comunale ha ricordato la ricorrenza alle 12.30, dopo la cerimonia in Università, con l’inaugurazione di un monumento ad opera dell’artista Igino Panzino.

Il video della cerimonia in ateneo è fruibile al seguente link:

https://www.youtube.com/watch?v=cqNY-1_IUMQ&t=839s

Luigi Coppola

Anna Chiara Cuozzo: L’essenza dell’assenza

Tra le pagine del libro emerge che la memoria ha un doppio fondo: è il ricordo di ciò che è accaduto e, contemporaneamente, il ricordo di quel che non è avvenuto in quel che è accaduto.
Cos’intende per “memoria” in relazione ai sentimenti?
In questo romanzo ho cercato di trasmettere il concetto di memoria come scheletro dei sentimenti, testimonianza attiva ed inafferrabile di ciò che si prova e si trasmette agli altri.
Le mie protagoniste incarnano a pieno questa descrizione: una di loro, Adela, vive tutta la sua vita per tener viva la memoria di ciò che sua figlia è stata, al punto che la sua intera esistenza è finalizzata a proteggere quei ricordi e a tenerli vivi in un mondo che sembra non averli mai ospitati.
Diametralmente opposto è invece l’atteggiamento di Alma, un’altra delle protagoniste, per la quale è il ricordo di quel che non è avvenuto a muovere le fila della sua storia. L’amore mancato di sua madre infatti, il sentimento che più di tutti contribuisce a renderci ciò che siamo, la condiziona a tal punto da compiere un viaggio oltreoceano pur di comprenderne le ragioni e di scongelare i suoi sentimenti dal gelo in cui la mancanza di quell’affetto li ha confinati.
La storia che narra delinea un percorso che pare indurre ad evadere dalla “comfort zone”, sfidando i propri spettri per smettere di sopravvivere e iniziare realmente a vivere.
Questo delicatissimo libro nasce con uno scopo salvifico? La scrittura stessa può assurgere ad una funzione soterica?
Trovo che la scrittura possa avere qualsiasi potere uno le attribuisca: dal semplice intrattenimento all’esorcizzazione di una paura, dal racchiudere delle memorie al creare qualcosa di nuovo e dargli vita. Il mio romanzo in particolare nasce con lo scopo di approfondire un contesto storico – quello della dittatura militare Argentina di fine anni ’70 – forse non troppo conosciuto in Italia, soprattutto dalla mia generazione che non ha vissuto quegli anni.
Al contempo però, lo scopo di questa storia – anzi, di queste quattro storie intrecciate – è quello di raccontare tutte le diverse strade che possono portare ad uno stesso risultato: il conseguimento della pace interiore e il compimento del proprio destino.
Le mie protagoniste sono infatti molto diverse tra loro e partono da presupposti altrettanto diversi eppure, ognuna di loro a suo modo, desidera soltanto liberarsi dalle proprie paure e dalle proprie catene, andare oltre il limite dello status quo, il confine tra il vivere e il semplice sopravvivere.
Lei lascia intravedere l’abisso di una voragine interiore, dovuta a sentimenti  spezzati, che lascia annichiliti.
La perdita, il lutto, è anche perdita di parte di sé?
A mio parere, ogni cosa a cui ci dedichiamo nella vita, ogni persona che amiamo, ogni dettaglio a cui prestiamo attenzione, racchiude e conserverà per sempre una parte di noi e di ciò che siamo stati.
In tal senso dunque, la perdita rappresenta inevitabilmente il distacco di uno di quei piccoli tasselli che compongono ogni vita.
Il mio romanzo esplora molto questa tematica, partendo dal lutto letterale che è sicuramente il più palese, fino ad arrivare alla mancanza che si prova verso una parte di se stessi che si lascia andare.
A questo proposito, piuttosto che citare gli esempi più lampanti come la morte di una figlia o di una madre, mi sento di parlare del personaggio di Maria, colei che non subisce alcun lutto ma che soffre invece un dolore molto diverso: la perdita di se stessa.
Il suo sembra un monito ad essere attenti al dolore altrui, a farci forieri d’empatia. Trova che la contemporaneità vada scossa in tal senso?
Assolutamente sì.
Ho provato ad incarnare quest’empatia in particolare nel personaggio di Thiago, il quale avrà a che fare con Alma, una delle protagoniste. A differenza di tutte le altre persone che la circondano infatti, lui riesce in qualche modo ad accogliere la sua freddezza e i suoi silenzi senza forzarla, accetta il suo dolore pur non conoscendone le ragioni e riesce ad essere per lei un conforto ed un porto sicuro. Ed empatia significa proprio questo: calarsi nei panni dell’altro, accogliere i suoi sentimenti senza necessariamente condividerli, ma rispettandoli e tutelandoli come se fossero propri.
Allo stesso tempo però, se sembra semplice far caso al dolore altrui quando si sta bene con se stessi, trovo che la vera empatia stia nel farlo anche quando non è così. In questo senso è il personaggio di Adela a descrivere bene il mio pensiero, dimostrando che la vera empatia è vivere il dolore in maniera inclusiva e non egoista, aprirsi all’altro anziché chiudersi nella propria individualità.
Lei esplora la provvisorietà dell’Occidente contemporaneo come Annie Ernaux o Yasmina Reza: sagacia solo a prima vista distratta e breve intuizione. Qual è la cifra caratteristica della sua narrazione?
Trovo che la cifra caratteristica della mia scrittura sia la sincerità e la schiettezza con cui le emozioni e le situazioni vengono raccontate. Non amo i fronzoli e le narrazioni barocche, ho sempre preferito uno stile più scarno ma a mio parere più diretto e funzionale. I miei personaggi sono persone a trecentosessanta gradi e come tali vengono raccontati, senza filtrarne i difetti e le contraddizioni, e allo stesso modo la scrittura si adatta ad essi, cambiando toni ed intensità quando si approccia ad uno o all’altro. Questo è il motivo per cui ho scelto di utilizzare punti di vista differenti per i quattro filoni, per permettere alla narrazione di adattarsi alle varie protagoniste e non viceversa.
Anna Chiara Cuozzo ha pubblicato il suo primo romanzo, Il pianto della matrioska, a sedici anni. Dopo molteplici esperienze nella scrittura online – specialmente su Wattpad – si è cimentata nella stesura di questo romanzo, la cui idea è nata da un viaggio in Argentina.
Giuseppina Capone

Symposium sulla storia della moneta dal baratto alla valuta digitale

Il Symposium sul tema ‘’La Storia della Moneta dal baratto alla valuta digitale”, si è svolto il 17 maggio scorso, presso la sede del progetto Uniforme, in piazzettatta Sant’Eligio n. 5 a Napoli.

A dare il via a questo interessante convegno è stato Vincenzo Angrisano, presentando il progetto “Vivere Meglio” (CITS, Napoli è, noi contro la mala sanità e altre). Il progetto, ha come obiettivo quello di promuovere iniziative atte a informare l’opinione pubblica su temi di scottante attualità come l’ambiente, la salute e l’educazione finanziaria, (tema della serata), che si auspica  diventi materia di studio e di informazione diffusa. Vincenzo Angrisano ha, in seguito, passato la parola ai conduttori del Symposium Andrea Giglio, Nando Russo e Domenico Credo. Andrea Giglio, Networker digitale, ha spiegato ai presenti che per risalire all’origine del termine moneta occorre tornare indietro nel tempo all’epoca degli antichi Romani, precisamente al 390 a.C. durante l’assedio di Roma da parte dei Galli. Tutto ebbe inizio quando, durante una razzia dei Galli, nei pressi del Tempio di Giunone, le oche del Campidoglio iniziarono a starnazzare lanciando l’allarme. Da quel momento la Dea Giunone prese l’appellativo di Moneta, dal latino monere ovvero avvisare. Dopo qualche tempo, accanto al tempio di Giunone Moneta,  nacque la “Zecca” ossia la fabbrica del denaro che dal quel momento assunse il nome di Moneta. Durante il Symposium, a continuare la narrazione sulla storia della moneta e sul denaro, Nando Russo e Domenico Credo, i quali, con i loro racconti, hanno portato l’appassionato pubblico presente in sala, in un metaforico viaggio attraverso i secoli partendo dal baratto (primo sistema di scambio) sostituito, successivamente, da altre forme di pagamento convenzionali come il sale o conchiglie, fino ad arrivare alla realizzazione delle monete e delle banconote e attualmente della valuta digitale. Il symposium si è concluso con la promessa che l’argomento, che ha suscitato interesse in tutti i presenti, sarà approfondito nei prossimi incontri.

Alessandra Federico

Furfaro: I Fondi del PNRR per superare i ritardi storici del Sud

Carfagna: 4 milioni in più a Napoli per attivare 500 posti negli asili nido.

Parte da Napoli la sfida del nuovo sistema educativo integrato per i bambini da zero a sei anni. Si è tenuto oggi alla Fondazione FOQUS dei Quartieri Spagnoli, la sessione per il Sud Italia del XXII Convegno del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, al quale ha inviato un videomessaggio il ministro per il Sud Mara Carfagna.

I temi discussi sono stati direttamente collegati alle profonde novità che stanno segnando i prossimi anni per i bambini, i servizi educativi, la scuola: dalle linee  guida 0-6 agli orientamenti 0-3 appena pubblicati, dalle risorse del PNRR ai Lep, dalle strategie alla    gestione integrata dei servizi educativi.

“Con l’approvazione e il finanziamento dei Livelli essenziali delle prestazioni per gli asili nido, – ha dichiarato il ministro nel suo videomessaggio – solo quest’anno Napoli potrà contare su quasi 4 milioni di euro in più per attivare oltre 500 posti. Sono dunque 500 i bambini che potranno contare su una formazione più precoce e più vantaggiosa. E ci sono anche 500 mamme che potranno cercare lavoro o gestire meglio il loro tempo tra famiglia e carriera”. Le risorse, ha spiegato il ministro, sosterranno anche le associazioni che si occupano della formazione da 0-6 anni “perché questi soldi – ha aggiunto – non andranno necessariamente agli asili nido comunali, ma potranno servire anche per favorire convenzioni con le strutture private o ad aiutare le famiglie a pagare le rette”.

L’annuncio è arrivato nel corso dell’incontro intitolato La sfida: Costruire il sistema educativo integrato 0-6. Al centro del dibattito, temi chiave per gli attori del sistema educativo della prima infanzia che riguardano le politiche pubbliche per la definizione, nei prossimi mesi, delle linee di sviluppo del Paese e del futuro delle sue più giovani generazioni.

L’incontro napoletano è stato curato del Gruppo Regionale Nidi e Infanzia Campania, che riunisce più di 40 tra imprese sociali, consorzi, cooperative e privati autorizzati nell’ambito del sistema 0-6 (nidi e scuole d’infanzia).

“I fondi straordinari stanziati dal PNRR – ha detto Rachele Furfaro, Presidente del Gruppo Regionale Campano Nidi e Infanzia e Presidente di Foqus – rappresentano per l’educazione un’occasione unica per rendere attuabile il diritto all’educazione di tutti i bambini del Paese. Per il Sud è l’occasione per avviare al più presto il percorso istituzionale in grado di far superare i ritardi storici e prefigurare una ‘scuola’ che sia il centro, il motore del futuro, per la ricostruzione delle nostre comunità”.

“La sfida della costruzione del sistema integrato 0-6 ha detto Antonia Labonia, Presidente del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia – interessa tutto il Paese, ancor più quei territori dove i bambini hanno meno opportunità di accedere ai servizi educativi per la prima infanzia. Tutti, hanno il diritto a servizi di qualità educativa eccellente, perché anche così si interviene sulla povertà educativa, sulla lotta alle disuguaglianze e sulla costruzione di partecipazione attiva e democratica”.

”La vera sfida che hanno davanti il Paese e Napoli è quella educativa –  ha dichiarato il sindaco Gaetano Manfredi – che si vince con le risorse ma anche con un nuovo modello di cooperazione e coprogettazione tra pubblico e privato”.

“In città abbiamo circa 70 asili nido, di cui per l’anno prossimo 21 saranno a gestione indiretta – ha commentato Mia Filippone assessore all’Istruzione del Comune di Napoli – un sistema che finora ha funzionato molto bene”.

“Napoli è” partecipa alla Race for the Cure

L’Associazione Culturale Napoli è, nata nel 1994, dall’idea di un gruppo di giornalisti, professionisti, esperti e operatori culturali napoletani, che opera in Campania e sul territorio nazionale, anche quest’anno partecipa con una sua squadra alla Race for the Cure organizzata da Komen Italia che dal 20 al 22 maggio è presente a Napoli in piazza del Plebiscito con il Villaggio della Salute per sostenere le “donne in rosa”.

La sensibilizzazione alla lotta contro i tumori al seno, ritiene l’Associazione, è importante per la prevenzione e per la salute delle donne.

Bobby Solo e il difficile rapporto con il padre

Il celebre cantautore Bobby Solo, al secolo Roberto Satti, ha raccontato in un’intervista al Corriere della Sera, la sua storia, il rapporto che aveva con il padre e ha svelato il significato del suo nome d’arte. Sembra che, sin dalla tenera età, Bobby, non abbia mai avuto grande intesa con suo padre (Bruno Satti colonnello dell’Aeronautica, classe 1906) e che il successo del cantante sia stato, per Bruno, quasi motivo di vergogna. Il padre amava solo la musica di Wagner, Beethoven, Verdi e Puccini e non quella che vedeva protagonista il figlio. Neanche dal momento in cui Bobby aveva oramai raggiunto popolarità e fama, il padre riuscì a nutrire particolare stima per la sua attività e ad apprezzarla, al contrario, costrinse Bobby a servirsi di un nome d’arte. Quando il cantante riferì il suo nome d’arte, modificato da Roberto a Bobby dal direttore artistico, alla segretaria della casa discografica, quest’ultima gli chiese quale cognome avrebbe dovuto affiancare al nome Bobby, la risposta del giovane cantante fu “Solo Bobby”. Dunque, a quanto pare, sia stata tutta colpa di un incomprensione se ad oggi è riconosciuto in tutto il mondo come Bobby Solo.
La storia di “Una lacrima sul viso”
Il padre di Mogol chiese all’artista se avesse una canzone nel cassetto. E Bobby Solo ne aveva una che aveva composta in cucina su un tavolino di marmo mentre la madre preparava il pranzo. Il testo a detta di Mogol padre era banale ma la musica non era male. A sistemare il tutto Mogol figlio. “Una lacrima sul viso” è nata in 20 minuti all’interno di una R4 color grigio topo.
Questo meraviglioso brano è diventata una delle canzoni italiane più amate da sempre. Fu proprio grazie a questa canzone che Bobby Solo riuscì a conquistare il mondo intero. “Una lacrima sul viso” fu presentata per la prima volta a Sanremo 1964 da Bobby Solo in coppia con Frankie Laine. Appena diciannovenne Bobby era emozionatissimo perché si trovava al fianco di mostri sacri: Paul Anka, Frankie Laine e Bobby Rydell. Ricorda che era spaventatissimo e riuscì ad esibirsi solo l’aiuto del direttore artistico che lo fece cantare in playback. Ragione per la quale fu squalificato e non partecipò alla gara. Nel frattempo, però, dopo l’esibizione arrivarono alla casa discografica Ricordi 300mila ordini per il 45 giri di “Una lacrima sul viso. Un vero e proprio successo che dura ancora oggi.
Alessandra Federico

E gli angeli sono distanti. Interviste su Alda Merini

E gli angeli sono distanti ripercorre la vita di Alda Merini mediante le parole della poetessa e quelle di persone più o meno note, dall’editore Casiraghy a Emanuela Carniti Merini.
Quale figura di donna ne emerge?
Dalle interviste che ho fatto emerge una figura di donna molto sfaccettata, sicuramente generosa, poi anche autoironica e passionale, un vulcano in pratica. Io non ho avuto la fortuna di incontrare Alda Merini, ma negli ultimi anni mi sono appassionata molto alla sua poesia e quando si parla di Alda Merini, poesia e vita fanno un tutt’uno, così ho voluto dialogare con persone che hanno avuto modo di conoscerla in maniera più o meno approfondita.
Alda Merini sapeva voler bene e farsi volere bene. Le sue telefonate fiume agli amici erano una richiesta di contatto con il mondo, anche se il mondo l’aveva relegata per molto tempo ai margini della società.
Lo scrittore Crocifisso Dentello me l’ha descritta come una donna che amava provocare, anticonformista, che non parlava di letteratura e addirittura, se interrogata sull’argomento, cambiava discorso. La psichiatra Maria Antonietta Dicorato mi ha raccontato che il suo approccio con lei era stato difficile all’inizio, perché la poetessa era ostile verso la categoria degli psichiatri, ma una volta rotto il ghiaccio, Alda Merini aveva preso l’abitudine di chiamarla al telefono tutti i giorni per parlare di sé. Riccardo Redivo, che ha curato con me la raccolta di poesie e racconti di Alda Merini Confusione di stelle, pubblicata da Einaudi, ha definito il suo tono di voce profondo, consapevole del proprio dolore, a tratti sapiente. Anche Redivo aveva avuto delle difficoltà, all’inizio, ad approcciarsi con lei, perché gli aveva chiuso la porta in faccia rimproverandolo di non averla avvisata prima di arrivare. Ambrogio Borsani, curatore del Suono dell’ombra per Mondadori, conoscendola bene ha affermato che Alda Merini avrebbe preferito morire in manicomio piuttosto che vivere una vita senza poesia.
Pasolini sul Corriere della Sera scriveva “…perché come sanno bene gli avvocati, bisogna screditare senza pietà tutta la persona del testimone per screditare la sua testimonianza…”.
Cosa non è stato ancora perdonato ad Alda Merini?
A me sembra che oggi ad Alda Merini sia stato perdonato tutto. Tutti la adorano, ultimamente inizia ad essere valutata positivamente anche in ambito accademico, dove all’inizio si era restii a convalidare il suo valore. È una poetessa che piace sia agli intellettuali che alle persone con poca istruzione. Se si gira per i Social Network si vede quanto proliferano le pagine e i gruppi dedicati a lei. Tra i poeti del secondo Novecento Alda Merini spicca, e ancora di più spicca tra le poetesse di ogni tempo, dove ha un primato indiscutibile a livello di popolarità. Il fatto è che di Alda Merini si apprezzano due cose in particolare: per quanto riguarda la sua vita, paradossalmente se ne esalta la sfortuna – renderle tributo, anche post mortem, credo faccia sentire tutti più buoni, solidali e sensibili (so che può apparire forte come affermazione) –, per quanto riguarda la poesia, invece, si ama la sua semplicità – infatti la poesia di Alda Merini non ha molto di ermetico, di difficile, ma può essere compresa da tutti.
Alla poetessa dei Navigli non hanno perdonato molto quando era ancora in vita: soprattutto non le hanno perdonato il disturbo mentale, di cui non aveva colpa. Ma se il disturbo mentale fa molta paura quando chi ne è affetto è vivo ed è una mina vagante – come lo è stata la poetessa, come lo sono in generale i bipolari –, sembra meno pericoloso quando chi ne soffre muore, e allora torna ad essere una persona uguale alle altre, perché nella morte tutti siamo uguali, anche i cosiddetti ‘pazzi’. E non fanno più paura.
Il suo libro è stato pubblicato in occasione del decimo anniversario della morte di Alda Merini.
Qual è stata la più grande lezione della poetessa dei Navigli?
Per me la lezione di Alda Merini – sembra banale, ma per me è così –  è stata l’amore: la capacità di amare nonostante tutto, di resuscitare quando tutti ti hanno lasciato sola, di amare perfino un marito che ti ha picchiato, di amare la poesia nonostante i tanti rifiuti degli editori e infine, soprattutto, la conquista di amare se stessi anche se gli altri ti hanno stigmatizzato, anche se ti hanno fatto gli elettrochoc, anche se hanno detto che la tua poesia non è abbastanza colta, anche se ti hanno vietato di crescere le tue figlie, anche se qualche volta ti viene voglia di morire. Alda Merini è stata questo: un esempio di poetessa, ma ancora di più, per me, un esempio di donna. Perché non si è lasciata andare, ha combattuto senza cedere alla rabbia. Alda Merini è un esempio di amore.
Alda Merini è nota, per lo più ed anche, per aspetti massmediatici piuttosto che per i riverberi sentimentali, lirici e pirateschi di una donna che ha speso la sua vita nel combattere una rivoluzione sia estetica che linguistica. Per quale ragione, ancora oggi, risulta prevalente l’interesse per le polemiche civili, giornalistiche e letterarie rispetto alla versificazione?
Semplicemente perché sulle prime tutti possono mettere bocca, mentre non tutti hanno l’istruzione necessaria per recensire le sue opere, analizzandone le figure retoriche per esempio. E poi perché tutti siamo umani, quindi è naturale che ci sia più interesse per l’aspetto umano, specie quando è così singolare ed eccentrico, e meno per l’aspetto professionale. E poi anche perché Alda Merini ha saputo scuotere le coscienze. Le sue interviste meriterebbero uno studio a parte. Potrebbero essere trascritte e formare uno splendido libro a sé. La gente le ascolta ancora oggi incantata.
Le interviste che ha effettuato delineano una donna “disordinata, generosa, ironica e provocatoria” che, senza la poesia, non si sarebbe salvata dal buio delle reclusioni nell’ospedale psichiatrico di Milano e, successivamente, del reparto di psichiatria di Taranto. 
Questo delicatissimo libro nasce con uno scopo salvifico? La scrittura stessa può assurgere ad una funzione soterica?
Si scrive sempre per salvarsi. Passavo un bruttissimo periodo quando mi sono dedicata a questo libro di interviste, mi sono attaccata al telefono disturbando persone che per lo più non conoscevo (devo dire che si sono dimostrati tutti estremamente disponibili) e ammetto che per me questo piccolo libro, insieme al romanzo Maddalena bipolare che ho scritto poco tempo prima, è stato un appiglio, una ragione di vita in più quando tutto era diventato molto difficile da sopportare.
La figura di Alda Merini rappresenta salvezza, la salvezza di una che ce l’ha fatta, ha sconfitto la malattia, ha sconfitto l’incomprensione degli ‘addetti ai lavori’ che non la ritenevano abbastanza brava da volerla pubblicare, e poi, alla fine, se la sono contesa. Alda Merini ha sconfitto tutto, perfino la morte, tanto che è ancora più viva oggi fra di noi di quando era ancora viva.
Ornella Spagnulo ha seguito il master in scrittura creativa della Luiss – Luiss Writing School – dopo una laurea a pieni voti in Lettere con tesi pubblicata (Il reale meraviglioso di Isabel Allende) ed è dottoressa di ricerca in Italianistica. Ha curato una raccolta di inediti di Alda Merini per Einaudi, Confusione di stelle, insieme a Riccardo Redivo. Ha pubblicato quattro raccolte di poesie e un saggio di interviste su Alda Merini, E gli angeli sono distanti. Il suo primo romanzo, Maddalena bipolare, è stato vincitore dei premi: premio speciale della giuria concorso Casentino, 46° edizione, premio della critica concorso Montefiore, 11° edizione, premio speciale della giuria concorso Giovane Holden, 15° edizione, ed è stato selezionato come uno dei 200 libri più belli d’Italia dal concorso Tre Colori, 3° edizione.
Il suo sito è www.ornellaspagnulo.it.
Giuseppina Capone
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