Pedagogista, dal 2014 è vicepresidente dell’Istituto di Studi Atellani e dal 2011 redattrice della rassegna storica dei Comuni.
Nel 2012 pubblica “Ritratto di nonno” edizioni ISA, dedicato alla memoria del nonno membro della F.I.G.C. Nel 2019 scrive “Con il sen(N)no di poi – Diario di uno 048”, Ed. Diogene
Nel suo libro, la maternità si emancipa dai confini biologici per diventare atto simbolico e tragico insieme. In che misura ritiene che la figura della madre, nel nostro tempo, conservi ancora una dimensione archetipica?
Per quanto la società moderna provi a diffondere una immagine del materno come “prodotto”, dal mio punto di vista, la maternità conserva un humus divino che è forma e sostanza allo stesso tempo. Il problema è che in alcuni contesti, soprattutto lavorativi, sta passando un messaggio fuorviante e cioè che essere madri può rappresentare una diminutio. La verità è che la società fatica a riconoscere le persone preferendo i ruoli, ma il ruolo è sovente l’anticamera dello stereotipo.
In Madri oltre il destino, la genealogia femminile si impone come forza narrativa e ontologica. Quanto pesa, secondo lei, l’eredità delle madri sulle scelte delle figlie nel nostro presente ipermoderno?
E’ una eredità che oggi pesa molto di meno. Le ragazze di oggi sentono meno il confronto con la propria genitrice, in loro è vivo il bisogno di trovare una identità che le distingua da chi le ha messe al mondo. Io penso che oggi nel rapporto madre – figlia pesi di più il desiderio delle figlie di far meglio della madre in una ottica performante che abita ogni aspetto del vivere moderno.
La sua scrittura, densa e intima, sembra riflettere un costante dialogo tra memoria individuale e destino collettivo. Può parlarci del rapporto tra autobiografia e finzione nella sua opera?
Come ho scritto nel libro ogni protagonista mi ha donato un po’ di sé stessa ed io ho fatto altrettanto con loro. Con molta onestà potrei dirle che mi sono rifugiata in alcune delle mie donne chiedendo loro di farsi carico di alcuni dei miei conflitti e delle mie difficoltà che la scrittura mi ha aiutato ad elaborare.
Tra le sue pagine aleggia una tensione quasi sacrale tra amore e sacrificio. Ritiene che la maternità contemporanea abbia smarrito il senso del “sacrificio” o ne stia reinventando le forme?
Sacrificio in latino significa rendere sacro, forse le madri di oggi non sono consapevoli di questa sacralità. Non a caso Erri De Luca definisce la Madre di Gesù operaia della divinità. Oggi la maternità è vissuta soprattutto come una scelta, le donne sentono di essere in grado di “dettare i tempi” della propria vita, e non sono più disposte ad accettare che qualcun altro decida per loro quando e se diventare madri.
Nel dare voce a madri che sembrano uscite da una tragedia antica, ha sentito più forte la spinta della pietas o quella del giudizio morale?
Ho sentito un forte senso di sorellanza con le mie protagoniste, in alcun modo ho avvertito l’esigenza di dare un giudizio sul loro vissuto e sulle loro scelte perché sono partita dall’assunto che ogni vita sia “unica” e come tale non giudicabile.
Molte sue protagoniste sembrano lottare contro una genealogia di silenzi. Scrivere questo libro è stato, per lei, un atto di restituzione, di rottura o di riconciliazione?
Io ho scritto questo libro per dare dignità a queste eroine del quotidiano, come le ho definite, perché ho letto nei loro occhi una mutua rassegnazione di fronte ad una società che le ha dimenticate, semplicemente perché ritenute portatrici di storie disgraziate, ma banali ,e pertanto non degne di attenzione.
Il titolo Madri oltre il destino evoca un superamento, forse anche una ribellione. Può approfondire cosa intende per “destino” in chiave femminile? È un dato, un fardello o una possibilità trasfigurata?
Tutte e tre le immagini che mi suggerisce sono calzanti con la mia definizione di destino. E’ innegabile che nella vita accadano fatti che non è possibile prevedere, questo può rappresentare un fardello, ma non deve e non può concretizzarsi in passiva accettazione di ciò che accade, e le mie protagoniste hanno dimostrato che è possibile andare oltre il destino.
Lei dà corpo a donne “difficili”, mai sottomesse allo stereotipo. Come si rapporta, nel suo lavoro, con la narrazione dominante della maternità come esperienza salvifica e risolutiva?
Mi limito a raccontare il materno come fatto umano, e ogni fatto umano è ricco di luci ed ombre. Non esiste la maternità. Esistono le maternità, esistono i vissuti, esistono le persone.
Se dovesse indicare un filo invisibile che unisce tutte le madri del libro, sarebbe più la colpa o la cura, il desiderio o il rimorso?
Io penso che sia la cura, intesa come attitudine al sostegno e alla comprensione. Non dovremmo mai dimenticare che ogni donna che incontriamo ha una sua storia che va rispettata, qualunque essa sia. Possiamo non condividerla, ma nulla ci autorizza a giudicare la vita di un altro essere umano. Il giudizio è meschino, alimenta il nostro ego e null’altro.
Nel panorama culturale italiano, la figura materna è spesso ingessata tra mitologia e cliché. Madri oltre il destino sembra voler forzare queste gabbie. Qual è, secondo lei, la responsabilità della letteratura nella liberazione degli immaginari femminili?
In generale, la letteratura deve stimolare la riflessione, deve animare il conflitto e deve fornire alternative di pensiero. Spesso gli autori, e ancor più spesso le autrici, consegnano ai lettori delle madri, o più in generale donne, lontane dal mondo reale, animando un mito della sofferenza come medaglia da apporsi che contrasta con la realtà della vita. abbiamo bisogno di figure in cui poterci riconoscere e non di modelli stereotipate che alimentano il nostro senso di inadeguatezza.
Giuseppina Capone