Le antiche vestigia del passato diventano set per l’arte contemporanea

Da un paio di anni,ormai, sembra essere la moda del momento: da Pompei a Roma l’arte contemporanea si insedia tra le antiche rovine con mostre, istallazioni, proiezioni ed eventi.
Oggi, insomma, il rapporto tra l’arte viva ed i resti dell’antichità non sembrano improntati al dialogo o all’introspezione da parte degli artisti, bensì, ad un occhio superficiale, usate come cornice legittimante, come magnifica scenografia.
Si potrebbe pensare che un movente culturale per questi crossover antico-moderno, all’interno dei musei, nei centri storici o nei siti archeologici, sia da ricercarsi nella natura di frammento che segna ogni opera d’arte contemporanea: frammenti che possono trovare un filo di continuità artistica in un passato glorioso ed altrettanto frammentato dal tempo; ma è impossibile non notare che questo fenomeno si lega, in quanto sottospecie, ad un genere largamente diffusosi, quello dell’uso dei grandi complessi archeologici, dei poli museali e dei monumenti come location per eventi di ogni tipo. Dalla sfilata di moda che Fendi ha ambientato “nella” fontana di Trevi, agli aperitivi a tema del MANN, gli esempi non si contano. Pompei che diventa set continuo di concerti esclusivi e i Fori Imperiali che mutano per ospitare grandi eventi mediatici.
Insomma, le opere e le operazioni culturali site specific, quelle che possono sposarsi in maniera perfetta con l’ambiente che le ospita, sembrano diventare sempre più una priorità nel nostro Paese, che sta affinando lo stile e le scelte in questo campo, per non urtare la sensibilità dei molti puristi e dei critici, ma che ancora commette errori grossolani, rischiando, nel patrocinare di tutto e di più, l’incomprensione e l’inutilità di alcuni progetti.
Per evitare la morte dei monumenti, ovviamente, si deve tentare l’impossibile, soprattutto perché un monumento perisce non solo per incuria o abbandono, ma anche per riforme sbagliate; alterare la natura o la destinazione di un opera del passato potrebbe contribuire alla sua distruzione nella percezione degli uomini contemporanei che lo hanno di fronte.
L’artista serbo Mark Lulik nel 2009 realizzò un’opera che bene ha sintetizzato il concetto di banalizzazione del monumento in cui potrebbe sfociare la tendenza degli eventi site specific: una grande iscrizione rossa, realizzata in legno e plastica in cui si legge “Death of the monument”.

Rossella Marchese

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