I limiti della solitudine per la società dell’inclusione.

Da sempre nella storia degli eventi umani, ogni gruppo sociale, piccolo o grande, ha tracciato perimetri ben precisi per i suoi appartenenti, stabilendo non soltanto diritti e doveri, ma anche gli strumenti per l’esclusione. La disabilità non è rimasta sempre uguale nei secoli. Il concetto di disabilità è cambiato più volte,passando dall’essere un difetto o causa di discriminazione, a diventare addirittura causa eugenetica,per diventare poi una sfida per un mondo più inclusivo.La Dott.ssa Simona Ugolini, nel suo libro “L’atteggiamento della cultura greco-romana nei confronti della disabilità: gli antipodi della nostra inclusione?” scrive: “.. a guardar bene , mentre da un lato abbiamo elementi che inducono a propendere per la tesi di una società in cui si tende a rimuovere ciò che è malformato e/o deficitario, dall’altro riaffiora continuamente tutto un mondo – quello mitologico che della deformità ha fatto quasi la regola” Tra il XII e XIII secolo, un primo fattore per designare l’appartenenza ad un determinato nucleo urbano era rappresentato dall’iscrizione delle persone residenti in città negli estimo cittadini e negli elenchi delle collette, chi non risultava iscritto era escluso dalla protezione del Comune. Tra i luoghi dell’inclusione si devono menzionare i mercati e le officine, ma anche gli alberghi, le taverne, i bagni pubblici, il nucleo familiare, la chiesa, la corporazione di riferimento. Ma non c’erano solo luoghi di aggregazione e di coesione sociale, nelle città medievali o nelle loro vicinanze esistevano luoghi atti ad escludere dalla società soggetti deboli e sfortunati o percepiti come una minaccia, e di cui vergognarsi e quindi nascondere agli occhi del mondo, ma nei cui confronti si sviluppano comportamenti pietistici e occasioni per redimersi dal peccato facendo elemosina. Tra questi luoghi di esclusione vanno menzionati gli ospedali e gli ospizi, dove trovavano riparo i malati, i vagabondi, le persone anziane, gli indigenti e anche i bambini abbandonati. Col Rinascimento e con l’illuminismo poi, si inizia ad affermare la medicina, quindi di conseguenza la disabilità viene medicalizzata e curata negli ospedali. Nel campo dell’istruzione nell’anno 1848 con la riforma di Gabrio Casati viene sancita l’istruzione obbligatoria ai minori, ma che non si occupa di soggetti portatori di handicap perché considerati ineducabili. Con la riforma del 1923, poi modificata nel 1928, si stabilisce che l’istruzione dei ciechi e dei sordi è obbligatoria con la frequenza in apposite istituzioni scolastiche, dove potevano essere accolti anche allievi con disturbi psichici. Nel 1971 si stabilisce che l’istruzione dell’obbligo, nei soggetti portatori di Handicap deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica. Negli anni 1977, 1992, 2010 e 2012 si stabilisce finalmente che l’inclusione è un concetto che presuppone l’equità, vale a dire l’idea che la differenza e la diversità favoriscono l’apprendimento di ciascuno e di tutti. Con la legge 17/1999 si stabilisce anche per gli studenti universitarie con disabilità, la possibilità di un supporto individualizzato.

Alessandra Federico

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