Napoli e Campania innevate

Napoli negli ultimi giorni si è ammantata di neve, con gli immancabili disagi legati al fatto di non essere una città dove abitualmente i candidi fiocchi fanno da padrone. Dopo l’imponente nevicata del ’56, vicina per accumulo e intensità a quella di questi giorni, l’altra di cui si ha memoria è  quella del 1985.

Tanti i disagi per la circolazione quasi completamente paralizzata nei rioni alti e resa difficile dal manto scivoloso nelle altre zone della città. Disagi all’aeroporto di Capodichino chiuso per ore, scuole chiuse come da ordinanza sindacale, temperature sottozero.

Tantissime le foto e i filmati che hanno documentato sui social l’evento straordinario che ha lasciato con il naso all’insù soprattutto i più piccoli che hanno potuto ammirare i candidi fiocchi scendere lievemente al terreno anche sul lungomare di Napoli.

Neve su tutta la Campania, sulle isole, sulla costiera amalfitana. La Reggia di Caserta ha offerto immagini ancor più suggestive sotto il candido manto nevoso.

Salvatore Adinolfi

La Stanza dell’Ascolto: un luogo protetto a cui rivolgersi

Il prossimo 2 marzo alle ore 10, alla presenza del Sindaco Luigi de Magistris, verrà inaugurata in via Alessandro Poerio n. 21  la “Stanza dell’Ascolto”.

Si tratta di un nuovo e rifunzionalizzato spazio protetto di accoglienza delle vittime di violenze ed abusi dell’Unità Operativa Tutela Minori e Emergenze Social nato nel 1998.

“Dalla tutela dei senza fissa dimora, allo sfruttamento della prostituzione, sia essa maschile che femminile, dal controllo degli insediamenti Rom alla tutela dei minori non accompagnati. Affronta, rinnovandosi, – afferma l’Assessore Alessandra Clemente – nuove emergenze come bullismo e cyberbullismo ed ha istituito il servizio anti stalking che si occupa della tutela delle vittime di violenza e di atti persecutori, dedicandosi all’ascolto ed alla raccolta delle confidenze di quelle persone che ritengono d’essere minacciate o molestate.

Dall’esperienza di questi anni di attività è nata l’esigenza di dedicare uno spazio all’ascolto, una stanza “formalmente informale” per poter procedere all’ascolto con modalità adeguate che coniughino le necessità operative con il rispetto del diritto all’integrità psicofisica garantito dai dritti fondamentali della persona”.

Un’iniziativa interessante di supporto a categorie svantaggiate.

Hanno collaborato alla realizzazione dell’iniziativa strutture del Comune e associazioni che hanno fornito il loro contributo per la creazione di questa stanza.

La progettazione della stanza, su iniziativa dell’Assessorato alla Sicurezza Urbana e Polizia Locale del Comune di Napoli, è stata realizzata dall’Unità Tutela Minori ed Emergenze Sociali. “I lavori e l’acquisto delle tecnologie di ultima generazione – prosegue la Clemente – per la rilevazione dei colloqui sono stati eseguiti dal Comune di Napoli. Gli arredi sono stati donati, invece, dall’Associazione Donne per il Sociale Onlus, presieduta da Patrizia Gargiulo e dall’Istituto Ferriere, coordinato da Anna Sommella. La curatrice d’arte Valeria Viscione e l’artista e docente Stefania Sabatino hanno partecipato all’ideazione ed alla creazione della tela “L’abbraccio”, che verrà apposta nella stanza e donata all’Unità Operativa in occasione dell’inaugurazione”.

Speriamo che questa iniziativa consenta di assicurare un sempre e più ampio servizio per i cittadini che versano in condizione di difficoltà.

 

Salvatore Adinolfi

Il diritto alla casa

Gli attuali  programmi elettorali italiani ignorano la questione “casa”cioè il  disagio abitativo delle famiglie più povere, che include anche una fascia del ceto medio.

Nella Costituzione italiana non c’è una specifica tutela del diritto all’abitazione. Tuttavia, in alcuni articoli, emerge un chiaro riferimento a valori riconducibili al diritto alla casa, la quale viene concepita come elemento essenziale per garantire per garantire lo sviluppo della persona umana.

Il diritto alla casa, all’abitazione, sembra porsi, soprattutto da qualche decennio, come un diritto “nuovo”, sociale, funzionale al soddisfacimento dei bisogni costituzionali della persona. Esso si atteggia a precondizione per il godimento di tutta una serie di diritti fondamentali, quali ad esempio il diritto alla salute, alla riservatezza, alla sicurezza, all’inviolabilità del domicilio ed alla sua libera scelta.

La Carta Costituzionale difende il diritto alla casa agli artt. 2 e 3 è una Carta solidale, generosa, aperta, permissiva, disinteressata. Ma alla nostra Legge fondamentale non sembra interessare  che i prezzi delle case in Italia costino mutui troppo onerosi e non facili da ottenere. Questione, quella della casa che incide fortemente come valore identitario nella mente degli italiani  ed è su questo diritto sociale alla casa che è cresciuto in Italia il fenomeno delle occupazioni abusive prima di abitazioni, poi di spazi collettivi da ultimo di teatri. A riguardo, il codice penale ha accolto l’indirizzo costituzionale nell’articolo 54, riferito allo stato di necessità. Per questo, la necessità di un’abitazione, a chi ne è privo, può essere riconosciuto uno stato di necessità irrefrenabile per condizione di malattia propria o di congiunti, per stato di debolezza, per un più generico bisogno economico e abitativo. Lo stato di necessità si è poi con il tempo allargato secondo livelli di resistenza e sopportazione sempre più labili: da fisico, psicosomatico, psicologico, ambientale  fino al caso che sussista “un pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

Per questo, senza dubbio è oggi necessaria un’azione sociale sinergica che permetta alle Istituzioni impegnate a garantire sul territorio il diritto alla casa, impegnata a voler concretizzare il perseguimento degli obiettivi sociali e di eguaglianza, visto che da un alloggio adeguato dipendono ulteriori connessi diritti essenziali alla persona: il diritto alla privacy, il diritto ad essere liberi dalla discriminazione, il diritto allo sviluppo, ma soprattutto, il diritto a conseguire il più alto livello di salute mentale e fisica. Oggi i comitati e le associazioni italiane sul diritto alla casa si sono unite tutte in difesa di questo diritto, scendendo in piazza anche per agire contro le disuguaglianze sociali che la mancanza del riconoscimento del diritto alla casa comporta. Una mobilitazione nazionale che intende sensibilizzare il rilancio di un piano nazionale di edilizia pubblica, che dovrà basarsi sui bisogni reali della popolazione e dei quartieri popolari.

Danilo Turco

Capodanno cinese, l’anno del cane

Xinniankuaile, felice anno nuovo agli amici cinesi. Draghi e leoni danzanti al ritmo dei tamburi e dai colori brillanti la fanno da padroni per le strade e le piazze delle città in Cina e nelle Chinatown del mondo: si celebra ChunJie, la Festa di Primavera, o capodanno cinese, che coincide con la seconda luna nuova dopo il solstizio d’inverno e quest’anno cade il 16 febbraio. Si entra nell’anno del Cane, secondo l’ordine in cui, nella tradizione, i 12 animali dell’oroscopo cinese si sono presentati davanti a Buddha: il topo, il bue, la tigre, il coniglio, il drago, il serpente, il cavallo, la capra, la scimmia, il gallo, il cane e il maiale.Grandi feste si svolgono soprattutto in Malesia, dove la comunità cinese rappresenta circa il 25% della popolazione e all’evento vengono dedicati più giorni in un clima generale di allegria e ospitalità. Clima molto diverso, invece, quest’anno a Pechino, dove il nuovo anno si festeggia senza fuochi d’artificio per combattere l’inquinamento. L’atmosfera nella prima notte dell’anno è surreale. Strade deserte pattugliate dalla polizia, illuminate solo dalle insegne dei negozi o da qualche decorazione luminosa. Pochissima la gente in giro. In Cina la festa è molto osservata: gli abitanti si spostano per gite e riunioni di famiglia e il Paese si tinge di rosso, colore tipico di questa ricorrenza. Nella capitale cinese, dunque, i festeggiamenti sono stati insolitamente silenziosi. Forte il contrasto con gli anni precedenti, quando gli abitanti di Pechino accendevano i petardi rossi nei giardini dei palazzi e sui marciapiedi, e i fuochi d’artificio illuminavano il cielo in continuazione. Abitudine che si è scontrata con la decisione, adottata l’anno scorso da 440 città, di impedire l’uso dei botti. Ogni anno centinaia di milioni di cinesi rientrano nelle regioni di origine per celebrare il Capodanno lunare con le famiglie e si tratta dello spostamento annuale di persone più grande al mondo: dal 1° al 10 febbraio, i passeggeri cinesi hanno già realizzato 732 milioni di spostamenti in treno, auto, imbarcazioni o via aereo, anche se le vacanze sono cominciate ufficialmente ieri, giovedì. Nel 2017 i cinesi avevano realizzato circa 3 miliardi di spostamenti nel periodo del Capodanno lunare. E questo mette ogni anno a dura prova i trasporti, con treni stracolmi di passeggeri, che spesso finiscono per viaggiare in piedi.

Nicola Massaro

FIAF: a Salerno la premiazione di Autore dell’anno regione Campania 2017

Il foyer dell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Salerno ospita la premiazione dei finalisti della selezione fotografica per designare l’Autore dell’Anno 2017 proposta dalla FIAF Federazione Italiana Associazioni Fotografiche.

L’iniziativa ha visto la partecipazione dei soci della FIAF e degli scritti ad uno dei numerosi Circoli Campani aderenti alla Federazione Nazionale.

“Il progetto – evidenzia la FIAF – ha registrato una significativa adesione, circa 90 fotografi hanno inviato i loro lavori per le due sezioni in concorso: tradizionale e iphonografia; le opere della sezione tradizionale sono state sottoposte al vaglio delle assemblee dei Circoli FIAF campani che hanno selezionato gli autori finalisti”.

Le fotografie sono esposte nella mostra a partire da venerdì 23 febbraio, gentilmente concessa dal magnifico rettore Aurelio Tommasetti.

Il vincitore de “Autore dell’anno 2017”, è stato designato da una esclusiva Giuria Fiaf, diretta da Roberto Rossi presidente nazionale della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, Attilio Lauria Direttore Dipartimento Social Fiaf e Nicola Loviento responsabile Fiaf dell’Area Sud Italia. “Le opere selezionate – sottolineano gli organizzatori – rappresentano linguaggi fotografici diversi, dalla street al concettuale, tutti connotati da un’apprezzabile creatività e a quella sperimentalità che consente di superare l’angusto recinto della foto attenta unicamente all’estetica”.

Nella serata del 23 anche il conferimento del premio al vincitore del challenge “smorfiaf: rappresentare il numero della smorfia con una fotografia”, organizzato in collaborazione con Igers Campania.

L’evento è stato diretto dal delegato regionale Gianpiero Scafuri.

Sarà possibile visitare mostra fino al 1° marzo 2018.

Alessandra Desideri

Immigrazione e abbandono scolastico

Negli ultimi dieci anni la quota di immigrati regolari in Italia è passata dal 3,9 per cento (2006) al 7,6 (2016) (fonte ISTAT)e, pur essendo con numeri inferiori rispetto ai maggiori Paesi europei, si può comunque riconoscere come l’Italia sia meta dell’emigrazione internazionale e per il 90% degli immigrati proviene da Paesi in via di sviluppo e di questi, meno del dieci per cento ha un titolo di studio universitario. Questo ci porta facilmente a considerare che nel nostro Paese si ha un’immigrazione con competenze limitate e che contribuisce a generare il tradizionale modello economico che divide il lavoro in due tipologie e da cui consegue come  le retribuzioni del lavoro poco qualificato facciano aumentare quelle del lavoro qualificato. Da questo ne dovrebbe conseguire che gli Italiani dovrebbero investire di più in istruzione. Investendo in maggior istruzione, i giovani italiani potrebbero ambire alle mansioni che utilizzano in modo intensivo competenze comunicative e di astrazione, più qualificate e meglio retribuite. Questo in realtà non accade se si osservano i dati di abbandono scolastico (fonte MIUR) e gli effetti negativi si porteranno negli anni incidendo negativamente sul piano del tasso di integrazione sociale nel lungo periodo, se non si interviene con correttivi socio culturali ed economici.

In questo processo al ribasso, le richieste di retribuzioni delle mansioni con competenze intermedie tendono a diminuire, rinforzando l’dea fra molti giovani che non ci sia convenienza a conseguire un livello di istruzione intermedio. Fatto molto preoccupante, considerando che l’effetto dell’immigrazione sulle retribuzioni basse può ritenersi un fenomeno temporaneo, ma quello sull’istruzione bassa degli Italiani non può modificarsi facilmente per invertire la rotta nel breve tempo per indirizzarci verso il meglio del Paese.

Danilo Turco

Migranti e lavoro

Negli ultimi anni si sta riaccendendo il dibattito sugli effetti sul mercato del lavoro che i flussi migratori incontrollati producono. Dibattito che si svolge soprattutto in Italia. Gli studi sono diversi, alcuni evidenziano altri no, differenze significative tra immigrati e nativi e sulla effettiva “pericolosità” degli immigrati per l’occupazione dei cittadini residenti. A riguardo un caso particolarmente interessante preso in esame è rappresentato in Italia dagli immigrati albanesi che, per la loro marcata specializzazione settoriale (settori edile e manifatturiero), assorbono oltre il 46 per cento della manodopera (contro il 26 per cento degli Italiani). Inoltre, la comunità albanese, più giovane di quella italiana (età media di 36 anni, contro i 42 anni  dell’altra), ha anche un basso livello di istruzione, mentre quasi un quarto degli Italiani ha una formazione universitaria.

Le statistiche sembrano però mostrare che, anche a parità di caratteristiche come l’età o il settore, l’ultima crisi economica abbia colpito di più gli immigrati albanesi degli italiani. Ci si chiede allora: si tratta di “discriminazione etnica” per gli immigrati albanesi nel mercato del lavoro italiano? L’analisi dei risultati relativi nel mercato del lavoro (ISTAT) mostra che, rispetto ai nativi, gli immigrati albanesi registrano una probabilità di occupazione di quasi 5 punti percentuali più bassa rispetto agli italiani e il divario è significativamente aumentato negli anni dal 2012 al 2014. A riguardo si è osservato che l’aumento del differenziale nel tasso di occupazione tra Albanesi e Italiani negli anni della crisi dipende dalle differenze nelle caratteristiche socio-demografiche osservabili nei dati (genere, coorte, età, livello di istruzione e regione), che hanno reso gli Albanesi più vulnerabili alla crisi rispetto ai lavoratori italiani. In conclusione si può considerare che lo status di immigrato albanese in sé non è stato causa penalizzante per l’inserimento nel mercato del lavoro italiano negli anni della crisi, secondo una equa interpretazione di quanto sia stato riportato nell’ultimo Rapporto annuale sulla presenza dei migranti, del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, che nel 2015 evidenzia per gli Albanesi un tasso di occupazione del 51 per cento, un valore inferiore a quello rilevato per tutti i gruppi studiati nel rapporto, e un tasso di disoccupazione relativamente alto (22,7%).

Danilo Turco

Istruzione e disuguaglianze

Il rapporto della Commissione europea “Education and Training Monitor 2017” esamina la posizione dei diversi paesi membri rispetto agli obiettivi di Europa 2020 su istruzione e formazione (ET2020). Quest’anno l’attenzione si è focalizzata sulla diseguaglianza nell’istruzione.   Anche se molti Paesi europei fanno progressi su alcuni importanti indicatori come l’abbandono scolastico, la riduzione della diseguaglianza non sembra realizzarsi concretamente,  ma solo formalmente. Questo si riscontra osservando la quota di alunni che non raggiungono il livello di base nel test Pisa in lettura, matematica o scienze. Tale test è riconosciuto necessario per misurare un adeguato inserimento sociale e culturale delle giovani generazioni. I dati rilevano che la maggior parte degli Stati membri ha registrato tassi di successo più bassi nel 2015 rispetto al 2012. La media UE relativa alla percentuale di studenti con risultati bassi nella lettura è cresciuta dal 17,8 nel 2012 al 19,7 nel 2015, annullando i progressi realizzati dal 2009. Per quanto riguarda l’Italia, dopo i miglioramenti ottenuti tra il 2006 e il 2009, nel 2015 si ha un aumento rispetto al 2012 nella percentuale di studenti con punteggi scarsi in scienze e lettura. Tutto questo si concentra tra le famiglie con background socio-economico più svantaggiato: in media nella UE il 33,8 per cento di questi alunni si colloca nel quartile più basso dell’indicatore di status socio-economico e culturale (Escs), mentre solo il 7,6 per cento appartiene al quartile più alto, con uno spread di 26,2 punti percentuali e per l’Italia, è di circa 27 punti percentuali.

Le disuguaglianze di reddito e di benessere generano queste differenze e quindi si apre un’importante questione di giustizia sociale. Ancora oggi, nonostante la scuola di massa diffusa nei diversi Paesi europei e nel mondo occidentale, solo le famiglie benestanti fanno grandi sforzi per aiutare i propri figli a sviluppare abilità cognitive e non cognitive, scegliendo le scuole migliori, assistendoli nello svolgimento dei compiti, pagando lezioni di recupero o vacanze studio (shadow education). Tutto questo implica la necessità che vengano effettuati importanti investimenti in istruzione in favore dei bambini con differente background socio-economico familiare. Infatti, i suddetti sforzi, insieme alla rete di conoscenze familiari, consentono a chi ha un background più vantaggioso, a parità di capacità, di giungere anche da adulto posizioni migliori sul mercato del lavoro, rispetto a chi proviene da una condizione più povera. Ovunque i genitori fanno del proprio meglio per aiutare i figli, ma poiché non tutti hanno le stesse possibilità, le politiche pubbliche dovrebbero cercare di compensare i bambini con background peggiore. Oggi, molto resta ancora da fare per migliorare la qualità delle scuole nelle aree più svantaggiate, incentivando anche i docenti professionalmente migliori a prestare in queste scuole la loro attività, agendo in favore dei meno fortunati.

Danilo Turco

La tragedia dimenticata di Cap Arcona

Tra gli episodi più truci della Seconda Guerra Mondiale, quello della Cap Arcona è certamente uno dei più drammatici, nonché, forse, il meno conosciuto. Un disastro navale che ha fatto cinque volte più vittime del naufragio del Titanic, uno dei più incredibili casi di fuoco amico della storia. Il nome Cap Arcona è legato a molti, tristissimi record, ma è ancora una delle tragedie meno conosciute della storia del Novecento; si tratta di una vicenda controversa, per molti aspetti ancora oscura e destinata a lungo a rimanere tale, perché imbarazzante per tutte le parti in gioco.

Cap Arcona era una nave di lusso, disegnata per attraversare gli oceani, costruita nei cantieri di Amburgo alla fine degli anni Venti con le tecnologie ingegneristiche più moderne del tempo. Ma la sua storia inizia sulla terraferma, in mezzo alle baracche e alle fabbriche di mattoni di Neuengamme, il più grande lager della Germania settentrionale. Secondo recenti stime passarono dentro i suoi reticolati oltre 100mila persone: prigionieri politici ebrei, cristiani e comunisti, artisti e intellettuali, “devianti” di ogni tipo, secondo le classificazioni della folle ideologia nazista, provenienti dalla Germania, dal Belgio, dalla Francia, dalla Polonia.

Morirono in 60mila, decimati da lavori forzati, epidemie di tifo, esecuzioni arbitrarie, esperimenti medici a base di batteri della tubercolosi. Per molti sopravvissuti al lager, però, la fine fu solo rimandata.

Poco prima della fine della guerra, il 3 maggio 1945, più di 7mila deportati morirono sotto il tiro incrociato della Royal Air Force e delle truppe tedesche, nell’affondamento del piroscafo Cap Arcona e delle altre navi-prigione ormeggiate al largo della baia di Lubecca dove si trovavano rinchiusi. Il giorno successivo, il 4 maggio 1945, le truppe inglesi entrarono nel campo di concentramento di Neuengamme, trovandolo completamente vuoto.

Cosa era successo nel frattempo? A bordo di quella che fu costruita per essere la perla della flotta tedesca, c’erano migliaia di prigionieri sfollati da Neuengamme, stipati sulla nave senza cibo né acqua. Probabilmente l’intenzione era quella di affondare la Cap Arcona e altre due navi  portate appositamente nella baia di Lubecca in modo da eliminare le tracce dei crimini commessi nei campi di concentramento. Durante l’imbarco gli uomini delle SS chiusero tutte le possibili vie di fuga e bloccarono le scialuppe di salvataggio. Un particolare che viene interpretato dagli storici come l’indizio dell’intenzione di affondare la nave tramite un’esplosione. Furono bloccate le paratie antincendio e la nave venne provvista di una quantità moderata di carburante, il minimo necessario per il suo ultimo viaggio. Migliaia di deportati morirono nel rogo del piroscafo o annegati nelle acque del Baltico; tra chi riuscì a raggiungere la terraferma, molti furono raggiunti e uccisi dalle truppe tedesche.

La Croce rossa svizzera informò le truppe di terra alleate dell’esistenza delle navi e del tipo di carico da esse trasportato, ma l’informazione non arrivò ai piloti della Royal Air Force che, durante i voli di ricognizione, non riconobbero nei passeggeri dei prigionieri.

L’intera triste vicenda della Cap Arcona è stata di recente ricostruita in un bel libro, ricco di testimonianze e documenti autentici dell’epoca, a cura degli storici Pierre Vallaud e Mathilde Aycard: Le dernier camp de la mort. La tragédie du Cap Arcona.

Una pietra, almeno, a futura memoria.

Rossella Marchese

Moby Prince: l’intera ricostruzione nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta

La sera del 10 aprile 1991, nel porto di Livorno, mentre si consumava una strage a bordo del traghetto Moby Prince, non c’era nebbia. Questa è l’ultima dichiarazione rilasciata da Guido Frilli davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta, istituita nel 2015 proprio per fare luce sull’incidente accaduto 26 anni fa, quando per colpa della collisione tra la  petroliera Agip Abruzzo ed il traghetto Moby Prince morirono 140 persone.

Le parole di Frilli, testimone della tragedia, che quel 10 aprile dalla sua abitazione assistette all’accaduto, non sono mai cambiate in tutto questo tempo: egli ha sempre dichiarato che non v’era nebbia quella sera in rada che poteva impedire la visuale alla petroliera. Un particolare non da poco, dato che proprio sulla persistenza di una densa foschia si sono basate le giustificazioni di chi non ha soccorso tempestivamente i passeggeri a bordo del traghetto. Eppure la sua testimonianza non è mai entrata a far parte del fascicolo giudiziario.

Pertanto la Commissione parlamentare, costituita ad hoc e presieduta dall’esponente PD Silvio Lai, potrebbe fornire una chiave importante nella riapertura del caso in Tribunale, dopo due  processi che hanno visto tutti i possibili responsabili assolti.

La relazione della Commissione, approvata lo scorso dicembre all’unanimità, sarà presentata nel corso del mese di gennaio in un incontro con i famigliari delle vittime, al quale seguirà una conferenza stampa.

Dunque, è auspicabile che grazie al lavoro della Commissione le cause della tragedia saranno a tutti più chiare, soprattutto ai parenti delle vittime, che dopo 26 anni ancora aspettano di capire quale sia la verità e cosa sia realmente accaduto quella notte che ha fatto ritardare i soccorsi così a lungo da procurare tante vittime. Due, in particolare, i fatti che potrebbero essere reinterpretati: la disattenzione dell’equipaggio della Moby Prince, che sarebbe stata causata proprio dalla nebbia che invece pare non ci fosse; e la durata dell’incendio, che secondo quanto appurato in seguito all’audizione di circa 72 testimoni, avrebbe consumato la nave per ore e non in soli 20 minuti, come hanno concluso le due sentenze che nel corso degli anni hanno chiuso il caso senza colpevoli.

Rossella Marchese

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