La profezia musicale dei Kraftwerk, inventori del pop elettronico

Sono tra i gruppi di musica pop più influenti della storia, anche se quasi nessuno li conosce, i Kraftwerk, tedeschi doc, a loro è attribuita l’invenzione del pop elettronico. Pionieri del genere, hanno incominciato ad usare strumenti elettronici, da loro stessi realizzati, alla fine degli anni Sessanta. E mentre la storia, in quella fine di decennio, ancora impregnato di controcultura, era ancora ispirata dalle utopie sessantottine, i quattro pionieri dell’elettronica di Dusseldorf, con visionarietà estrema e predisposizione alla profezia, descrivevano un futuro che è il nostro presente.

Si sono sempre fatti chiamare Kraftwerk, gli “uomini macchina” ed a loro si sono ispirati artisti del calibro di David Bowie, Iggy Pop, U2, Coldplay, ognuno dei quali ha dedicato loro dei brani, ma anche Michael Jackson, Depeche Mode, Daft Punk, fino alla insospettabile Madonna.

Tuttavia è più interessante seguire come i Kraftwerk abbiano sviluppato l’intuizione di un’integrazione tra l’uomo e la macchina, tale da condurre ad un processo di alienazione inquietante ed affascinante. Nella Dusseldorf a cavallo tra Sessanta e Settanta, nell’artisticamente fecondo clima della guerra fredda nella Germania divisa, i Kraftwerk sconvolsero il mondo con i loro primi 2 album che parlavano di alienazione in un mondo dominato dalle macchine. Nel 1978 si presentarono, anzi non si presentarono, ad una conferenza stampa per il lancio del loro nuovo cd, facendosi sostituire da dei robot, ancora rozzi nelle finiture ma perfettamente identici nell’aspetto e nell’espressività ai quattro musicisti.

Il mondo dei Kraftwerk è così, completamente spersonalizzato e venato di ironia, molto simile a quello tratteggiato da Andy Wharol e dalla sua tecnica di riproduzione meccanica delle opere d’arte.

Lo scorso anno il Moma di New York ha deciso, per la prima volta nella storia, di dedicare ai vati della musica elettronica una retrospettiva di 7 serate, con 7 spettacoli 3D, uno per ogni cd della band, in cui l’uomo macchina profetizzato Quaranta anni fa  è stato definitivamente consacrato come emblema di uno status quo che spaventa e che è diventato reale.

Andare ad un loro concerto, ancora oggi vuol dire vedere esibirsi dei robot e non degli uomini, sotto un bombardamento tridimensionale di numeri e algoritmi su enormi maxischermi. Le braccia meccaniche dei sostituti dei Kraftwerk on stage, gli occhi fissi e la glacialità della loro musica ripetitiva e sottilmente angosciante, forniscono una sintesi perfetta dell’apocalittico archetipo del post-umano, che se nel 1970 poteva apparire in linea con la perdita di identità della Germania divisa, oggi è quanto mai atteggiamento globalizzato, quasi a precisare che il mondo attuale non ha più bisogno dell’uomo che lo ha reso autosufficiente con la sua stessa produzione; basti pensare alle stampanti 3D che possono realizzare protesi umanoidi bioniche per quasi ogni parte del corpo.

Il mondo dei Kraftwerk è fatto da ex divinità in esilio, gli esseri umani, sostituite dalle loro stesse creature, le macchine, che si divertono, fanno musica, lavorano..tutto esattamente come i creatori, ma senza essere umani del tutto: metà essere e metà macchina, come i Kraftwerk stessi.

Rossella Marchese

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