Consorzio Parmiggiano Reggiano, Nicola Bertinelli riconfermato presidente

 Nicola Bertinelli è stato riconfermato per acclamazione presidente dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio Parmigiano Reggiano. Bertinelli, parmigiano classe 1972, guiderà il Consorzio per altri quattro anni e sarà affiancato da Kristian Minelli, vicepresidente vicario e Alessandro Bezzi, vicepresidente, insieme al terzo vicepresidente che sarà nominato nel corso del prossimo Cda fissato per giovedì 22 aprile durante il quale verrà costituito anche il Comitato Esecutivo.

Ringrazio la nostra base e tutti membri del Consiglio per la rinnovata fiducia – ha affermato Bertinellicontinueremo a lavorare affinché questa sia sempre di più la casa di tutti i consorziati. Un luogo di confronto costruttivo tra persone che condividono non solo un nobile mestiere ma anchei valori e quella passioneche fanno del Parmigiano Reggiano un’eccellenza assoluta.Il nostro compito è stato e sarà quello di tutelarla, di difenderla dalle contraffazioni, di valorizzarla sia in Italia sia all’estero edi favorire la transizione verso una filiera ancora più sostenibile e in linea con le richieste dei consumatori”.

La  filiera del Parmigiano Reggiano è composta da 321 caseifici e oltre 2.600 allevatori per un totale di50.000 persone coinvolte. Nel 2020 sono state prodotte 3,94 milioni di forme pari a circa 160.000 tonnellate.

Rinnovo CCNL bancari: per UNISIN ancora ampie le distanze…

“Le distanze con ABI sono ancora ampie e la proposta dei banchieri è largamente insufficiente”. Così il Segretario Generale di Unisin Confsal Emilio Contrasto dopo l’incontro di questa mattina fra Sindacati e Associazione Bancaria Italiana che segna la ripresa del confronto sul rinnovo del CCNL del credito dopo la pausa estiva.

Fra i temi al centro della trattativa anche quello che riguarda la digitalizzazione, che i sindacati già a luglio avevano posto in cima alle priorità.

“Chiediamo una vera cabina di regia che assicuri preventivamente ai lavoratori, attraverso i loro rappresentanti, la possibilità di concorrere al governo del Sistema, rendendo dinamico il contratto nazionale in modo da affrontare, tra gli altri, un fenomeno di portata epocale quale è la digitalizzazione che incide in modo irreversibile, tra le altre cose, sul modo di lavorare e sull’evoluzione delle professionalità”, commenta Contrasto.

Alla luce delle distanze fra Abi e Sindacati, il Segretario Generale Unisin Confsal avverte: “Senza un’accelerata e un’apertura concreta da parte di ABI, la mobilitazione è inevitabile e i banchieri devono capire non solo che i lavoratori ed i clienti – sempre più uniti contro politiche commerciali estremamente aggressive e pericolose e crisi bancarie generate da pessime gestioni manageriali – sono stanchi e si aspettano ben altro, ma anche che non conviene alle banche uno scontro aperto. Le Lavoratrici ed i Lavoratori sono pronti a scendere in campo con tutti i mezzi possibili”.

 

Il Bilancio dell’Eurozona, un’opportunità importante

La proposta franco-tedesca di bilancio per l’Eurozona ha molti limiti, ma viene indicata come uno strumento atto a promuovere la competitività, la convergenza e la stabilizzazione nell’area euro.

La proposta franco-tedesca di Bilancio per l’Eurozona viene esplicitamente presentata come uno dei vari strumenti volti a promuovere “la competitività, la convergenza e la stabilizzazione nell’area euro”. Continua, però, la sottovalutazione dei danni che ha prodotto negli anni della crisi. Lo stesso ministro delle Finanze tedesco Scholz si era espresso a favore di un fondo dell’Eurozona per finanziare uno schema comune di sussidi di disoccupazione, capace di soccorrere le risorse nazionali qualora la disoccupazione in un paese superasse la media degli anni precedenti di un valore predefinito. Purtroppo non si fa cenno a questo e la proposta presentata di  bilancio dell’Eurozona non è concepita come strumento multiscopo. Infatti, non fa riferimento esplicito a una parte discrezionale del bilancio che finanzi beni pubblici europei, come le infrastrutture, la difesa comune e le politiche per l’immigrazione, come auspicato dopo il discorso di Macron alla Sorbona in data 26 settembre 2017.

A beneficiare del bilancio dell’Eurozona, inoltre, sarebbero solo i Paesi che rispettano “i loro impegni nel quadro del coordinamento europeo delle politiche economiche, incluse le regole fiscali”. Si tratta di una condizione che porterebbe a escludere automaticamente i Paesi sotto procedura di infrazione per deficit o per debito eccessivo, come tra breve potrebbe essere l’Italia.

Nonostante tali limiti e carenze per l’Italia è importante sedersi al tavolo della trattativa su tale proposta franco-tedesca, per contribuire non solo a migliorarla, ma anche per un’approvazione da non rinviare in quanto in una condizione di recessione è sempre meglio avere uno strumento di stabilizzazione, seppure insufficiente, che necessita di altri strumenti, anziché il nulla.

Per fare questo occorre che l’Italia al tavolo dimostri di essere un partner credibile, che soddisfa i requisiti per l’accesso al fondo e quindi di non essere nelle condizioni di procedura di infrazione per debito. E’ possibile che grazie ai nuovi strumenti da inserire da parte dell’Italia, una revisione del bilancio per il prossimo triennio possa contemperare il rispetto delle regole europee con le esigenze di sostegno alla crescita e di tutela delle famiglie a reddito più basso.

Danilo Turco

Spread e mutui… c’è correlazione?

Non influenza il costo dei mutui esistenti l’aumento dello spread Btp-Bund , ma può avere effetto su quelli da stipulare, lo mostrano i dati. Tutto questo andrebbe spiegato adeguatamente al pubblico.

Soltanto i numeri parlano chiaro sulla correlazione esistente dell’aumento del costo dei mutui da stipulare a causa di un aumento dello spread Btp-Bund.

A riguardo, il Rapporto della Banca d’Italia del 23 novembre 2018 specifica come l’aumento del rischio dei titoli di stato impatti sulla decisione delle banche di concedere mutui a tasso maggiore. Infatti studi condotti sul periodo 2010/2011 che vide aumentare lo spread da 100 a 500  punti base, evidenziano che un aumento di 100 punti di spread può causare un aumento dei tassi d’interesse sui depositi a lungo termine e sui pronti contro termine di 40 punti base.

Il tasso d’interesse sulle nuove emissioni obbligazionarie potrebbe invece aumentare di 100 punti base. Inoltre, si potrebbero svalutare le garanzie stabili per i rifinanziamenti presso l’Eurosistema, riducendo la liquidità bancaria e tutto questo si sta già verificando.

Infine, una svalutazione dei titoli di stato riduce l’attivo di patrimonio. A fine giugno 2018 i titoli ammontavano all’11,3 % del patrimonio delle banche più piccole e al 4,7 % delle più significative. Attualmente le stime di Banca d’Italia prevedono un aumento parallelo della curva dei rendimenti sui titoli di stato di 100 punti.

Tale condizione risulta incidere certamente sulla qualità della vita delle famiglie in quanto l’accesso al credito risulta più oneroso. Infatti, se oggi si vuole stipulare un nuovo finanziamento, il costo del debito risulta più alto rispetto a qualche mese fa. Infatti, a partire da ottobre le banche hanno cominciato ad alzare gli spread sui mutui proprio per via dell’aumento del rischio sovrano (il costo medio del mutuo sulla casa è aumentato dall’1,8 all’1,87 per cento).

Anche per le imprese i margini sui nuovi prestiti a tasso fisso sono leggermente aumentati e il costo medio sui finanziamenti in essere ha smesso di abbassarsi.

Si tratta di aumenti non allarmanti ma occorre che la politica economica del nostro paese non abbassi la guardia.

Danilo Turco

Draghi, la Commissione europea e l’Italia

Nel ribadire un non imminente rialzo dei tassi il Presidente della Banca europea Mario Draghi sottolinea come il programma di acquisto dei titoli non rappresenti uno strumento che influenzi il contenimento degli spread.

Per questo è opportuno che l’Italia cerchi un compromesso con la Commissione. Occorre non interrompere il percorso virtuoso intrapreso con una politica accomodante attivata su due binari indicati nel 2013-2014: la forward guidance e il Quantitative easing. Draghi ha ribadito infatti che il rialzo dei tassi non ci sarà  fino a tutta l’estate del 2019. Per quanto riguarda  Qe, strumento di politica monetaria, non strumento di contenimento degli spread, il programma continuerà, a partire da gennaio 2019, nella forma del riacquisto dei titoli privati e pubblici in scadenza, mantenendo quindi immutato l’eccesso di liquidità bancaria.

Draghi ha anche ricordato che il mandato della Bce non consente salvataggi dei singoli Paesi in difficoltà finanziaria e che per mettere un tetto allo spread occorre la soluzione di ultima istanza (Omt – Outright Monetary Transactions), condizionata a un programma di assistenza dell’Esm – European Stability Mechanism. A questo però ha aggiunto che una via più efficace sarebbe quella di abbassare i toni politici e non mettere in dubbio la moneta unica.

Nel suo intervento Draghi ha ribadito che l’unione monetaria rimane fragile a causa della sua incompletezza, e ciò non dipende né dalla Bce né dagli eurocrati di Bruxelles, ma dalla volontà dei governi europei. Ha poi aggiunto che è necessario completare l’unione bancaria e del mercato dei capitali, con una rinnovata capacità fiscale.

Infine, sulla manovra presentata dal governo italiano Mario Draghi si è detto fiducioso che il buon senso prevarrà e si troverà un compromesso nell’interesse del paese e del popolo italiano, riferendo che su questo concorda anche il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, presente ai lavori del Consiglio della Bce del 25 ottobre.

Danilo Turco

Start up innovative in Italia, una ricerca in Lombardia

Una ricerca  sulle  caratteristiche delle start up innovative nel territorio nazionale e lombardo  presenta anche consigli  per incrementarne l’esistenza in tutta Italia, con il coinvolgimento di università e incubatori.

I dati aggiornati a luglio 2017 delle Camere di commercio d’Italia riportano attive 7.568 start up innovative e circa un quarto di esse è localizzato in Lombardia.

L’andamento di crescita evidenzia che si è passati dalle 884 create nel 2013 alle 1.954 del 2016, un incremento di circa il 120 per cento. Sono strutture a micro-dimensioni, con un team di 3-4 componenti, che nel 60 per cento dei casi non si modifica. Gran parte di esse opera nel settore dei servizi con un output finale di vendita di un servizio, nel 78% dei casi.

Per quanto concerne i titoli di studio dei fondatori di start up, la ricerca evidenzia che la maggioranza del campione, circa l’80%, possiede la laurea specialistica) e circa la metà del campione ha ricevuto principalmente una formazione nelle aree “tecnico/scientifiche” e a seguire, il 24,5% l’area “affari, finanza e marketing”.

Il finanziamento di queste start up deriva maggiormente da risorse proprie (57%) e solo il 6 % ha ricevuto un supporto da società di capitali e risulta molto ridotto l’apporto proveniente da fondi pubblici.

In riferimento alle esperienze pregresse delle figura professionali delle start up, risulta che più dell’80% del campione ha già lavorato o in azienda oppure in attività da libero professionista e circa il 15%  è stato ricercatore in un’università o centro di ricerca, prima di fondare la start up. Inoltre, l’età media dei fondatori risulta pari a 40,5 anni, mentre solo il 30% è nella fascia compresa tra i 18 e i 34 anni. Questo dimostra che la nascita di una start up non dipende dalla necessità di impiego, ma risponde proprio al desiderio di voler creare un progetto imprenditoriale innovativo.

Danilo Turco

Il piano Macron e il reddito universale

Il Piano Macron contro la povertà presentato il 13 settembre  prevede il cosiddetto reddito universale, approccio simile al reddito di cittadinanza proposto in Italia.

Lo strumento di Macron è denominato universale non perché sarà distribuito a tutti, ma perché raggruppa in un unico strumento diverse azioni, come il reddito di solidarietà attiva, gli aiuti per la casa, i bonus per la ripresa dell’occupazione ed altre. Ma il successo di queste offerte non si percepisce perché in Francia le procedure amministrative sono lunghe e complicate e in parte perché i beneficiari temono la stigmatizzazione prodotta dalle prestazioni sociali, in una società che tende sempre più a vivere la povertà come una “colpa”.

Tale scelta del governo francese è scaturita dall’aver constatato che l’aumento delle spese sociali non era bastato a contrastare la povertà. In uno dei Paesi più ricchi al mondo e con il sistema di welfare più generoso, i poveri rappresentano il 14,2% del totale della popolazione. Inoltre, secondo i dati OCSE di giugno 2018, in Francia la povertà passa dai genitori ai figli con una mobilità sociale perfino inferiore a quella italiana. Il governo francese ha stimato in 8,5 miliardi di euro (0,4 per cento del Pil) il costo totale del piano, ma funzionerà? Il progetto è ambizioso e simili tentativi del passato non hanno dato i risultati attesi. Si spera che i francesi oggi si comportino da homines economici,  rispondendo così alle attese degli incentivi proposti dal piano progettato dal governo.

Al momento il piano francese è una lista di intenti e non ha ancora un preciso articolato di leggi, ma sicuramente è da ritenere sia stata un’utile fonte di ispirazione  in Italia, riguardo all’attivazione del cosiddetto reddito di cittadinanza.

Danilo Turco

Fine di una battaglia fra Comcast e Disney

La battaglia tra Comcast e Disney per la conquista dell’impero audiovisivo di Rupert Murdoch, si è conclusa.

Come molti si aspettavano dalla competizione fra i due colossi si è ottenuto che la Disney ha acquistato Fox per oltre 70 miliardi di dollari e Comcast, dopo una serie di rilanci e un falso ritiro, ha comprato Sky per 40 miliardi. Acquistare tutto risultava una cifra esagerata, che la potente società di Topolino non poteva sostenere. Così oggi Rupert Murdoch non è più l’indiscusso protagonista e, con il suo 39 per cento di Sky, si avvia ad accettare l’offerta di Comcast che che gli consente di ottenere  comunque profitti miliardari, pur uscendo definitivamente dal settore.

Lo scenario sta cambiando e ormai Disney, At&t e Comcast,  in tutto o in parte integrati verticalmente, hanno ulteriormente accresciuto le dimensioni e ampliato i confini geografici, diventando società globali, operando oltre gli Usa e l’Europa e risultano ben attrezzate per il confronto con i nuovi rivali in una sfida planetaria.

Appare comunque evidente come la questione non sia semplice se si pensa come Disney sia contro Netflix, che si manifesta sia in Italia che in Europa, ponendo in discussione le scelte dell’attuale management Sky, che invece risultano positive per l’azienda, per l’accresciuta centralità nel sistema televisivo e la convergenza tra reti e contenuti proprio nel nostro paese.

A Sky è da riconoscere il suo successo, dovuto dal fatto che è l’unico operatore a pagamento e, in prospettiva, potrà essere considerato anche il punto di accesso essenziale per ogni tipo di servizio nelle abitazioni dei privati.

Danilo Turco

La chiusura domenicale dei negozi, quali i vantaggi

La chiusura dei negozi la domenica favorisce i piccoli commercianti e una parte dei lavoratori. I consumatori possono risentirne e sono una vasta platea. Il governo dovrebbe considerare le conseguenze sul benessere collettivo e trovare il giusto equilibrio in una realtà multiculturale e varia quale del nostro Paese.

L’obiettivo dichiarato di questa riforma sull’apertura di domenica dei negozi, sta nel far ottenere un beneficio ai dipendenti degli esercizi commerciali che pare siano “costretti” a lavorare di domenica a scapito dell’armonia familiare.

A riguardo va ricordato che il lavoro domenicale garantisce un supplemento salariale previsto dai contratti collettivi e si potrebbe stabilire un sistema volontario da parte dei lavoratori e quindi, già oggi i lavoratori di tale settore hanno  l’opzione di scambiare parte del loro tempo libero per un maggiore introito. Infatti, per alcuni di loro, lavorare la domenica può essere una scelta e non una costrizione e  il maggior reddito che ne scaturisce serve proprio a preservare la loro serenità familiare. Occorre quindi maggiormente valorizzare la scelta individuale da parte del lavoratore.

Inoltre, considerando i dati Istat,si osserva che il commercio al dettaglio conta 1 milione e 800 mila addetti. Non tutti i negozi sono aperti la domenica e alcuni fanno orario ridotto. Presupponendo che la domenica lavorino la metà delle persone di un giorno feriale, di questi, un quarto lavorerebbe comunque se i negozi rimanessero aperti il 25 per cento del tempo. In base alla riforma, il limite massimo di riduzione dei posti di lavoro è di circa 100 mila e, molti di questi addetti verrebbero riutilizzati nei giorni feriali, specie il sabato. Quale potrebbe essere la quota riallocata è difficile dire. Assumendo che vari da un minimo del 50 per cento a un massimo del 90 per cento, i posti di lavoro persi potrebbero collocarsi fra i 50 mila e i 10 mila.  Dal punto di vista degli esercizi, la riforma aiuta i piccoli commercianti che si avvalgono di minore personale e hanno maggiori difficoltà a garantire l’apertura domenicale e penalizza la grande distribuzione, che si vede privata della possibilità di fare ampi affari in una giornata in cui molte famiglie sono libere da obblighi lavorativi e più disponibili a recarsi nei grandi outlet. Infine, si può anche immaginare che una frazione dei consumatori che oggi scelgono di destinare parte del loro giorno di riposo allo shopping, potranno comunque continuare a farlo on line,visitando una pagina web invece che un centro commerciale.

Danilo Turco

L’Italia anello debole del sistema finanziario internazionale

Debito alto e sfiducia dei mercati alla base della persistente crisi economico-finanziaria dell’Italia. Necessario rispettare le regole per scongiurare il peggio.

I commentatori internazionali ritengono che l’Italia sia uno degli anelli più deboli del sistema finanziario internazionale. Per questo l’attenzione nei confronti del nostro Paese rimane molto alta e la crescita dello spread sul debito pubblico italiano verificatasi per la nuova formazione del governo ne è dimostrazione.

La causa scatenante di una crisi in Italia potrebbe essere un evento quasi insignificante, ma le ragioni profonde e da ricercare nella sfiducia da parte dei mercati nelle politiche del governo, unita a un alto e incontrollato debito pubblico. La regola del 3 per cento di deficit pubblico può sembrare stupida in condizioni normali, ma è fondamentale per il nostro Paese che ha un debito fuori controllo da trent’anni.  La crisi in Italia potrebbe scoppiare qualora una qualsiasi asta sul debito andasse non sottoscritta, anche solo parzialmente. In tal caso la raccolta delle banche si prosciugherebbe rapidamente e il costo aumenterebbe sostanzialmente e, oltre un certo livello, anche la Banca centrale europea avrebbe problemi a rifinanziarle. Non a caso negli ultimi tre mesi gli istituti di credito italiani hanno perso oltre un terzo del loro valore in borsa.

In un tale scenario gli effetti della carenza di liquidità e gli alti tassi d’interesse, che imprese e famiglie dovrebbero ulteriormente pagare, aggiunti all’incertezza che si abbatterebbe sul sistema, ridurrebbero significativamente gli investimenti, la domanda interna e il Pil. Tutto questo creerebbe il circolo vizioso tipico di tutte le crisi: alti tassi d’interesse, riduzione del Pil, aumento del debito, che a sua volta richiede tassi più alti e maggiori tasse per essere finanziato. Solo una ristrutturazione del debito pubblico e un salvataggio del sistema bancario potrebbero interrompere tale circolo vizioso.

Tutto questo in Italia può essere evitato, ad avviso di chi scrive, non negoziando furiosamente maggiori margini di flessibilità con l’Europa, ma rispettando le regole del mercato e i suoi principali protagonisti, sia privati che pubblici. In tal caso è essenziale che i mercati devono essere severamente regolati e occorre avere nei confronti dei nostri partner un atteggiamento non di subalternità, ma di rispetto delle leggi e non solo economiche, per ricevere pari rispetto.

Danilo Turco

1 2 3 9
seers cmp badge