La Stanza dell’Ascolto: un luogo protetto a cui rivolgersi

Il prossimo 2 marzo alle ore 10, alla presenza del Sindaco Luigi de Magistris, verrà inaugurata in via Alessandro Poerio n. 21  la “Stanza dell’Ascolto”.

Si tratta di un nuovo e rifunzionalizzato spazio protetto di accoglienza delle vittime di violenze ed abusi dell’Unità Operativa Tutela Minori e Emergenze Social nato nel 1998.

“Dalla tutela dei senza fissa dimora, allo sfruttamento della prostituzione, sia essa maschile che femminile, dal controllo degli insediamenti Rom alla tutela dei minori non accompagnati. Affronta, rinnovandosi, – afferma l’Assessore Alessandra Clemente – nuove emergenze come bullismo e cyberbullismo ed ha istituito il servizio anti stalking che si occupa della tutela delle vittime di violenza e di atti persecutori, dedicandosi all’ascolto ed alla raccolta delle confidenze di quelle persone che ritengono d’essere minacciate o molestate.

Dall’esperienza di questi anni di attività è nata l’esigenza di dedicare uno spazio all’ascolto, una stanza “formalmente informale” per poter procedere all’ascolto con modalità adeguate che coniughino le necessità operative con il rispetto del diritto all’integrità psicofisica garantito dai dritti fondamentali della persona”.

Un’iniziativa interessante di supporto a categorie svantaggiate.

Hanno collaborato alla realizzazione dell’iniziativa strutture del Comune e associazioni che hanno fornito il loro contributo per la creazione di questa stanza.

La progettazione della stanza, su iniziativa dell’Assessorato alla Sicurezza Urbana e Polizia Locale del Comune di Napoli, è stata realizzata dall’Unità Tutela Minori ed Emergenze Sociali. “I lavori e l’acquisto delle tecnologie di ultima generazione – prosegue la Clemente – per la rilevazione dei colloqui sono stati eseguiti dal Comune di Napoli. Gli arredi sono stati donati, invece, dall’Associazione Donne per il Sociale Onlus, presieduta da Patrizia Gargiulo e dall’Istituto Ferriere, coordinato da Anna Sommella. La curatrice d’arte Valeria Viscione e l’artista e docente Stefania Sabatino hanno partecipato all’ideazione ed alla creazione della tela “L’abbraccio”, che verrà apposta nella stanza e donata all’Unità Operativa in occasione dell’inaugurazione”.

Speriamo che questa iniziativa consenta di assicurare un sempre e più ampio servizio per i cittadini che versano in condizione di difficoltà.

 

Salvatore Adinolfi

A colloquio con Salvatore Di Maio

Salvatore Di Maio nel suo libro intitolato “Nato il 4 luglio a Napoli. Le metamorfosi di uno scugnizzo, per i tipi delle Edizioni La Città del Sole, mostra attraverso la sua esperienza un’interessante spaccato della vita napoletana.

Il volume sarà presentato presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo a Napoli il 28 febbraio. Abbiamo rivolto a Salvatore Di Maio alcune domande in particolare sul suo percorso di vita trascorso alla Casa dello Scugnizzo.

Salvatore Di Maio, di grande significato le dediche che aprono il volume. Una dedicata alla moglie Maria Antonietta e una alla figlia Francesca. L’altra al padre Peppe e a Don Mario. Perché questa scelta?

Mio Padre Peppe rappresenta per me l’amore, quello irrazionale che non ha bisogno di spiegazioni, c’è e te lo porti appresso. Don Mario, che in una dedica a me destinata si definì “padre adottivo, è la persona a cui devo la mia normalità. la Casa dello scugnizzo da lui creata mi ha offerto la possibilità di crescere con riferimenti che altrimenti non avrei avuto. Mia moglie e mia figlia sono il mio presente e il mio passato di uomo adulto, all’una debbo quasi tutto quello che sono, con tutto ‘o buono e tutto ‘o malamente. Mia figlia è l’amore razionale e irrazionale, parte di me.

Quanta importanza ha avuto nella sua formazione e nella sua vita l’esperienza educativa vissuta con don Mario Borrelli presso la Casa dello Scugnizzo?

Tantissima, perché mi ha dato una adolescenza da ricordare e mi ha fornito gli strumenti e la curiosità per affrontare la vita. mi ha fatto scoprire che il mondo andava oltre Napoli ed è grazie alla Casa che ho imparato la lingua inglese che è stata poi fondamentale per la mia carriera da pubblico dipendente.

Perché “metamorfosi di uno scugnizzo”?

Perché l’insicurezza che accompagna il personaggio del libro, lo costringe a continui cambiamenti per somigliare, quanto più possibile, alle figure di riferimento che man mano ha incontrato nella sua vita. la sensazione di non sentirsi all’altezza nel mondo fuori la Casa dello scugnizzo lo spingono a trasformarsi di volta in volta, fino a quando non si renderà conto di essere accettato per quel che è.

Per lei Scugnizzo è un modo di vivere?

No, non credo sia un modo di vivere, ma mi rendo conto che esserlo stato può, in qualche modo, condizionare il carattere. aver sofferto quella condizione che lo escludeva e lo destinava ad un destino da ultimo, gli ha sicuramente consentito, una volta uscito da quella condizione, di rispondere alle avversità con ottimismo e fantasia.

Quanto di lei c’è in Tore, il protagonista del libro?

Il mio vissuto ha fatto da canovaccio, come quelli della “commedia dell’arte, una traccia su cui improvvisare. c’è quindi tanto di me, Tore mi somiglia ma non è pienamente Salvatore.

Attraverso il racconto del protagonista si snoda anche la storia di una generazione e di una città…

La Storia, quella con la “S” maiuscola, da il tempo agli eventi cui il protagonista partecipa. a volte gli eventi storici ne condizionano le scelte. Tore è partecipe di tanti momenti storici della città, ne è coinvolto come membro delle truppe che hanno consentito ai Cesari di meritarsi la menzione nella Storia.

Alessandra Desideri

Gli effetti della diffusione delle presunte  monete virtuali

Le criptovalute pretendono di essere più sicure rispetto alla moneta tradizionale e di non richiedere intermediari.

Alcune potenze occidentali come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno mostrato un atteggiamento generalmente positivo verso le nuove tecnologie che abilitano le monete virtuali, altri come il Canada e l’Australia stanno ancora decidendo il da farsi.

Gli Usa sono pronti a regolare la moneta virtuale bitcoin. A dare un nuovo colpo alle quotazioni delle criptovalute sono state indiscrezioni di stampa secondo cui i vertici della Sec, l’organo di vigilanza delle Borsa Usa, e della Commodity Futures Trading Commission chiederanno al Congresso americano di prendere in considerazione l’ipotesi di un controllo a livello federale delle piattaforme per gli scambi di monete digitali. Secondo quanto riferisce Bloomberg, i presidenti della Sec e della Commodity Futures Trading Commission saranno in audizione alla Commissione banche del Senato Usa per discutere di criptovalute e potenziale regolazione. Tutto questo da farsi dipende dal fatto che un terzo delle piattaforme di scambio di bitcoin è stato hackerato fra il 2009 e il 2015. Ed è sorta una pletora di intermediari. E’ infatti accaduto che ammonta a più di mezzo miliardo di dollari l’enorme somma di criptovaluta che, nella notte fra il 25 e il 26 gennaio, è stato sottratto a Coincheck, la più grande piattaforma di scambio di criptovalute del Giappone. Il quale, a sua volta, costituisce una delle piazze più importanti al mondo per le monete virtuali, tanto da arrivare ad accentrare fino al 40 per cento delle contrattazioni, secondo il Financial Times.  Il giorno dopo, l’annuncio del furto è stato dato in diretta televisiva dall’amministratore delegato, Koichiro Wada e ha chiesto scusa agli investitori. Cosa possa accadere ancora lo ha spiegato in un’intervista Jeff McDonald, vicepresidente della Fondazione Nem che emette la criptovaluta, evidenziando che il denaro virtuale sottratto ha un contrassegno, come il numero di serie di una banconota, per cui  l’hacker che se ne è impossessato potrebbe non riuscire a utilizzarlo senza essere smascherato, per cui il bottino resterebbe come sepolto o addirittura distrutto, senza consentire alcun guadagno al  criptoscassinatore.  Poi, aggiunge come anche le vittime non ci perderebbero per il fatto che la diminuzione della quantità complessiva di Xem in circolazione ne farebbe aumentare il valore, forse fino a colmare completamente la perdita (almeno in aggregato, al netto di drastiche quanto casuali sperequazioni fra chi guadagna e chi perde).  Anche nel caso Mt Gox,  la più grande piattaforma al mondo per lo scambio di bitcoin, quando a febbraio 2014 ha ammesso di avere perso traccia di bitcoin per un valore di 450 milioni di dollari. Nel giro di pochi mesi è fallita e il bitcoin  deprezzato del 30 per cento, ha poi ha ricominciato a risalire. È possibile che succeda anche questa volta  il rialzo delle criptovalute, in quanto nessun disastro reale può arrestare un’ascesa puramente virtuale. Essendo le criptovalute sono un fenomeno puramente speculativo,si può ammettere che non possono essere toccate da eventi terreni come il fallimento di una piattaforma. Ma se il loro apprezzamento si ritiene dipenda dalle loro qualità oggettive, tecniche , che il loro prezzo rifletta il loro valore effettivo di un mezzo di pagamento del futuro, allora non si può pensare che eventi come il furto di Xem siano da ritenere irrilevanti. Le criptovalute, a cominciare da bitcoin, pretendono di avere due vantaggi rispetto alla moneta tradizionale: di essere più sicure e di non richiedere intermediarima  la vicenda di Coincheck mostra che nessuna delle due pretese è vera.  Bitcoin è nata come sfida al sistema bancario oligopolistico, come moneta elettronica peer-to-peer, trasferibile fra privati senza il ricorso a intermediari, ma la realtà è un’altra, e il mondo delle criptovalute ha visto sorgere una pletora di intermediari non regolamentati.   Se i bitcoin hanno  lo scopo di sostenere l’economia attraverso la creazione di ricchezza virtuale, nella speranza che un giorno si trasformi in ricchezza reale, non sarebbe più equo e solidale  assegnare qualche miliardo di moneta tradizionale ai cittadini più poveri? Ai posteri l’ardua sentenza.

Danilo Turco

 Il futuro della sanità in Italia

Non sono chiare le proposte politiche sui finanziamenti alla sanità in Italia.

Nell’attuale campagna elettorale il confronto fra le parti sulla questione sanità in Italia presenta contraddizioni e dichiarazioni contraddittorie che senz’altro disorientano il cittadino, per questo, per fare chiarezza, occorre riflettere partendo dai dati oggettivi pubblicati sul sito del Ministero della salute.

Il Servizio sanitario nazionale, gestito dalle regioni come stabilito dalla Costituzione, è finanziato da tre voci:entrate proprie delle aziende del Servizio sanitario nazionale (in particolare grazie al ticket);fiscalità generale delle Regioni, tramite l’Irap e l’addizionale regionale dell’Irpef; bilancio dello Stato, che finanzia il fabbisogno sanitario attraverso la compartecipazione all’Iva, le accise sui carburanti e il Fondo sanitario nazionale. Nel 14 aprile 2016 l’intesa tra Stato e regioni ha stabilito che le fonti del finanziamento del fabbisogno giungessero per un terzo dai contributi delle regioni (A+B) e per circa il 60 per cento dall’intervento statale, mentre risulta residuale l’intervento delle regioni a statuto speciale. Ma il finanziamento del sistema ha subito numerose modifiche e interventi a partire dal 2014, come descrive la Camera dei deputati e sintetizza il ministero delle Finanze , che attualmente fa rilevare come il finanziamento sia aumentato di circa 7 miliardi e mezzo nel corso di questa legislatura (+6,4 per cento), crescita che inizialmente già prevista di 30 miliardi e che poi è stata ridotta grazie a tagli di circa 22 miliardi in quattro anni. La spesa è dunque cresciuta, ma non di quanto previsto. Infatti, ci sono state numerose ricontrattazioni degli accordi presi tra stato e regioni nel 2014, in occasione della firma delPatto della salute 2014-2016 e poi formalizzati dalla legge di stabilità 2015 (comma 556), quando, già allora si erano gettate le basi per le future riduzioni così come è realmente accaduto a partire dalla successiva intesa stato regioni del 2015 e con le leggi di stabilità 2016,2017 e con il decreto del ministero delle Finanze del 5 giugno 2017, con tagli che superano la quota 20 miliardi, ma che ancora una volta dà un saldo positivo. Affrontando la questione da un altro punto di vista è doveroso osservare come in un mondo in cui sono i numeri a farla da padroni, non le persone, con le loro ansie, le malattie, i dolori, le paure e dove i medici e gli infermieri non sono solo bravi, ma addirittura straordinari e costituiscono eccellenze assolute, quotidianamente mortificate da chi la salute pubblica dovrebbe amministrarla,  a livello nazionale al regionale. Una salute guardata solo dal punto di vista della spesa, mai dell’investimento alimenta il paradigma della cattiva sanità. Quella amministrata con criteri che non tengono conto che per gestire la sanità occorre far riferimento costante alla qualità dei professionisti che operano: medici, ricercatori, scienziati, ai quali andrebbe proposta una sanità pubblica capace di riconoscere il proprio ruolo alla luce di quelle “humanities” tanto care alla cultura anglosassone.

Danilo Turco

  Il ritorno dei Jethro Tull

Ian Anderson presenterà i 50 anni dei Jethro Tull in un tour mondiale, per celebrare l’anniversario d’oro della leggenda del rock-progressive. Il tour farà tappa anche in Italia per cinque live a luglio: il 18 a Porto Recanati (Macerata), il 19 a Roma, il 21 a Cagliari, il 23 a Milano, il 24 a Firenze. I concerti che si terranno in celebrazione dell’anniversario saranno caratterizzati da un mix di materiali, alcuni dei quali incentrati sul periodo formativo e soprattutto sui “heavyhitters” del catalogo Tull dagli album ThisWas, Stand Up, Benefit, Aqualung, ThickAs A Brick, Too Old to Rock And Roll: Too Young To Die, Songs From The Wood, HeavyHorses, Crest Of A Knave e persino un tocco di TAAB2 del 2012.

Ian Anderson sarà accompagnato dai musicisti della Tull band David Goodier (basso), John O’Hara (tastiere), Florian Opahle (chitarra), Scott Hammond (batteria), e da special guests virtuali.I Jethro Tull sono un gruppo rock progressivo, originario di Blackpool in Inghilterra, fondato nel 1967 dallo scozzese Ian Anderson (flauto traverso e polistrumentista).

La formazione prende il nome dal pioniere della moderna agricoltura, l’agronomo Jethro Tull (1674-1741). La loro musica è contraddistinta dalla presenza dominante del flauto traverso, suonato dal virtuoso leader Ian Anderson. Dopo un esordio all’insegna del richiamo al blues, i Jethro Tull hanno attraversato la storia del rock, sperimentando vari generi; dal folk rock all’hard rock, dal progressive rock alla musica classica. Hanno venduto più di 60 milioni di album in tutto il mondo. Nel mese di aprile 2014 Anderson ha dichiarato che i Jethro Tull come band non esistono più e la volontà di lasciare l’eredità del nome continuando la sua carriera solista. Il nome del gruppo non fu scelto da Ian Anderson, ma fu sostanzialmente dettato dal caso. Come lo stesso Anderson spiega, forse con una buona dose di autoironia ed esagerazione, all’inizio della carriera la loro musica non era un gran che, e i Jethro Tull stentavano a ottenere ingaggi. Per poter essere chiamati per nuove serate, dovevano ogni volta fingere di essere un altro gruppo, e quindi dovevano settimanalmente cambiare nome alla band: tali denominazioni erano di solito suggerite dal loro agente, ma sembra che talvolta suonassero senza neanche sapere come si sarebbero dovuti chiamare. La prima volta che un loro concerto fu apprezzato da chi gestiva un locale, nella fattispecie da John Gee del Marquee Club di Londra, e che furono reinvitati a suonare, la band dovette tenere il nome della settimana precedente: “Jethro Tull“.

Nicola Massaro

 

 

Le pensioni d’oro in Italia

Le pensioni d’oro rappresentano un vero problema oppure occorre mettere in discussione il concetto di diritto acquisito quando le condizioni economico sociali necessitano di cambiamenti innovativi e di equità sociale sul piano dei diritti?

Il provvedimento di tagliare le pensioni d’oro è senz’altro eticamente condivisibile, ma si scontra con due ordini di problemi: quello giuridico-costituzionale che impedisce di aggredire i cosiddetti “diritti acquisiti”  e quello che riguarda l’entità del possibile risparmio per le casse previdenziali. Per conoscere la realtà bisogna osservare gli ultimi dati resi disponibili da Inps e Istat – le fonti primarie di statistiche previdenziali – che rilevano come nel 2015 il 6,7 per cento del totale dei pensionati, poco più di 1 milione di individui abbia ricevuto un assegno mensile superiore ai 3 mila euro lordi (il valore medio è di 4.354 euro mensili lordi per 12 mensilità) costando 54,8 miliardi di euro (il 20 per cento della spesa pensionistica totale).  Poi, i più ricchi, quelli con un reddito annuale superiore ai 300 mila euro, erano 7.884 (il reddito medio è di 542 mila euro). Quindi, la pensione incide mediamente per il 40 per cento del reddito totale, ma per i più ricchi è il 13 per cento delle entrate complessive. Allora, se si ipotizza di fissare un tetto massimo mensile di 5 mila euro lordi per l’assegno pensionistico, tagliando l’eccedenza ai pensionati che hanno un reddito complessivo superiore ai 100 mila euro, si otterrebbe un risparmio stimabile in 490 milioni di euro, che a sua volta produrrebbe una riduzione della tassazione Irpef, riducendo così il risparmio netto a 280 milioni di euro, poco più dell’1 per cento della manovra di bilancio approvata a dicembre 2017. Questo calcolo evidenzia come l’entità del taglio produca un maggiore o un minore risparmio e che poi, non garantirebbe una cifra tale da dare grande respiro ai conti pubblici (vale lo 0,016 per cento del Pil) e neanche alla  politica redistributiva.

Attualmente il Presidente dell’Inps evidenzia come  “l’abolizione della pensione anticipata e il ritorno all’anzianità con 40 anni di contributi o con il meccanismo delle quote avrebbe un costo aggiuntivo attorno ai 15 miliardi l’anno, con un’incidenza sul debito pensionistico implicito di 85 miliardi, vale a dire cinque punti di Pil, che finirebbero sulle spalle delle generazioni più giovani”. Inoltre, il presidente Boeri ha anche evidenziato come il costo di una pensione da mille euro per le casalinghe, che hanno tra i 60 e i 65 anni, producendo in 5 anni la spesa di circa 10 miliardi di euro. Infine, se in futuro si decidesse di bloccare l’adeguamento dei requisiti pensionistici all’aspettativa di vita, allora ci sarebbero altri costi importanti da sostenere.

Danilo Turco

Il diritto alla casa

Gli attuali  programmi elettorali italiani ignorano la questione “casa”cioè il  disagio abitativo delle famiglie più povere, che include anche una fascia del ceto medio.

Nella Costituzione italiana non c’è una specifica tutela del diritto all’abitazione. Tuttavia, in alcuni articoli, emerge un chiaro riferimento a valori riconducibili al diritto alla casa, la quale viene concepita come elemento essenziale per garantire per garantire lo sviluppo della persona umana.

Il diritto alla casa, all’abitazione, sembra porsi, soprattutto da qualche decennio, come un diritto “nuovo”, sociale, funzionale al soddisfacimento dei bisogni costituzionali della persona. Esso si atteggia a precondizione per il godimento di tutta una serie di diritti fondamentali, quali ad esempio il diritto alla salute, alla riservatezza, alla sicurezza, all’inviolabilità del domicilio ed alla sua libera scelta.

La Carta Costituzionale difende il diritto alla casa agli artt. 2 e 3 è una Carta solidale, generosa, aperta, permissiva, disinteressata. Ma alla nostra Legge fondamentale non sembra interessare  che i prezzi delle case in Italia costino mutui troppo onerosi e non facili da ottenere. Questione, quella della casa che incide fortemente come valore identitario nella mente degli italiani  ed è su questo diritto sociale alla casa che è cresciuto in Italia il fenomeno delle occupazioni abusive prima di abitazioni, poi di spazi collettivi da ultimo di teatri. A riguardo, il codice penale ha accolto l’indirizzo costituzionale nell’articolo 54, riferito allo stato di necessità. Per questo, la necessità di un’abitazione, a chi ne è privo, può essere riconosciuto uno stato di necessità irrefrenabile per condizione di malattia propria o di congiunti, per stato di debolezza, per un più generico bisogno economico e abitativo. Lo stato di necessità si è poi con il tempo allargato secondo livelli di resistenza e sopportazione sempre più labili: da fisico, psicosomatico, psicologico, ambientale  fino al caso che sussista “un pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

Per questo, senza dubbio è oggi necessaria un’azione sociale sinergica che permetta alle Istituzioni impegnate a garantire sul territorio il diritto alla casa, impegnata a voler concretizzare il perseguimento degli obiettivi sociali e di eguaglianza, visto che da un alloggio adeguato dipendono ulteriori connessi diritti essenziali alla persona: il diritto alla privacy, il diritto ad essere liberi dalla discriminazione, il diritto allo sviluppo, ma soprattutto, il diritto a conseguire il più alto livello di salute mentale e fisica. Oggi i comitati e le associazioni italiane sul diritto alla casa si sono unite tutte in difesa di questo diritto, scendendo in piazza anche per agire contro le disuguaglianze sociali che la mancanza del riconoscimento del diritto alla casa comporta. Una mobilitazione nazionale che intende sensibilizzare il rilancio di un piano nazionale di edilizia pubblica, che dovrà basarsi sui bisogni reali della popolazione e dei quartieri popolari.

Danilo Turco

Capodanno cinese, l’anno del cane

Xinniankuaile, felice anno nuovo agli amici cinesi. Draghi e leoni danzanti al ritmo dei tamburi e dai colori brillanti la fanno da padroni per le strade e le piazze delle città in Cina e nelle Chinatown del mondo: si celebra ChunJie, la Festa di Primavera, o capodanno cinese, che coincide con la seconda luna nuova dopo il solstizio d’inverno e quest’anno cade il 16 febbraio. Si entra nell’anno del Cane, secondo l’ordine in cui, nella tradizione, i 12 animali dell’oroscopo cinese si sono presentati davanti a Buddha: il topo, il bue, la tigre, il coniglio, il drago, il serpente, il cavallo, la capra, la scimmia, il gallo, il cane e il maiale.Grandi feste si svolgono soprattutto in Malesia, dove la comunità cinese rappresenta circa il 25% della popolazione e all’evento vengono dedicati più giorni in un clima generale di allegria e ospitalità. Clima molto diverso, invece, quest’anno a Pechino, dove il nuovo anno si festeggia senza fuochi d’artificio per combattere l’inquinamento. L’atmosfera nella prima notte dell’anno è surreale. Strade deserte pattugliate dalla polizia, illuminate solo dalle insegne dei negozi o da qualche decorazione luminosa. Pochissima la gente in giro. In Cina la festa è molto osservata: gli abitanti si spostano per gite e riunioni di famiglia e il Paese si tinge di rosso, colore tipico di questa ricorrenza. Nella capitale cinese, dunque, i festeggiamenti sono stati insolitamente silenziosi. Forte il contrasto con gli anni precedenti, quando gli abitanti di Pechino accendevano i petardi rossi nei giardini dei palazzi e sui marciapiedi, e i fuochi d’artificio illuminavano il cielo in continuazione. Abitudine che si è scontrata con la decisione, adottata l’anno scorso da 440 città, di impedire l’uso dei botti. Ogni anno centinaia di milioni di cinesi rientrano nelle regioni di origine per celebrare il Capodanno lunare con le famiglie e si tratta dello spostamento annuale di persone più grande al mondo: dal 1° al 10 febbraio, i passeggeri cinesi hanno già realizzato 732 milioni di spostamenti in treno, auto, imbarcazioni o via aereo, anche se le vacanze sono cominciate ufficialmente ieri, giovedì. Nel 2017 i cinesi avevano realizzato circa 3 miliardi di spostamenti nel periodo del Capodanno lunare. E questo mette ogni anno a dura prova i trasporti, con treni stracolmi di passeggeri, che spesso finiscono per viaggiare in piedi.

Nicola Massaro

Wall Street e i nuovi modelli di sviluppo

Spazi e tempi minimi per accelerare la ripresa in Italia, se si prosegue e si accelera la strada del recupero del debito.

L’attuale calo di Wall Street con l’aumento dei tassi è notizia non gradita a Donald Trump che si era attribuito i meriti del rialzo. E’ anche una notizia ancora peggiore per un Paese indebitato come l’Italia, specie se iniziasse una guerra commerciale tra Europa e Usa, il cui vero bersaglio di Trump è la Germania. Intanto Berlino, varato il nuovo governo, si appresta a effettuare una virata storica: passare da un modello di sviluppo basato sull’export a un paradigma fondato sulle infrastrutture e la crescita dei consumi interni, affidato alla regia del nuovo ministro delle Finanze, il socialdemocratico Olav Scholz, già ministro del Lavoro al tempo delle riforme di inizio millennio , quando è stato garantito il rilancio dell’industria d’oltre Reno. Questa può essere una buona notizia per l’Italia, se si riesce ad accelerare la strada della ripresa, come è stato per il Portogallo, ottenendo un forte recupero della stabilità finanziaria senza incidere fortemente con i sacrifici dell’austerità. Infatti, al momento l’Italia ha fatto meglio delle previsioni, con un Pil salito dell’1,5%, mezzo punto in più rispetto alle stime elaborate a inizio anno dagli economisti, condizione favorevole per poter accelerare la ripresa.

Su questo, l’ ex direttore esecutivo per l’Italia al Fmi ed ex commissario alla spending review, ritiene che se si riuscisse a congelare la spesa primaria in termini reali per tre anni (limitando cioè l’aumento delle spese sotto il tasso di inflazione entro il 2020) l’Italia “pareggerebbe i conti pubblici”. Si tratterebbe di uno sforzo sopportabile e necessario, dal momento che la crescita si avvicina a un punto e mezzo percentuale e perché se si diffonderà nel mondo la recessione, la mancanza di  riduzione del nostro debito italiano ci porterà ad affrontare una salita impervia, che vedrà il debito pubblico alto e in salita in una economia che non cresce, azzoppata dagli oneri finanziari. La crisi delle Borse ci ammonisce che il bel tempo non dura all’infinito e quindi non bisogna perdere l’occasione. Quindi, le Borse tornano a perdere terreno, con il mercato dei Bond (i rendimenti sono saliti su nuovi massimi pluriennali in paesi virtuosi come Usa, Germania e Canada) e l’attuale fase di correzione dei mercati non viene ritenuta un crollo maggiore, dettato dal panico, bensì viene giudicata un ripiegamento salutare e fisiologico dalla maggior parte degli analisti e dei gestori. Questo non fa prevedere che le Borse sono pronte a tornare a crescere come è accaduto nel 2017 e a gennaio 2018. Oggi l’azionario si trova penalizzato proprio dal timore di un ritorno dell’inflazione e di un rialzo dei tassi e, paradossalmente sono le notizie economiche positive (report occupazionale USA) che fanno innervosire gli investitori, dopo la pubblicazione dei dati macro sussidi di disoccupazione Usa settimanali, che oggi risultano aver raggiunto i record minimi.

Nel frattempo, accade che mentre le banche centrali stanno attuando una strategia di rientro delle politiche espansive, la Banca d’Inghilterra non ha alzato i tassi di interesse, ma potrebbe assumere una posizione più aggressiva nel prossimo marzo e durante tutto l’anno, con una stretta che potrebbe imporre sino a quattro rialzi dei tassi.

Danilo Turco

Addio allo storico napoletano Giuseppe Galasso

 

Italia ancora orfana di un altro intellettuale di rilevo.

Giuseppe Galasso si è spento all’età di 88 anni, nella sua casa di Pozzuoli, lo scorso 12 febbraio. È stato, e sarà sempre, uno degli interpreti più acuti del pensiero storicista di Benedetto Croce, di cui, probabilmente, è stato anche tra gli eredi più appassionati.

Storico per vocazione, Galasso è stato tra i massimi studiosi del Regno di Napoli e non ebbe mai alcuna considerazione del recente revival neoborbonico, ritenendolo del tutto infondato e strumentale, più volte segnalandone la scarsa consistenza sul Corriere del Mezzogiorno. Anzi, Galasso, napoletano affezionatissimo, nel bicentenario della nascita di Cavour aveva scritto la prefazione per una raccolta di scritti del conte piemontese (edita da Bur, 2010), sottolineando con forza la vocazione nazionale della politica seguita dal grande statista. Inoltre, soltanto lo scorso 12 novembre aveva attirato un pubblico folto e attento al teatro Bellini di Napoli con una lezione sulla Repubblica napoletana del 1799, organizzata dall’editore Laterza.

Il suo attivismo, sociale e politico, è letteralmente durato tutta la sua vita. Laureatosi in Storia medievale, nel 1953 vinse una borsa di studio al crociano Istituto italiano di studi storici, del quale divenne segretario nel 1956. La sua carriera accademica era stata rapida e brillante, tanto da caratterizzarlo già negli anni Sessanta come una figura emergente della storiografia dell’età medievale e moderna. In seguito, dal 1972 al 1979, fu preside della facoltà di Lettere e Filosofia all’Università Federico II di Napoli, poi tra il 1978 e il 1983 presidente della Biennale di Venezia. La carriera politica fu altrettanto importante: Consigliere comunale del Partito repubblicano, Galasso fu eletto sindaco di Napoli nel 1975, ma dovette rinunciare all’incarico per l’impossibilità di trovare un accordo tra i partiti nel formare la giunta. Più tardi, approdò alla politica nazionale; eletto deputato del Pri nel 1983, assunse l’incarico di Sottosegretario ai Beni Culturali nel governo guidato da Craxi e qui si distinse per il suo impegno a favore dell’ambiente. Riuscì a far approvare nel 1985 il provvedimento noto appunto come “legge Galasso”, la prima disciplina organica adottata nell’Italia repubblicana per la tutela del paesaggio. Poi fu Sottosegretario anche all’Intervento pubblico nel Mezzogiorno nei governi De Mita e Andreotti, terminando la sua esperienza a Montecitorio con il crollo della Prima Repubblica nel 1994.

Nel suo ultimo editoriale sulla sua rivista Acropoli, prossima all’uscita, una riflessione lucida sulle prossime elezioni politiche del 4 marzo, segno inequivocabile di un intellettuale vivo fino all’ultimo respiro.

Rossella Marchese

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