Il sangue e lo schermo. Lo spettacolo dei delitti e del terrore. Da Barbara D’Urso all’ISIS

Tra canali mainstream, satellitari e Web, si registra un pullulare di delitti che divengono telenovele, dettagli eccessivi, skyline alla CSI, inchieste pseudo-giornalistiche, cacce all’assassino. Barbara D’Urso e la “tv del dolore” e l’ISIS divulgatore di terrorismo sono polarità distanti altresì, Lei scrive, legature di una medesima rete che ci muove a vivere un modello di Male incessantemente de-simbolizzato, de-storicizzato, in un impianto mediatico dove si valutano più le messinscene raccapriccianti, le drammaturgie banali, le collere da boudoir ed i romanticismi precotti che non la filiera delle ragioni di un dilemma, la loro politicizzazione, la nostra responsabilità.

Quali osservazioni può offrire a tal proposito?

Quando Gilles Lipovetsky ci vuole spiegare la fase III del Capitalismo, quella dell’uomo al massimo grado di consumerismo e isolazionismo individualista, ci dice: “Tutto accade come se, da ora in poi, il consumo funzionasse come un impero, senza tempi morti e senza confini”. Ecco, la vita, de-simbolizzata, de-socializzata nei suoi legami comunitari forti, de-conflittualizzata si trasferisce armi e bagagli nelle sue effervescenze mediatiche, nel personalismo del mordi e fuggi, dell’usa e getta, nelle accelerazioni frenetiche di ciò che va comprato e sentito intimamente, nelle taglie su misura che di ogni bene e servizio – e stato dell’anima – la Grande Sartoria del Tele-Capitalismo sforbicia, abbozza, delinea. E allora perché stupirsi se, in corrispondenza di un mondo che in pochi decenni ha slatentizzato cataclismi, rischi ambientali, guerre, terrorismi, crack informatici e bancari, virus e pandemie, città inabitabili e paranoie inconsce, questi stessi ingredienti di una civiltà nettamente al tramonto, diventino combustibile permanente di un sistema mediatico che contrabbanda fosforescenze per consapevolezza, postverità per informazione, barbarie imbellettata (per dirla alla Balandier) per rivolte popolari?

Lei scrive: “Nell’ostentazione e nell’iper-radiografia delle lacrime e delle tribolazioni altrui, la televisione non rimanda un pensiero recondito né un ipertesto fenomenologicamente avveduto, né un vero tessuto narrativo. Ma solo lo choc emotivo dello spettatore come messa in scena di una partecipazione, più o meno vergognosa, più o meno impaurita o schifata.” Come distaccarsi da siffatto vicolo cieco imboccato dai mezzi di comunicazione?

Il nesso che lega emozioni e comunicazione è di particolare attualità oggigiorno, soprattutto per quanto riguarda le giovani generazioni. Fino a qualche decennio fa la crescita affettiva, psicologica, relazionale degli individui – e degli adolescenti in particolar modo – era costruita in base all’operato di precise agenzie sociali: la famiglia, la scuola, le strutture di tempo libero, i partiti, i contesti produttivi, mentre i media e la televisione erano considerati “satellitari” rispetto al nucleo identitario, e senza particolari interferenze con la vita reale. Oggi il rovesciamento è totale e si corre il rischio di ri-alfabetizzare la sfera comunitaria, intersoggettiva, oltre che i propri percorsi evolutivi, solo in funzione di tastiere, algoritmi, app e click compulsivi, per non parlare di informazione manipolata e reality show a ogni pié sospinto.

Mai come oggi serve una santa alleanza di menti fervide e on omologate, capaci di offrire strumenti di decostruzione e comprensione di tutti gli “specchi” della televisione e della Rete che ci assorbono, mobilitano e “ustionano” ogni giorno, nel tentativo di riportare questi ultimi alla loro missione iniziale: creare una polifonia di voci e differenze, sapere “davvero” cosa accade nel mondo, potenziare l’Umano, risvegliare le coscienze e non affossarle nella Grande Barbarie della banalità e della ripetizione.

I suoi accurati studi fanno luce su quell’oscenità sostituitasi alla pornografia. Cos’intende per oscenità? Contro chi e cosa dirige il suo j’accuse?

L’Osceno oggi non ha più nulla a che fare con un’attribuzione di tipo morale, se per morale intendiamo il senso dello scandalo, del peccato, della riprovazione verso il “rimosso”. L’Osceno è bonifica totale del senso, cooptazione e incapsulamento del reale in una Macchina mondiale che replica i suoi effetti secondo ratio e linguaggi quasi totalmente improntati alla monetarizzazione degli automatismi e alla perdita di ogni senso critico. Baudrillard diceva: “Senza l’arbitrarietà del segno niente funzione differenziale, né linguaggio, né dimensione simbolica. Il segno, cessando di essere segno, ridiventa cosa fra le cose. Cioè di una necessità totale o di una contingenza assoluta. Senza instanziazione del senso da parte del segno, non resta che il fanatismo della lingua – quel fanatismo che Rafael Sanchez Ferlosio definisce “un’infiammazione assolutista del significante””. Ecco, noi bruciamo mediaticamente di spasmi e di flash, di ardori e fuochi fatui, ma la la contemporanea secessione delle cose dal mondo delle cose e del segno dal servigio dell’implorazione verso le cose stesse, rende il mondo granitico e non decrittabile.

Professore, come ci si può riappropriare dello spirito critico che può fungere da barriera tra l’uomo ed il nulla, considerando che, probabilmente, ci siamo già mutati in un “uomo modulare”?

Fa bene a fare un chiaro riferimento a una antropologia scheggiata, dilazionata, dilapidata. Oggi siamo di fronte a un’individualità-patchwork, sabbiosa e ultraspiata, decostruita e messa a profitto, modulare e trasferibile come una moneta vivente di volgare conio, all’interno della cui griglia corriamo il rischio non solo di rimanere impigliati permanentemente, alienandoci dal suolo reale della vita, ma di essere utili solo come data-double, come doppione di noi stessi, scaffale statistico e granulare di gusti, scelte, desideri, tendenze, informazioni private, radici etniche, pensieri scritti, da estrarre come marmo da una cava, da ricomporre nel Gran Laboratorio dei mercati incrociati, da smistare al miglior offerente – multinazionale commerciale, manipolatore dell’opinione pubblica o agenzia di Intelligence che sia. Ricomporre, evitare il naufragio particellare del nostro essere, asciugare la dispersione del senso, coagulare azioni e scopi, ritrovare fermezza e cura nel sé e nel noi: queste le coordinate di una nuova sintassi dello stare al mondo.

Moltissimi format televisivi e non solo propongono la paura quale tema trainante. Perché?

La paura è una scena madre della nostra condizione umana: ne son piene le tragedie greche, il teatro, la storia, le spirali millenarie del nostro pensiero e del nostro interrogarci su chi siamo e da dove veniamo, ovvero il sale della filosofia. Come le dicevo nella prima risposta, oggi più che mai la paura, l’insicurezza, la preoccupazione per la nostra incolumità, individuale e collettiva, si intersecano perfettamente con un sostrato storico che alimenta tutto questo. Se pochi decenni fa il grande attrattore era la sessualità, dopo decenni di conservatorismo e di strapotere cattolico, oggi lo è senz’altro il dubbio sul nostro futuro immediato, con un carico di ombre e di angosce senza precedenti nel recente passato. Ma il punto è “come” affrontiamo questo gorgo di fragilità e di frantumazione di vecchie rassicuranti strutture comunitarie, se con gli strumenti della razionalità e della politica trasformatrice o, non piuttosto, con una sciocca suspense televisiva usata per fini manipolatori e mercantili, che si presta come “software” editoriale alla nostra impressionabilità, ci intasa di affanni e verosimiglianze, e corse a perdifiato, corrispondendo esattamente a quello che vediamo ogni giorno in tanti programmacci televisivi che dal pomeriggio invadono le nostre case di boschetti e ammazzamenti, di donne scomparse e di mezzi teoremi giudiziari, di musichette alla Dario Argento e di fantasmi in formalina, e su cui spicca l’orrida docenza di conduttrici televisive come Barbara D’Urso e Maria De Filippi, portatrici sane, purtroppo, di uno pseudo-giornalismo e di un patetismo cenciosi e voyeuristici, ignobili e insignificanti. Io penso che la vera sfida inaggirabile sia questa.

Carmine Castoro, filosofo della comunicazione, giornalista professionista, è stato collaboratore e inviato per quotidiani e magazine nazionali. Come autore televisivo ha firmato numerosi programmi per il palinsesto notturno della RAI e per canali Sky. E’ Professore incaricato di: Media Perception Analysis alla Link Campus University di Roma; Sociologia criminale e della devianza e Antropologia filosofica a Criminologia all’Università UCM United Campus of Malta; Intelligence nelle Telecomunicazioni ai Master di Criminologia e Psicologia investigativa all’università di Foggia. Collabora con Semiotica dei media e Filosofia del Linguaggio all’università di Bari. Collabora con Estetica dei media all’università di Varese. Fra le sue opere: “Crash Tv. Filosofia dell’odio televisivo” (2009), “Maria De Filippi ti odio. Per un’ecologia dell’immaginario televisivo” (2012), “Filosofia dell’Osceno televisivo. Pratiche dell’odio contro la tv del nulla” (2013). “Clinica della tv. I dieci virus del Tele-Capitalismo” (2015). “I” (2017). E’ stato visiting professor alle università di Modena, Pontificia di Napoli, Roma La Sapienza, Roma Tre, e all’Accademia di Belle Arti di Brera. Negli ultimi anni ha collaborato in Cultura con il portale-tv del Messaggero e l’Unità. Si è occupato di filosofia e media per la rivistadiscienzesociali.it e per democratica.com. Attualmente per i quotidiani nazionali La Notizia e Quotidiano del Sud.

Giuseppina Capone

Coronavirus, aumento della violenza sulle donne. Come riconoscere un uomo violento

Aumentano i casi di violenza sulle donne durante il periodo Coronavirus. Centodiciassette le vittime di violenza in Italia durante la quarantena e il 90% sono donne. La convivenza forzata è stata una complice per questi uomini violenti. Non è facile riconoscere l’uomo aggressivo e manipolatore poiché bravo a raccontare una storia perfetta di sé e diventa difficile, per chi subisce violenza, trovare il coraggio di lasciarlo o di denunciarlo.

L’uomo violento, però, manda segnali ben evidenti sin dal primo approccio, bisogna quindi imparare a riconoscerlo per evitarlo: quando la sua va oltre la semplice gelosia, quando vuole possedere anziché amare perché l’uomo aggressivo, violento e narcisista vuole solo manipolare la sua donna. Liberarsene non è semplice soprattutto quando decide di perseguitare la sua vittima recitando la parte dell’uomo affranto per ricevere perdono e ottenere ciò che si era prefissato:gestire la vita della sua preda. Esistono però metodi per riconoscere un uomo violento sin dal primo contatto.

Come riconoscere un uomo narcisista e violento

Non è facile, per chi lo vive, uscire da questo incubo, soprattutto quando si ha a che fare con un uomo manipolatore. Quest’ultimo prende il nome di narcisista, colui che danneggia la vita della propria donna in tutte le tipologie di rapporto, sminuendola e non permettendole di percepire il suo valore. Assorbe le sue energie vitali per appropriarsene ed utilizzarle a proprio vantaggio. Il narcisista si crea un’altra identità, mostrandosi, rispetto agli altri uomini, gentile, rispettoso, premuroso. Parla tanto di se raccontando storie positive sul suo conto e di quanto sia una persona impeccabile, in modo da poter conquistare la totale fiducia della sua preda e deviare ogni ipotetico sospetto. Ha un solo obiettivo: diventare insostituibile, in modo tale da essere indispensabile per la sua vittima, tanto da togliere a lei ogni capacità di muoversi da sola, fino ad arrivare a manovrarla come un burattino muovendo i fili a suo piacimento. Una recita perfetta quella che esegue, e quando è davvero sicuro di avere la situazione sotto controllo, inizia a gestire la relazione imponendo regole, diventando offensivo fino ad arrivare alla violenza fisica, alcune volte arrivando ad ucciderla.

L’amore verso se stessi

Il narcisista non è il solo a non provare affetto, ma chi subisce violenza è una persona fragile trovatasi in un periodo della vita in cui si ama e si stima ben poco, ma quando l’amore verso se stessi raggiunge un livello alto, nasce l’esigenza di amare solo chi ci fa del bene e si da il permesso di far entrare nella propria vita solo persone all’altezza di ciò che si merita.

Amare se stessi non significa peccare di presunzione cercando di sminuire gli altri per sentirsi importanti o ripetere in continuazione quanto si è perfetti, come fa un narcisista, perché questo non fa altro che trasmettere a chi abbiamo accanto di essere persone insicure e deboli in continua ricerca della approvazione degli altri.

Amarsi e rispettarsi

Amarsi significa essere consapevoli del proprio valore, al di là della posizione economica o culturale, significa conoscere il valore del proprio animo. Se questo non avviene, può portare ad assumere atteggiamenti di vittimismo e avere complessi di inferiorità diventando una persona fragile o crudele a seconda del proprio carattere, della propria indole. Inoltre, cosa fondamentale, non bisogna dare valore alla propria persona secondo un fallimento o un successo: il tuo lavoro o la tua posizione economica non fanno la persona che sei. Non permettere che i giudizi degli altri possano in qualche modo far oscillare il pensiero che si ha di se stessi.

Un’alta autostima si costruisce quando si è consapevoli delle proprie capacità. Inizia ad amare te stessa viziandoti un po’: prenditi cura del tuo aspetto e della tua salute, premia i tuoi sforzi, realizza i tuoi sogni, non badare mai al giudizio degli altri se non lo ritieni costruttivo per il tuo percorso, apprezzati, perdonati.

Come liberarsi di un uomo violento

Quando Narciso è sicuro che la preda sia di sua proprietà arriva ad assumere un atteggiamento poco equilibrato, perché sa ormai che può gestire la situazione e passerà poco prima che arrivi al primo schiaffo per poi perdere completamente il senno della ragione.

L’unico modo per liberarsene non è andargli contro ma fingere di assecondarlo. Contraddirlo potrebbe suscitare in lui la paura di non avere più il controllo sulla vita della vittima e arrivare a compiere atti davvero pericolosi. Mantenere la calma, continuare ad elogiarlo e allontanarsi con una scusa banale come quella di andare a comprare qualcosa per la cena è l’unica soluzione, anche se molto coraggiosa, per uscire e rivolgersi alla polizia.

Via dall’incubo: intervista a una ragazza vittima di violenza

“Perché queste donne non scappano?”. Questa è la domanda che molte persone pongono quando una donna è vittima di violenza. Dove c’è maltrattamento, dove c’è inganno, dove si vive nel terrore non c’è amore. Quando un uomo è aggressivo, qualsiasi atteggiamento può indurlo alla violenza e nel momento in cui accade lui non conosce limiti.

 “Non riuscivo a liberarmene, ogni volta che lo lasciavo mi perseguitava”.
Con queste parole Sveva, 26 anni, napoletana, racconta la sua esperienza con un uomo violento.

Qual è stato il primo segnale che ti ha fatto percepire di avere accanto una persona violenta?

Avevo 17 anni quando l’ho conosciuto. Mi trovavo a Ostuni, in Puglia, con la mia famiglia per le vacanza estive e Marco era il classico ragazzo della porta accanto, anche se solo per due settimane. Ogni sera, alla stessa ora, si sedeva sul secondo gradino della scalinata di legno che portava al mare e una volta passando di li mi domandò: ‘che abiti indossi quando esci sola con le amiche?’. Ecco, per me questo è stato il primo segnale. In quel momento non diedi peso a ciò che mi stava domandando, ero solo felice perché mi aveva notata e per me voleva significare che apprezzava il mio corpo. Ma ad oggi molti dei suoi comportamenti mi sono del tutto chiari, stavo avendo a che fare con un uomo aggressivo e manipolatore: un narcisista.

Quando ha iniziato a manipolarti e a diventare aggressivo?

Era il 15 agosto e davano una festa in spiaggia con tanto di chitarra e falò. Io indossavo il mio solito costume da bagno: un due pezzi rosa ricamato a uncinetto. ‘Non ti permettere più di farti vedere dai miei amici con questo costume!’. Pensavo che le parole di Marco fossero dette per amore. Mi sbagliavo. E da quel momento schiaffi, calci, pugni, almeno una volta alla settimana. Decideva lui quale abito dovevo indossare, chi dovevo frequentare e mi accompagnava a scuola la mattina, e a casa dopo la scuola, così come per la danza o per qualsiasi altra cosa io dovessi fare. Era diventato un incubo. Un incubo dal quale non riuscivo a uscirne. Non avevo il coraggio di lasciarlo: è stato il mio primo amore, se tale si può definire.

Quanto tempo è durata la vostra storia?

Un anno, dopodiché i miei genitori iniziarono a rendersi conto della situazione perché tornavo a casa con lividi e graffi sul corpo e la cosa si ripeteva ogni settimana. Decisi di lasciarlo ma non mi lasciava in pace. Me lo ritrovavo ovunque, in qualsiasi posto che frequentavo: fuori scuola,sotto casa, fuori scuola di danza.

Cosa ti impediva di scappare?

Credevo di amarlo. E quando credi di amare qualcuno saresti capace di perdonare tutto, anche l’imperdonabile e andare avanti, ma non è così. Con il tempo ho capito che per colpa sua avevo smesso di amare me stessa e che era tutto un suo piano strategico per avere il comando della mia vita. Credo che bisogna amare se stessi prima di amare un’altra persona, in modo da non permettere a nessuno di trattarti cosi, altrimenti si finisce a non riconoscere l’amore e a confonderlo con l’ossessione.

Hai mai pensato di denunciarlo?

Sì, ma non ne ho mai avuto il coraggio né la forza mentale per farlo, non avevo più energie per fare nulla. Mi aveva rubato tutto, anche la voglia di vivere. Per fortuna al mio posto ci hanno pensato mia madre e mio padre, che vedendomi tornare a casa per l’ennesima volta con lividi sulle braccia, hanno deciso di incontrare i suoi genitori e raccontare loro tutto, dicendogli che se Marco si fosse riavvicinato a me avrebbero chiamato la polizia. Non ne ebbi più alcuna traccia. Non ricevevo più quei messaggi minacciosi, né una lettera, né una telefonata. Potevo sentirmi libera di uscire con le mie amiche, andare a danza o a scuola senza vivere con il terrore di poter incontrare la persona che mi stava annullando l’esistenza.

Ti va di dare un consiglio alle donne che come te hanno subito violenza?

Al primo gesto di prepotenza, alle prime parole offensive, scappate via. La violenza psicologica è anche più pericolosa di quella fisica, alle volte. Non aspettate che vi facciano del male fisico, perché se arrivano a criticarvi e ad utilizzare parole offensive nei vostri confronti qualunque cosa voi facciate, non passerà molto tempo che arrivino alla violenza fisica. Non vi amano.

 

Aiuta te e le altre donne ad uscire da questo incubo

Per aiutare le donne vittime di violenza, il 9 e 10 marzo scorso si è svolto un percorso esperienziale dal nome “Il labirinto“, organizzato dalla Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, in cui hanno insegnato a molte donne a riconoscere un uomo violento in soli 10 minuti. Ci sono tanti percorsi da poter fare per riuscire a liberarsi di un uomo violento e trasformando la propria esperienza in risorsa: Aiuta te e tutte le donne ad uscire da questo incubo.

Il Centro Antiviolenza del Comune di Venezia, dal 2013 ogni anno mette a bando parte delle sue attività. La cooperativa Novamedia Onlus offre un percorso di formazione che promuove la rielaborazione e trasformazione dell’esperienza negativa per loro stesse e per altre donne. Percorso formativo per le donne che vogliono aiutare altre donne ad uscire dalla violenza. Tutti dovrebbero comprendere il terribile calvario delle vittime di violenza, l’oppressione che subiscono e di cui sono prigioniere, la morte alla quale è condannata una donna.

La violenza domestica colpisce una donna su tre nel corso della propria vita. Centosedici donne all’anno muoiono in Italia. Otto donne su dieci non sporgono denuncia.

L’amore deve far gioire. L’amore non è sofferenza.

Alessandra Federico

Maggio dei Monumenti: “Napoli è” presenta i luoghi dei Sedili di Napoli e il Candelaio di Giordano Bruno

Appuntamento oggi alle ore 19.00 sulla pagina facebook dell’Assessorato alla Cultura e Turismo del Comune di Napoli con l’Associazione Culturale “Napoli è”, presieduta dal giornalista Giuseppe Desideri.

Anche quest’anno l’Associazione è presente nel programma del Maggio dei Monumenti e per il 2020 partecipa nella modalità “virtuale” a causa del Covid-19 con il progetto “Giordano Bruno e il Candelaio”.

Grazie a tutti coloro che hanno lavorato alla realizzazione di questo video che ci accompagna nelle vicende e nei luoghi dei Sedili di Napoli dove Giordano Bruno ambienta il suo “Candelaio”.

Il progetto è stato realizzato dal team di giornalisti dell’Associazione Culturale Napoli è. Ideato da Bianca e Giuseppe Desideri su testo di Rossella Marchese. Voce narrante ed editing del video Alessandra Desideri. Consulenza storico-architettonica dell’arch. Laura Bourellis.

Un grazie particolare per l’attenzione al progetto va all’Assessorato alla Cultura e Turismo del Comune di Napoli che lo ha inserito nel programma del Maggio dei Monumenti, alla Consigliera di Parità della Città Metropolitana di Napoli e ai presidenti della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus e dell’AIMC Napoli Centro, alla dirigente scolastica e ai docenti dell’I.S. “G. Marconi”, al delegato regionale FIAF, alla direttrice del Museo dei Sedili di Napoli.

In attesa di poterci nuovamente incontrare, seguiteci  https://www.facebook.com/assessoratoallaculturaealturismodelcomunedinapoli/

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