Oriente ed Occidente, Nord e Sud: il “Noi” dove si colloca esattamente?

L’umanità è divisa in blocchi culturali: questa è la percezione dell’uomo antico e questa è l’idea che circola ancora oggi.

Erodoto, ad esempio, individuava usi, costumi e consuetudini asiatici opposti a quelli greci: hellenikón vs βάρβαρος.

Le disparità economiche e culturali fra paesi ad alto grado di industrializzazione e quelli dove lo sviluppo è pressoché assente inducono a discorrere di Nord e Sud del mondo.

Qual è stata l’evoluzione storica di questi concetti  e qual è stata la loro funzione nell’immaginario collettivo?

Il “Noi” dove si colloca esattamente?

I confini sono stati sovente instabili; anzi, alcune regioni si sono ritrovate talora da una parte, talvolta dall’altra.

La Grecia del V sec. a.C. si avvertiva come l’Occidente in antitesi all’impero persiano asiatico; però, tre secoli dopo, per i romani la Grecia era parte integrante dell’Oriente ellenistico.

Il Giappone è senz’altro un paese industrializzato, all’avanguardia; appena due secoli fa era la più sperduta ed enigmatica terra d’Oriente.

Una suddivisione effettiva tra Oriente ed Occidente, decretata per scopi politici ed, al contempo, amministrativi, avviene alla morte di Teodosio ed alla successiva suddivisione tra Arcadio, a cui spetta l’Oriente ed Onorio, a cui va l’Occidente.

Da Est si teme l’arrivo di filosofie, religioni, life style impostati sulla lussuria, sull’eccesso, sullo stravizio, sulla dedizione al piacere. Tutti piacevolissimi elementi che avrebbero potuto allontanare l’uomo dalla sua essenziale attività di guerriero.

A Roma tremano i polsi: i Senatori emanano il senatus consultus de Bacchanalis. Stop ai Baccanali.

Chiuse le frontiere culturali con l’Oriente.

Orazio festeggia la vittoria di Azio, che ha stornato da Roma il pericolo di essere asservita ad una regina d’Oriente con queste parole: “…mentre la regina [Cleopatra], incapace di moderare le sue speranze e inebriata dalla prospera fortuna, col gregge svergognato dei suoi ributtanti custodi, apparecchiava nella sua follia rovine al Campidoglio e morte all’impero”.

Virgilio condanna ancor più esplicitamente l’uomo orientale. Iarba, re di Numidia, portatore malsano dei pregiudizi degli occidentali, così sparla del troiano Enea a Giove, lagnandosi dell’ospitalità di Didone innamorata: “Adesso quel Paride, col suo corteggio d’Eunuchi, / di mitra meonia fasciato la barba e i capelli / stillanti, il suo furto si gode”.

Qui c’è tutta la circospezione e la diffidenza verso la cultura orientale.

Qualche secolo dopo, si capì che la divisione creata da Teodosio non fosse tanto completamente artificiale: l’impero non era uniforme, era costituito da due zone differenti richiedenti diversi organismi amministrativi.

Attenzione: è l’Occidente ad essere tagliato fuori dal resto dell’impero.

Brown ci racconta, a proposito dell’“uomo qualunque”, che, quando la Gallia era terrorizzata dalle rivolte contadine provocate  dalle tasse e dagli affitti esorbitanti, gli agricoltori della Siria settentrionale potevano costruirsi solide case di pietra ed i contadini dell’Egitto esprimevano la loro tenace indipendenza.

L’Occidente inizia ad identificarsi con le terre dominate da franchi, sassoni e longobardi, all’indomani della conquista araba di alcune zone occidentali, come la Sicilia, la Sardegna e l’intera penisola iberica. E’ la conservazione di una fisionomia orientale agli occhi dell’Occidente ad acuire le differenze.

Lo sviluppo di potenti flotte di navi da guerra dotate di cannoni decreta il mutamento di prospettiva nei rapporti tra Oriente ed Occidente.

Vele e cannoni: navigazione su grandi distanze e forza distruttiva della polvere da sparo sono una micidiale combinazione, avverte Canfora, che permette al “piccolo” Occidente, condannato ad essere sopraffatto dai Tartari, di aggirare l’avversario, raggiungendo via mare e conquistando, con le bocche di fuoco issate sulle navi, la supremazia nelle estreme retrovie degli imperi terrestri dell’Asia.

Ecco: comincia il predominio planetario dei “barbari”, in Cina proprio così venivano definiti gli occidentali, con tono di commiserazione e la rincorsa tra l’Occidente ed il resto del mondo.

Voltaire cambia le carte in tavola: abbandona un’ottica centrata esclusivamente sull’Europa, considerando la cultura occidentale solo come una delle culture possibili e si riferisce a coloro che si scandalizzano dell’antichità del popolo cinese come “Certi letteratini

La larghezza di vedute degli illuministi cozza con l’ideologia dell’Europa liberale: razionalità scientifica, potere tecnologico e conquiste sociali radicano negli europei l’idea della propria superiorità culturale. E gli altri? Sono dei selvaggi; probabilmente, dotati di fascino se si valuta l’influenza della cultura africana e tahitiana su Picasso o Gaugain.

L’orientale è inaffidabile, perfido, crudele, corrotto. Non erano i temi propagandistici osservabili ad Atene nel V sec. a. C.?

Del resto, Muir sosteneva che fosse compito degli europei diffondere la civiltà tra “questa specie di popoli” che non avevano sviluppato la concezione della “libertà basata sul diritto”.

I rapporti tra Occidente e resto del mondo, inclusi Oriente ed Africa, sono ridisegnati dal declino delle potenze coloniali.

Barraclough è entusiasta nel contare le scarse vestigia della dominazione europea in Asia ed Africa.

Mentre io scrivo e lei legge, l’Occidente si trova al cospetto di “controspinte” molteplici, gravide di conflitti e di tensioni.

Toynbee parla di un Occidente che sfida il mondo, il quale, a sua volta risponde aspramente ed intrecciando “Orienti” ed “Occidenti”.

Ma la discriminante è davvero tra Oriente ed Occidente?

L’atlante è a chiazze o a pelle di leopardo ovunque e, forse, il macigno da spostare non è quello dei rapporti tra Oriente ed Occidente, di cui già scriveva Erodoto, quanto quello di riequilibrare l’ingiusta divisione della ricchezza, di restituire ciò che lo “scambio ineguale” ha tolto.

Giuseppina Capone

Il “secolo asiatico”, dalle conquiste spaziali al pop, l’Oriente espugna anche l’industria musicale

L’era del dragone non riguarda soltanto la Cina, con il suo sviluppo economico e tecnologico, la crescita esponenziale del pil o i piani per conquistare un preciso ruolo nello spazio e nella storia, anche Paesi come Malesia, Thailandia, Corea del Sud o la città stato di Singapore si stanno ritagliando un proprio ruolo, affacciandosi sul panorama mondiale tenendo la scia del grande drago asiatico.

Per fare un esempio, a proposito di oriental style, se negli anni ‘90 lo stile italiano cambiò il gusto e le abitudini culturali di quello che poteva essere definito il “secolo americano”, attraverso la lingua della moda, del design, della cucina e della cultura del Bel Paese, oggi, mentre l’italian style appare un po’ troppo assimilato all’interno della cultura globalizzata del XXI secolo, il korean style o K-Style sta prendendo il sopravvento in Asia e non nasconde le sue ambizioni di confrontarsi direttamente con le grandi industrie culturali europee e nordamericane.

Dopo il successo, nel 2012, del tormentone “gangnam style” del cantante sudcoreano Psy (il singolo più ascoltato di tutti i tempi, con più di 2 miliardi di visualizzazioni su Youtube), quello che poteva sembrare un fenomeno passeggero, si è trasformato nel marchio di fabbrica della così detta K-wave, o onda K-pop: un progetto lautamente finanziato dal governo di Seoul che coinvolge decine di migliaia di giovani coreani, che studiano e si impegnano seriamente per diventare idoli del Pop. Un’utopia che spesso si trasforma in realtà, anche grazie all’aiuto delle case discografiche ed alle sovvenzioni pubbliche.

Negli ultimi anni, infatti, il progetto della K-wave si è sviluppato dalla musica alla televisione,  passando per il design e la cucina e, dopo il successo ottenuto in Cina e Giappone, si è  velocemente espanso in tutta l’Asia, arrivando nelle Americhe e in alcuni paesi dell’Unione Europea; c’è, inoltre, un’altra componente del korean style che lo rende tanto affascinante agli occhi di una moltitudine di ragazzi occidentali ed è la capacità di unire innovazione e tradizione.

Attraverso prodotti artistici orecchiabili e ben confezionati, i cantanti come gli attori, così intriganti ed appariscenti, portano, nella loro espressione, un messaggio facile da comprendere, anche per una cultura straniera, tanto da giocare un ruolo chiave per la promozione della cultura sudcoreana nel mondo.

Insomma, prodotti di super elettronica a parte, l’attenzione che la Corea del Sud sta ottenendo in questi ultimi anni sembrerebbe dovuta alla capacità tutta coreana di realizzare il prodotto culturale più adatto al pubblico globale, una vera e propria catena di montaggio, ad altissimi livelli, di beni culturali, nei campi strategici dei media e dell’intrattenimento.

Con queste premesse resta solo da capire quanto spazio verrà lasciato alla cultura di un paese relativamente piccolo come la Corea del Sud, in un secolo che potrebbe vedere un’unica grande dominazione, quella cinese; speriamo in una diversificazione culturale.

Rossella Marchese

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