A colloquio con Rossella Pace. Per una resistenza al femminile: dalle staffette partigiane alle madri costituenti

“Se ci prendono e pensano di lasciarmi viva perché sono una donna mi metto a urlare che mi fanno schifo fin quando non mi zittiscono i proiettili”, così Alba Carla Laurita de Céspedes y Bertini in relazione ai tedeschi, che, arrivando nelle case per una rappresaglia, massacravano sempre gli uomini.

Quale contributo ha offerto la Resistenza alla causa femminile?

Indubbiamente, il contributo più importante che la Resistenza ha dato alla causa femminile è stato l’acquisizione di pari diritti politici e civili tra uomini e donne. Acquisizione che è stata, si badi bene, non un punto di arrivo bensì il punto di partenza per andare a colmare quel gap tra i due sessi, visibile nella società attuale benché in misura ridotta.

La Resistenza italiana è un argomento costantemente trattato. Esiste una faccia ancora in gran parte nascosta relativa alla presenza femminile.

Qual è l’apporto delle donne?

Certamente esiste ancora una parte poco conosciuta della Resistenza femminile. Un libro edito ultimamente sull’argomento ne è dimostrazione più evidente. Il testo, pur esaltando la resistenza femminile e mettendo in evidenza l’essenziale apporto delle donne alla causa della lotta di liberazione nazionale, non tiene minimamente conto degli orientamenti storiografici in tal senso. La compagine femminile liberale attiva sia nel campo civile che in quello della lotta armata non è minimamente menzionata. Sicuramente l’autore non aveva tale obbligo ma, a mio avviso, uno studio che pretende di essere esaustivo sull’argomento avrebbe dovuto tenerne conto, anche perché la fonte di questi nuovi orientamenti storiografici sono gli Archivi della Resistenza stessa.

Paola Del Din, altra fondamentale protagonista della Resistenza, combattente e patriota della brigata Osoppo-Friuli, agente pro tempore dello Special Operations Executive (SOE) britannico, medaglia d’oro al valor militare della Repubblica italiana. Ebbene, quale molla scatta in una ragazza – tante ragazze – tanto da indurla al rischio della vita?

Quella della Del Din fu la reazione alla morte del fratello Renato. Ciò la spinse ad occupare un ruolo sempre più importante nella brigata Osoppo. Le motivazioni furono varie. Citerò il caso di Cristina Casana, attiva nella Resistenza al fianco del fratello Rinaldo nella zona di Milano: “la resistenza fu per me  un momento di evasione dalla realtà in cui avevo sempre vissuto, anche perché fino a quel momento io di politica non avevo mai capito nulla”. Mentre per la ventenne Maria Giulia Cardini, attiva nella zona Cusio – Ossola, l’adesione alla lotta di liberazione nazionale fu un fatto del tutto naturale, “il Paese aveva bisogno di noi”.  Per i tre casi citati possiamo parlare di un antifascismo che per  – dirla con Edgardo Sogno – non derivava da premesse sociali o marxiste, derivava da una esigenza […] liberale, ossia dell’opposizione ad un sistema non democratico, non rispettoso della dignità e dei diritti della persona e da una rivolta contro i metodi e la politica degli stati totalitari.

Maria Giulia Cardini, militante dell’Organizzazione Franchi di Edgardo Sogno, combattente nelle Divisioni Beltrami e Di Dio in Val d’Ossola, capocellula dell’intelligence partigiana (Simni) nell’ambito della Missione Chrysler. Eppure, nome poco noto, addirittura ignorato. Quali sono le ragioni della “Resistenza taciuta”?

Se ragioni ci sono di questo silenzio, in primo luogo, forse, vanno rintracciate nel fatto che molte delle protagoniste di questa lotta preferirono dopo la fine della guerra non parlare e non chiedere riconoscimenti. Preferirono dimenticare o addirittura non parlare di quei fatti. Certo il caso di Maria Giulia Cardini ha davvero dell’incredibile. Dopo la prima militanza nell’organizzazione Franchi e nelle Divisioni Beltrami e Di Dio in Val d’Ossola arriva al SIMNI. Si badi che vi arriva non come staffetta ma come capocellula del SIMNI in collaborazione della missione Chrysler americana, potendo contare su una squadra di 12 uomini ai suoi ordini. Il paradosso lo troviamo nel fatto che  tutti gli uomini del SIMNI a partire da Giorgio Aminta Migliari compaiono nella sezione “Donne e uomini della Resistenza” sul sito dell’ANPI, ma non lei. Una ragione potrebbe essere che, solo tardivamente, a fine anni 50, l’Italia un Paese in cui nel 1945 le donne non godevano di alcun diritto politico, le riconobbe la medaglia d’argento. Forse, è arrivato il momento di rivedere la sezione?

35mila donne dal 1943 al 1945 parteciparono alle azioni di guerriglia partigiana per liberare l’Italia dal nazifascismo. Non sottoposte ai bandi di reclutamento e, in generale, non obbligate alla fuga ed al nascondimento: volontarie a pieno titolo nella resistenza. Cosa dobbiamo, tra le altre, alle “Gappiste di Milano”?

I numeri della partecipazione femminile alla lotta di liberazione nazionale sono molto alti, credo che addirittura molte di loro ancora non siano state neanche censite. Indubbiamente, alle militanti dei Gruppi di Difesa Patriotica di Milano, ma non solo, va ascritto un grande merito in quel frangente storico. Anche se, quasi immediatamente, nella sfilata del giugno del 1945 per festeggiare la libertà riacquistata i loro meriti e quelli di tutta la presenza femminile nella guerra ai nazifascisti vennero sminuiti da Palmiro Togliatti. Il quale alla vigilia della sfilata osservò: “Meglio che le ragazze non sfilino con i ragazzi, il popolo non capirebbe”.

Anna Cherchi. Alle carceri “Nuove” fu torturata ogni giorno per un mese: nemmeno le scariche elettriche riuscirono a farla parlare. Poi, su di un carro bestiame fu deportata a Ravensbruck, campo di concentramento per sole donne: Anna aveva 18 anni ed era una staffetta. Quale ruolo rivestirono le “Staffette”?

Nella Napoli occupata del settembre 1943, le donne impediscono i rastrellamenti degli uomini, facendo letteralmente svuotare i camion tedeschi già pieni ed innescando, così, la miccia dell’insurrezione cittadina. Le donne protagoniste della Resistenza civile?

Rispondendo ad entrambe le domande vorrei sottolineare che chiunque fosse stato scoperto a nascondere partigiani, trovato in possesso di documento da trasportare alle bande partigiane, avrebbe avuto la casa bruciata e lei o lui immediatamente fucilato insieme a tutta la sua famiglia.  Le staffette svolsero un ruolo di primo piano nella lotta ai nazifascisti. Innanzitutto, senza il sangue freddo di queste giovani e il loro coraggio nei momenti più duri dei rastrellamenti sarebbe stato impossibile mantenere i contatti tra le varie bande. Ricordava Virginia Minoletti Quarello, attiva nella resistenza prima a Genova e poi a Milano insieme al marito Bruno Minoletti: “un giorno giravo per Geneva con la borsa talmente tanto piena di documenti per il Pl genovese e di armi che se fossi stata fermata ad un posto di blocco, le uniche parole che mi avrebbero detto sarebbero state: prego il muro”. Detto questo, non farei differenza tra Resistenza civile e Resistenza armata; entrambe presentavano una dose altissima di rischi ed entrambe erano strettamente interconnesse tanto da non poter sopravvivere l’una in assenza dell’altra e viceversa.

Professoressa Pace, in qual misura la partecipazione delle donne alla Resistenza ha risposto ad un bisogno di affermazione di diritti ed opportunità?

Come dicevo all’inizio è stato il punto di partenza, sul quale – credo – ci sia bisogno ancora di lavorare, per evitare che quella indipendenza e quei valori conquistati sul campo di battaglia vadano sprecati.

 

Rossella Pace, PhD in Storia dell’Europa presso l’Università “Sapienza” di Roma. È Segretario Generale dell’Istituto Storico per il Pensiero Liberale Internazionale. Si è occupata di Storia del liberalismo, di Resistenza, di storia sociale e relazioni diplomatiche. È autrice di Una vita tranquilla. La Resistenza liberale nelle memorie di Cristina Casana (Rubbettino 2018), Partigiane liberali (Rubbettino, 2020), I liberali non hanno canzoni (Rubbettino, 2022) e di vari saggi e articoli su riviste specialistiche. Per Rubbettino ha curato i volumi La fatalità della guerra e la volontà di vincerla. Classe dirigente liberale, istituzioni e opinione pubblica (2019), Diplomazia multilaterale e interesse nazionale. Dal Congresso di Vienna (1815) all’atto finale di Helsinki (1975) e oltre (2016), L’eredità di Leopoldo Franchetti (2020) e Non possiamo non dirci liberali (2022).

Giuseppina Capone

 

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