Il patrimonio di Napoli e della Campania: Parco e Reggia di Capodimonte un gioiello nella città

Il Real Parco di Capodimonte di Napoli è il più grande parco urbano nazionale.

Questa meraviglia che si affaccia sul panorama del golfo di Napoli, con un’area verde di circa 134 ettari e con centinaia di specie vegetali diverse, nel 2014 è stato definito il parco più bello d’Italia.

Come già ricordato nella prima parte del nostro racconto (n.d.r. 25 aprile 2024), il parco è stato progettato con maestria scenografica dall’architetto Ferdinando Sanfelice che in quest’area verde, tuttora incontaminata, dispose una serie di vialetti dove sorgono 16 edifici storici composti da residenze, casini di caccia, laboratori, chiese e depositi di verdure e di carni.

Nel Parco Borbonico, oltre a varie specie di frutteti  e palme vi sono ben 13 alberi monumentali tra i quali ha un posto di riguardo il maestoso albero della canfora  che fu portato dalla Cina dai regnanti della Casa Borbone più di 200 anni fa ed è uno degli alberi più antichi di Napoli e tra i principali canfori d’Europa.

Quest’albero, alto circa 18 metri, si incontra  sul cammino dei visitatori all’ingresso  dell’entrata posteriore  del Casino dei Principi e grazie alle sue  enormi dimensioni è diventato  un vero ecosistema  dove trovano rifugio gli uccelli boschivi, scoiattoli e  si sviluppano funghi, felci e una vasta varietà di muschi.

Un altro albero di Canfora di 24 metri di altezza, ma relativamente più giovane, si trova nel Giardino Torre, dove da qualche tempo è stata aperta una pizzeria-ristorante dove c’è il forno  che circa 200 anni fa sfornò la prima margherita.

Gli alberi storici presenti nel Real Bosco di Capodimonte, oltre i due Canfori già descritti, sono:

La Melaleuca del Giardino dei Principi; il Cipresso di Montezuma nel Giardino dei Principi; l’Eucalipto Robusta del Giardino dei Principi; Il Tasso nel Giardino dei Principi; l’agrumeto nel Giardino Torre; la Palma blu del Messico nel Bosco; la Magnolia; la Palma di Teofrasto; il Platano; Il Podocarpo; l’eucalipto menta bianca del Giardino dei Principi.

Nel Giardino Torre o “Giardino Biancour” dalla famiglia  di giardinieri che lo presero in cura, su mandato della Reale Famiglia, era il luogo delle delizie dove venivano coltivate varie specie di ortaggi, agrumi e frutta esotica destinate alla tavola dei monarchi.

Recentemente, dopo attento studio e accurate sperimentazioni, sono state  ripristinate circa 600 specie botaniche alimentari tra le quali spiccano i saporiti e profumati mandarini  giunti a Napoli nel 1847, le famose “Cerase d’o Monte”,  le  pere  coscione  e l’intramontabile  e squisita pommarola Sammarzano.

Una notizia  molto saporita: domani  sabato 18 maggio 2024, Giardino Torre riapre i cancelli a Slow Food, mercatino della Terra dove saranno presenti con i loro prodotti  i produttori campani che coltivano rispettando i ritmi della terra recuperando  campi  da tempo abbandonati.

Alessandra Federico

Fino al 19 maggio la FIAF si incontra ad Alba per il Congresso Nazionale

Giorni di grande impegno per i circoli fotografici aderenti alla FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) che si incontrano ad Alba in Piemonte per rinnovare gli Organismi della Federazione. Si tratta del 76mo Congresso nazionale e si svolge nella città nota per i tartufi bianchi e per essere stata insignita nel 2017 del titolo di Città Creativa della Gastronomia UNESCO.

Tantissimi gli eventi in programma ed i momenti  confronto che mirano a valorizzare la diffusione della fotografia nel nostro Paese. Ne citiamo solo alcuni: incontro con Michele Smargiassi, mostra del Grande Autore 2024 (Franco Zecchin), mostra dell’Autore dell’Anno FIAF 2024 (Luciano Bovina), esposizioni dei Talent e delle foto del Gran Premio Italia.

Oggi pomeriggio alle 18.00 nell’auditorium della Fondazione Ferrero si terrà la consegna delle onorificenze e l’incontro con Guido Harari.

La Campania partecipa con un nutrito numero di Circoli molto attivi ed impegnati in iniziative, confronti, incontri con autori e fotografi di livello locale e nazionale, corsi di fotografia, mostre e tanto altro ancora.

Antonio Desideri

Successo della XXVII Rievocazione Storica del Gran Premio di Napoli – Circuito di Posillipo

Si è tenuta il 2 maggio la 27ma edizione della rievocazione storica del “Gran Premio Napoli – Circuito Posillipo”.

Le condizioni meteo sfavorevoli non hanno fermato la macchina organizzatrice del Classic Car Club Napoli che, per la ventisettesima volta ha portato le auto d’epoca in mostra al Viale Virgiliano per ricordare che in questi luoghi, dagli anni ‘30 fino al 1962 si correva il Gran Premio di Napoli su una delle piste più belle e difficili del panorama mondiale: il circuito di Posillipo. E sul rettilineo di partenza si schierano ogni anno le creature custodite da soci ed appassionati.

L’edizione 2024, disturbata dalla pioggia, ha fatto rimanere a casa molte vetture ma lo schieramento era comunque consistente, con un’ottantina di esemplari disposti sui due lati della strada. Nonostante pioggia ad intermittenza, il pubblico è accorso numeroso ad ammirare gli esemplari esposti, e quest’anno brillavano due splendide Ford A dei primi anni’30 e la sontuosa Lancia Artena del 1934. E poi due Topolino, un splendida MG, Triumph, Appia, Giulietta Sprint e tantissime altre automobili che hanno contribuito a far sognare intere generazioni negli anni del boom economico. Bella partecipazione anche di Ferrari (tutte rigorosamente iscritte all’Automotoclub Storico Italiano (A.S.I.). Fra le Post-Modern, ricca partecipazione di Porsche di Mercedes e di Alfa Romeo, ma una segnalazione particolare va alla rarissima alla Lancia Delta Turbo 4WD dell’americano Asbury, la vettura che ha aperto la strada al dominio del marchio torinese nel mondiale Rally con le 4 ruote motrici.

La prova di abilità che ha concluso la parte attiva della XXVII Rievocazione Storica del Gran Premio di Napoli ha visto affermarsi Enrico Di Taranto con un’Alfa Romeo Spider del 1992 dopo una serratissima lotta con la Giulia del 1976 di Lorenzo Galletta e la Ferrari 355 di Francesco Galletta, racchiusi in pochissimi centesimi di secondo.

Grande la soddisfazione del Presidente del Classic Car Club Napoli Giuseppe Cannella: “Certo il meteo non ci è stato favorevole, ma sia i soci che il pubblico sono molto affezionati a questo evento e non ci hanno abbandonato – afferma soddisfatto dei numeri registrati al Virgiliano – ed ho visto che anche le condizioni dell’asfalto sono meno disastrate degli anni scorsi. Con un altro piccolo sforzo da parte del comune, il sogno di portare alcune Formula 1 di quegli anni in parata sui 4 chilometri della pista più bella del mondo potrebbe diventare realtà”.

Elena D’Incerti: Dentro San Vittore. Due anni di lezioni di Italiano in carcere

Vissuti problematici, anni di traversie personali e di emarginazione sociale.

Qual è la molla che spinge a riprendere a leggere e studiare?

A qualcuno dei detenuti viene consigliato, immagino da educatori e assistenti sociali. C’è un risvolto pratico ai fini processuali perché lo studio favorisce un giudizio di buona condotta.

Alcuni però, in una riflessione sul loro vissuto che in carcere finalmente riescono a fare (hanno molto tempo a disposizione) vedono la scuola come un’opportunità persa  ma recuperabile: una volta usciti, un diploma può facilitare la ricerca di un impiego.

Va detto però che sono davvero pochi quelli che, tra le numerose attività che il carcere propone, scelgono la scuola.

La sua riflessione assume un’ottica chiaramente istituzionalista e libertaria.

Come si può in un contesto scolastico, dunque normato, incedere oltre la struttura architettonica scolastica così come data e nota, appunto le mura di un carcere?

Premetto che il mio ‘lavoro’ in carcere non è la scuola istituzionalizzata, ma è un’attività di volontariato: un aiuto ad accompagnare gli studenti detenuti a sostenere esami di idoneità o, per quelli veramente motivati, di maturità.

La scuola in carcere non assomiglia quasi per niente alla scuola che c’è fuori, nonostante il lodevole tentativo dell’istituzione carceraria di ricostruire piccole aule scolastiche con banchi e lavagna e nonostante il desiderio (quasi struggente) dei detenuti più giovani di riavere il contesto che hanno perso solo pochi anni fa.

Diversa è anche la routine dei voti, dei programmi e delle interrogazioni: tutto più morbido. L’obiettivo è passare degli esami.

Il rispetto per la prof. invece è commovente: a volte immagino che molti di loro, finché hanno frequentato delle scuole da ragazzi liberi, non avessero gentilezze e premure. Ma anche questo fa parte probabilmente di un percorso di elaborazione del sé che, prima della detenzione, non hanno mai avuto l’opportunità di intraprendere.

A metà degli anni Trenta, Simone Weil aveva raccontato i miti greci agli operai e alle operaie di una fonderia francese.

La Letteratura, ieri come oggi, è funzionale al proprio riscatto?

La letteratura contiene risposte a domande di senso che molti studenti detenuti si pongono magari per la prima volta. Con mia grande sorpresa, commentano spesso la letteratura in modi totalmente diversi dai miei studenti ‘liberi’: anche questo dipende dai loro vissuti, da ciò che davvero cercano leggendo, dalla capacità di sorprendersi di fronte alla bellezza che non avevano mai sperimentato.

Le loro ‘risposte’ hanno spesso arricchito anche me.

Professoressa, lei ha proposto ai detenuti la scrittura in funzione terapeutica.

Lo scrivere può essere concepito come alternativo mediatore pedagogico, affinché ciascuno acceda ad una profonda comprensione di sé stessi e dell’Altro?

Sì e questo vale anche per le persone libere. Sarebbe molto bello proporre percorsi di scrittura creativa.

Ammetto però che della loro esperienza di studenti ‘liberi’, molti detenuti conservano una certa riottosità al lavoro in forma di compito, o spesso hanno paura a riprendere in mano la penna, per paura di non esserne capaci.

Quindi bisogna farli scrivere in presenza, durante le ore di lezione: ci vuole tempo perché si appassionino, poi scrivono, scrivono, scrivono. I giovani testi rap, i meno giovani anche poesie.

In tema di disuguaglianze qual è lo specifico valore che attribuisce alla Scuola?

La scuola dovrebbe essere ascensore sociale e non lo è: spesso mi sono chiesta se questi ragazzi si troverebbero in carcere se la scuola (in assenza di famiglie presenti attente) li avesse guardati, aiutati, inclusi davvero.

La scuola non include perché non ne ha più né tempo né mezzi, purtroppo. E a pagare sono i soggetti socialmente più fragili.

Io insegno in un liceo del centro di Milano dove è molto improbabile che un ragazzo (anche il meno studioso) possa non godere di un salvagente esterno: famiglie attentissime, opportunità alternative allo studio, una rete di protezione socioeconomica che permette maturazioni anche molto lente. Cose che chi da bambino cresce sulla strada, ahimè non ha.

A meno che non incontri dei docenti quasi missionari.

 

Elena D’Incerti, docente, traduttrice e curatrice di classici latini e greci, collabora da anni con alcune testate nazionali e con alcune riviste su temi legati al mondo della scuola.

Giuseppina Capone

 

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