Settembre 2008 – Settembre 2018: dieci anni dalla crisi finanziaria più nera

Era il 15 settembre 2008, quando la quarta banca americana, la Lehman Brothers, dichiarò la bancarotta, dando inizio formalmente al periodo di recessione più buio vissuto dai mercati dalla crisi del 1929, e non solo per gli Stati Uniti, ma per tutti i Paesi ad essi connessi finanziariamente, fino ad espandersi, naturalmente, come un effetto domino, a tutto il globo.

Tuttavia le avvisaglie di questa crisi erano già visibili almeno dal 2007, accumulatesi in una serie di comportamenti spregiudicati tenuti dagli enti finanziari americani, con il silenzio complice delle agenzie di rating. All’origine della tempesta, infatti, ci fu la “soluzione” trovata per fare fronte alla stagnazione dell’economia americana e alla politica di bassi salari: un ricorso indiscriminato alla finanziarizzazione e al credito. Le banche avevano concesso troppi mutui senza alcuna garanzia sul denaro prestato, i cosiddetti subprime (i crediti ad alto rischio), concessi a soggetti non in grado di fornire solide garanzie di restituzione; l’assunto base era che, comunque, il valore degli immobili avrebbe permesso alle banche di recuperare il credito in caso di insolvenza. La cartolarizzazione dei mutui (dunque lo spacchettamento e l’inserimento in titoli di credito) che ne seguì, protrattasi per un periodo di tempo troppo lungo perla finanza, finì per foraggiare un’immensa bolla finanziaria, una economia di carta che nel 2007 era pari a quattro volte il Pil mondiale: 240mila miliardi di dollari. Inquantificabili per un comune mortale. Quando i debitori non furono più in grado di pagare i mutui e lo scoppio della bolla immobiliare fece  crollare il valore degli immobili, era già agosto 2007, e la spirale della recessione si era già messa in moto, per esplodere circa un anno dopo.

Ma in quel 2007 ancora si sperava di poter contenere i danni; la Fed, aveva provato con il  taglio dei tassi di interesse dal 6,25 al 5,75%, ma non servì a nulla.

Nel febbraio successivo fu nazionalizzata nel Regno unito la Northern Bank. La Morgan Stanley annunciò perdite per 8 mld di dollari. Iniziò un frenetico giro di acquisizioni di banche da parte dei principali istituti di credito per evitarne il tracollo. Nel luglio 2008 i due colossi del credito Freddie Mac a Fannie Mae, che insieme gestivano il 55% dei mutui negli Usa furono salvati, di fatto nazionalizzati, dalla Fed a suon di miliardi.

Il peggio però doveva ancora arrivare. L’11 settembre 2008 la banca d’affari Lehman Brothers annunciò perdite per 4 mld di dollari e conseguente ricerca di nuovi acquirenti. Pochi giorni prima le agenzie di rating ne avevano garantito la solidità con giudizi positivi e rassicuranti.  La quantità di titoli tossici che la Lehman aveva in pancia, però, era talmente proibitiva che nessuno si fece avanti. Il 15 settembre la banca dichiarò bancarotta. Da lì, il rischio di un crollo dell’intero sistema economico- finanziario fu reale. La Fed dovette intervenire con 85 mld per nazionalizzare il colosso assicurativo Aig; la Merryl Linch fu assorbita dalla Bank of America ma il salvataggio non salvò 35mila dipendenti licenziati. Quand il congresso bocciò il poderoso piano di aiuti statali alle banche, pari a 700 mld di dollari, le borse rischiarono di nuovo il collasso, evitato solo da una seconda votazione,stavolta positiva del Congresso, con cui si diede il via libera ad un maxi- stanziamento di 700 mld prima e 250 mld dopo poco.

Tra novembre e dicembre 2008 entrarono in recessione sia i Paesi dell’Eurozona che gli Usa. Il resto è storia nota.

Oggi, a dieci anni dal disastro la crisi, negli Usa, è un ricordo; nella UE, invece, la ripresa è arrivata tardi e molto più debolmente che dall’altra parte dell’Atlantico. A marcare la differenza non sono state tanto le risposte, quanto la tempistica e le dimensioni.

Sia la Fed che la Bce ha fronteggiato la crisi con forti immissioni di liquidità, ma la Bce è arrivata con tre anni di ritardo, dopo aver troppo battuto la strada del massimo rigore.

A pagare la crisi sono stati dunque fondamentalmente i cittadini, le banche essendo “Too Big To Fail”, troppo grandi per fallire, troppo grandi non essere salvate costi quel che costi. Una regola che, dopo la  Lehman Brothers, nessuno oserà mai più trasgredire.

Rossella Marchese

La crisi che non ha fine

I soldi non valgono più nulla. L’inflazione sfiora il 1mln% in un anno. La gente muore di fame e anche l’acqua deve essere razionata. Questa è la situazione attuale del Venezuela nell’anno del Signore 2018.

Con una crisi finanziaria spaventosa, che si protrae ormai da quttro anni, il quarto produttore mondiale di petrolio non può più neppure vendere le sue preziose risorse.

In tutta questa situazione, il Presidente Nicolas Maduro ha annunciato che a partire dal 20 agosto in Venezuela circolerà una nuova moneta, il bolívar soberano (bolívar sovrano), che avrà cinque zeri in meno rispetto al bolívar fuerte (bolívar forte), la valuta usata oggi e rimasta praticamente senza valore. La decisione è stata presa per provare a tenere il passo con l’iperinflazione che secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale raggiungerà il milione per cento su base annua entro dicembre.

Il governo di Maduro aveva già previsto una riforma della sua moneta nel giugno scorso, allora l’idea era quella di togliere solo tre zeri, ma l’applicazione del piano fu rimandata due volte.

Il bolívar soberano sarà legato al petro, la criptovaluta controllata dallo stato e introdotta dal governo lo scorso febbraio per aggirare le sanzioni finanziarie imposte al Venezuela. In teoria il valore del petro è basato sulle riserve petrolifere nazionali, quindi su un petrolio di fatto non ancora estratto. A tale proposito alcune dichiarazioni di esperti del settore, tra cui Francisco Rodríguez, economista presso la banca di investimenti Torino Capital a New York, ha detto al Financial Times: “Visto che non c’è mercato [per il petro], non c’è nemmeno un prezzo di mercato, quindi è difficile capire cosa significhi ancorarlo a qualcosa. Il governo venezuelano mantiene la capacità di stampare petro. Questo rende il fatto di legare il bolívar al petro non tanto diverso dal legare il bolívar a sé stesso”.

A giugno l’Assemblea nazionale, ovvero il Parlamento venezuelano controllato dalle opposizioni e rimasto praticamente senza poteri, ha stimato il tasso di inflazione al 46.305 per cento annuo. Ha sostenuto che la banconota più grande, quella da 500 bolívar (50.000.000 di bolívar attuali), varrà solo 6 dollari alla fine di agosto, e 20 centesimi alla fine dell’anno. La banconota da 500 bolívar sarà di colore marrone e avrà stampata l’immagine di Simón Bolívar introdotta dal chavismo nel 2012 e criticata dalle opposizioni per la sua leggera somiglianza all’ex presidente venezuelano Hugo Chávez, il predecessore di Maduro.

Con l’iperinflazione attuale, non funziona praticamente più nulla e sono necessari molti giorni di lavoro al salario minimo anche solo per comprare una dozzina di uova, inoltre, negli ultimi due anni centinaia di migliaia di venezuelani sono scappati dal loro paese e dalla miseria per una crisi che ha le dimensioni di quella dei profughi siriani in Europa.

Rossella Marchese

L’Alitalia… Una storia infinita…

Il commissariamento di quattordici mesi ha permesso ad Alitalia di migliorare i suoi conti. Ora occorre decidere quale delle offerte proposte bisogna accettare.

Finora nessuno ha saputo trovare una strategia che permettesse all’Alitalia di stare a galla. Il commissariamento a partire da maggio 2017 scaturisce dalla legge Marzano sulle crisi aziendali, che aveva trovato applicazione anche in altri casi di grandi imprese in difficoltà. I commissari, operando non di liquidatori, ma da amministratori a tutti gli effetti, sono riusciti a far andare avanti l’impresa comunque, tagliando parecchi dirigenti e molti dipendenti, usando il potere dell’amministrazione straordinaria per rinegoziare diversi contratti. Tutto questo ha reso possibile di passare da una perdita annuale precedente di circa 700 milioni ad una molto più contenuta, di circa 250 milioni.

L’Alitalia oggi si è un po’ rimessa in piedi ma non è a posto. Sicuramente serve un piano strategico, forse che  possa proseguire la linea tracciata dai commissari, ma di certo occorrono nuovi azionisti, cioè nuovi investimenti, senza violare le regole europee, che prevedono che un prestito debba espandere la capacità produttiva.

Per rilanciarsi l’Alitalia non potrà tornare nell’alveo pubblico e per il suo rilancio reale occorrerebbe che la politica stesse lontana dall’Alitalia e che invece le scelte siano imprenditoriali, le più affidabili e serie sul serio.

Danilo Turco

Marchionne… nemo profeta in patria

Grazie a Marchionne la Fiat, che era un’impresa sull’orlo del fallimento, si è trasformata in una solida multinazionale, vincendo le sfide della globalizzazione. Ma l’Italia non l’ha accettato.

La guida di Sergio Marchionne della Fiat-Fca ha rappresentato una vera sfida alla globalizzazione, senza sostegno pubblico e senza contare troppo su un mercato domestico e operando con strumenti gestionali alla pari con una concorrenza agguerrita. Per Fca tale sfida è stata vinta, ma il nostro Paese l’ha invece percepita come una minaccia e, qualche rara eccezione, l’ha rigettata. In questi giorni, dopo la sua inaspettata scomparsa, decine di articoli hanno ripercorso i suoi 14 anni alla guida del gruppo. Marchionne ebbe carta bianca nelle scelte gestionali e così iniziò riconoscendo che un’impresa che compete su mercati internazionali non può permettersi di avere impianti strutturalmente in perdita. Una logica semplice ma che rappresentò una rottura epocale nei rapporti fra politica e impresa. La Fiat in tal modo decise di non contare più sull’aiuto “pubblico” e di farsi carico di obiettivi pubblici, come quelli di promuovere lo sviluppo in certe aree del Paese. Tutto questo è stato uno shock e la sua importanza è ancora poco compresa. Anche perché ha previsto l’uscita dal sistema di contrattazione collettiva con la stipula dei contratti aziendali. Tale scelta consentiva la governabilità degli impianti con la Fca si andava a rinnovare le fabbriche, adottando tecniche gestionali all’avanguardia, che d’altro canto hanno richiesto nuovi rapporti con i lavoratori. Marchionne ha dimostrato coi fatti che la sfida si può vincere. Un’impresa allora sull’orlo del fallimento è oggi una multinazionale solida e ben posizionata sulle due sponde dell’Atlantico, Il Paese Italia ha rigettato la “filosofia Marchionne”, perché il suo obiettivo non è stato il voler modernizzare l’Italia,ma solo rilanciare Fiat.

Danilo Turco

L’Italia virtuosa nella gestione dei Fondi Ue, così dichiara il rapporto dell’Olaf

Il rapporto annuale del’Olaf, organismo antifrode dell’Unione Europea, ha fatto il punto sulla gestione dei fondi UE tra il 2013 e il 2017 riportando tutte le irregolarità emerse nella gestione degli stessi per l’agricoltura e lo sviluppo regionale. Le anomalie sono state pari all’1,27% del totale dei pagamenti, su circa 4000 operazioni di finanziamento segnalate come frodi ed irregolarità; una percentuale ben al di sotto della media europea, pari all’1,83%, meno della metà rispetto al 3,13% della Spagna, dove i casi di frode sono stati più di11mila.

I dati dell’Olaf smontano clamorosamente la vulgata che associa spesso e ingiustamente i fondi europei al malaffare nel nostro Paese.

Il confronto premia l’Italia rispetto a molti illustri membri, oltre alla Spagna, anche alla Polonia, all’Olanda, all’Irlanda e a tutti i paesi dell’Est, dove fa scalpore l’oltre 11% di frodi e irregolarità della Slovacchia.

I dati dell’Olaf si riferiscono alle indagini condotte dagli Stati membri che, avverte l’organismo, potrebbero in alcuni casi anche non trasmettere tutti i dati a Bruxelles. Tuttavia le indagini condotte direttamente dall’Olaf, sempre sui fondi strutturali e sui fondi agricoli, concluse con le raccomandazioni alle autorità nazionali di recuperare 3 miliardi di fondi erogati, hanno comunque messo in evidenza come il paese più a rischio sia ancora la Slovacchia.

Il rapporto dell’Olaf, inoltre, ha consentito anche di correggere una recente analisi del Servizio studi del Senato, elaborata su dati della Guardia di Finanza, secondo cui la percentuale di frodi sarebbe stata superiore al 60% sia nel settore agricolo che in quello dello sviluppo regionale, ma il riferimento era sul totale delle operazioni sospette denunciate alla GdF dalle autorità regionali e dai ministeri, piuttosto che sull’effettività delle anomalie.

In linea con quanto da tempo certifica l’Olaf, le frodi ci sono anche in Italia, ma in percentuale nettamente inferiore rispetto alla media europea.

Rossella Marchese

Istat: l’inflazione al +1,3%

Secondo i dati dell’Istat il tasso di inflazione a giugno è sceso a +1,3% su base annua (dal +1,4% annunciato nella stima preliminare).

Tasso che desta comunque preoccupazione. L’incidenza dell’aumento dei prezzi, secondo l’Istituto di ricerca,  pesa in misura notevolmente maggiore sui redditi medio-bassi.

L’accelerazione del tasso di inflazione – secondo l’Istat  – è trainata dai prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto (soprattutto carburanti, frutta fresca e vegetali freschi).

Quello che più interessa alle famiglie è il tasso relativo al “carrello della spesa” che  aumenta del +2,2%.

“Un contributo inflazionistico deriva anche dai prezzi dei trasporti, che da inizio anno mostrano tensioni crescenti” – prosegue l’Istituto di statistica.

Federconsumatori interviene affermando  che “si tratta di “un classico”, in vista dell’estate. Non appena il traffico sulle strade aumenta in vista delle vacanze o dei brevi soggiorni fuori casa, ecco che i prezzi dei carburanti subiscono una impennata. Tutto ciò non farà altro che incidere negativamente sull’andamento, già tiepido, della domanda turistica”.

Prosegue sottolineando che con l’inflazione a questo livello “gli aggravi a carico di ogni famiglia ammontano a +384,80 Euro annui”.

Federconsumatori sottolinea che questi aumenti risultano insostenibili per le famiglie, che devono affrontare spese non proporzionate alle retribuzioni percepite.

Il risultato atteso è quello di una contrazione contrazione e contenimento della domanda interna.

“A fronte di tali dati si rendono sempre più urgenti e necessari interventi in grado di imprimere una svolta radicale a tale andamento, attraverso un serio il rilancio dell’occupazione ed una attenta redistribuzione dei redditi” – dichiara Emilio Viafora, Presidente di Federconsumatori Nazionale. “Si tratta di un’operazione fondamentale per gettare basi solide per una crescita equilibrata e sostenibile.”

Alessandra Desideri

 

Con Banca5 di Intesa Sanpaolo prelevi il contante anche in tabaccheria

Una vera e propria rivoluzione per i clienti di Intesa Sanpaolo. E’ possibile, infatti,  effettuare il prelievo contanti anche presso le tabaccherie che hanno sottoscritto la convenzione con Banca5 S.p.A.

Come fare? Basta essere in possesso delle carte Intesa Sanpaolo del circuito Maestro, asterCard, Visa o Visa Electron. Sarà possibile prelevare su oltre 15.000 punti convenzionati che esporranno un’apposita vetrofania e il cui elenco sarà disponibile su App e sito web Banca5 e Intesa Sanpaolo.

Oltre al nomale utilizzo della carta e del relativo pin sarà necessario esibire la tessera sanitaria nazionale per consentire la lettura elettronica del codice fiscale. Le operazioni di prelievo saranno gratuite fino al 31 dicembre 2019.

“ L’attivazione di questo servizio, in linea con quanto definito nel Piano industriale della capogruppo Intesa Sanpaolo, – dichiara Silvio Fraternali, Amministratore Delegato Banca5 – consentirà ai clienti del Gruppo di effettuare prelievi di contanti in un numero importante di esercizi aperti in orari prolungati  e, soprattutto, capillarmente presenti su tutto il territorio nazionale; una ulteriore rete territoriale del Gruppo che ci permette di offrire servizi semplici ma importanti per le necessità quotidiane anche in comuni spesso piccoli e meno serviti”.

E per Salvatore Borgese, Chief Business Officer Banca5: “Da luglio i tabaccai convenzionati Banca 5 possono mettere a disposizione dei cittadini loro clienti il servizio di prelievo contante. Questo prodotto innovativo, nel modello di servizio, avrà un forte impatto sociale e rappresenta una svolta nel percorso professionale che la rete dei nostri collaboratori potrà intraprendere, attraverso l’erogazione di servizi transazionali tradizionalmente forniti da reti bancarie. Il servizio di prelievo contante è un prodotto distintivo per la rete dei tabaccai Banca 5.”

Un ulteriore canale, un ulteriore servizio messo a disposizione della clientela.

Alessandra Desideri

Minimo storico per i mutui bancari

Una buona notizia per chi ha necessità di acquistare casa. L’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha reso noto nel suo bollettino, pubblicato mensilmente, che i tassi medi sulle nuove operazioni di mutuo per l’acquisto delle abitazioni hanno raggiunto nel mese di giugno il minimo storico.

Il tasso medio è pari a 1,80% %(1,83% a maggio 2018, 5,72% a fine 2007).

In crescita, secondo i dati disponibili del mese di maggio, anche il mercato dei mutui che vede sul totale delle erogazioni la prevalenza per 2/3 dei mutui a tasso fisso e un incremento di +2,3% rispetto al periodo precedente. Segno che gli Italiani non hanno abbandonato l’idea del “mattone” e che preferiscono avere un importo stabile per tutta la durata del mutuo in modo da poter programmare il proprio bilancio familiare.

Alessandra Desideri

 

Il Portogallo: un paese in netta ripresa

I dati confortanti del 2017 per il Portogallo sono: crescita del 2,6 per cento, calo del debito, deficit all’1,7 per cento e disoccupazione all’8,5.

La suddetta eccezionale performance economica del Portogallo è giunta a tali risultati sotto un governo di coalizione del partito di sinistra con quello di estrema sinistra, eletta in base a un programma di critica ai diktat di Bruxelles che chiedeva il ripudio del debito pubblico, l’uscita dall’euro e dalla Nato, e la rinazionalizzazione di interi settori dell’economia portoghese.

Il simbolo di questa bizzarra combinazione di radicalismo politico e di performance economica, è la figura di Mario Centeno, il ministro delle Finanze che, almeno a parole, ha elaborato il piano per rompere con la logica dell’austerità imposta da Bruxelles ed è stato appena eletto presidente dell’Eurogruppo.

Paradossalmente è stato apprezzato anche dai critici delle politiche di austerità.

Quindi, cosa è successo tra il 2011 e oggi, cioè da quando il Portogallo voleva inizialmente affrontare la crisi smarcandosi da Grecia e Irlanda prima di negoziare un piano di salvataggio da 78 miliardi di euro?

Le crisi del 2008 e del 2010 colpiscono gravemente l’economia del Portogallo, che già si caratterizzava per diversi squilibri. Il continuo aumento del deficit, la crescita del debito, sia pubblico sia privato, l’aumento del disavanzo delle partite correnti, l’improvvisa cessazione dei flussi di capitali dal Nord al Sud, la crisi del credito, chiudono bruscamente al Portogallo le porte di accesso ai mercati finanziari. Il Portogallo cerca quindi l’aiuto dell’Ue e del Fondo monetario internazionale per poi accettare un drastico piano di riforme strutturali elaborato dalla Troika.

A partire dal 2014, la crescita riparte, la disoccupazione vive una fase di calo e la bilancia dei pagamenti lentamente si stabilizza.

In questo contesto, l’arrivo al potere di un governo di sinistra-estrema sinistra non porta con sé il rifiuto delle politiche di austerità iniziate nel 2011, ma produce un moderato alleggerimento dei vincoli alla domanda interna: aumenta il salario minimo e le pensioni più basse, senza indietreggiare sui tagli alla spesa e sulle riforme approvate.

E’ anche la ripresa della crescita nell’area euro che contribuisce anche alla ripresa del Portogallo.

Quindi è accaduto che la combinazione di una competitività che ha dato ripresa alla crescita, un leggero stimolo alla domanda e la difesa del rigore di bilancio, in un contesto di ripresa europea e globale, ha reso possibile il miglioramento del Portogallo nel 2017. Infatti, la contrazione della spesa pubblica e le riforme strutturali hanno consentito di migliorare la solvibilità del Paese, ripristinare l’equilibrio commerciale con l’estero ed eliminare i diversi ostacoli alla crescita.

L’attuale ripresa è sostenuta dalle esportazioni verso l’Ue e dalla adeguata gestione del debito e qualità del governo.

Danilo Turco

La fine del decennio di crisi  per la Grecia

Finalmente la svolta! La Grecia ha rispettato gli impegni e quindi sono state concordate le misure che possono a questo momento sostenerla nel lungo processo di ripresa e che potranno essere allentate in futuro.

I ministri delle Finanze europei hanno accertato che la Grecia ha sostanzialmente rispettato gli impegni assunti in occasione dei tre piani di salvataggio approvati finora. Hanno quindi concordato il 21 giugno scorso una serie di misure per sostenerla nel lungo processo di ripresa. Già su alcuni tweet, Pierre Moscovici, commissario europeo agli Affari economici e monetari, aveva  anticipato il suo giudizio positivo sulla Grecia ed evidenziando come il governo di Atene avesse introdotto circa 450 provvedimenti legati alle richieste della Troika, come la riforma del catasto per una più efficiente tassazione immobiliare e l’istituzione del reddito di solidarietà, di cui è oggi beneficiario circa il 6 per cento della popolazione.

La Grecia dal 2010 ha usufruito di tre piani di salvataggio (2010, 2012, 2015), ricevendo circa 274 miliardi di euro dai Paesi europei e dal Fondo monetario internazionale, risorse determinanti per il superamento della crisi. Oggi occorre che si realizzi la ripresa con la diminuzione del tasso di disoccupazione(18%), cosa possibile, se la Grecia continuerà sulla strada delle riforme, in modo che i paesi europei decideranno di alleggerire questi vincoli con futuri interventi.

Occorre evitare il rischio che la Grecia, una volta scampato il pericolo, torni sul sentiero poco virtuoso che l’ha condotta a un passo dall’uscita dall’euro, devastando il suo sistema finanziario e riducendo in povertà milioni di suoi cittadini. Talune condizioni imposte sono da ritenere giuste, come la soluzione del processo in cui è imputato l’ex presidente dell’istituto nazionale di statistica e il completamento della riforma del catasto e del piano di privatizzazioni.

Danilo Turco

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