Un teatro che difende le donne

 

Domenica, a Napoli, alle 19, nell’ambito della rassegna “Teatro da camera” presentata da PeoniArt Eventi ed organizzata dall’associazione “La città che vogliamo”, “L’ammore, ll’arraggia e ll’addore d’’o mare”, con Anita Pavone, Myriam Lattanzio ed Ugo Gangheri.

“Uno spettacolo – come ci dice Pavone, che ne è anche autrice dei testi – con un tema forte, che spero vedano in tanti, soprattutto uomini, perché alla fine c’è una dolcissima preghiera dedicata a loro, affinché ci stiano accanto nella lotta contro i femminicidi e ogni altro sopruso ai danni delle donne”.

Ma qual è la trama?

“Si tratta di cinque monologhi inediti incentrati sulla violenza nei confronti del mondo femminile, una violenza che notoriamente ha molte modalità, psicologica, familiare, sessuale, omicida. La speranza è che questa attuale società cambi, giacché sta andando verso un maschilismo estremamente preoccupante, e non c’è giorno nel quale non si senta di donne violentate, aggredite con acidi corrosivi, e più. Né la legislazione sembra particolarmente imparziale se alcune sentenze hanno mostrato indulgenza, anche fino all’assoluzione, verso stupratori, quando non anche assassini, perché le loro vittime indossavano biancheria intima leziosa o l’aggressore era in preda a tempesta emotiva, inclinando così ad una demonizzazione della figura femminile che fa ricordare molto il medioevo. Sono anni che studio il problema della violenza sulle donne finendo col leggere testimonianze veramente terribili. Da qui un doveroso impegno sbocciato in me per la causa muliebre che mi vede affiancata da Myriam Lattanzio, altra interprete di questo e di altri spettacoli analoghi. Ma pure nel musicista Ugo Gangheri ho trovato la giusta sensibilità e, con Myriam, un ottimo collaboratore creativo. I vari premi ricevuti per questo testo non sono che uno sprone a continuare ed un’approvazione che mi rende fiduciosa”.

In conclusione, cosa si aspetta da questo lavoro?

“Semplicemente che la gente ci ascolti”.

Rosario Ruggiero

La “nave asilo” Caracciolo e l’esperienza di Giulia Civita Franceschini  

Un esperimento educativo del tutto particolare nacque a Napoli nel 1913, negli stessi anni in cui in Italia si andava diffondendo la navigazione a vapore e, assieme ad essa, una tradizione di scuole nautiche e formazione di figure specifiche che avrebbero dato lustro all’intera Nazione.

In quel contesto storico l’esperienza della nave asilo Caracciolo fu un unicum.

Grazie all’educatrice Giulia Civita Franceschini, quello che poteva rimanere un semplice tentativo di togliere piccoli scugnizzi dalle strade e farne manovalanza per i cantieri marittimi di Castellammare di Stabia e per le navi, si trasformò in un’impresa pedagogica unica che attirò l’attenzione e i complimenti, tra gli altri, di Maria Montessori, Enrico Ferri, Edouard Claparède.

La memoria di questa esperienza scolare è oggi conservata in un ricco archivio costituito da molte  foto e lettere, materiale a stampa, documenti ufficiali, materiale relativo all’istituzione, all’amministrazione e alla gestione della nave, nonché appunti personali e minute di Giulia Civita e testi di interventi pronunciati in manifestazioni pubbliche; tutto materiale preziosissimo di proprietà di Ornella Labriola, deceduta nel 1991, e per sua volontà pervenuto al Museo del Mare di Napoli attraverso i discendenti di un “caracciolino”, Gennaro Aubry, legato alla signora Giulia Civita Franceschini da un rapporto filiale.

Il progetto, ispirato dal principio del “mare redentore” che influenzò la Franceschini, si svolse dal 1913 al 1928 e consentì alla donna di salvare dalla delinquenza e dall’abbandono più di 700 bambini che sulla Caracciolo vivevano come in una comunità a se stante ed autonoma.

La Caracciolo si distaccava da un comune istituto di ricovero e si configurava piuttosto come una particolare modalità di adozione. Gli accolti infatti erano considerati i figli adottivi di una famiglia culturale, non biologica. In tal modo Giulia volle rovesciare lo statuto del bambino orfano o abbandonato, privo di una rete di protezione familiare, predisponendo intorno a questo soggetto debolissimo un ambiente protettivo, vicario della famiglia, il più possibile lontano dalle atmosfere del riformatorio e dell’orfanotrofio.

La prova più efficace del successo di questo modello sta nelle parole della stessa Giulia che a distanza di anni, ripensando ai suoi “caracciolini” e al legame affettivo che continuava a mantenersi vivo tra loro, scriveva:  “moltissimi hanno famiglia, qualcuno ha persino nipoti; eppure ancora, con affetto immutato, rammentano me e tutti coloro che con me collaborarono e che spianarono ad essi la via. […] Resta ancora tra loro, vivissimo, il senso di stretta fratellanza che, dopo tanti lustri, ancora prova che io ottenni quello che volli”.

Ciò che appare ancora attualissimo è la qualità della sperimentazione educativa che si attuò a bordo della nave. Essa si basava su principi avanzatissimi, soprattutto perché praticati in una realtà sociale in cui un intervento di tipo assistenzialistico era generalmente ritenuto più che sufficiente. Al contrario, Giulia Civita non si accontentò di una mera forma di assistenza né di un esclusivo addestramento ai lavori marinareschi: i ragazzi venivano lasciati liberi di scegliere i compiti da svolgere, seguendo le proprie inclinazioni; a tutti i marinaretti, poi, non appena in grado di scrivere, veniva chiesto di mettere per iscritto un racconto della propria vita, anticipando il modo in cui oggi viene intesa la narrazione autobiografica nei percorsi di crescita, ed ancora, il rapporto con gli animali, di cui prendersi cura, aveva un ruolo importante nel percorso educativo sulla Caracciolo.

Questi elementi, assieme ad altri, fecero del progetto di Giulia Civita Franceschini un unicum irripetuto nella storia italiana, che l’avvento del Fascismo interruppe, purtroppo, bruscamente, assimilando gli sforzi della donna nel sistema educativo corporativo.

Rossella Marchese

 

 

 

Bafta Awards 2019: premiati “A star is born” e Rami Malek

La 72a edizione dei British Academy Film Awards, premi conferiti dalla British Academy of Film and Television Arts alle migliori produzioni cinematografiche del 2018 si è tenuta alla Royal Albert Hall di Londra. La cerimonia è stata presentata per il terzo anno consecutivo dall’attrice britannica Joanna Lumley. Le candidature sono state annunciate il 9 gennaio 2019. I film della serata sono stati La favorita di Yorgos Lanthimos e Roma di Alfonso Cuarón, che probabilmente si prenderanno anche molti degli Oscar più importanti.

La favorita ha ricevuto sette premi, compresi quelli a Olivia Colman e Rachel Weisz come miglior attrice protagonista e non protagonista. Roma ha ricevuto quattro premi, due dei quali molto importanti: quello per il miglior film e quello per la miglior regia. Rami Malek ha vinto il premio come miglior attore protagonista per essere stato Freddie Mercury in Bohemian Rhapsody e Mahershala Ali è stato premiato come miglior attore non protagonista per la sua interpretazione in Green Book.

Come ha scritto Alex Marshall sul New York Times, la cerimonia di quest’anno è stata più rilassata e meno seria rispetto all’anno scorso, quando la maggior parte degli invitati indossò abiti neri in solidarietà al movimento #MeToo e a Time’s Up, l’associazione fondata da circa 300 donne del mondo del cinema per combattere discriminazioni e molestie. È stato, ha scritto Marshall, «un evento spensierato, con giusto un paio di battute a tema politico». Nel consegnare il premio per la miglior colonna sonora l’attore e regista Andy Serkis ha detto che «un film senza musica è come il Regno Unito senza l’Europa».

I BAFTA, sono considerati importanti anche in previsione degli Oscar, la cui cerimonia di premiazione sarà il 24 febbraio. Anche agli Oscar ci si aspetta che molti premi finiscano divisi tra Roma e La favorita, entrambi nominati in dieci categorie.

Nicola Massaro

I luoghi delle fiabe di Basile in Lucania

C’era una volta… e magari proprio in Lucania. Quando Basile completò il suo Cunto de li Cunti, una raccolta di 50 racconti ispirati dalla tradizione orale popolare, lo fece ad Acerenza, in provincia di Potenza, nel 1630, dopo aver preso servizio per il Duca di Acerenza  Galeazzo Pinelli e dopo aver girato in lungo e in largo tra Campania e Basilicata.

In effetti la Lucania appariva agli occhi dei visitatori un luogo incantato : ecco cosa diceva l’enciclopedia Treccani sulla Basilicata nell’edizione del 1930: Un mondo vasto di leggende sull’antichità dei paesi, con eroi eponimi, e fate, orchi, regine, re, maghi, palazzi incantati; la comparsa degli spiriti e del monaciello popola fantasie e racconti orali; diavoli che costruiscono ponti giganteschi, o sovrappongono montagne a montagne.

Racconti come La Bella Addormentata nel Bosco, Hansel e Gretel, Raperonzolo, o Cenerentola, da sempre nell’immaginario patrimonio del popolo e del folklore tedesco (grazie al tramite dei fratelli Grimm), sono, invece, frutto dei racconti orali tramandati dagli abitanti di remoti luoghi del nostro Meridione, trascritti per la prima volta e in dialetto, dal nobile napoletano Giambattista Basile.

Il ricercatore Raffaele Glinni ha provato ad identificare i luoghi dove sono nate queste fiabe, scoprendo analogie sorprendenti.

La bella principessa dalla lunghissima chioma, rinchiusa nella torre di un castello, in realtà non fu Raperonzolo, bensì Petrosinella, imprigionata nel castello federiciano di Lagopesole.  Il suo nome, tanto bizzarro, deriva dal prezzemolo (la pianta che coltivava la strega e che la futura mamma della protagonista del racconto aveva rubato per soddisfare una voglia dovuta alla gravidanza), ma anche da pietra, infatti ancora oggi è visibile la statua di una donna con le trecce posta sopra una torre nel castello in attesa di essere liberata. La fiaba venne poi diffusa da Normanni in Sicilia, dove continua ad essere raccontata dai pescatori.

Il Monte Pollino fa da scenario a quella che è la favola della Bella Addormentata nel Bosco. Ancora oggi la cima della montagna si chiama serra Dolcedorme e Cozzo della Principessa. Si ipotizza che i pastori presero a raccontarla vedendo sulla cima e tra le nebbie i pini Loricati, i cui rami, una volta caduti e persa la corteccia, assomigliano ad esseri umani in riposo.

Ma la stessa Acerenza conserva antichi riferimenti alle leggende popolari che intrecciano ninfe, fontane miracolose, passaggi misteriosi che conducono all’aldilà, e che sono diventati terreno fertile per la fantasia di Basile.  Non a caso proprio ai piedi della superba cattedrale acheruntina è nato il “museo della fiaba”.

Rossella Marchese

 

 

Scugnizzi tra le righe

Emozionante incontro il 25 gennaio scorso alla Fondazione Casa dello Scugnizzo per la presentazione del libro “Figli del Sole”, traduzione a cura di Salvatore Di Maio del libro “Children of the Sun” dello scrittore Morris West, per i tipi de La Città del Sole, pubblicato per la prima volta nel 1957.

Morris West volle conoscere Napoli, la vera Napoli, grazie a Padre Mario Borrelli, introducendosi nel difficile contesto sociale vissuto dagli scugnizzi in questa città devastata.

Di Maio, da ex scugnizzo, con il suo intervento riesce a far riscoprire i valori di una città divisa tra buio e luce, paradossi e contrasti.

Ma chi è realmente lo scugnizzo? Chi non ha mai sentito o pronunciato almeno una volta questa parola?

L’etimologia è associata al termine “scugnare”, (dal latino “ex-cuneare”, ovvero “rompere con forza”) utilizzato nel gioco della trottola.

Essere uno scugnizzo è un vanto, ma è anche una condizione di necessità, una vera e propria lotta alla sopravvivenza.

Lo scugnizzo è un elemento fastidioso per la società, la stessa che decide, oggi come allora, di allontanare questi giovani, senza dar loro l’opportunità di essere ascoltati.

Morris West diventa dunque testimone, grazie a Borrelli, di una realtà che non ha eguali, focalizzando l’attenzione su questi ragazzi e riuscendo a dar loro la giusta importanza e voce in capitolo, da sempre negate.

Al dibattito culturale hanno preso parte Sergio Minichini, presidente del “Centro Studi Mario Borrelli”, lo storico Guido D’Agostino ed il presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo.

Antonio Lanzaro che, attraverso ricordi, immagini e percorsi di vita differenti, hanno ripercorso anche tappe della loro gioventù ricollegandosi al libro.

Un grazie in particolare va inoltre a Bianca Desideri, direttore del “Centro Studi Mario Borrelli” e alla Consigliera della Fondazione Antonella Verde per l’opportunità di dibattito e scambio di esperienze tra i partecipanti.

Maria Nemoianni

Percorsi alla scoperta della  musica con il M° Rosario Ruggiero

Grande partecipazione per l’incontro che ha inaugurato la seconda edizione di “Percorsi alla scoperta della musica”, gli incontri culturali con il M° Rosario Ruggiero.

L’iniziativa organizzata dall’Associazione Culturale Napoli è,  si tengono ogni primo venerdì del mese presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo, presieduta dal prof. Antonio Lanzaro.

Un percorso alla scoperta di termini, autori, elementi di storia della musica. IL prossimo incontro in calendario è previsto per venerdì 1° febbraio ore 18.00.

Maria Nemoianni

 

(Foto di Maria Nemoianni: M° Rosario Ruggiero)

 

I primi 50 anni di Led Zeppelin I

Cinquanta anni fa usciva il primo album della storica band capitanata dal virtuoso Jimmy Page: il debutto discografico dei “più maledetti del rock”.

Eppure, lo storico Led Zeppelin I, iconografico già dalla sua copertina, con l’Hindenburg in fiamme, un momento prima di schiantarsi al suolo, non ebbe il riconoscimento che, invece, gli diede la storia. “Difficile da interpretare”, questo il tiepido commento che dell’opera prima degli Zep fece Rolling Stone; non andò meglio tra gli illustri colleghi del gruppo, cioè Beatles e Rolling Stones, che stroncarono il disco, definito inascoltabile.

Led Zeppelin I nacque in fretta e furia, da un’esigenza insopprimibile di Page che aveva messo su quel suo nuovo gruppo in 6 mesi, dalle ceneri degli Yardbirds, e voleva partire subito con un tour che promuovesse la musica nuova che aveva in testa e che riusciva ad interpretare benissimo con i suoi nuovi compagni di viaggio: alla batteria il “picchiatore” John Bonham, alla voce l’“adone biondo” Robert Plant e, per tutto il resto, il “versatile polistrumentista” John Paul Jones.

Il disco vide la luce alla fine di quel tour fulmineo per farsi conoscere; era il 1969.

I Led Zeppelin chiudevano così, simbolicamente, gli anni ’60 e inauguravano la decade successiva che li avrebbe visti padroni assoluti del mondo.

Basta melensaggini, il volume saliva a livelli mai visti, il blues diventava lisergico nelle mani degli Zep, dilatandosi e mischiandosi a vecchie formule folk. Il tutto trasfigurato da quattro individualità imbattibili ognuna nel suo genere, come per poche altre band è mai successo.

Dal manifesto di Good Times Bad Times che apre l’album fino alla tarantolata How Many More Times è un susseguirsi di standard che trovano il loro acme in Dazed and Confused, cavalcata onirica che, come da titolo, stordisce e confonde l’ascoltatore, accompagnandolo agli inferi e facendolo poi ritornare di sopra, con delle accelerazioni che fino ad allora non si erano mai sentite e uno spropositato tempo di esecuzione di 28 minuti.

Il Dirigibile era partito. E nessuno l’avrebbe più fermato.

Rossella Marchese

 

Contro la Violenza sulle donne

Organizzato da Cinzia Del Giudice, Valentina Barberio, Anna Cigliano e Giorgio Cinquegrana, oggi, al Vomero, alle 10,30, nella Sala “Silvia Ruotolo” della Municipalità, convegno dal titolo “Violenza sulle donne: la rete territoriale e la costruzione di percorsi integrati”.
Copiosi gli interventi previsti, dal presidente della V Municipalità, Paolo De Luca, al direttore dell’Azienda Ospedaliera Cardarelli, Ciro Verdoliva, ad Elvira Reale, di Centro Dafne, Fiorella Palladino e Flora Verde, di Percorso Rosa, Simona Marino e Roberta Gaeta, del Comune di Napoli, il fondatore dell’associazione “Maschile Plurale”, Alberto Leiss, e, delle Forze dell’Ordine, il vice commissario Lidia Pastore ed i comandanti Luca Mercadante e Gaetano Frattini.

Sanremo 2019: Claudio Bisio e Virginia Raffaele conducono il Festival con Claudio Baglioni

Da Arisa a Nek, tutti i cantanti in gara

Le indiscrezioni circolavano ormai da tempo, ma sabato 5 gennaio è arrivata la conferma: saranno Claudio Bisio e Virginia Raffaele ad affiancare Claudio Baglioni nella conduzione del Festival di Sanremo 2019. Il 9 gennaio, Bisio e Raffaele hanno tenuto con Baglioni al Teatro Ariston la conferenza stampa di presentazione dell’evento. Lo scorso anno, ad affiancare il direttore artistico del Festival erano stati la showgirl Michelle Hunziker e l’attore Pierfrancesco Favino. Per Claudio Bisio e Virginia Raffaele non sarà la prima volta in assoluto sul palco dell’Ariston. Entrambi infatti sono stati invitati come ospiti in passato, la Raffaele anche durante l’edizione 2018.

Il Festival della canzone italiana andrà in onda, in prima serata, da martedì 5 febbraio a sabato 9 febbraio 2019. La kermesse verrà trasmessa, come sempre in diretta tv su Rai1 e in diretta radio su Rai Radio 2. Non è ancora stato precisato l’orario della messa in onda. Ogni anno però, anche a causa dell’alto numero di cantanti che devono esibirsi, Sanremo inizia sempre un po’ prima rispetto alle normali trasmissioni della sera.

Lo spettacolo di Sanremo non si ferma solo a quello che accade sul palco dell’Ariston. Subito dopo lo show, ogni anno c’è anche spazio per una cornice di puro divertimento e spensieratezza, utile a smorzare la tensione della kermesse musicale più importante d’Italia: il DopoFestival. Quest’anno, a condurlo sarà l’attore comico Rocco Papaleo.

Di seguito tutti i cantanti: Federica Carta e Shade – Senza farlo apposta, Patty Pravo e Briga – Un po’ come nella vita, Negrita – I ragazzi stanno bene, Daniele Silvestri – Argento vivo, Ex otago – Solo una canzone, Achille Lauro – RollsRoyce, Arisa – Mi sento bene, Francesco Renga – Aspetto che torni, Boomdabash – Per un milione, Enrico Nigiotti – Nonno Hollywood, Nino D’Angelo e Livio Cori – Un’altra luce, Paola Turci – L’ultimo ostacolo, Simone Cristicchi – Abbi cura di me, Zen Circus – L’amore è una dittatura, Anna Tatangelo – Le nostre anime di notte, Loredana Bertè – Cosa ti aspetti da me, Irama – La ragazza col cuore di latta, Ultimo – I tuoi particolari, Nek – Mi farò trovare pronto, Motta – Dov’è l’Italia, Il Volo – Musica che resta, Ghemon – Rose viola, Mahmood (vincitore di Sanremo Giovani 2018 – titolo da definire), Einar (vincitore di Sanremo Giovani 2018 – titolo da definire).

Nicola Massaro

 

 

 

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