Tommaso Di Napoli, Governatore del Distretto 108 Ya Lions International: Bilancio di Missione 2024

Il Bilancio di Missione del Lions International, la più grande organizzazione di servizio al mondo, è lo strumento con cui i Lions fanno conoscere ai soci e all’esterno del mondo Lions sui territori e nelle comunità alle persone, alle Associazioni, agli Enti e Istituzioni, l’attività che i Lions, del Distretto 108 Ya svolgono sul territorio delle regioni di Basilicata, Calabria e Campania dove attualmente operano 141 Club con circa 3.500 soci.

Il Bilancio di Missione, il documento che rende conto degli obiettivi perseguiti e dei progetti realizzati, indicando i risultati conseguiti in termini di persone servite, attività di service, ore di servizio prestate, fondi donati,  che il Governatore del Distretto 108 Ya, Tommaso Di Napoli, ha presentato si riferisce all’anno solare 2024 (1 gennaio – 31 dicembre) e abbraccia due diversi esercizi sociali (2023/24 – 2024/25).

“Il Distretto 108 Ya con 139 Club (attualmente 141) ha svolto – evidenzia il Governatore Tommaso Di Napoli – un’efficiente ed efficace attività nell’anno solare con l’impegno profuso in tutte le aree tematiche tradizionali. Si è confermata la cooperazione con le istituzioni e soprattutto con l’Università Federico II di Napoli nella celebrazione dei 70 anni dalla fondazione, con attività realizzate a Napoli e Francoforte. Nell’ultimo semestre – prosegue il Governatore –  si è attuata una cooperazione con il Distretto Rotary della Campania e della Calabria, mettendo insieme le rispettive reti di servizio, con protocolli di intesa sottoscritti dal Governatore del Distretto 108 Ya e dai Governatori del Rotary 2021 Antonio Brando e Rotary 2022Maria Pia Porcino.

Ampio spazio – conclude Tommaso Di Napoli –   è stato riservato alla formazione rivolta ai soci ed è stato avviato un progetto di orientamento per gli aspiranti soci che sta riscuotendo un significativo successo”.

Si tratta di un forte impegno quello svolto nello spirito del motto “We Serve” dal Distretto 108 Ya Lions International attraverso la presenza e il lavoro messo in atto dai soci e dai Clubs.

337.690 persone servite, 22.264 attività di Service, 47.505,5 ore di servizio, 409.097 € di fondi donati.

Andando più nel dettaglio delle otto macroaree di intervento è evidente l’impegno profuso dal Distretto 108 Ya:

VISTA: persone servite 16.385, 1.374 attività di service, 3.988,1 ore di servizio; 62.428 € fondi donati;

DIABETE: persone servite 13.696, 1.033 attività di service, 3.269 ore di servizio; 1.300 € fondi donati;

FAME: persone servite 76.404, 2.614 attività di service, 9.502,1 ore di servizio; 117.037 € fondi donati;

AMBIENTE: persone servite 32.231, 2.684 attività di service, 5.719,3 ore di servizio; 14.560 € fondi donati;

CANCRO INFANTILE: persone servite 3.043, 216 attività di servizio, 528 ore di servizio; 1.713 € fondi donati;

ATTIVITA’ UMANITARIE: 163.220 persone servite, 11.605 attività di servizio, 18.483,7 ore di servizio; 199.120 € fondi donati;

ASSISTENZA IN CASO DI DISASTRI: 892 persone servite, 117 attività di servizio, 156 ore di servizio; 1.235 € fondi donati;

GIOVANI: 31.819 persone servite, 2.621 attività di servizio, 5.859,3 ore di servizio; 11.686 € fondi donati.

“Come mostrano i dati del Bilancio di Missione i soci e i Clubs del Distretto 108 Ya – sottolinea il Governatore Tommaso Di Napoli – hanno profuso il loro impegno per raggiungere e supportare quante più persone possibile. Auspichiamo che sempre più  Associazioni, Enti, Istituzioni oltre a quelle con cui già operiamo possano condividere il nostro spirito di servizio e collaborare nelle attività che conduciamo per le comunità e per migliorare le condizioni di vita delle persone sui territori”.

A livello nazionale il Multidistretto 108 Italy raggruppa 17 Distretti italiani e ha conseguito i seguenti obiettivi:

3.850.802 persone servite; 199.602 attività di service; 705.159,25 ore di servizio; 8.687.165 € di fondi donati.

Maria Vittoria Backhaus su FOTOIT

Il numero di aprile di FOTOIT la rivista della Federazione Italiana delle Associazioni Fotografiche presenta come ogni mese una vasta rassegna di incontri, mostre, rassegne, presentazioni di libri e di autori.

In apertura dedica ampio spazio alla fotografa italiana Maria Vittoria Backhaus alla quale il Comitato Scientifico del Centro Italiano della Fotografia d’Autore ha deciso di dedicare la monografia da dare in omaggio a tutti coloro che si iscrivono entro la data stabilita alla FIAF.

Al Progetto nazionale 2025-2026 dal titolo “Agrosfera”  è riservato l’intervento la titolo “Nemo’s Garden. Agricoltura 4.0” di Emilio Mancuso.

Protagonista dell’intervista di Isabella Tholozan è Roberta Ciuccio.

Visti per Voi di Giuliana Mariniello si occupa di “Franco Fontana. Retrospective” la mostra al Museo dell’Ara Pacis aperta fino al 31 agosto a Roma.

Eletta Massimino per Portfolio Italia 2024 parla di Elisa Mariotti e del suo portfolio “Yes, we do” opera seconda classificata al 25° FotoConfronti a Bibbiena. Alessandra Capodacqua presenta Ermes Signorile con il portfolio “Identità” opera prima classificata.
La Storia di una Fotografia curata da Luisa Bondoni è dedicata a Uno scatto per la pace di Gianbattista Pruzzo.

Per la Saggistica Isabella Tholozan si interessa di “Private”, il titolo che la Biennale della Fotografia Femminile ha scelto per il 2024.

In Talent Scout Piera Cavalieri presenta Irene Sabatini  e Cristiana Paglionico presenta Enrico Caleffi.

Diamoci del Noi di Giovanni Ruggiero analizza il lavoro di Roberto Rognoni.

La rubrica Singolarmente Fotogrfia analizza alcune opere fot orfiche.

Antonio Desideri

Civitavecchia: FORTE! Festival 2025

Sulle piazze di Civitavecchia, venerdì 16, sabato 17 e domenica 18 maggio è ritornato l’evento musicale gratuito che fa vivere di musica la città. Bande, cori, collettivi di ragazzi e ragazze, jazzisti, cantautori e… ciliegina sulla torta, direttamente da Sanremo, Riccardo Sinigallia!

Sfida a colpi di chitarra il prog di Marco Mattei e Duilio Galioto, il raggamuffin di Quajaman e l’indie dei Manifesto; l’agrodolce sapore di swing e rockabilly di The Karin Hellies e l’ironia sul 2 e sul 4 di Le Swingeresse, il female power corale di Le Coeur, l’incanto classico di Mimì Biaggi e Riccardo Schioppa e il tango del Quartetto Italiano di Clarinetti di Davide Pellegri, il folk celtico della Groot Band e la canzone d’autore di Von Datty, il pop lirico del Trio Prestige e il jazz classico di Felice Tazzini e Marco Guidolotti…

FORTE! Festival 2025 si svolgerà tra piazza Saffi, piazza Calamatta e l’Arena Pincio nei giorni 16, 17 e 18 maggio: l’apertura dell’evento sarà invece effettuata con una proiezione cinematografica al CineTeatro Buonarroti, in collaborazione col CineCircolo XXI, dedicata al film “La città proibita”, presentato da una delle attrici protagoniste, Elisa Wong.

FORTE! Festival 2025 è un evento organizzato dall’Associazione culturale FORTE! Festival insieme a Comune di Civitavecchia (Assessorato al Turismo e Assessorato alla Cultura), Fondazione Cassa di Risparmio di Civitavecchia.

L’evento vede il supporto dei partner A Casa Tua, PENTA SM, Graphis Studio e Compagnia Portuale Civitavecchia, e il patrocinio della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, e viene realizzato insieme ai media partner Radio Stella Città e Radio Alma Bruxelles, e in collaborazione con tante associazioni musicali e artistiche del comprensorio: Baita Crew, Casa delle Arti (Allumiere), CineCircolo XXI APS, Ensemble InCantus, EMRO Video, Ercolani Bros. / Dokc Lab, Festival Kafarock (Cecina), Filarmonica di Civitavecchia, Granari Spazio Off, ass. culturale Ponchielli, Skelter, Stazione Musica, Unione Musicale Civitavecchiese, WoW Records, Zillion Watt Records.

Imma Pezzullo: Madri oltre il destino

Pedagogista, dal 2014 è vicepresidente dell’Istituto di Studi Atellani e dal 2011 redattrice della rassegna storica dei Comuni.

Nel 2012 pubblica “Ritratto di nonno” edizioni ISA, dedicato alla memoria del nonno membro della F.I.G.C. Nel 2019 scrive “Con il sen(N)no di poi – Diario di uno 048”,  Ed. Diogene

 

Nel suo libro, la maternità si emancipa dai confini biologici per diventare atto simbolico e tragico insieme. In che misura ritiene che la figura della madre, nel nostro tempo, conservi ancora una dimensione archetipica?

Per quanto la società moderna provi a diffondere una immagine del materno come “prodotto”, dal mio punto di vista, la maternità conserva un humus divino che è forma e sostanza allo stesso tempo. Il problema è che in alcuni contesti, soprattutto lavorativi, sta passando un messaggio fuorviante e cioè che essere madri può rappresentare una diminutio. La verità è che la società fatica a riconoscere le persone preferendo i ruoli, ma il ruolo è sovente l’anticamera dello stereotipo.

In Madri oltre il destino, la genealogia femminile si impone come forza narrativa e ontologica. Quanto pesa, secondo lei, l’eredità delle madri sulle scelte delle figlie nel nostro presente ipermoderno?

E’ una eredità che oggi pesa molto di meno. Le ragazze di oggi sentono meno il confronto con la propria genitrice, in loro è vivo il bisogno di trovare una identità che le distingua da chi le ha messe al mondo. Io penso che oggi nel rapporto madre – figlia pesi di più il desiderio delle figlie di far meglio della madre in una ottica performante che abita ogni aspetto del vivere moderno.

La sua scrittura, densa e intima, sembra riflettere un costante dialogo tra memoria individuale e destino collettivo. Può parlarci del rapporto tra autobiografia e finzione nella sua opera?

Come ho scritto nel libro ogni protagonista mi ha donato un po’ di sé stessa ed io ho fatto altrettanto con loro. Con molta onestà potrei dirle che mi sono rifugiata in alcune delle mie donne chiedendo loro di farsi carico di alcuni dei miei conflitti e delle mie difficoltà che la scrittura mi ha aiutato ad elaborare.

Tra le sue pagine aleggia una tensione quasi sacrale tra amore e sacrificio. Ritiene che la maternità contemporanea abbia smarrito il senso del “sacrificio” o ne stia reinventando le forme?

Sacrificio in latino significa rendere sacro, forse le madri di oggi non sono consapevoli di questa sacralità. Non a caso Erri De Luca definisce la Madre di Gesù operaia della divinità. Oggi la maternità è vissuta soprattutto come una scelta, le donne sentono di essere in grado di “dettare i tempi” della propria vita, e non sono più disposte ad accettare che qualcun altro decida per loro quando e se diventare madri.

Nel dare voce a madri che sembrano uscite da una tragedia antica, ha sentito più forte la spinta della pietas o quella del giudizio morale?

Ho sentito un forte senso di sorellanza con le mie protagoniste, in alcun modo ho avvertito l’esigenza di dare un giudizio sul loro vissuto e sulle loro scelte perché sono partita dall’assunto che ogni vita sia “unica” e come tale non giudicabile.

Molte sue protagoniste sembrano lottare contro una genealogia di silenzi. Scrivere questo libro è stato, per lei, un atto di restituzione, di rottura o di riconciliazione?

Io ho scritto questo libro per dare dignità a queste eroine del quotidiano, come le ho definite, perché ho letto nei loro occhi una mutua rassegnazione di fronte ad una società che le ha dimenticate, semplicemente perché ritenute portatrici di storie disgraziate, ma banali ,e pertanto non degne di attenzione.

Il titolo Madri oltre il destino evoca un superamento, forse anche una ribellione. Può approfondire cosa intende per “destino” in chiave femminile? È un dato, un fardello o una possibilità trasfigurata?
Tutte e tre le immagini che mi suggerisce sono calzanti con la mia definizione di destino. E’ innegabile che nella vita accadano fatti che non è possibile prevedere, questo può rappresentare un fardello, ma  non deve e non può concretizzarsi in passiva accettazione di ciò che accade, e le mie protagoniste hanno dimostrato che è possibile andare oltre il destino.

Lei dà corpo a donne “difficili”, mai sottomesse allo stereotipo. Come si rapporta, nel suo lavoro, con la narrazione dominante della maternità come esperienza salvifica e risolutiva?

Mi limito a raccontare il materno come fatto umano, e ogni fatto umano è ricco di luci ed ombre. Non esiste la maternità. Esistono le maternità, esistono i vissuti, esistono le persone.

Se dovesse indicare un filo invisibile che unisce tutte le madri del libro, sarebbe più la colpa o la cura, il desiderio o il rimorso?

Io penso che sia la cura, intesa come attitudine al sostegno e alla comprensione. Non dovremmo mai dimenticare che ogni donna che incontriamo ha una sua storia che va rispettata, qualunque essa sia. Possiamo non condividerla, ma nulla ci autorizza a giudicare la vita di un altro essere umano. Il giudizio è meschino, alimenta il nostro ego e null’altro.

Nel panorama culturale italiano, la figura materna è spesso ingessata tra mitologia e cliché. Madri oltre il destino sembra voler forzare queste gabbie. Qual è, secondo lei, la responsabilità della letteratura nella liberazione degli immaginari femminili?

In generale, la letteratura deve stimolare la riflessione, deve animare il conflitto e deve fornire alternative di pensiero. Spesso gli autori, e ancor più spesso le autrici, consegnano ai lettori delle madri, o più in generale donne, lontane dal mondo reale, animando un mito della sofferenza come medaglia da apporsi che contrasta con la realtà della vita. abbiamo bisogno di figure in cui poterci riconoscere e non di modelli stereotipate che alimentano il nostro senso di inadeguatezza.

Giuseppina Capone

Linda Terziroli: La nascita nella letteratura. Viaggio nella narrazione del parto (e dell’aborto)

Nei testi che analizza, in che misura il linguaggio usato per raccontare il parto tradisce una tensione tra l’esperienza vissuta e la sua rappresentazione simbolica? C’è una lingua possibile del parto, o è per sua natura indicibile?

Ecco: questa è una tra le domande che mi sono posta all’inizio di questa esplorazione. Perché la narrazione della maternità e, in particolare, del parto è così marginale in letteratura? Si tratta di un’esperienza indicibile a parole oppure il silenzio dipende da una differenza di genere, ovvero dalla presenza dominante di autori uomini? In altre parole, perché non c’è una narrazione (e una lingua) che parli della venuta al mondo? Questo libro si propone come un itinerario personale, parziale e incompleto. Una provocazione, un inventario e il tentativo di disegnare una strada per la narrazione di uno dei momenti più enigmatici della vita: la nascita. Tra incanto e disincanto.

Lei menziona autrici che hanno rotto il silenzio sul parto, come Rachel Cusk o Annie Ernaux. Cosa accomuna queste narrazioni e in che modo riescono a scardinare le strutture tradizionali del racconto autobiografico o memoriale?

Annie Ernaux conquista il premio Nobel per la letteratura nel 2022. Ricordiamo la motivazione: “Per il coraggio e l’acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i limiti collettivi della memoria personale”. Si tratta di narrazioni autobiografiche e coraggiose ma – ci tengo a sottolineare – anche storiche, in quanto, ad esempio, nell’ottobre 1963 in Francia l’aborto era illegale e la protagonista è costretta a ricorrere a uno dei medici cosiddetti “cucchiai d’oro” oppure a una donna di quelle che venivano chiamate “fabbricanti d’angeli”.

Esiste una genealogia femminile di scrittrici che hanno raccontato la nascita, oppure ogni testo nasce come atto solitario e controcorrente? Si può parlare oggi di una “tradizione” letteraria della nascita? Con Cose che non si raccontano, ad esempio, di Antonella Lattanzi, un romanzo autobiografico racconta con coraggio e fiducia il suo doloroso cammino di madre “orfana” di tre bambine. Questo bellissimo e struggente romanzo è stato anche candidato, in passato, al premio Strega. Mi sembra di vedere l’alba di una maggiore attenzione e sensibilità verso questa tematica.

Quanto il racconto del parto, nella letteratura, è ancora oggi un tabù?

Bisognerebbe avviare uno studio significativo, non semplicemente un’esplorazione, come la mia. Per poter dare una risposta credibile, dovremmo avere in mano una mappatura letteraria significativa diacronica e geografica, che consideri anche il genere dell’autore. Si tratta di scrittrici o di scrittori? Come detto, sento questo mio libro come una provocazione necessaria, un appello, il guanto di sfida che mi auguro venga raccolto. Più che risposte, ho una manciata di significative e spinose domande.

E in che misura questo tabù è diverso da quello sull’aborto, che pure riceve un’attenzione politica e mediatica maggiore? Quanta dose di coraggio è richiesta a una donna per scegliere di essere madre o di non esserlo? Per attraversare questo dilemma.Entrambe le strade sono disseminate di cocci aguzzi di bottiglia.

Lei scrive di “parti narrativi”, “cesarei letterari”, “aborti di trama”. Il linguaggio che adopera è fortemente metaforico: in che modo ha costruito questa grammatica critica per affrontare temi così viscerali senza cadere nel pietismo o nella retorica?

Ho cercato di non essere accademica, né didascalica, né retorica. Il rischio è sempre dietro l’angolo. Il tema, si sa, è viscerale e doloroso, ma poter leggere narrazioni letterarie e di una certa profondità mi pare liberatorio, terapeutico e coraggioso. Inoltre, come dicevo, si tratta di un itinerario, ho cercato le parole, non scientifiche, non medicalizzate, ma letterarie, poetiche.

La narrazione della nascita implica una forte dimensione temporale e liminale. Quali autori hanno saputo esplorare al meglio questa soglia tra vita e non-vita, inizio e fine, dicibile e indicibile? Dante, come sempre, è magistrale e insuperato. Nel canto XXXIII del Paradiso prima di affrontare la visione divina, rivolge un’invocazione alla Madonna, “umile e alta più che creatura” e cesella un paio di ossimori in un unico endecasillabo (il primo di questo canto” rendendo chiaro il mistero divino della “Vergine Madre”, “figlia” di suo “figlio”. La maternità, del resto, nasce sempre da un incontro, da un contrasto.

Nel raccontare il parto, quanto conta la forma (diario, romanzo, poesia, autofiction)? C’è un genere che secondo lei si avvicina meglio all’esperienza corporea della nascita?

Come la morte, di cui è contraltare e controcanto, il momento della nascita resta una pagina tra le più affascinanti e misteriose della vita terrena. Il discorso è davvero antitetico, perché ha a che vedere con il buio e la luce, con quello che si può sapere e quello che ignoriamo, un confine che è fisico e metafisico insieme. Le parole per dirlo quindi possono essere poetiche, prosaiche, filosofiche. Quale scegliere? Sicuramente la parola di fronte al mistero ha una grande responsabilità ed è pur sempre povera, limitata, inadeguata, come l’uomo stesso.

Ha notato un differente “registro” emotivo o stilistico tra le narrazioni maschili e femminili del parto? Se sì, può darci un esempio particolarmente rivelatore?

Prendo a prestito un esempio: ho titolato un capitolo “Ernest Hemingway dietro la porta”. Credo che ci sia sempre qualcuno che chiude una porta per lasciare entrare un bimbo nel mondo. Qualcuno che si mette in ascolto, qualcuno che non c’è e che invece invade, è presenza ingombrante. Il bambino deve sgusciare, nudo e urlante, sul pianeta Terra, venire alla luce ma che la porta sia ben chiusa, eh mi raccomando! In Addio alle armi, il protagonista resta fuori dalla sala operatoria, a fissare, per l’appunto, la porta. In seguito, può “entrare e sapere”. L’interrogativo ad ogni modo riguarda la narrazione: si può raccontare qualcosa di cui non è fatta la prova? Il racconto di un parto da parte di uno scrittore è più autentico e veridico di quello di una donna? E, d’altra parte, Oriana Fallaci nel suo celebre e giustamente celebrato Lettera a un bambino mai nato scrive parole poeticissime che sono certamente frutto di una profonda sensibilità femminile. Basti solo leggere queste, rubate dall’incipit del monologo: “Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi.”

Dopo aver compiuto questo viaggio nei testi, come è cambiata la sua percezione della maternità nella cultura letteraria occidentale? Più disincanto, più rabbia, più empatia?

Dopo aver compiuto questo viaggio, mi sento ancora più assetata di conoscenza. Vorrei esplorare, leggere, conoscere, interrogare altri testi, altre lingue e altre culture. Come detto prima, questo libro apre un ventaglio di domande e ancora mi sento lontana da aver raggiunto una visione panoramica, d’insieme. Insomma, sono ancora all’inizio della salita in questa spedizione, al campo base. C’è da camminare, da conoscere, perché se la letteratura è specchio della vita, dobbiamo togliere un po’ di polvere e guardare meglio il nostro specchio. Qualcuno ha scritto che l’Italia non è un paese per madri (Flavia Gasperetti) ma forse, parafrasando per la seconda volta il celebre titolo, potremmo anche chiedercelo: la letteratura non è un paese per madri?

Linda Terziroli

Nata a Varese nel 1983, si è laureata in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Milano, con una tesi dedicata a Guido Morselli. Insegna materie letterarie nelle scuole superiori e italiano per stranieri; collabora con La Provincia di Varese e con Lombardia Nord Ovest, periodico della Camera di Commercio di Varese. Ha ideato, insieme a Silvio Raffo, il Premio Guido Morselli e la mostra permanente all’interno della Casina Rosa, dimora dello scrittore, a Gavirate. Curatrice dei volumi Lettere ritrovate (NEM, 2009), Guido Morselli. Una rivolta e altri scritti (Bietti, 2012), si è occupata dello scrittore in diversi saggi e articoli.

Giuseppina Capone

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