A colloquio con Rossella Pace. Per una resistenza al femminile: dalle staffette partigiane alle madri costituenti

“Se ci prendono e pensano di lasciarmi viva perché sono una donna mi metto a urlare che mi fanno schifo fin quando non mi zittiscono i proiettili”, così Alba Carla Laurita de Céspedes y Bertini in relazione ai tedeschi, che, arrivando nelle case per una rappresaglia, massacravano sempre gli uomini.

Quale contributo ha offerto la Resistenza alla causa femminile?

Indubbiamente, il contributo più importante che la Resistenza ha dato alla causa femminile è stato l’acquisizione di pari diritti politici e civili tra uomini e donne. Acquisizione che è stata, si badi bene, non un punto di arrivo bensì il punto di partenza per andare a colmare quel gap tra i due sessi, visibile nella società attuale benché in misura ridotta.

La Resistenza italiana è un argomento costantemente trattato. Esiste una faccia ancora in gran parte nascosta relativa alla presenza femminile.

Qual è l’apporto delle donne?

Certamente esiste ancora una parte poco conosciuta della Resistenza femminile. Un libro edito ultimamente sull’argomento ne è dimostrazione più evidente. Il testo, pur esaltando la resistenza femminile e mettendo in evidenza l’essenziale apporto delle donne alla causa della lotta di liberazione nazionale, non tiene minimamente conto degli orientamenti storiografici in tal senso. La compagine femminile liberale attiva sia nel campo civile che in quello della lotta armata non è minimamente menzionata. Sicuramente l’autore non aveva tale obbligo ma, a mio avviso, uno studio che pretende di essere esaustivo sull’argomento avrebbe dovuto tenerne conto, anche perché la fonte di questi nuovi orientamenti storiografici sono gli Archivi della Resistenza stessa.

Paola Del Din, altra fondamentale protagonista della Resistenza, combattente e patriota della brigata Osoppo-Friuli, agente pro tempore dello Special Operations Executive (SOE) britannico, medaglia d’oro al valor militare della Repubblica italiana. Ebbene, quale molla scatta in una ragazza – tante ragazze – tanto da indurla al rischio della vita?

Quella della Del Din fu la reazione alla morte del fratello Renato. Ciò la spinse ad occupare un ruolo sempre più importante nella brigata Osoppo. Le motivazioni furono varie. Citerò il caso di Cristina Casana, attiva nella Resistenza al fianco del fratello Rinaldo nella zona di Milano: “la resistenza fu per me  un momento di evasione dalla realtà in cui avevo sempre vissuto, anche perché fino a quel momento io di politica non avevo mai capito nulla”. Mentre per la ventenne Maria Giulia Cardini, attiva nella zona Cusio – Ossola, l’adesione alla lotta di liberazione nazionale fu un fatto del tutto naturale, “il Paese aveva bisogno di noi”.  Per i tre casi citati possiamo parlare di un antifascismo che per  – dirla con Edgardo Sogno – non derivava da premesse sociali o marxiste, derivava da una esigenza […] liberale, ossia dell’opposizione ad un sistema non democratico, non rispettoso della dignità e dei diritti della persona e da una rivolta contro i metodi e la politica degli stati totalitari.

Maria Giulia Cardini, militante dell’Organizzazione Franchi di Edgardo Sogno, combattente nelle Divisioni Beltrami e Di Dio in Val d’Ossola, capocellula dell’intelligence partigiana (Simni) nell’ambito della Missione Chrysler. Eppure, nome poco noto, addirittura ignorato. Quali sono le ragioni della “Resistenza taciuta”?

Se ragioni ci sono di questo silenzio, in primo luogo, forse, vanno rintracciate nel fatto che molte delle protagoniste di questa lotta preferirono dopo la fine della guerra non parlare e non chiedere riconoscimenti. Preferirono dimenticare o addirittura non parlare di quei fatti. Certo il caso di Maria Giulia Cardini ha davvero dell’incredibile. Dopo la prima militanza nell’organizzazione Franchi e nelle Divisioni Beltrami e Di Dio in Val d’Ossola arriva al SIMNI. Si badi che vi arriva non come staffetta ma come capocellula del SIMNI in collaborazione della missione Chrysler americana, potendo contare su una squadra di 12 uomini ai suoi ordini. Il paradosso lo troviamo nel fatto che  tutti gli uomini del SIMNI a partire da Giorgio Aminta Migliari compaiono nella sezione “Donne e uomini della Resistenza” sul sito dell’ANPI, ma non lei. Una ragione potrebbe essere che, solo tardivamente, a fine anni 50, l’Italia un Paese in cui nel 1945 le donne non godevano di alcun diritto politico, le riconobbe la medaglia d’argento. Forse, è arrivato il momento di rivedere la sezione?

35mila donne dal 1943 al 1945 parteciparono alle azioni di guerriglia partigiana per liberare l’Italia dal nazifascismo. Non sottoposte ai bandi di reclutamento e, in generale, non obbligate alla fuga ed al nascondimento: volontarie a pieno titolo nella resistenza. Cosa dobbiamo, tra le altre, alle “Gappiste di Milano”?

I numeri della partecipazione femminile alla lotta di liberazione nazionale sono molto alti, credo che addirittura molte di loro ancora non siano state neanche censite. Indubbiamente, alle militanti dei Gruppi di Difesa Patriotica di Milano, ma non solo, va ascritto un grande merito in quel frangente storico. Anche se, quasi immediatamente, nella sfilata del giugno del 1945 per festeggiare la libertà riacquistata i loro meriti e quelli di tutta la presenza femminile nella guerra ai nazifascisti vennero sminuiti da Palmiro Togliatti. Il quale alla vigilia della sfilata osservò: “Meglio che le ragazze non sfilino con i ragazzi, il popolo non capirebbe”.

Anna Cherchi. Alle carceri “Nuove” fu torturata ogni giorno per un mese: nemmeno le scariche elettriche riuscirono a farla parlare. Poi, su di un carro bestiame fu deportata a Ravensbruck, campo di concentramento per sole donne: Anna aveva 18 anni ed era una staffetta. Quale ruolo rivestirono le “Staffette”?

Nella Napoli occupata del settembre 1943, le donne impediscono i rastrellamenti degli uomini, facendo letteralmente svuotare i camion tedeschi già pieni ed innescando, così, la miccia dell’insurrezione cittadina. Le donne protagoniste della Resistenza civile?

Rispondendo ad entrambe le domande vorrei sottolineare che chiunque fosse stato scoperto a nascondere partigiani, trovato in possesso di documento da trasportare alle bande partigiane, avrebbe avuto la casa bruciata e lei o lui immediatamente fucilato insieme a tutta la sua famiglia.  Le staffette svolsero un ruolo di primo piano nella lotta ai nazifascisti. Innanzitutto, senza il sangue freddo di queste giovani e il loro coraggio nei momenti più duri dei rastrellamenti sarebbe stato impossibile mantenere i contatti tra le varie bande. Ricordava Virginia Minoletti Quarello, attiva nella resistenza prima a Genova e poi a Milano insieme al marito Bruno Minoletti: “un giorno giravo per Geneva con la borsa talmente tanto piena di documenti per il Pl genovese e di armi che se fossi stata fermata ad un posto di blocco, le uniche parole che mi avrebbero detto sarebbero state: prego il muro”. Detto questo, non farei differenza tra Resistenza civile e Resistenza armata; entrambe presentavano una dose altissima di rischi ed entrambe erano strettamente interconnesse tanto da non poter sopravvivere l’una in assenza dell’altra e viceversa.

Professoressa Pace, in qual misura la partecipazione delle donne alla Resistenza ha risposto ad un bisogno di affermazione di diritti ed opportunità?

Come dicevo all’inizio è stato il punto di partenza, sul quale – credo – ci sia bisogno ancora di lavorare, per evitare che quella indipendenza e quei valori conquistati sul campo di battaglia vadano sprecati.

 

Rossella Pace, PhD in Storia dell’Europa presso l’Università “Sapienza” di Roma. È Segretario Generale dell’Istituto Storico per il Pensiero Liberale Internazionale. Si è occupata di Storia del liberalismo, di Resistenza, di storia sociale e relazioni diplomatiche. È autrice di Una vita tranquilla. La Resistenza liberale nelle memorie di Cristina Casana (Rubbettino 2018), Partigiane liberali (Rubbettino, 2020), I liberali non hanno canzoni (Rubbettino, 2022) e di vari saggi e articoli su riviste specialistiche. Per Rubbettino ha curato i volumi La fatalità della guerra e la volontà di vincerla. Classe dirigente liberale, istituzioni e opinione pubblica (2019), Diplomazia multilaterale e interesse nazionale. Dal Congresso di Vienna (1815) all’atto finale di Helsinki (1975) e oltre (2016), L’eredità di Leopoldo Franchetti (2020) e Non possiamo non dirci liberali (2022).

Giuseppina Capone

 

Alla FoCS si è parlato di donne e futuro

Si è tenuto Venerdì 8 marzo 2024, in occasione della “Giornata internazionale della Donna” e del Marzo Donna 2024, la Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus – Centro Studi e Ricerche “Mario Borrelli”, in piazzetta San Gennaro a Materdei n. 3, Napoli,  presieduta dal prof. Antonio Lanzaro ha organizzato in collaborazione con le Associazioni “Napoli è”, Voce di… Vento, NomoΣ Movimento Forense un incontro di informazione e formazione dal titolo “Una nuova stagione di diritti: Le Donne e la Società del futuro”.

Si è trattato di “un momento di riflessione sul ruolo fondamentale delle donne nella società, nel mondo del lavoro, nell’impresa, nell’informazione, nella scuola e nella formazione e non solo e che non si esaurisce con questo incontro ma vuole essere un laboratorio di riflessione per parlare di diritti e di concreta tutela delle donne per costruire un futuro in cui la parità di genere nella vita e nella società sia effettiva e non solo sulla carta” hanno evidenziato gli organizzatori.

 

(Foto: Argia Di Donato)

 

25 novembre contro la violenza contro le Donne

Un impegno continuo quello dei Lions del Distretto 108 Ya sui temi dei diritti e della tutela contro la violenza di genere. Pasquale Bruscino, Governatore del Distretto 108 Ya Lions International, ha voluto rivolgere un ricordo a chi è vittima di violenza di genere.

“Non è solo in questa “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” che noi Lions siamo impegnati per contribuire fattivamente a ridurre il triste fenomeno della violenza di genere.

La nostra è una presenza continua, quotidiana, che si sostanzia in azioni concrete e campagne di sensibilizzazione che vedono i Lions del Distretto 108 Ya con le loro professionalità, la loro passione, la loro sensibilità,  impegnati a dare il loro contributo nelle scuole, nella società e al fianco delle Associazioni e delle Istituzioni per creare una rete sempre più vasta che possa essere di supporto e sostegno alle Donne e a chi vive la tragica condizione di essere vittima di violenza di genere non solo fisica ma anche psicologica.

Le tragiche vicende di questi giorni che hanno visto fra le altre vite spezzate, la tragica fine della giovane esistenza di Giulia, ci portano a fare ulteriori riflessioni su quanto sinora abbiamo fatto e su quanto ancora dobbiamo fare come società e come Lions per combattere la violenza di genere e per essere sempre più vicini a chi vive situazioni di molestie e violenza.

Oggi, ma non solo oggi, il nostro pensiero va a tutte le Donne vittime di femminicidio, uccise dalla mano di chi doveva rispettarle e amarle e a chi è vittima di violenza di genere”.

 

‘O bene ‘e Mamma 

A tutte le mamme e lla mia che non c’è più , con amore:

‘O bene ‘e Mamma

E’ ‘na strata sicura
addò cammine
e ’o bbene t’accumpagna.
Te siente ricco
e po’.. .te siente figlio.
Abbasta ‘na carezza
e vaje luntano.
’O bene ‘e mamma
è comme a ll’acqua fresca
e chiara ’e ‘na surgente:
cchiù te ne vive .. .
e cchiù te muore ’e sete
e  sulamente quanno ll’hé perduta
t’accuorge cu’ dulore
ca ’o bbene ‘e ll’ate .. .è sulo acqua tignuta.

Renato Cammarota

Ivana Margarese: Tra amiche

Nel canone dei trattati sull’amicizia, da Aristotele a Bataille, i legami femminili non trovano accoglienza. Quali ragioni ravvede all’interpretazione della solidarietà di genere come un privilegio maschile?

Aristotele nel IV secolo a. C considerava la donna per natura inferiore all’uomo. Nella Politica scrive «il maschio è per natura migliore, la femmina peggiore, l’uno atto al comando, l’altra all’obbedienza».

Con rare eccezioni, le donne sono state escluse a lungo dalla politica e dal canone. Semplicemente non venivano considerate argomento di discussione se non in relazione all’uomo, per sottolinearne la diversità e l’inferiorità, soprattutto nell’azione del pensiero. È noto che a fino al Settecento discipline come la filosofia o la matematica fossero considerate dannose per l’educazione femminile perché lontane dal sollecitare l’amabilità della donna che risiedeva soprattutto nell’umiltà e nell’obbedienza.

Ecco che i legami femminili rimangono non riconosciuti o imprigionati in una rappresentazione che vede le donne rivali tra loro e incoraggia il sospetto e l’ostilità piuttosto che la condivisione. Pensiamo ai miti greci o alle fiabe e a come raccontano le figure femminili. Invece a pensatrici come Hannah Arendt, Simone Weil, Maria Zambrano si devono pagine fondamentali sul valore del sentimento di amicizia. Pagine che sono a mio parere preziose e meritano di essere riscoperte.

“Tra amiche” non discute l’amicizia da un punto teorico o concettuale.

Perché questo cambio di paradigma dall’astratto al vissuto?

Il progetto di questo libro nasce dai miei studi su Arendt, Weil, Cavarero. Arendt promuove un modello teorico che concepisce l’esistenza quale sé incarnato, esposto fin dalla nascita alle relazioni con gli altri, e riconosce nel rapporto tra amici più che nell’astratta fratellanza il fondamento della comunità. Anche il pensiero di Simone Weil dà grande valore all’esercizio dell’amicizia. Nell’amico, scrive la filosofa francese, si ama un particolare essere umano come si vorrebbe poter amare ciascun componente dell’umanità. Cavarero riporta l’attenzione della filosofia alla specifiche differenze dei corpi piuttosto che all’uomo astratto e universale.

Ecco che mi interessava non teorizzare ma mostrare attraverso un progetto corale alcune tra le tante storie di donne che hanno tratto alimento e sostegno dalla loro relazione. Abbiamo raccontato storie di relazioni privilegiate tra donne che hanno incoraggiato la loro capacità di vedere, pensare e creare.

Un arcipelago di punti di enunciazione attraverso cui vedere più cose diversamente e fare di questi molteplici punti di vista avvio per molteplici punti di azione. Basarsi sui vissuti comporta un cambiamento di paradigma: non si tratta di trattare l’amicizia come teoria o come concetto, ma di guardare invece al fatto concreto di un legame che, nel suo esercizio, si rende politica e stimolo creativo, oltre che emotivo, considerando la creazione un’azione comunitaria.

La ricostruzione dei percorsi di diverse amicizie esemplari al femminile trae origine dal mito e giunge alla contemporaneità.

Qual è stato il criterio selettivo e discriminante?

La scelta fatta è stata inevitabilmente parziale ma le esperienze di molte donne qua non raccontate sono comunque presenti e attive.

Ho coinvolto nel progetto scrittrici che conosco e stimo e che hanno esperienza in un particolare ambito di ricerca, dalla filosofia del tragico al teatro, alla letteratura russa, alla cultura visuale e così via. Ho chiesto loro di scegliere e di raccontare una storia di amicizia reale o immaginaria che avesse a che fare con il pensare come azione e cambiamento.

Avremmo potuto continuare… mi piace pensare sia stato un avvio.

Ginevra Amadio, Valentina Di Cesare, Alessandra Filannino Indelicato, Dafne Leda Franceschetti, Francesca Grispello, Margherita Ingoglia, Ivana Margarese, Antonina Nocera, Maria Oliveri, Chiara Pasanisi, Daniela Sessa.

Contributi dalla saggistica alla narrativa ed un terreno d’indagine: esiste l’interazione fra idee e relazioni affettive?

La risposta alla domanda è senza dubbio sì. Abbiamo voluto mostrare con i contributi di questo libro a metà tra la saggistica e la narrativa che pensare non può essere considerato un atto isolato ma si nutre di sinergie e scambi: solo nell’incontro con l’altro il pensiero diventa fecondo.

Sgombrato il campo dall’idea che spesso serpeggia dei rapporti tra donne viziati dalla rivalità, quale legame tra quelli ricordati le è più caro?

All’interno del testo ho scritto due saggi dedicandomi all’amicizia tra Cristina Campo e Margherita Pieracci, la celebre Mita delle lettere di Campo, e al legame tra Hannah Arendt e Mary McCarthy.

Hannah Arendt e Cristina Campo avevano certamente entrambe il talento dell’amicizia, come dimostrano chiaramente le loro biografie e i loro scritti. Tuttavia tutte le figure femminili trattate nel libro mi sono care dal momento che ho seguito la nascita e lo sviluppo dei diversi saggi  con interesse e gioia. In un tempo – qual era ancora il Novecento, secolo a cui appartengono la maggior parte delle figure femminili che abbiamo raccontato – in cui spesso le donne che scrivevano trovavano più credibile dirsi scrittore o evitare la questione di genere, trovo importante sottolineare la forza delle relazioni tra donne nelle azioni creative e nelle visioni del pensiero.

 

Curatrice:

Ivana Margarese, fondatrice e direttrice editoriale della rivista “Morel, voci dall’isola”, insegna filosofia presso il liceo delle scienze umane Ugo Mursia di Capaci. Ha conseguito un dottorato e un postdoc in Studi culturali ed è stata docente a contratto di Teoria della letteratura all’Università degli Studi di Palermo. Ha curato Ti racconto una cosa di me (2012) e ha pubblicato racconti nelle antologie Non ti resisto (2017), Anatomè (2018) e L’ultimo sesso al tempo della peste, a cura di Filippo Tuena (2020).

 

Interventi delle autrici:

Cassandra e Ifigenia. Un carteggio inedito in punta di philia di Alessandra Filannino Indelicato

“… ché persa non vada la trama” Penelope di Itaca e Oriana Fallaci di Daniela Sessa

L’erotica dello spirito: la sorellanza eretica tra Emily Dickinson e Susan Gilbert di Margherita Ingoglia

L’insofferenza all’altrui dominio”: Giacinta Pezzana ed Eleonora Duse breve storia di due attrici anticonformiste di Chiara Pasanisi

Di tragica intimità: Marina Cvetaeva e Sof’ja Gollidej: la costruzione di un’amicizia di Antonina Nocera

Le ragazze del secolo scorso”: Carla Vasio e Rossana Rossanda dalle acque della Laguna alle redazioni romane di Dafne Leda Franceschetti

Mi mandi se può una parola”. Anna Cavalletti, Cristina Campo e Margherita Pieracci Harwell di Ivana Margarese

“La tenerezza del corpo. Hannah Arendt e Mary Mc Carthy” di Ivana Margarese

“Sogni alchemici. Leonora Carrington e Remedios Varo alla prova dell’amicizia” di Ginevra Amadio

“Susan Sontag e Annie Leibovitz: o della visione” di Francesca Grispello

“Intermezzo. Lettere dal lago. Fausta Cilente e Sibilla Aleramo” di Valentina Di Cesare

“La sorellanza di Monica e Antonella: una storia contemporanea. Riconoscimento tra donne e cura” di Maria Oliveri

Giuseppina Capone

Spazi di parità

Un interessante volume per parlare di parità attraverso la toponomastica è quello realizzato nel 2021 dalla Commissione pari opportunità del Consiglio regionale della Campania dal titolo “Toponomastica femminile. Luoghi di parità e impronte del femminile nello spazio urbano”.

Il perché di questo libro curato da Maria Lippiello e Melania Picariello lo spiegano proprio le due curatrici: “Toponomastica femminile. Luoghi di parità e impronte del femminile nello spazio urbano nasce dall’idea di promuovere un viaggio tra le città, i borghi, le strade, i luoghi e vicoli della nostra Regione attraverso una inedita prospettiva femminile di genere”.

Si tratta di un “viaggio inedito nei luoghi e per le strade delle città percorso con una visione al femminile e finalizzato a riscoprire e valorizzare il contributo delle donne alla costruzione della storia delle città e dei borghi della nostra amata regione”.

L’impostazione scelta è quella storico-biografica e raccoglie appunto una serie di biografie di donne che hanno segnato la storia della regione Campania. Scienziate, donne di cultura, artiste, regine, principesse, politiche, donne impegnate nel sociale e nel lavoro, vittime innocenti, ecc. tutte donne che hanno dato un importante contributo allo sviluppo dei loro territori. Donne che nel corso dei secoli hanno vissuto o svolto la loro attività, azione o pensiero in Campania.

Un libro da leggere con attenzione e proporre ai giovanissimi e non solo.

Antonio Desideri

Addio a Mary Quant, la creatrice della minigonna

Il mondo della moda sta vivendo un grave lutto: la stilista britannica Mary Quant è morta lo scorso 13 aprile all’età di 93 anni nel suo appartamento nel Surrey (Sud Inghilterra).

Mary Quant nasce a Londra (Blackheath) l’11 febbraio del 1930. Figlia di professori gallesi della London University, Mary, come volere dei genitori, avrebbe dovuto intraprendere lo stesso percorso di studi per diventare insegnante. Ma la giovane Quant aveva ben altri progetti e, infatti, all’età di soli 16 anni decise di andare via di casa per conseguire gli studi al Goldsmiths College ma soprattutto per vivere la sua vita in totale autonomia e indipendenza senza seguire a tutti i costi le regole imposte dalla società.

Alexander Plunket Greene, figlio di una nobile famiglia inglese e nipote di Bertrand Russell, era un giovane ragazzo anch’egli desideroso di vivere una vita fuori dagli schemi e in totale libertà e, avendo la stessa visione della vita che aveva Mary, ne diventò molto amico e insieme intrapresero uno stile di vita che a quei tempi era considerato anomalo; indossavano abiti mai visti prima di quel momento inventando outfit stravaganti, (Mary amava indossare gonne e stivali) viaggiavano anche senza bagagli, non avevano sempre soldi e quindi mangiavano solo quando potevano.

Archie Mc Nair era un fotografo (ex avvocato) con il quale i due giovani libertini instaurarono un forte legame di amicizia, tanto da decidere di diventare soci in affari; quando Alexander compì ventuno anni ereditò una cospicua somma di denaro che scelse di investire in un’attività: acquistò una casa in cui al primo piano realizzarono la boutique Bazaar e nello scantinato aprirono un ristorante.

Le attività, che si trovavano sulla Kings Road a Londra, erano frequentate da sole persone affini a loro, che avevano la loro stessa mentalità, la loro stessa voglia di vivere la vita in modo diverso, personale, una vita felice perché i giovani stavano oramai opponendosi alle imposizioni della società e, da lì a poco, le prime forme di ribellione furono rappresentate dalle nuove pettinature per i ragazzi (capelli lunghi) dalla gonne corte per le ragazze e dalle canzoni dei Beatles. Intanto, tra un successo e l’altro, stava nascendo l’amore tra Mary e Alexander e, in brevissimo tempo, i due decisero di unirsi in matrimonio. Nello stesso periodo la boutique stava attirando l’attenzione di personaggi del cinema e di teatro e dunque un momento di grande successo per la Quant che, entusiasta della popolarità che stava riscontrando grazie alla sua attività, decise di aprire un altro negozio nella nobile Brompton Road a Knightsbridge.

Mary stava oramai realizzando il suo sogno di diventare stilista ed era, infatti, l’icona della Swinging London ( un nome che indicava le nuove tendenze degli Anni ‘60 in Gran Bretagna. L’obiettivo delle Swinging era quello portare cambiamenti che fossero all’insegna della positività e ottimismo, questo portò mutazioni nel campo della moda, della musica e dell’arte). Mary Quant era diventata un’importante imprenditrice e, nel 1963, fondò il Ginger Group per diffondere i suoi capi all’estero. Ancora, nel 1966 inventò una linea di cosmetici, e nel 67 lanciò una nuova collezione di calzature. Era un momento di grande successo per la giovane stilista di moda; “High Priestess of Sixties fashion” (l’alta sacerdotessa della moda degli Anni ‘60) venne soprannominata dallo scrittore Bernard Levin. Il picco dell’emozione per Mary arrivò quando, la regina Elisabetta, le donò l’onorificenza di Cavaliere della Corona Britannica. Ma ciò che ha reso celebre la Quant è stata la sua invenzione della minigonna. Indossata dalla modella Twiggy, la minigonna di Mary, divenne immediatamente popolare e amata da tutte le giovani donne.

Alessandra Federico

Mariangela Miceli: Il ragionevole dubbio sugli algoritmi in tribunale

Ottenuta la piena transitività, grazie al digitale ed all’Intelligenza Artificiale, del mondo reale nel mondo virtuale, quali effettivi rischi corre l’umano?

La libertà di volere, la libertà di affermarsi che fonda e legittima il riconoscimento dell’essere umano quale essere senziente e che risponde ad impulsi emozionali. Non dimentichiamo che finché si resta nel campo delle prestazioni, forse, dico forse, l’IA potrà essere più efficiente dell’uomo.

Ma la commistione mondo reale nel mondo virtuale sta eliminando ciò che di fatto caratterizza l’uomo, ovvero: le prestazioni che mettono in gioco la persona e, segnatamente, il suo corpo, la sua libertà.

Visori, sensori, avatar. Molto viene offerto come un gioco divertente e coinvolgente. Perché mai i più non comprendono che quella che reputano la propria esperienza sensoriale, in realtà, non è più la “propria”?

Perché ciò che vivono è comunque reale, rientra in ciò che appaga i loro sensi e la loro mente. Probabilmente ricreando quella comfort zone nella quale si sentono al sicuro. Mettersi in gioco è difficile, non vi è alcun dubbio che rimanere dietro uno schermo o un avatar ammette l’esistenza di uno scudo virtuale che protegge dal mondo fuori che appare sempre più lontano da istanze sociali e immune dinnanzi alle emozioni. E’ il mondo delle performance, nel quale non è permesso arrivare terzi o quarti, figuriamoci ultimi. Se dietro ad un gioco divertente arriviamo per primi, avrò sconfitto il mondo lì fuori. Certo, il rischio, ormai concreto è di ritrovarsi con un’umanità che ha ormai ridotto l’uomo oggetto tra gli oggetti.

Lei ha dedicato un saggio alle connessioni pratiche ed etiche che le nuove tecnologie, innanzitutto l’intelligenza artificiale, cagionano in ambito processuale e giuridico. Quali sono i mutamenti più eclatanti in atto?

La giustizia penale rappresenta l’ultimo grande terreno di conquista dell’intelligenza artificiale. Non vi è dubbio che ormai, la stessa intelligenza artificiale sia diventata strumento di uso comune all’interno dei mezzi di ricerca di prova. Si può immaginare l’uso di intelligenza artificiale che possa coadiuvare i periti nominati dal giudice nella ricerca di prove e nell’assistere lo stesso nella decisione da assumere nel caso dell’accertamento della imputabilità di un imputato. L’accertamento in ordine all’imputabilità, per esempio,  è stato oggetto di approfondite analisi da parte di esperti in psichiatria e psicologia che hanno condotto a risultati interessanti.

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte è, pertanto, onere del decidente individuare l’elaborato peritale che sia contraddistinto dai caratteri di maggior completezza, accuratezza e conformità alla migliore e più recente letteratura scientifica nelle comunità di riferimento.

Le tecnologie riproducono in modo sempre più preciso le facoltà umane. Ebbene, pensa che sia possibile che in Tribunale a giudicare gli imputati vi sia un algoritmo e che si celebri “Il processo artificiale”?

In merito richiamo lo storico Caso Loomis nel quale una discussa sentenza del 2016 la Corte Suprema del Wisconsin si è pronunciata sull’appello del sig. Eric L. Loomis, la cui pena a sei anni di reclusione era stata comminata dal Tribunale circondariale di La Crosse. Nel determinare la pena, i giudici avevano tenuto conto dei risultati elaborati dal programma COMPAS (Correctional offender management profiling for alternative sanctions) di proprietà della società Northpointe (ora Equivant), secondo cui Loomis era da identificarsi quale soggetto ad alto rischio di recidiva. Ebbene lì ci si è trovati in un vero e proprio processo artificiale, nel quale è un algoritmo che ha deciso se vi fosse recidiva o meno. Vi è da precisare che il quel caso la Corte però ha individuato i limiti dell’uso del software: “1) la comminazione di misure alternative alla detenzione per gli individui a basso rischio di recidiva; 2) la valutazione della possibilità di controllare un criminale in modo sicuro all’interno della società, anche con l’affidamento in prova; 3) l’imposizione di termini e condizioni per la libertà vigilata, la supervisione e per le eventuali sanzioni alle violazioni delle regole previste dai regimi alternativi alla detenzione”.[ Supreme Court of Wisconsin, State of Wisconsin v. Eric L. Loomis, Case no. 2015AP157-CR, 5 April – 13 July 2016, in Giurisprudenza Penale]

All’IA manca il pensiero astratto e creativo (IA “forte”). Tenendo salda questa asserzione, può definire la “libertà”?

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Convenzione sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati di carattere personale (adottata a Strasburgo il 28 gennaio 1981 e resa esecutiva in Italia con l. 21 febbraio 1989 n. 98), affermano che il rispetto dei diritti fondamentali si realizza assicurando che l’elaborazione e l’attuazione di strumenti e servizi di intelligenza artificiale siano compatibili con i diritti fondamentali, menzionando esplicitamente quelli concernenti l’accesso al giudice ed all’ equo processo. Pertanto, la Libertà non può mai sfociare nel sacrificio dei diritti inviolabili e fondamentali.

Le “intelligenze artificiali forti”, in  grado di pensare in modo astratto, creativo, complesso e sentire, provare emozioni, sono traguardi (o fantasmi) non ancora effettivi.

Pur non dimeno, i continui progressi tecnologici, non possono rendere la vita degli individui solo come mezzo per raggiungere un fine o uno scopo. La corrente di pensiero contemporanea definita Postumano ha come obiettivo l’abolizione del confine tra l’essere biologico – dotato di coscienza e ragione – e la macchina.

Ma se da un lato sta riscuotendo molto successo, dall’altro ci rivela quanto pericoloso sia teorizzare l’evoluzione dell’uomo solo come un cyborg.

 

 

Mariangela Miceli

Avvocato, cultrice della materia in diritto processuale penale presso l’Università degli studi di Palermo. Membro dei Giuristi per le libertà dell’associazione Luca Coscioni e contributor per il blog Econopoly24 del Sole24ore.

Giuseppina Capone

 

 

 

 

 

 

 

Marzo Donna alla FoCS: Donne insieme in un impegno comune per una società più inclusiva

Nell’ambito delle iniziative di “Marzo Donna 2023 – Specchiarsi e Ri-specchiarsi…Conoscere e Ri-conoscere l’immagine di sé” dell’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Napoli, si terrà martedì 21 marzo 2023 alle ore 10.00 presso la Sala “Mario Borrelli” della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus in piazzetta San Gennaro a Materdei n. 3, Napoli, la tavola rotonda  “Una nuova stagione dei diritti: Donne insieme in un impegno comune per una società più inclusiva”.

L’iniziativa, organizzata dalla Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus – Centro Studi e Ricerche “Mario Borrelli”  in collaborazione con l’Associazione Culturale “Napoli è”, inoltre, è inserita nel programma di celebrazioni del centenario della nascita del fondatore Mario Borrelli.

Saluti: Dott. Isabella Bonfiglio, Consigliera di Parità Città Metropolitana di Napoli; Arch. Giovanna Farina, Presidente Consulta Associazioni e Organizzazioni di volontariato ed ETS Municipalità 2; Dott. Enrico Platone, Consigliere delegato Consulta Associazioni e Organizzazioni di volontariato ed ETS Municipalità 2; Prof. Antonio Lanzaro, Presidente Fondazione Casa dello Scugnizzo Onlus.

Interventi: Dott.ssa Bianca Desideri, Giornalista – Giurista, Direttore Centro Studi e Ricerche “Mario Borrelli” Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus; Avv. Argia Di Donato, Presidente Associazione NomoΣ Movimento Forense; Dott.ssa Claudia Napolitano, Comitato Regionale Campania Susan G. Komen Italia; Dott. Giuseppe Palmieri, Presidente Associazione Voce di… Vento; Renato Cammarota, Poeta – Cenacolo poetico Associazione Culturale “Napoli è”; Aldo Spina, attore.

“Con questa iniziativa – evidenzia Antonio Lanzaro, presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus – prosegue il nostro impegno per la tutela dei diritti delle Persone in situazione di disagio e difficoltà che, sin dalla nascita della nostra Istituzione, è elemento fondamentale dell’azione sociale, educativa e culturale. Il titolo che abbiamo scelto è significativo. E’ e vuole essere un percorso di lavoro per il futuro e un invito rivolto anche alle Istituzioni e alle Reti con le quali la Fondazione collabora fattivamente e concretamente. Da qui la presenza in questa occasione dell’Associazione Culturale “Napoli è” e dell’Associazione Voci di… Vento oltre ad altre realtà associative con le quali stiamo realizzando iniziative per il centenario della nascita di Mario Borrelli.”

“Quest’anno abbiamo voluto premettere ai titoli delle iniziative formative e alle tavole rotonde lo slogan “Una nuova stagione dei diritti” – aggiunge Bianca Desideri, direttore del Centro Studi e Ricerche “Mario Borrelli” della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus – perché riteniamo fondamentale che oltre alla tutela dei diritti esistenti sia necessario andare verso una maggiore attenzione ad ampliare i diritti e le tutele soprattutto per le fasce più deboli della popolazione, delle persone disabili, delle donne, dei minori, degli anziani. Una nuova stagione che porti ad una società più inclusiva e a una piena attuazione, tra gli altri, dell’articolo 3 della nostra Costituzione”.

Nel corso dell’iniziativa sarà sottoscritto un accordo di collaborazione tra la Fondazione e l’Associazione Voce di… Vento che prevede l’attivazione di un laboratorio di Musicoterapia a supporto del territorio non solo di Materdei e sarà presentato un laboratorio di lettura e poesia a cura dell’Associazione Culturale “Napoli è”.

Per info e contatti: Tel 081 564 1419  e-mail fondazionecasascugnizzo@gmail.com.

Elena di Euripide a cura di Barbara Castiglioni

“E’ divino riconoscere quelli che amiamo”:  Elena riconosce  Menelao e pronuncia queste parole sublimi. Lei suggerisce l’amore come un sentimento che intrappola, che non dà scampo e non prevede vie di fuga. Perché questo tema è tanto accarezzato dal patrimonio letterario occidentale?

Nel fr. 16 Voigt, Saffo presenta un’Elena piegata alle leggi dell’amore, che diventa exemplum della forza devastante del sentimento: quella di Saffo non è una vera e propria difesa di Elena, ma la rappresentazione dell’impossibilità – e della vanità – di opporre resistenza a un impulso inviato dalla divinità. Effettivamente, il mito di Elena, in tutte le sue riprese, è la rappresentazione di un sentimento fortissimo, quasi feroce, di un amore che piega ogni ragione. L’amore «tutto muove – e Omero e il suo mare», come scriverà Osip Mandel’štam, oppure l’«amore ebbro e disperato» di Margaret Atwood sono espressi in maniera diversa, ma descrivono lo stesso, identico sentimento che ha portato via Elena da Sparta: perché l’amore, come scriveva Keats in una meravigliosa lettera a Fanny, è una religione, ed è forse l’unica speranza di fede rimasta ad una società completamente priva di dèi come quella occidentale.

Elena, tesoro d’arte ed umanità, probabilmente la donna più celebre dell’antichità, innumerevoli volte tradotta e, talvolta, tradita negli intenti. Per quali ragioni da sempre emerge quale pioniera nell’indagare i sentimenti dell’essere umano ed antesignana nella ricerca individuale di un posto nell’esistenza?

Elena è in una posizione molto complicata, tra le donne della letteratura antica, perché la bellezza, che è la sua dote involontaria, determina il suo destino e la rende, contemporaneamente, vittima e carnefice: Elena è vittima, perché non ha scelto il suo dono e non può non essere bella, come dimostra molto bene l’Elena di Euripide, ma è anche carnefice, perché la sua rovinosa bellezza ha provocato la guerra di Troia. L’ambiguità di questa condizione impedisce una vera comprensione del personaggio: greca per i Troiani, troiana per i Greci, Elena è indecifrabile tanto per gli uomini, che la vogliono e la temono, quanto per le donne, che la odiano e la condannano, ed è, il più delle volte, considerata un mero oggetto di cui non sono quasi indagati i sentimenti. Ed è notevole osservare che, anche se in maniera obliqua, uno dei pochi testi che considera la sofferenza di Elena è proprio il primo e più antico in cui compare come personaggio, cioè l’Iliade. Per quel che riguarda l’essere antesignana di una ricerca individuale di un posto nell’esistenza, possiamo dire che Elena – figlia di Zeus, dea,vittima di rapimenti, seduttrice involontaria, moglie di Menelao, amante di Paride, sposa di molti mariti, madre di Ermione, ombra, fantasma, ma sempre causa di infedeltà – è contemporaneamente, moltissime donne e una «figura unica», immutabile, sempre identica a sé stessa, come la definiva meravigliosamente il Faust di Goethe, e rappresenta l’indipendenza – che è sempre temuta ma in una donna ancora di più – e continua ad essere, soprattutto, l’immagine dell’arma femminile con cui una donna può sconvolgere il mondo: la sovrana bellezza.

Elena, donna intelligente, scaltra, coraggiosa. Perché mai il teatro, il cinema, le innumerevoli riscritture la presentano come l’antesignana della vamp o della donna senza scrupoli?

Elena rappresenta l’inevitabilità della bellezza, che non concede scelta, né a chi la ammira, né, soprattutto, a chi la vive e ne subisce le conseguenze. Prima di essere una donna, prima di essere una persona, Elena è bella, e questo determina ogni aspetto della sua esistenza. La bellezza, soprattutto quella femminile, è spesso una colpa. La civiltà greca, non a caso, aveva elaborato il concetto di kalokagathìa. Questo ideale di identità tra bellezza e virtù, però, è prevalentemente maschile: non ne esiste – e non è casuale – una versione femminile della kalokagathìa. Non è impossibile, per una donna bella, essere anche virtuosa, ma si presuppone che non lo sia: l’universale positivo, implicito nell’ideale maschile, è capovolto nel caso della donna, per cui la bellezza, come esemplifica il mito di Elena, si rivela soprattutto una colpa. Questa paura della bellezza femminile, però, non è solo greca né solo antica, ma ritorna insistentemente nella letteratura e nella civiltà – non solo – occidentali: pensiamo ad autori molto diversi come Huysmans, che definiva la bellezza di Elena maledetta e irresponsabile, «che avvelena tutto quello che l’avvicina, tutto quello che tocca», o a Marina Cvetaeva, che deprecava Elena, la «bigama, predatrice, spiffero di morte».

Il primo scontro tra Occidente e Oriente, la guerra di Troia, fu combattuto soltanto per un’illusione. E’ illuminare Achille quale il più forte degli eroi il vero obiettivo della contesa?

Non è difficile immaginare come Euripide, mediante l’εἴδωλον di Elena, volesse rappresentare anche l’illusione delle guerre del Peloponneso che stavano devastando la città e la società in cui era vissuto: il fantasma di Elena è il simbolo di tutto quel che ha condotto i Greci a Troia, ma è anche, con ogni probabilità, la rappresentazione della vita umana. Per quel che riguarda l’Iliade, sicuramente Achille emerge come uno dei centri del poema, che segue, con molte, meravigliose digressioni, il suo eroe: l’Iliade inizia con l’ira di Achille, e finisce con i funerali di Ettore, ucciso proprio da Achille. Senza dubbio Achille è il più forte degli eroi, ma l’Iliade è, forse, più di ogni cosa, il ritratto dei valori della società eroica, rappresentata dall’epos omerico.

Le opere greche si confermano quali testi archetipici del pensiero occidentale, contemporanee ad ogni epoca. Quali ragioni ravvede nella specifica proprietà della classicità di porsi sempre in maniera speculare alle fratture epocali?

Penso sia difficile immaginare la letteratura europea senza la conoscenza dei classici greci e latini. Ora abbondano le riscritture e i rimaneggiamenti, che si allontanano spesso sin troppo dall’originale, deformandone il messaggio; oppure, dall’altra parte, c’è la Cancel Culture, che pretende di rimuovere quello che ora non ci piace, senza considerare il tempo, che è il motore immobile di ogni letteratura, che è, a sua volta, lo specchio di una società. Penso si debba tornare a leggere i testi; in pochi lo fanno davvero. Spesso soprattutto l’accademia si concentra su pochi versi, o poche righe o pochi capitoli, e perde il centro. In questo modo, però, si rischia di notare la pagliuzza, e perdere il messaggio a cui si deve ritornare.

 

Barbara Castiglioni, laureata in Lettere Classiche, Dottorata in Studi Umanistici presso l’Università di Torino con una tesi sull’Elena di Euripide, si occupa di tragedia antica e di ricezione del classico. Ha pubblicato vari saggi sulla tragedia greca e sul rapporto tra dramma antico e moderno.

 

Giuseppina Capone

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