Di là dal mare

L’economia blu del mare nostrum. La ripresa sostenibile premia un canto universale.

“Di là dal mare. Dove piove fortuna, dov’è libertà. E l’acqua è più pura di un canto…”.

I versi toccanti del brano di Massimo Ranieri “Lettera di là dal mare”, presentato all’ultimo Festival di Sanremo, evocano sentimenti importanti, sopiti forse, mai estinti nel gusto dei suoi numerosissimi fan e del pubblico italiano. A quello più adulto negli anni, ancor più nelle comuni radici partenopee, non sarà sfuggita l’associazione con un altro brano, culto nella scuola dei classici napoletani: “Santa Lucia lontana”, scritto nel 1919 da E. A . Mario.

Un testo da brividi quello scritto, per il ritorno del cantattore sul palco del teatro Ariston, da Fabio Illacqua.

Moti ondosi che richiamano lustri di storia e migrazioni di troppi connazionali fra i flutti e i muri d’acqua oceanici. L’interpretazione struggente dello stesso scugnizzo settantenne del Pallonetto (il popolare quartiere partenopeo a Santa Lucia) trasuda l’emozione  vissuta sulla sua pelle a soli tredici anni. Quando, come ha raccontato in più interviste nel dopo festival, trascorse quindici giorni barricato nella cabina del transatlantico Cristoforo Colombo (una ammiraglia della Società di Navigazione Italia, gemella dell’Andrea Doria), a vomitare per raggiungere anche lui l’America, salpando dall’Italia.

Il canto e il mare, la canzone italiana e il Mare Nostrum.

Un rapporto inscindibile nel corso del secolo scorso. Una osmosi, culla del genio artistico culturale al centro del Mediterraneo.

Nel 1987 Eduardo De Crescenzo cantava le proprietà terapeutiche del mare. Capace di indurre una conversione sentimentale nella rotta solipsistica umana:

“L’odore del mare mi calmerà. La mia rabbia diventerà. Amore, amore è l’unica per me.”

“e tutto questo cambiare che amore poi diventerà…”.

Negli stessi anni è Pino Daniele con“Qualcosa arriverà”, a evocare nella presenza ancestrale del mare, un moto di cambiamento: “Voglio ‘o mare, cù ‘e mmura antiche e cchiù carnalea vita ‘o ssaje ce pò fa male
e per sognare poi qualcosa arriverà.”

Senza dimenticare un baluardo del repertorio classico partenopeo come “O’ Marenariello”, scritta nel 1893 da Gennaro Ottaviano, musicata da Salvatore Gambardella.

Resa un culto popolare nel 1992 nella struggente interpretazione del Maestro Roberto Murolo. Accompagnato, nel brano e nell’album che festeggiò i suoi ottanta anni, dall’irripetibile voce di Mia Martini.

L’iconografia sonora del mare non è esclusiva degli autori partenopei, va da sé.

Certamente coinvolge sensibilità di culture diverse, contaminate dal comune orizzonte esteso. Azzurro. Illimitato tra cielo e mare.

“Ed a casa io voglio tornare. Dal mare, dal mare, dal mare.”

I versi di Lucio Dalla in “Itaca” ritornano sul Capitano con gli occhi dal “nobile destino”. Senza rimestare oltre nelle visioni solitarie di “Com’è profondo il mare”, brano scritto interamente da Dalla, che titolò il suo settimo album pubblicato nel 1977.

Emersi dalle memorie oniriche del Maestro Battiato i versi di “Summer on a Solitary Beach”:

Mare voglio annegare. Portami lontano a naufragare. Via via via da queste sponde.
Portami lontano sulle onde.

Un altro autore bolognese, fra i top nella canzone d’autore italiana, uscì nel gennaio del novantadue con il brano “Mare mare”, sempreverde, anche dopo trent’anni:

“Mare, mare, mare sai che ognuno c’ha il suo mare dentro al cuore, sì.
E che ogni tanto gli fa sentire l’onda. Mare, mare, mare.

Ma sai che ognuno c’ha i suoi sogni da inseguire, sì. Per stare a galla e non affondare no, no, yeah, yeah…”.

Un tormentone triste per la ricerca vana di un amore. Il brano scritto da Luca Carboni con Mauro Malavasi, vinse a mani basse il Festivalbar nello stesso anno.

Sino a essere incluso, nell’anno nero della pandemia, dopo un remake nel 2013 inciso con Cesare Cremonini, fra quarantacinque brani più belli della musica italiana.

Secondo il contest radiofonico I Love My Radio.

In questa succinta epopea sonora del Mare Nostrum, non si possono trascurare alcuni pezzi di quella così detta musica leggera. Capace di conquistare l’empatia, il consenso di ampie fasce di pubblico. Pronto a incarnarne il refrain popolare. Legandolo indissolubilmente a stagioni indimenticabili della propria vita.

Ne sa qualcosa Raoul Casadei: con “Ciao Mare”, scritta nel 1973, esplose la febbre del “liscio”. Il suo conio entrò a pieno titolo nel vocabolario italiano. Segnò l’avvio di una prosperosa filiera di successi per l’omonima Orchestra. Lanciati da memorabili edizioni canore ultra popolari: Festivalbar, Festival di Sanremo, Un disco per l’estate.  

Ancora vacanziera e spensierata la Giuni Russo del 1982 con ”Un’estate al mare”:

“Un’estate al mare. Voglia di remare. Fare il bagno al largo.
Per vedere da lontano gli ombrelloni, -oni, -oni.
Un’estate al mare. Stile balneare. Con il salvagente. Per paura di affogare…”.

Il suo più grande successo discografico le fu consegnato ancora dal Maestro conterraneo Franco Battiato. Un tormentone sempreverde intergenerazionale che a distanza di quaranta anni risveglia legittime aspettative ludiche di un’agognata vacanza. Contaminata dai colori estivi del mare.

Di là dal mare, rimane simbiotico il legame musicale del Bel Paese con l’abbrivio della stagione estiva.

Auspici di ripristino della socialità dopo le ultime stagioni azzerate dalla pandemia vedono impegnate al meglio soprattutto le compagnie di trasporto marittimo. Nel tentativo di riordinare i flussi turistici nel Mediterraneo, in particolare nel nostro Tirreno.

Le due maggiori isole italiane si confermano mete importanti per la ripresa del turismo nazionale ed europeo. Gli sforzi su questo ambizioso obiettivo sono imponenti in termini di politiche promozionali e tariffarie. Che incentivano e premiano le prenotazioni estive, proteggendole da revoche dell’ultima ora. Senza dimenticare l’allestimento di nuovi traghetti con nuove linee pronte a servire e rafforzare i collegamenti con la Sardegna.

Tutto questo virtuoso fermento, integrato nel più ampio dibattito del processo di transizione ecologica (per l’introduzione irrevocabile dei nuovi carburanti sostenibili nel rinnovamento delle flotte tradizionali); rischia di essere fagocitato nelle ultime drammatiche evoluzioni della guerra scoppiata con i bombardamenti sul fronte russo ucraino.

Una tragica fase d’incertezza dagli esiti non immaginabili per la continuità della nostra civile convivenza globale. Ancora più folle nell’attuale era post pandemica.

Sarebbe davvero bello poter archiviare questa buia parentesi di orrore e morte che fa tremare l’Europa e il mondo intero con le note felici del 1970, cantate dall’Orietta nazionale:

Fin che la barca va lasciala andare. Fin che la barca va tu non remare. Fin che la barca stai a guardare…”.

Con lo sguardo in alto, per un orizzonte diverso, di là dal mare.

Luigi Coppola

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