Arianna Ninchi: Ada Pace

Ada Pace è stata una delle leggende dell’automobilismo italiano. Tra gli Anni ‘50 e ‘60 è stata la più forte pilota italiana: una “corridrice”.

Oltre i meriti sportivi lampanti, quali sono le ragioni per le quali la sua figura va ricordata?

Ada è una leggenda per gli appassionati di motociclismo e automobilismo, sì. Noi, che abbiamo lavorato alla puntata che “Il segno delle donne” le ha voluto dedicare, siamo desiderosi di mostrare a quante più persone possibile quanto lei abbia percorso, di più… aperto una strada nuova per le donne della sua epoca. Come tutte le pioniere, merita di essere celebrata perché ha dimostrato che una donna può tutto. Nello specifico, però, credo che la sua vicenda dica molto della fatica per il femminile di affermarsi in ambiti tipicamente maschili. La sua è una storia di tenacia esemplare, coronata dal successo. Gli incidenti di percorso, i trucchetti meschini per metterla fuori gara, i reclami che ha dovuto affrontare, sono stati numerosissimi. Ma Ada non si è mai lasciata scoraggiare. E, cosa che in lei amo molto, spesso ha usato l’arma dell’ironia con i colleghi, fino al colpo di genio del soprannome “Sayonara” (arrivederci, in giapponese), inciso anche sulla targa posteriore delle sue auto. Dietro al suo bellissimo sorriso, ci sono grande consapevolezza e forza di carattere.

Pace cavalca anni complessi quanto alla libera determinazione femminile.

Qual è la genesi della sua passione sportiva e come si evolve?

Ada cresce nell’officina del padre e lì nasce la sua passione per i motori. La velocità le entra nel sangue, e poi le diventa impossibile farne a meno, come lei stessa in un’intervista dirà. La svolta cruciale per la sua carriera avviene intorno al 1956, con il passaggio dalla Vespa alle auto da corsa. La scelta non è stata immediata, anzi, al contrario, ci ha messo un po’ prima di dedicarsi solo alle quattro ruote. Mi chiedo quanta parte abbiano avuto nelle sue valutazioni il cuore e la ragione. E non ho una risposta certa, ma sento in lei molta intelligenza e autonomia di pensiero.

Per la corretta ricostruzione della figura di Ada Pace, fortemente osteggiata durante le competizioni, Lei si è avvalsa di numerosi fonti di archivio nonché di numerose testimonianze.

Quali difficoltà ha incontrato nella raccolta e nel discernimento?

Il lavoro sulle fonti è stato fatto prima del mio coinvolgimento in qualità di attrice, e immagino sia stato molto affascinante. La produzione mi ha consegnato un copione sul quale è stato per molti versi facile lavorare. Ho subito fatto i complimenti alla sceneggiatrice, Manuela Tempesta, per la qualità della sua scrittura. È stato poi importante confrontarmi con il regista, Marco Spagnoli, per fare delle scelte interpretative. Sono anche convinta del fatto che la disponibilità mostrata dal nipote di Ada, Antonio Pace, abbia fatto la differenza. L’ho conosciuto quando è sceso a Roma a consegnare scatole e scatole piene di interessantissimo materiale: c’è stato anche con lui uno scambio prezioso. Le immagini inedite e i filmati di repertorio hanno contribuito a rendere la puntata ricca di attrattive.

Donna coraggiosa, passionale e volitiva, letteralmente sommersa da “reclami ufficiali”, almeno in un caso sfocianti in un procedimento giudiziario.

Quale scotto ha dovuto pagare il suo essere una donna integerrima e impetuosa?

“Ogni volta io sono stata sola contro tutti”, nella seconda parte dell’intervista mi sentirete dire. Per poi subito aggiungere: “E mi sono anche divertita. Ho fatto cose pazze”. Ecco, credo che questa dichiarazione racchiuda, in un modo molto sintetico, la personalità di Ada. Gli ostacoli nel suo percorso sono stati molti, in primis la famiglia, che era contraria alla sua decisione di gareggiare, ma lei ha fatto ricorso anche a una sana pazzia per superarli. Nella trasmissione, la bravissima conduttrice Angela Rafanelli ed io raccontiamo aneddoti divertenti e poco dopo episodi drammatici, perché, scegliendo una vita contro corrente e senza limiti, Ada si è molto esposta alle intemperie, diciamo. Ma la complessità era proprio parte del suo carattere, cosa di cui anche era consapevole.

“Il segno delle donne” di RAIStoria celebra “Sayonara”, pseudonimo con cui era nota Ada Pace.

Per quale ragione, occorre un momento celebrativo per sottrarre una donna dal palmares impressionante all’oblio?

L’oblio cade anche sui miti. È un nemico invisibile contro cui, secondo me, vale la pena lottare. Da erede di una famiglia di attori, che molto ha dato all’arte e alla cultura italiane, sento su di me questo compito di mantenere viva e calda la memoria di chi ci ha preceduto. Credo però sia impossibile addossarsi questo sforzo da soli. Ci vuole un gran lavoro di squadra. Quello di Anele che, con Rai Cultura, produce “Il segno delle donne” è davvero un buon esempio di servizio pubblico.

Sebbene la partecipazione femminile allo sport stia gradualmente aumentando, le donne, spesso, sono relegate ai margini dei processi decisionali.

Il divario di genere diventa tanto più ampio quanto più apicale è la posizione?

Ho seguito e amato il calcio per anni, poi me ne sono allontanata. Ora seguo raramente lo sport, e ti posso rispondere solo dicendo che i cambiamenti sono in atto in ogni settore. Di certo noi donne dobbiamo lottare per far valere le nostre ragioni, per pretendere il rispetto e le posizioni che meritiamo. Quando un’amica ottiene un successo, una promozione, o raggiunge una posizione apicale, io sento il bisogno di esprimerle i miei complimenti, perché, non nascondiamocelo, le difficoltà per noi sono maggiori.

Lo sport è tradizionalmente un settore dominato dagli uomini.

In qual misura i progressi compiuti nella parità di genere in questo campo sono frenati dalle concezioni sociali di femminilità e mascolinità?

Non saprei dirti, anzi forse lo sport mi pare uno dei campi dove i cambiamenti sociali entrano più velocemente. Ad esempio, sottolineerei il ruolo portante e fondamentale delle Paralimpiadi nell’accettazione sociale della disabilità.

Gli stereotipi di genere prevalenti influenzano la partecipazione delle donne non solo ai processi decisionali nelle organizzazioni sportive, ma anche alla pratica sportiva.

I ruoli di genere tradizionali possono dettare il numero di ore che le donne dedicano ai compiti di cura?

Per le atlete e gli atleti l’allenamento deve essere continuo. Ma un po’ in ogni ambito, oggi, ci ritroviamo a pensare prima alla carriera e solo in un secondo momento alla vita privata. Quando Ada correva, comunque, le cose non erano più facili, anzi! Oggi le sportive e gli sportivi sono seguiti da un’équipe, hanno sponsor, ricchi premi. Per “Sayonara” ogni corsa era veramente un’avventura. Forse dovremmo recuperare un po’ quell’idea lì, che la vita tutta è una grande avventura, da affrontare con coraggio e, quando possibile, con il sorriso.

 

Arianna Ninchi studia recitazione presso il DAMS di Bologna. A teatro è diretta, tra gli altri, da Arnaldo Ninchi, suo padre, e da Piero Maccarinelli, Antonio Calenda, Ennio Coltorti, Gianfranco Calligarich, Anna Redi, Monica Nappo. Al cinema ha lavorato per Francesco Falaschi, Daniele Misischia, Leonardo Pieraccioni, Stefano Mordini, Filippo Bologna.

Giuseppina Capone

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