Simonetta Tassinari: S.O.S. Filosofia. Le risposte dei filosofi ai ragazzi per affrontare le emergenze della vita

“S.O.S. Filosofia. Le risposte dei filosofi ai ragazzi per affrontare le emergenze della vita” ne parliamo con l’Autrice Simonetta Tassinari.

In che modo utilizza il pensiero di Platone ed Erich Fromm per offrire consigli su relazioni amorose complesse agli adolescenti?

Platone ed Erich Fromm, tra gli altri, offrono spunti preziosi per riflettere sulle relazioni amorose, soprattutto nel caso degli adolescenti che stanno attraversando il delicato processo di scoperta di sé e degli altri. Platone, nel Simposio, ci presenta un’idea dell’amore come un itinerario di scoperta e conoscenza che evolve dall’amore per il corpo fino alla contemplazione delle idee più elevate e pure. Il suo mito della biga alata illustra perfettamente come l’amore possa unire anima e corpo e rappresenti  una forza che conduce l’individuo verso la perfezione; insieme, l’amore è presentato come un cammino che, per essere compiuto, richiede crescita, comprensione e un equilibrio tra le diverse dimensioni dell’essere umano. Erich Fromm, da parte sua, ci ricorda  che l’amore è un’arte che dev’essere coltivata con impegno e saggezza. Non basta la passione iniziale, occorre imparare ad amare nel tempo, affrontando le difficoltà, costruendo un legame che vada oltre l’apparenza superficiale, imparando a conoscere l’altro e soprattutto a conoscere se stessi, perché solo chi si conosce sa amare davvero.  Entrambi i filosofi, dunque, suggeriscono che un amore sano non sia affatto un’utopia, bensì un obiettivo che si costruisce, passo dopo passo, con intelligenza,  passione… e pazienza.

Quali insegnamenti degli Stoici e di Thomas Hobbes vengono proposti per affrontare situazioni di bullismo scolastico, e come si integrano queste prospettive filosofiche nel contesto moderno?

Hobbes, coerentemente  con la sua visione della natura umana e di quanto espresso  nel Leviatano, suggerirebbe di affidarsi all’autorità per risolvere il problema del bullismo, in quanto solo un potere superiore può garantire ordine e sicurezza. Gli Stoici, invece, come Seneca ed Epitteto, insegnano a non lasciarsi toccare interiormente dagli insulti e dalle ingiustizie, perché ciò che conta non è l’evento in sé, bensì il giudizio che noi diamo su di esso. Nel contesto moderno, questi due approcci si integrano: da un lato è fondamentale che le istituzioni scolastiche e gli adulti intervengano per proteggere i ragazzi, dall’altro è utile fornire agli adolescenti strumenti filosofici e psicologici per rafforzare la loro resilienza interiore.

In che modo Kierkegaard viene utilizzato per persuadere i giovani a valorizzare l’interiorità rispetto all’esteriorità, e quali argomentazioni filosofiche supportano questa posizione?

Kierkegaard, con la distinzione tra vita estetica ed etica, sospinge a riflettere su come la ricerca dell’apparenza e della popolarità possa condurre a una vita superficiale e insoddisfacente. La sua idea dell’“autenticità” come impegno esistenziale mostra agli adolescenti che concentrarsi sull’interiorità, invece di inseguire l’approvazione altrui, porta a una vita più esaminata, profonda, e anche più felice. Inoltre, il concetto dell’“ora della mezzanotte”, quella in cui la maschera cade e ci si trova ad affrontare il vuoto, dovrebbe farci comprendere che la corsa verso la perfezione non ha scopo né fine, e che piuttosto quella che va curata in ogni modo è la personalità. L’identità non si costruisce con l’omologazione, ma con scelte consapevoli.

Come viene presentata la riflessione kantiana sul “diritto di mentire” nel contesto delle decisioni adolescenziali riguardanti la verità e la menzogna?

Kant sostiene che mentire sia sempre moralmente sbagliato, anche in situazioni estreme, perché mina la fiducia alla base della società. Nel contesto adolescenziale, questa posizione viene analizzata attraverso dilemmi quotidiani: è giusto mentire per proteggere un amico? O per evitare una punizione? Le “mezze verità” sono in realtà delle “mezze bugie” , e questo dovrebbe essere il metro di giudizio basilare. Tuttavia Benjamin Constant, sul quale mi soffermo nel libro anche per stemperare il rigorismo kantiano, ci ricorda che, se dicessimo sempre e solo la pura verità, le relazioni umane sarebbero impossibili! Dunque sì al rigorismo come meta e modello, tenendo pur presente che  la realtà è ben più complicata e ricca di sfumature  di una regola assoluta.

In che modo il libro affronta il tema dell’ossessione per l’immagine personale, e quali filosofi vengono citati per discutere l’importanza dell’autenticità rispetto all’apparenza?

L’ossessione per l’immagine viene analizzata attraverso pensatori come David Hume, il quale è piuttosto bonario su questo “vezzo” umano, e poi Kierkegaard, che  con la sua nozione di autenticità, offre una prospettiva utile per aiutare i ragazzi a liberarsi dall’ansia di essere accettati dagli altri e a concentrarsi su ciò che sono veramente, passando per l’immancabile Kant, con la sua definizione di bellezza. Anche Nietzsche è chiamato in causa con i suoi suggerimenti sul “conferire” stile al proprio carattere.

Quali emergenze della vita quotidiana degli adolescenti vengono analizzate nel libro, e come la filosofia offre strumenti per affrontarle?

Il libro affronta problematiche come la felicità, il successo, il bullismo, l’ansia per il futuro, la solitudine, la paura del giudizio, i cambiamenti in famiglia, il rapporto con la natura, i troppi impegni e il non riuscire a gestirli, e così via: per la scelta dei temi  mi sono basata sia sull’osservazione dei miei alunni, che sul dialogo intessuto con loro, ma anche con i bisogni che emergono da incontri come i “Caffè filosofici”, in genere molto partecipati.  In primo luogo, la filosofia, alle persone di ogni età, giovanissimi compresi, insegna a riflettere criticamente sulle proprie emozioni, azioni e decisioni, sviluppando una consapevolezza che consente di prendere distanza dai conflitti interiori e dalle pressioni esterne. Con la filosofia, gli adolescenti imparano a porsi domande fondamentali sulla propria identità, sul significato delle relazioni, sulla libertà individuale e sul proprio ruolo nella società. La filosofia, infine, promuove il valore del dialogo e della ricerca del senso, invitando gli adolescenti a indagare le proprie convinzioni e a metterle in discussione e, nel contempo, a riconoscere che la ricerca di risposte non finirà mai.

In che modo la filosofia viene presentata come una “miniera di spunti” per ridisegnare i problemi quotidiani, e quali metodologie filosofiche vengono suggerite per applicare il ragionamento alle emergenze della vita?

Il libro mostra che la filosofia, più che fornire risposte pronte, insegna a porre le domande giuste. La filosofia è una “miniera di spunti” perché fornisce strumenti di pensiero che permettono di vedere i problemi quotidiani sotto nuove prospettive. Piuttosto che fornire soluzioni immediate e preconfezionate, la filosofia insegna a porre domande, ad analizzare le situazioni con spirito critico e a sviluppare un atteggiamento riflessivo che aiuta a riorganizzare il modo in cui percepiamo le difficoltà. Le metodologie filosofiche suggerite per affrontare le emergenze della vita comprendono ad esempio:  il dubbio e il pensiero critico, che aiutano a non accettare le situazioni in modo passivo, ma a esaminarle in profondità per capirle meglio; il dialogo e l’argomentazione; la ricerca di principi generali, che aiutano a individuare le connessioni tra eventi apparentemente caotici, offrendo una visione più chiara delle situazioni; l’autoconsapevolezza e la riflessione etica, che permettono di comprendere i propri valori e di prendere decisioni meditate anche in momenti di crisi.

Come viene interpretata la citazione di Cicerone “La filosofia ci aiuta nei casi più gravi e sa intervenire nelle più lievi difficoltà” nel contesto del libro?

La citazione viene utilizzata  per mostrare che la filosofia non è solo un sapere astratto, ma uno strumento concreto che aiuta a gestire sia grandi crisi esistenziali sia piccoli problemi quotidiani. In questo senso, la filosofia è una “cassetta degli attrezzi” sempre utile.

In che modo il libro incoraggia i lettori a diventare “amici dei filosofi” per sentirsi più attrezzati interiormente ad affrontare cambiamenti improvvisi, come quelli sperimentati durante la pandemia?

Il libro incoraggia i lettori a diventare “amici dei filosofi” nel senso di avvicinarsi alle loro idee con curiosità, scoprendo che molte delle loro domande e risposte sono ancora attuali e possono aiutare a interpretare la complessità della vita moderna. Durante la pandemia, molti hanno sperimentato ansia, isolamento e un senso di precarietà. La filosofia aiuta a dare significato a questi momenti, insegnando che il cambiamento è una costante dell’esistenza e che affrontarlo coscientemente può renderci più forti. Attraverso il dialogo con il pensiero filosofico, i lettori imparano a sviluppare un atteggiamento più riflessivo e critico, evitando di farsi travolgere dalle paure o dall’ansia del futuro, che, come scrive Epicuro, “non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro”, sicché è possibile governarne quantomeno il pensiero.  In sintesi, il libro suggerisce che essere “amici dei filosofi” non significa solo studiarli, ma lasciarsi ispirare da loro per affrontare i momenti di crisi con maggiore lucidità e determinazione.

Quali sono le principali emergenze adolescenziali trattate nel libro, e quali filosofi vengono chiamati in causa per offrire soluzioni puntuali e concrete?

Le emergenze analizzate includono l’ansia da prestazione, il senso di inadeguatezza, il bullismo, la difficoltà nelle relazioni,  la paura di non riuscire a essere felici, il fatto di non piacersi, di credersi dei “falliti”, di non riuscire ad accettare i cambiamenti, in famiglia e nella vita. Per ognuna di queste, il libro propone un dialogo con i filosofi. Un esempio tra i tanti: nel capitolo relativo ai segreti sono chiamati in causa Bentham e John Stuart Mill, in quello sui cambiamenti Lao- tzu. Il  ventaglio da me utilizzato è molto variegato: in realtà ho “chiamato a raccolta” i  filosofi di tutti i tempi!

Giuseppina Capone

La casa delle donne, il nuovo romanzo di Cinzia Costato

Parliamo con Cinzia Costato del suo secondo romanzo dal significativo titolo “La casa delle donne”.

Nel suo libro protagonista è la figura femminile di Francesca, una giovane psicologa, e la sua storia come crescita, perché questa scelta?

Francesca rappresenta tutte le ragazze che all’improvviso si trovano di fronte alla prima grande transizione sociale, il passaggio dall’infanzia alla vita adulta. Lascia il mondo sereno e ovattato della fanciullezza  per affrontare quello burrascoso dell’adolescenza. Dinanzi lei, a loro, un nuovo mondo, nuove esperienze e nuove conoscenze che delineeranno nel corso del tempo la loro personalità. E poi i contrasti, il bisogno dei propri spazi, della libertà. Da qui la lotta contro l’autorità per affermare la propria identità: la famiglia, come per tutti, sarà la prima a farne le spese.

Francesca, la nostra protagonista, si allontana da casa per fare del bene, per aiutare e capire il prossimo attraverso se stessa.

Ho scelto l’altruismo come messaggio, e Francesca con me, perché credo sia uno dei valori più importanti ma anche quello che in questo momento storico viva un profondo scoramento. Cosa saremmo noi senza “gli altri”? Non è proprio dal confronto con “gli altri” che scopriamo chi siamo? Io ci credo.

La narrazione al femminile, a suo avviso, è stata per lungo tempo appannaggio maschile…

La narrazione femminile è stata a lungo appannaggio degli uomini e questo ha ovviamente creato delle distorsioni; noi donne per prime incappiamo nella difficoltà di raccontarci senza sfociare nella trappola del pregiudizio patriarcale.

Quanto ritiene importante l’ascolto nella società odierna?

Ascoltare significa donare sé stesso, il proprio interesse, il proprio tempo e soprattutto la propria empatia.

Ma quanto è difficile ascoltare!

Per fare ciò bisogna avere una grande riserva di amore e una grande forza di volontà per mettere a tacere il nostro ego.

Purtroppo oggi si crede che nel parlare si dia impressione di autorevolezza ed ecco che propendiamo più a salire in cattedra che a fermarci ad ascoltare cosa ha da dire il nostro interlocutore.

Siamo sempre più concentrati su noi stessi che a manifestare interesse per gli altri

Nel suo romanzo parla dello spirito Ubuntu, quali i collegamenti con la nostra società?

Nella filosofia Ubuntu l’esistenza umana raggiunge il massimo grado quando fa parte di un tutto, “una umanità condivisa” senza la quale la nostra paura ancestrale ci porta a costruire muri.

Un proverbio Swahili dice: se la casa del mio vicino è in fiamme io non posso dormire tranquillo. Ecco la fraternità universale che supera le barriere di status e di genere creando così una famiglia di Nazioni.

Nella visione morale di alcuni di noi la cartina di tornasole della fraternità è accogliere e proteggere i migranti i quali arrivano a noi come un peso e un fastidio anziché un’opportunità di dialogo e di crescita.

Luoghi e paesaggi come entrano nella narrazione della storia di Francesca?

I luoghi geografici sono il Sudafrica, in particolare la capitale Cape Town, primo stato a sancire sulla costituzione i diritti di uguaglianza di genere fra gli uomini e ad approvare il matrimonio gay. Dunque uno stato avanti mille anni luce. La realtà purtroppo è ben diversa questi diritti sono solo inchiostro che imbratta. L’Omofobia dilaga tra la popolazione.

Cape Town appare divisa in due mondi quello dei ricchi, bianchi europei che si riversa sulla lussuosa long street e di contro quello dei nei di diversa etnia che affollano le lunghissime Town ship. Barracopoli senza acqua potabile in cui vivono famiglie con tantissimi figli riversati per le strade a delinquere per sbarcare il lunario. Proprio in questi polverosi tugurio si animano i personaggi del libro, tutte donne povere e omosessuali costrette a combattere con una società che le vuole invisibili.

Bianca Desideri

Le donne nell’Olocausto: epifanie di resistenza, abissi di sofferenza e custodi della memoria

L’Olocausto, orrido abisso della storia umana, è stato il teatro di un orrore indicibile, una sinfonia funesta orchestrata dal regime nazista per annientare milioni di vite innocenti. In questo panorama di tenebra, le esperienze delle donne si stagliano come frammenti di luce e resilienza, una trama di storie che intrecciano dolore e coraggio, disperazione e speranza. Così, la vita nei campi di concentramento non fu altro che  un supplizio di Erinni. Le donne vivevano una condizione di doppia vulnerabilità, intrappolate tra le maglie di una brutalità sistematica e la violenza sessuale. Lì, dove l’umanità era ridotta a mera ombra, le prigioniere venivano sovente sottoposte a sperimentazioni mediche, tali da sembrare il capriccio di un Prometeo dissennato. La gravidanza, in quell’inferno, era il sigillo della condanna: madri e neonati, privati del diritto alla vita, divenivano numeri nel cinico conteggio della morte. Tuttavia, in mezzo a tale naufragio dell’umano, le donne crearono reti di sorellanza, piccole oasi di solidarietà dove il pane diviso era simbolo di speranza ed il conforto una preghiera silenziosa. Come scriveva Charlotte Delbo: “Là dove tutto è perduto, il gesto condiviso è una rivoluzione.” E ancora, secondo Primo Levi: “La solidarietà era una luce tremolante che impediva al buio di inghiottirci del tutto.

Eppure, s’intravidero scintille nell’abisso. La resistenza delle donne durante l’Olocausto fu come una fiaccola accesa nel vento, tenue ma indomita. Nei ghetti, figure come Vladka Meed e Zivia Lubetkin incarnarono l’ardimento di Antigone, affrontando la morte per trasportare messaggi, armi e provviste. Nei campi, altre eroine sconosciute organizzarono rivolte, come quella di Auschwitz-Birkenau, dove un manipolo di donne osò distruggere un crematorio, trasformando la loro condanna in un’azione di sfida estrema. Altre ancora, nel silenzio gravido di significati, conservarono la cultura ebraica con gesti sottili: cantando ninne nanne proibite, trascrivendo poemi, narrando favole. Questi atti rappresentarono un filo di Arianna che impediva alla memoria di perdersi nel labirinto del male. Come ha scritto Hannah Arendt: “Anche nei momenti di più profonda oscurità, ciò che è umano può risplendere.

Dunque, le madri dell’Olocausto furono arche di sacrificio.

La maternità, in quel contesto di barbarie, fu il simbolo più struggente della condizione femminile. Molte madri furono costrette a decisioni che avrebbero fatto tremare la mano degli dei: separarsi dai propri figli nella speranza di salvarli o accompagnarli nella morte per non abbandonarli. Ogni madre divenne una Penelope dell’orrore, tessendo e disfando speranze, sacrificando il proprio essere per un futuro che non avrebbe mai visto.

Come ricordò Ruth Klüger: “Essere madre, lì, significava portare sulle spalle l’universo intero e sapere che ogni passo poteva farlo crollare.” E secondo Elie Wiesel: “Le madri erano le ultime a cedere; nei loro occhi ardeva una fiamma di protezione impossibile da spegnere.

Non tutto andò perduto: dopo la liberazione, si udirono le voci delle sibille sopravvissute, donne che dell’Olocausto divennero custodi di un patrimonio incandescente, croniste di un inferno che non doveva essere dimenticato. Le loro opere, come quelle di Charlotte Delbo, Ruth Klüger e Gertrud Kolmar, sono mosaici di memorie in cui ogni tessera brilla di una verità dolorosa e necessaria.

Scrivere fu per loro un atto di resurrezione, un modo per sottrarre al nulla le vite spezzate. Come affermava Gertrud Kolmar: “La parola è l’ombra della luce; in essa cerco di ricomporre i volti perduti.” E, nel ricordo di Margarete Buber-Neumann: “Ogni riga scritta è un monumento eretto contro l’oblio.

Ebbene, le donne dell’Olocausto furono al contempo vittime ed eroine, testimoni di un male che è monito per l’umanità. Il loro esempio è un monile di insegnamenti che ci ricorda come anche nelle tenebre più fitte possa brillare una luce. Onorare la loro memoria non è solo un atto di giustizia storica, ma un imperativo morale, un argine contro il rischio che il fiume della storia straripi nuovamente nell’orrore.

Giuseppina Capone

Alla  FoCS incontro con il giornalista-scrittore Nico Pirozzi

Si è tenuta martedì 14 gennaio presso la Sala “Mario Borrelli” della Fondazione Casa dello Scugnizzo a Napoli la presentazione del libro del giornalista e scrittore Nico Pirozzi “Italiani imperfetti. Storie ritrovate di una famiglia di Ebrei napoletani”, organizzata dalla Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus, dall’Associazione Culturale Napoli è, dall’Associazione Memoriæ – Museo della Shoah, dalla Zona 1 dei Leo, Distretto 108 Ya Lions International.

Sono intervenuti all’iniziativa: Avv. Roberto Marino, Presidente  Municipalità 2 Comune di Napoli; Prof. Concetta De Iuliis, Assessore all’Istruzione Municipalità 2 Comune di Napoli; Dott.ssa Valeria Vitale, Presidente Commissione Scuola Municipalità 2 Comune di Napoli; Immacolata Raiano, Presidente Commissione Politiche Sociali Municipalità 2 Comune di Napoli; Dott. Francesco Polio, Presidente  Leo Zona 1 – Presidente Leo Club Napoli Svevo Distretto 108 Ya Lions International e Consigliere della Municipalità 2; Dott.ssa Assunta Landri, Psicologa-Psicoterapeuta.

Ha inviato i suoi saluti il Dott. Enrico Platone, Consigliere delegato Consulta Associazioni, Organizzazioni di volontariato e ETS Municipalità 2 Comune di Napoli.

Ha condotto l’incontro la Dott.ssa Bianca Desideri, giornalista e giurista – Direttore Centro Studi e Ricerche “Mario Borrelli” Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus e Vice Presidente dell’Associazione Culturale “Napoli è”.

Grande è stata l’interazione e la partecipazione dei presenti in sala.

“Luciana Pacifici aveva appena otto mesi quando, il 30 gennaio 1944, assieme ad altre 604 persone, fu inghiottita da un convoglio composto da dieci carri bestiame, da Milano diretto al mattatoio di Auschwitz. Assieme a lei c’erano anche il cuginetto Paolo Procaccia di quattro mesi più grande, i genitori (Loris ed Elda, di 33 e 24 anni), gli zii (Aldo, Milena e Sergio, di 39, 28 e 33 anni) e i nonni (Amedeo e Jole, di 62 e 59 anni). In tutto nove persone. Nove ebrei provenienti da Napoli, la città dove tre di loro (Luciana, Paolo ed Elda) erano anche nati e dalla quale erano fuggiti a causa dei devastanti bombardamenti poche settimane prima dell’arrivo degli Alleati. La loro tragica e beffarda storia non è solo quella di tre generazioni spezzate dalle politiche di sterminio del popolo ebraico, di cui la Repubblica Sociale fondata da Mussolini sulla riva del lago di Garda fu attiva protagonista, ma anche quella della piccola Comunità partenopea che solo per una fortuita serie di coincidenze non ebbe a conoscere il lugubre significato della locuzione tedesca Endlösungder Judenfrage (soluzione finale della questione ebraica). Da sfondo ad una storia di ordinaria quotidianità, che nel giro di appena cinque anni si trasformerà in tragedia per tre famiglie (Procaccia, Pacifici e Molco), c’è la Napoli del ventennio nero, della guerra e dei bombardamenti a tappeto. Ma anche quell’Italia che si è sempre rifiutata di fare i conti con il proprio passato, lasciandoci in eredità una narrazione falsa e fuorviante, che – salvo rare eccezioni – ha ben poco in comune con la realtà dei fatti”. È questo il filo conduttore del libro scritto dal giornalista Nico Pirozzi.

L’aquilone del gelido vento

Il vento gelido impetuoso

soffia nel cassetto curioso.

Saltano, danzano i ricordi

del tempo oramai passato.

 

L’aquilone è volato con stupore

ha spezzato il filo conduttore.

Ora è libero nel cielo turchino

visto con occhi di un bambino.

 

Viaggia nell’inesplorato infinito,

dove il TUTTO si chiama amore

dall’innocente innamorato cuore.

 

Armando Fusaro

Festeggiati a Roma in Campidoglio gli 80 anni dell’AIMC con il convegno “Nell’identità…il futuro”

Nel 1945 Maria Badaloni, un’insegnante elementare romana, fonda insieme a Carlo Carretto l’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC). L’obiettivo era quello di colmare le carenze della scuola elementare, combattendo l’analfabetismo, e di assumersi il compito di provvedere all’insufficiente formazione degli insegnanti, per far sì che l’educazione e l’istruzione diventassero leve per la ricostruzione del Paese.

Ottant’anni dopo, l’associazione ha celebrato il cammino percorso con un convegno dal titolo “Nell’identità… il futuro”, in calendario per il 3 gennaio 2025 a Roma in Campidoglio, presso la Sala della Protomoteca. Il giorno successivo, 4 gennaio 2025, vi è stato, in Vaticano, l’incontro con papa Francesco.

Nel corso di questi ottant’anni – spiega Esther Flocco, presidente nazionale dell’AIMC – “l’associazione ha contribuito in modo determinante alla formazione ed alla crescita nel mondo dell’educazione e della formazione su tutto il territorio nazionale, portando avanti i valori di solidarietà, formazione e cultura cristiana, con l’impegno costante per far sì che la Scuola della Repubblica sia sempre all’altezza della fondamentale missione che la Costituzione le affida per la promozione delle nuove generazioni”. Questo anniversario – conclude la Presidente – vuole rappresentare un momento di riflessione sul passato, di ringraziamento per i traguardi raggiunti, ma anche di proiezione verso il futuro, per continuare con rinnovato impegno a sostenere e valorizzare la missione educativa dei professionisti di Scuola”.

Protocollo d’intesa tra Distretto 108 Ya Lions International e RTI per l’Istituto Colosimo

E’ stato sottoscritto il 10 dicembre a Napoli il protocollo d’intesa tra il Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI), con Ente capofila Gesco Società Cooperativa Sociale, gestore dei servizi Socio-Formativo-Educativo presso l’Istituto Regionale Paolo Colosimo rappresentato da Giuseppe Pennacchio e il Governatore dei Lions International Distretto 108 YA Tommaso Di Napoli.

Un protocollo che si inserisce nell’attività di collaborazione con Istituzioni e Associazioni ormai consolidata del Distretto 108 Ya (Basilicata – Calabria – Campania) sul tema della disabilità che è di grande rilevanza in particolare per la vita delle persone e dei loro familiari e di tutta la società in cui viviamo.

Nel protocollo il Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI), con Ente capofila Gesco Società Cooperativa Sociale, gestore dei servizi Socio-Formativo-Educativo presso l’Istituto Regionale Paolo Colosimo e i Lions International Distretto 108 Ya stabiliscono di avviare percorsi di collaborazione volti a promuovere, valorizzare e supportare attività riguardanti, in particolare, le seguenti azioni:  promuovere la piena realizzazione dei diritti delle persone con disabilità; la formazione e l’inclusione sociale delle persone con disabilità; l’individuazione, la promozione e la valorizzazione di percorsi di inclusione nelle comunità locali; la divulgazione di buone pratiche territoriali inerenti la disabilità attraverso gli strumenti informativi; la realizzazione di tavole rotonde, workshop, percorsi formativi e informativi su temi afferenti la disabilità, per la promozione di una cultura dell’accoglienza e della solidarietà verso i più deboli e bisognose per l’abbattimento di barriere culturali e sociali legate alla disabilità; la realizzazione di Progetti comuni per lo sviluppo delle abilità delle persone disabili e per la loro attiva partecipazione alla vita sociale, culturale ed artistica delle comunità; la collaborazione con Istituzioni ed Associazioni per la tutela dei diritti delle persone con disabilità, anche al fine di sollecitare eventuali interventi legislativi.

Le parti si sono date reciproco impegno per la durata del protocollo a collaborare sinergicamente con un confronto attivo e continuo nell’individuazione degli obiettivi da raggiungere. Il protocollo è stato promosso dalla Delegata del Governatore del Distretto 108Ya Lions International Dott. Tommaso Di Napoli per Disabilità, Protocolli e Rapporti con Istituzioni ed Associazioni Dott.ssa Valeria Mirisciotti.

Castelli ed araldica

Nel numero 219-220 di Cronache Castellane la rivista dell’Istituto Italiano dei Castelli oltre agli interessanti resoconti delle  attività delle Sezioni presenti nelle regioni d’Italia, gli appassionati possono approfondire leggendo l’articolo di Gianfranco Rocculi dal titolo “Castelli ed araldica” il forte dell’Aquila e le vicende dell’imperatore Carlo V d’Asburgo. Il forte dell’Aquila fu edificato su preesistenti strutture difensive medioevali ad opera dell’architetto militare Pirro Luigi Scrivà. I lavori iniziarono nel 1543 ma l’architetto non ne vide la conclusione. Ma non diciamo di più per stimolare la lettura dell’interessante testo.

Imponente il forte è un’opera di particolare interesse non solo per gli appassionati dei castelli.

Antonio Desideri

Psicologia della felicità

In un mondo ricco di complessità quale quello che stiamo vivendo comprendere meglio ciò che ci circonda e noi stessi è sempre più importante. Scoprire una disciplina di particolare interesse e attualità come la psicologia è importante.

E’ uscita da pochi giorni in edicola una nuova collana di EMSE. Protagonista appunto la psicologia in una collana dedicata che aiuta il lettore a scoprire teorie, progressi della disciplina e delle ricerche che vengono portate avanti dagli studiosi del settore.

“Un progetto editoriale innovativo che affronta i principali temi della psicologia, presentandoli in modo divulgativo” questo è quanto si legge nella presentazione della collana.  Ogni volume è dedicato a approfondire una “delle aree di ricerca più attuali e importanti per avvicinare il lettore a questa complessa disciplina in modo esaustivo e completo”.

La collana si occupa di una serie di argomenti quali: teorie della personalità, l’intelligenza, le emozioni, la memoria, le relazioni affettive, leadership, sessualità, comunicazione non verbale, motivazione, depressione, resilienza, lutto, stress, ADHD, psicologia dello sviluppo, l’apprendimento, l’adolescenza, l’invecchiamento.

Il primo volume si occupa della psicologia della felicità, vivere nel qui e ora.

Il prossimo volume in edicola è dedicato all’intelligenza emotiva e a imparare a gestire le emozioni.

Antonio Desideri

 

 

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