Il CITS e il Symposium sulla fotografia sociale

La fotografia sociale è il tema su cui si è basato il Symposium presso la sede del progetto Uniforme. Vincenzo Angrisani, Raffaele Federico, Emilio Oriente e Carlo Landolfi sono stati i conduttori di questo conviviale incontro descrivendo, accuratamente, la storia della fotografia. La fotografia oltrepassa i secoli attraversando anche l’evoluzione sullo studio da parte di artisti e scienziati fino ad arrivare ai tempi moderni dove, l’utilizzo dello Smartphone, è riuscito a svalutare il valore di questo strumento diminuendone, appunto, il potere suggestivo e rivoluzionario.

Può ancora oggi la fotografia svolgere la funzione di scuotere quelle coscienze impigrite perché rassegnate da una ineludibile realtà circostante? E’ questo il quesito che molte persone al giorno d’oggi si pongono. Le risposte date alla domanda sono state tutte diverse e sostanziate da esempi recenti; quello riportato nella discussione è relativo al propagarsi di immagini sui social che, nell’arco di poco tempo, sono state in grado di diventare virali e manipolare e influenzare, purtroppo e spesso negativamente, il comportamento delle persone più sensibili e fragili. Per questo motivo, la fotografia, deve tornare ad essere utilizzata allo scopo di trasmettere emozioni, a chi la osserva e a chi la scatta, attraverso informazioni interessanti e idee positive atte a migliorare l’ambiente e la qualità della vita delle persone. A tal proposito, attraverso il programma di attività sociale denominato “Scatta e riscatta”, il progetto “Vivere meglio” utilizza proprio la fotografia come strumento di sensibilizzazione e risveglio delle coscienze. Da settembre 2021 questo progetto ha dato vita ad una serie di iniziative che ha stimolato i cittadini a partecipare attivamente (singoli o in gruppi) e che, con le foto-segnalazioni di degrado ambientale e igienico sanitario, (indirizzate agli enti responsabili e alla Stampa) sono riusciti a evidenziare alcune problematiche risolte poi con esito positivo. Al dibattito, seguito agli interventi, ha piacevolmente partecipato con interesse il cospicuo pubblico presente al Symposium, che ha, inoltre, collaborato ad incrementare l’incontro con nuove idee e nuove proposte.  Tutti gli interventi saranno inseriti in una pubblicazione.

Alessandra Federico

Alla FoCS l’incontro: La condizione delle Donne negli eventi bellici e nelle situazioni di conflitto

Martedì 17 maggio 2022 alle ore 10.30, la Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus, in piazzetta San Gennaro a Materdei n. 3, Napoli, organizza un incontro di informazione e formazione sul tema “La condizione delle Donne negli eventi bellici e nelle situazioni di conflitto”.

“L’iniziativa – evidenzia Antonio Lanzaro, presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus – raccoglie e rilancia, come focus di discussione, quanto emerso dalle riflessioni e istanze rappresentate a più voci in questi tragici mesi ed anche nell’ambito dello sportello FocsAscolto, dello Spazio Donne e del Centro Studi e Ricerche Mario Borrelli”.

Un momento di forte riflessione, così come nella tradizione della Fondazione, sulla condizione della Donna nelle situazioni di conflitto e guerra in questa difficile situazione internazionale e alle porte dell’Unione europea, che si sovrappone alla pandemia da Covid-19.

Un incontro dedicato a tutte le Donne ucraine e di tutto il mondo coinvolte in situazioni di conflitto e violenza per sensibilizzare sempre più tutti a lavorare per la pace in ogni situazione e in ogni luogo.

Dopo i saluti del presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus prof. Antonio Lanzaro interverranno: la Dott.ssa Bianca Desideri, Giornalista-Giurista, Direttore “Centro Studi e Ricerche Mario Borrelli della Fondazione Casa dello Scugnizzoonlus” anche in veste di moderatrice; la dott.ssa Matilde Colombrino, assistente sociale della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus; Gaetano  Bonelli, Direttore del Museo di Napoli-Collezione Gaetano Bonelli e della Casa Museo “Enrico Caruso”; l’Arch. Laura Bourellis, esperta Beni Culturali, Consigliera Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus; la Dott.ssa Assunta Landri psicologa – psicoterapeuta, consulente Procura della Repubblica presso Tribunale di Napoli Sportello d’ascolto psicologico ”FocsAscolto” Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus.

Per partecipare all’evento è necessario attenersi alla vigente normativa per il contenimento del Covid-19.

“Scatta e riscatta” con il CITS

Il 13 maggio 2022, nell’ambito del Maggio dei Monumenti, si è tenuta  una interessante  ecofotopasseggiata organizzata dal CITS.

L’iniziativa, che ha il Patrocinio morale della seconda Municipalità del Comune di Napoli, ha condotto i volontari del progetto VIVERE MEGLIO lungo  via Duomo  fino a raggiungere la Chiesa San Giorgio Maggiore ai Mannesi.

La Chiesa risalente il IV secolo d.c., è un prezioso tesoro semignorato, posto in piazzetta ai Mannesi, un piccolo largo che da via Duomo conduce a  via Forcella.

Come tutto il patrimonio artistico culturale di Napoli è un luogo trascurato, con rifiuti abbandonati lungo la strada, cassonetti per i rifiuti aperti 24h24. La carreggiata presenta diverse buche causate da sampietrini divelti e sparsi ovunque.

Tutto meticolosamente documentato da fotografie  che andranno  a costituire  la mostra estemporanea “Scatta e riscatta”.

Marcostefano Gallo: L’illusione del melograno

Il percorso dei protagonisti si dipana anche a ritroso nel tempo; si serve di ricordi ingialliti e via via emergenti. La sua personale indagine adopera flashback che compongono un puzzle di notevole suspense. Quale valore attribuisce all’elemento della “memoria” nella sua produzione? Si possono davvero chiudere i conti con il passato?
La memoria, in particolar modo nei romanzi in cui si indaga negli aspetti più torbidi dell’animo umano, è un elemento fondamentale, asse portante del comportamento dei veri personaggi, che spesso agiscono in base alle esperienze pregresse, che siano positive o meno. I conti con il passato non si chiudono mai, c’è sempre qualcosa che ritorna anche quando pensiamo sia tutto finito. È la natura umana del resto, soprattutto quella dei più fragili: volgiamo lo sguardo avanti ma la mente ed il cuore rimangono sempre un po’ negli anni persi, per varie ragioni.
Il suo romanzo narra di Tancredi e sua madre, agli antipodi tuttavia legati da un laccio sentimentale inscindibile, quello della famiglia.
Perché i legami familiari sono sempre così passionali, in grado, al contempo, di allontanare ed attirare, congiungere e dividere, annientare e generare?
La famiglia è il luogo in cui non scegli di abitare, ma quello che ti viene posto in dote, da questa casualità possono nascere divergenze (o convergenze) che inevitabilmente segnano la tua esistenza ed il tuo cammino. Essendo appunto persone con le quali spesso si convive a lungo tutto è amplificato ai massimi livelli, ed il sangue in comune porta inevitabilmente ad una sorta si legame speciale.
Tancredi vive come un animale in cattività, inconsapevole della propria natura. Quanto coraggio occorre per saltare dal trampolino ed aprirsi ad una vita piena in cui far emergere con forza il proprio talento?
Mi viene in mente il titolo di un disco del mio gruppo, i Noir Col: La teoria del primo passo. Ebbene, ogni passo che facciamo verso le nostre scelte è una rottura inevitabile con il vissuto che fino a quel momento abbiamo avuto.  C’è chi nasce con questo coraggio e riesce a sfruttarlo, c’è invece chi come Tancredi ha bisogno di una “spinta” causata da fattori esterni, che in questo caso non faranno altro che infondegli la fiducia giusta.
Macchinazioni, intrighi, segreti, misteri, verità sapientemente celate, insabbiamenti, enigmi: sono ingredienti essenziali del giallo. Il suo romanzo in che misura diverge dal genere codificato?
Generalmente faccio solo un tipo di distinzione nel mondo del romanzo: bello o brutto. Penso che nel caso di questa storia ho affrontato un tema che mi è caro, ovvero l’indagare sugli aspetti più neri dell’animo umano, il nostro personale “dark side of the moon”. In generale poi le storie ambientate nei piccoli borghi sono sempre in un certo qual modo intrise da segreti, misteri e verità che diventano menzogna (e viceversa). È l’animo umano ad essere così tremendamente complicato, per fortuna di chi deve scriverne.
Lei è uno storico dell’arte, scrittore, cantante e autore della band Noir Col.  Quanto ha riversato nella sua scrittura della sua eclettica vita professionale e spirituale?
Direi che tutto confluisce in un unico contenitore. Gli studi universitari mi hanno infuso il metodo giusto e la pazienza che occorre per orchestrare un’opera complessa come un romanzo, mentre la musica mi ha regalato il senso della fluidità nello scrivere (cosa che non per tutti è un pregio). In generale direi che la scrittura è una perfetta sintesi di quel che è stato il mio percorso di studi, che ha modellato anche la forma dei miei sogni.
Marcostefano Gallo, ha conseguito una Laurea Specialistica in Storia dell’Arte. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni letterarie:
“L’arte di uccidere” Calabria Letteraria Editrice (2007)
“L’infinito per me” CSA Editrice (2008)
“La vendetta ha il mio stesso nome” CSA Editrice (2009)
“Circo Dovrosky” Ferrari Editore (2016)
“La fragilità dei Palindromi” Ferrari Editore (2018)
“Lo strano caso del Rêverie” Scatole Parlanti (2020)
“L’illusione del melograno” Pellegrini (2021)
Giuseppina Capone

Riapre l’antico Teatro di Ercolano

”Con questa riapertura vogliamo sensibilizzare i nostri cittadini. Attraverso il turismo e la nostra storia Ercolano può rinascere e soprattutto creare con le sue bellezze tanti posti di lavoro di cui il Meridione ha gran bisogno” – ha dichiarato Ciro Buonajuto, sindaco di Ercolano.
Il Teatro di Ercolano riapre finalmente le porte. L’antico Teatro fu sepolto dall’eruzione del 79 d.C, mentre nel Settecento veniva scelto da turisti di tutta Europa (dopo essere stato il primo monumento esplorato tra tutti i siti vesuviani colpiti dal cataclisma).

Da domenica 24 aprile e ogni sabato fino a dicembre, il Teatro di Ercolano sarà nuovamente aperto a chiunque abbia voglia di respirare storia, arte e cultura: scale realizzate in età borbonica (con torce ed elmetti protettivi), cunicoli in cui sono visibili reperti, gallerie, graffiti, e piccole stalattiti.

A venticinque metri di profondità, il teatro, fonde la città antica con quella moderna, unisce il parco archeologico con la città sovrastante del mercato dei vestiti usati di Pugnano e il suo centro storico. ”Un luogo straordinario che è il punto di partenza per andare a visitare e scoprire il resto della città di Ercolano. Ci troviamo nel punto in cui è nata l’archeologia occidentale e moderna: con la data del 1738 cominciano gli scavi sistematici proprio dal sito del Teatro. Qui viene sperimentata una forma innovativa di documentazione che non era stata realizzata fino ad allora: qui, ad esempio, viene realizzato un plastico del 1802 che è basato su quello del Settecento che era stato rovinato da un incendio, e che noi esponiamo”, ha affermato, durante la visita in anteprima alla stampa, il direttore del Parco archeologico Francesco Sirano.

L’affascinante teatro, per volere del duoviro Annius Mammaìianus Rufus e progettato dall’architetto P. Numisius, fu costruito in un’area nei pressi del foro durante la prima fase dell’età augustea, (all’interno si svolgevano commedie e satire e poteva ospitare duemilacinquecento persone). Prima ancora di essere sotterrato da ceneri, fango e lapilli durante l’eruzione del Vesuvio del 79, il Teatro aveva già subito gravi danni a causa del terremoto di Pompei avvenuto nel 62. Nel 1710 fu scoperto da Ambrogio Nocerino, un contadino che, intento a scavare un pozzo per il suo orto, trovò dei pezzi di marmo che vendette, poi,  ad un artigiano di Napoli. L’artigiano lavorava per il duca Emanuele Maurizio d’Elboeuf, che, una volta venuto a conoscenza dei ritrovamenti, decise di acquistare il pozzo e di cominciare le indagini tramite cunicoli sotterranei.

Diversi furono i tentativi di studio per arrivare alla scoperta del teatro: l’architetto, ingegnere, archeologo svizzero Karl Jakob Weber, introdusse una tecnica di scavo ordinata, mentre, poco tempo dopo, tramite l’utilizzo di una pompo idrovora, Francesco La Vega, (ingegnere e archeologo) riuscì a raggiungere il piano di calpestio in cocciopesto. Ancora, altri studi furono intrapresi da Francois Mazois all’inizio del XIX secolo.  Ma per un lungo periodo le ricerche furono completamente accantonate e solo nel 1865 venne restaurato l’ingresso per la discesa del Teatro.

Un vero e proprio tesoro dal valore inestimabile l’antico teatro di Ercolano,  finalmente pronto per essere nuovamente vissuto.

Alessandra Federico

Samantha Colombo: Polvere e cenere

Samantha Colombo ha studiato etnomusicologia e lavora tra editoria, musica e comunicazione. È appassionata di letteratura inglese e americana, espressionismo tedesco e avanguardie russe. Ha scritto racconti in numerose antologie collettive. “Polvere e cenere” è il suo primo romanzo.
“Polvere e cenere” ha, evidentemente, richiesto ricerche storiche accurate e meticolose. Quale metodo si è imposta di adottare per trattenere le informazioni e, poi, renderle narrativa?
La ricerca storica è stata, per me, la fase più coinvolgente nella stesura del romanzo. Dopo aver abbozzato la trama, ho deciso di inserire gli eventi in un contesto il più possibile verosimile. Ad esempio, si parla di una rappresentazione della “Bohème” a Londra: lo spettacolo è andato davvero in scena nel giorno e nel teatro che sono descritti. Il metodo che ho adottato, e che mi è più congeniale, è stato di avere una padronanza il più possibile completa del periodo storico di riferimento, iniziando con ricerche su libri e archivi online, prendendo appunti. Studiando sono poi arrivate ulteriori idee per arricchire la trama e costruire meglio i personaggi. Inoltre, ho passato parecchio tempo ai Metropolitan Archives di Londra, dove ho potuto consultare documenti originali, mappe e altro materiale. Costruire una scenografia il più possibile accurata è stato indispensabile, anche perché Londra è una dei protagonisti principali.
Gloria vive nell’Ottocento in modo spregiudicato e consapevole. “Spingersi oltre i propri limiti e scardinare le proprie convinzioni, a dispetto di tutto, era ciò che la sua natura meglio rispecchiava” Quali sono le peculiarità che la rendono contemporanea?
Gloria è un personaggio abbastanza sopra le righe per la sua epoca, tuttavia non così atipico. Studiando la società tardo-vittoriana, ho trovato infatti molte somiglianze con la nostra epoca, sia nella spinta all’innovazione sia nelle criticità sociali e politiche. È una donna che, da sempre, si è trovata a badare a sé stessa, facendo scelte complesse, affrontando rinunce, costruendo una professione, gestendo la propria indipendenza economica, tutti aspetti molto difficili per le donne dell’epoca e, mi viene da dire, ancora oggi oggetto di rivendicazioni. Credo che la narrazione delle donne di ogni tempo, anche nella contemporaneità, abbia dei tratti comuni: uno di questi è senza dubbio il legittimo bisogno di affrancarsi da uno stato  di subordinazione, vivere appieno la propria vita, per quanto ciò comporti difficoltà e sofferenze.
Il percorso dei protagonisti si dipana anche a ritroso nel tempo; si serve di ricordi ingialliti e via via emergenti. La sua personale indagine adopera flashback che compongono un puzzle di notevole suspense. Quale valore attribuisce all’elemento della “memoria” nella sua produzione? Si possono davvero chiudere i conti con il passato?
L’elemento della memoria è essenziale, nel romanzo così come nella vita di ogni giorno. Per me è naturale scrivere racconti di ambientazione storica, mi trovo a mio agio con il passato nella misura in cui mi aiuta a mettere ordine nel caos del presente. Per usare un’immagine che amo molto, direi che non ho paura dei fantasmi, anzi: mi trovo a mio agio con loro, hanno molto da dire e, spesso, dei consigli da non sottovalutare. Per quanto riguarda il chiudere i conti col passato, non vedo le nostre vite come suddivise in compartimenti stagni. Credo che ogni decisione presa, che porti poi a soddisfazioni o rimpianti, sia stata dettata da emozioni e influenze che ci hanno portato ad agire in un determinato modo, questo non si può cambiare. Sono però davvero convinta che il passato ci dia una grande possibilità: quella di migliorare, di non commettere gli stessi errori, di lasciare andare ciò che ci fa stare male. Ci dà anche una grande speranza: che la felicità, spesso, è accanto a noi e dobbiamo riuscire a vederla, raccogliere le forze e lottare, se necessario, per lei.
Macchinazioni, intrighi, segreti, misteri, verità sapientemente celate, insabbiamenti, enigmi: questi sono ingredienti essenziali del giallo. Il suo romanzo, tuttavia, indossa una veste storica. Ebbene, in che misura diverge dal genere codificato?
Ci sono esempi stupendi di giallo storico, mi vengono in mente, ad esempio, Caleb Carr con “L’alienista” oppure la stessa Agatha Christie, con lo spesso trascurato “C’era una volta”, per non parlare di una pietra miliare del genere, “Il nome della Rosa” di Umberto Eco. Ho immaginato “Polvere e cenere” quando ero un’adolescente e l’ho ripresa alcuni anni fa, trovandomi quasi spiazzata per la presenza di tutti gli elementi appena citati, ma non credosi possa definire un  giallo nel senso stretto del termine. Forse è un racconto d’avventura con venature noir, soprattutto per le sfumature nei caratteri dei protagonisti, che prendono decisioni spesso opportuniste, trovandosi ad abbracciare il male in luogo del bene. Il giallo, come si diceva giustamente, ha delle regole ben codificate e credo che l’ambientazione storica presenti molti aspetti interessanti, uno su tutti quello di consentire a chi scrive di dare uno sguardo inedito a ciò che vuole raccontare, magari inserendo dei parallelismi con l’attualità.
Londra è da sempre una città caleidoscopio, multiple, imprevedibile, variabile?
Quali sono le ragioni che l’hanno indotta a sceglierla come ambiente che “accoglieva nel suo ventre universi tanto dissimili, uniti nel nome di una speranza più forte della povertà e persino della morte”?
Londra è proprio così e, come accennavo, è forse la protagonista principale del romanzo. L’ho scelta proprio perché, in origine, il mio desiderio era di scrivere una storia ambientata tra le sue strade. Anzi, l’intero racconto nasce proprio prendendo ispirazione da una vecchia cartina della città, pubblicata negli anni in cui è ambientato il libro. In particolare, quando si parla della Londra vittoriana, spesso si generalizza, pensando da un lato alle atmosfere orrorifiche dei quartieri poveri, dall’altro al perbenismo e alle luci degli ambienti nobili. Ciò che ho scoperto, approfondendo gli studi, è una città con somiglianze incredibili con il nostro mondo: mi ha colpito, ad esempio, l’estrema attenzione alla questione ambientale, con la progettazione di parchi, lo spostamento di fabbriche dal centro cittadino per ridurre le emissioni delle ciminiere, il potenziamento della rete fognaria e molti, molti altri interventi. Inoltre, la presenza della tecnologia inizia a farsi sentire, mi vengono in mente il telegrafo e i raggi X, oppure i movimenti politici progressisti, in grado di unire donne, operai, classe media. Londra è diventata una sorta di specchio del mondo, sono rimasta affascinata dalla tenacia di quanti combattevano, e combattono tuttora, per renderlo un posto migliore.
Giuseppina Capone

Di là dal mare

L’economia blu del mare nostrum. La ripresa sostenibile premia un canto universale.

“Di là dal mare. Dove piove fortuna, dov’è libertà. E l’acqua è più pura di un canto…”.

I versi toccanti del brano di Massimo Ranieri “Lettera di là dal mare”, presentato all’ultimo Festival di Sanremo, evocano sentimenti importanti, sopiti forse, mai estinti nel gusto dei suoi numerosissimi fan e del pubblico italiano. A quello più adulto negli anni, ancor più nelle comuni radici partenopee, non sarà sfuggita l’associazione con un altro brano, culto nella scuola dei classici napoletani: “Santa Lucia lontana”, scritto nel 1919 da E. A . Mario.

Un testo da brividi quello scritto, per il ritorno del cantattore sul palco del teatro Ariston, da Fabio Illacqua.

Moti ondosi che richiamano lustri di storia e migrazioni di troppi connazionali fra i flutti e i muri d’acqua oceanici. L’interpretazione struggente dello stesso scugnizzo settantenne del Pallonetto (il popolare quartiere partenopeo a Santa Lucia) trasuda l’emozione  vissuta sulla sua pelle a soli tredici anni. Quando, come ha raccontato in più interviste nel dopo festival, trascorse quindici giorni barricato nella cabina del transatlantico Cristoforo Colombo (una ammiraglia della Società di Navigazione Italia, gemella dell’Andrea Doria), a vomitare per raggiungere anche lui l’America, salpando dall’Italia.

Il canto e il mare, la canzone italiana e il Mare Nostrum.

Un rapporto inscindibile nel corso del secolo scorso. Una osmosi, culla del genio artistico culturale al centro del Mediterraneo.

Nel 1987 Eduardo De Crescenzo cantava le proprietà terapeutiche del mare. Capace di indurre una conversione sentimentale nella rotta solipsistica umana:

“L’odore del mare mi calmerà. La mia rabbia diventerà. Amore, amore è l’unica per me.”

“e tutto questo cambiare che amore poi diventerà…”.

Negli stessi anni è Pino Daniele con“Qualcosa arriverà”, a evocare nella presenza ancestrale del mare, un moto di cambiamento: “Voglio ‘o mare, cù ‘e mmura antiche e cchiù carnalea vita ‘o ssaje ce pò fa male
e per sognare poi qualcosa arriverà.”

Senza dimenticare un baluardo del repertorio classico partenopeo come “O’ Marenariello”, scritta nel 1893 da Gennaro Ottaviano, musicata da Salvatore Gambardella.

Resa un culto popolare nel 1992 nella struggente interpretazione del Maestro Roberto Murolo. Accompagnato, nel brano e nell’album che festeggiò i suoi ottanta anni, dall’irripetibile voce di Mia Martini.

L’iconografia sonora del mare non è esclusiva degli autori partenopei, va da sé.

Certamente coinvolge sensibilità di culture diverse, contaminate dal comune orizzonte esteso. Azzurro. Illimitato tra cielo e mare.

“Ed a casa io voglio tornare. Dal mare, dal mare, dal mare.”

I versi di Lucio Dalla in “Itaca” ritornano sul Capitano con gli occhi dal “nobile destino”. Senza rimestare oltre nelle visioni solitarie di “Com’è profondo il mare”, brano scritto interamente da Dalla, che titolò il suo settimo album pubblicato nel 1977.

Emersi dalle memorie oniriche del Maestro Battiato i versi di “Summer on a Solitary Beach”:

Mare voglio annegare. Portami lontano a naufragare. Via via via da queste sponde.
Portami lontano sulle onde.

Un altro autore bolognese, fra i top nella canzone d’autore italiana, uscì nel gennaio del novantadue con il brano “Mare mare”, sempreverde, anche dopo trent’anni:

“Mare, mare, mare sai che ognuno c’ha il suo mare dentro al cuore, sì.
E che ogni tanto gli fa sentire l’onda. Mare, mare, mare.

Ma sai che ognuno c’ha i suoi sogni da inseguire, sì. Per stare a galla e non affondare no, no, yeah, yeah…”.

Un tormentone triste per la ricerca vana di un amore. Il brano scritto da Luca Carboni con Mauro Malavasi, vinse a mani basse il Festivalbar nello stesso anno.

Sino a essere incluso, nell’anno nero della pandemia, dopo un remake nel 2013 inciso con Cesare Cremonini, fra quarantacinque brani più belli della musica italiana.

Secondo il contest radiofonico I Love My Radio.

In questa succinta epopea sonora del Mare Nostrum, non si possono trascurare alcuni pezzi di quella così detta musica leggera. Capace di conquistare l’empatia, il consenso di ampie fasce di pubblico. Pronto a incarnarne il refrain popolare. Legandolo indissolubilmente a stagioni indimenticabili della propria vita.

Ne sa qualcosa Raoul Casadei: con “Ciao Mare”, scritta nel 1973, esplose la febbre del “liscio”. Il suo conio entrò a pieno titolo nel vocabolario italiano. Segnò l’avvio di una prosperosa filiera di successi per l’omonima Orchestra. Lanciati da memorabili edizioni canore ultra popolari: Festivalbar, Festival di Sanremo, Un disco per l’estate.  

Ancora vacanziera e spensierata la Giuni Russo del 1982 con ”Un’estate al mare”:

“Un’estate al mare. Voglia di remare. Fare il bagno al largo.
Per vedere da lontano gli ombrelloni, -oni, -oni.
Un’estate al mare. Stile balneare. Con il salvagente. Per paura di affogare…”.

Il suo più grande successo discografico le fu consegnato ancora dal Maestro conterraneo Franco Battiato. Un tormentone sempreverde intergenerazionale che a distanza di quaranta anni risveglia legittime aspettative ludiche di un’agognata vacanza. Contaminata dai colori estivi del mare.

Di là dal mare, rimane simbiotico il legame musicale del Bel Paese con l’abbrivio della stagione estiva.

Auspici di ripristino della socialità dopo le ultime stagioni azzerate dalla pandemia vedono impegnate al meglio soprattutto le compagnie di trasporto marittimo. Nel tentativo di riordinare i flussi turistici nel Mediterraneo, in particolare nel nostro Tirreno.

Le due maggiori isole italiane si confermano mete importanti per la ripresa del turismo nazionale ed europeo. Gli sforzi su questo ambizioso obiettivo sono imponenti in termini di politiche promozionali e tariffarie. Che incentivano e premiano le prenotazioni estive, proteggendole da revoche dell’ultima ora. Senza dimenticare l’allestimento di nuovi traghetti con nuove linee pronte a servire e rafforzare i collegamenti con la Sardegna.

Tutto questo virtuoso fermento, integrato nel più ampio dibattito del processo di transizione ecologica (per l’introduzione irrevocabile dei nuovi carburanti sostenibili nel rinnovamento delle flotte tradizionali); rischia di essere fagocitato nelle ultime drammatiche evoluzioni della guerra scoppiata con i bombardamenti sul fronte russo ucraino.

Una tragica fase d’incertezza dagli esiti non immaginabili per la continuità della nostra civile convivenza globale. Ancora più folle nell’attuale era post pandemica.

Sarebbe davvero bello poter archiviare questa buia parentesi di orrore e morte che fa tremare l’Europa e il mondo intero con le note felici del 1970, cantate dall’Orietta nazionale:

Fin che la barca va lasciala andare. Fin che la barca va tu non remare. Fin che la barca stai a guardare…”.

Con lo sguardo in alto, per un orizzonte diverso, di là dal mare.

Luigi Coppola

Salvatore Sblando: Dalla stessa parte. Uomini contro la violenza sulle donne 

La questione di genere investe la sfera culturale italiana da tanto. Qual è la specificità del suo intervento?
La questione di genere, è una delle problematiche sociali e culturali che mi stanno più a cuore.
La seguo, mi documento, mi confronto in ogni ambito; da quello lavorativo, a quello del territorio in cui vivo, a quello culturale.
Non è certo l’unica questione e nemmeno la prima. Sicuramente è tra le situazioni che definisco d’emergenza e per le quali ciascuno deve sapere trovare il proprio punto di caduta per sapersi confrontare, crescere e maturare.
L’argomento bruciante del sessismo e della discriminazione di genere è, soventemente, trattato da un punto di vista squisitamente muliebre.
Ebbene, qual è la visione complementare, ovvero maschile del vivere in una società patriarcale e sessista?
Credo fortemente nell’impegno maschile, culturale e sociale, verso questa tematica che riguarda sempre più direttamente l’uomo, in quanto la donna pur se vista ancora e soltanto come figura complementare e non come essere indipendente di una società comunque ancora sessista, sia stata in grado di sapersi emancipare attraverso decenni di battaglie, lotte e rivendicazioni,
Giunto è dunque il tempo per l’uomo di doversi impegnare in questo percorso di crescita umana che passa innegabilmente nel riconoscere la violenza sulle donne, una questione da sapere combattere e sconfiggere, attraverso azioni concrete di lotte e azioni, sociali e culturali.
La polisemia di accezioni (genere linguistico, biologico e sociale) che sviluppa, dimostra quanto la dimensione linguistica emani riecheggiamenti nella maniera in cui si avverte la realtà, si erige l’identità e si calcificano i preconcetti. Reputa che modi di dire, proverbi e battute possano costituire l’anticamera di forme di violenza?
Non sono di certo porte chiuse a queste situazioni; il nostro linguaggio, i modi di dire, le mai apparentemente innocue battute, i proverbi, sono anticipatori fino quasi ad autorizzare certi atteggiamenti, azioni e comportamenti nei confronti delle donne.
Suggerisco la lettura del libro “Razzisti a parole” dove l’autore Federico Faloppa ci racconta e dimostra come si possa essere intolleranti e razzisti verso il diverso, verso l’altro, anche con il linguaggio. Come ad esempio il dare del “tu” ad un immigrato anche se non lo si conosce. O come il classico “Non sono razzista ma…” che tanto ricorda il “Però anche lei vestita in quel modo, un po’ se l’è cercata…”.
Nel mio ruolo di operatore culturale e proprio per dare testimonianza attiva a quanto fin qui detto, ho recentemente curato insieme all’amico scrittore Salvatore Contessini, un’antologia poetica di soli uomini dal titolo “Dalla stessa parte – Uomini contro la violenza sulle donne”, edito dalla casa editrice La Vita Felice.
Un impegno culturale che se da un lato ha visto noi curatori crescere nel confronto e nella visione della questione, ha dovuto scontrarsi durante la fase di ricerca, con alcune dinamiche sociali riguardanti la situazione femminile, che si sono riflesse a modo loro anche in poesia.
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi ed i ruoli stereotipati delle donne mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere.
Oggidì, il corpo messo al centro del dibattito nella società contemporanea è quello muliebre. Quali forze diverse ed in contrapposizione si combattono su questo campo?
Manca un soggetto forte in questa discussione. La politica è assente. E su questo sono molto crudo e tendente alla condanna di qualunque schieramento.
Se pensiamo infatti che fino al 1981 in Italia (e non dall’altro capo del mondo) era normato nel codice penale il delitto d’onore e che è solo del 2013 una legge contro la violenza sulle donne, allora facciamo presto a capire che molta strada è da fare ancora.
Nulla si è fatto in ambito culturale, nelle scuole, nelle famiglie. E nulla pare si voglia fare, al di là di meri impegni verbali.
La politica risponde con carcere (che arriva sempre dopo che la tragedia si è consumata) e costosi braccialetti elettronici anziché finanziare centri anti-violenza che sempre più si poggiano sull’esclusivo impegno volontario.
Salvatore, l’Antologia dedicata al tema della violenza sulle donne ha stentato a trovare poesie.
Siamo stati consapevoli fin da subito di aver chiesto un “impegno” poetico sui generis.
Avessimo proposto un’antologia poetica d’amore, ne siamo convinti, saremmo stati sommersi dai testi.
Nonostante ciò siamo riusciti a “costruire” un’antologia che rispecchia sia geograficamente che anagraficamente la popolazione maschile italiana.
Ma è stata nostra precisa convinzione, quella di voler chiedere un contributo volto alla costruzione di un cammino che possa andare oltre le celebrazioni di giornate internazionali. Vogliamo poterci confrontare, andare a dibattere a proporre tesi, a scontrarci con antitesi.
Concludo lasciando un ulteriore spunto di riflessione per il lettore; nell’antologia “Dalla stessa parte – Uomini contro la violenza sulle donne” edito da La Vita Felice, è minoritaria la partecipazione di giovani poeti. Ecco, questa scarsa presenza potrebbe essere un buon argomento di discussione.
Salvatore Sblando: sue liriche sono pubblicate in antologie e blog letterari. Le sue pubblicazioni sono state oggetto di segnalazioni in importanti Premi. Membro del Comitato di lettura della casa editrice La Vita Felice, partecipa attivamente a reading e manifestazioni poetiche. Attivo nel panorama letterario torinese, è fondatore dell’Associazione culturale Periferia Letteraria. Fra i curatori di diversi festival letterari, a gennaio 2015 inaugura “Aperipo-Etica”, rassegna di cultura, poesia e letteratura contemporanea. All’interno del proprio LIT(tle) Blog (www.larosainpiu.org) è solito ospitare le migliori voci del panorama poetico italiano.
Pubblicazioni: Due granelli nella clessidra (LietoColle, 2009) giunta alla 2^edizione;
Ogni volta che pronuncio te (La Vita Felice, 2014); Lo strano diario di un tramviere (La Vita Felice, 2020).
Giuseppina Capone

Trema la Terra: la poesia di Armando Fusaro dedicata ai conflitti

Armando Fusaro, promotore di molteplici attività  sociali, scrive versi e poesie in  lingua e in vernacolo, con tematiche sociali. Nella sua produzione poetica, con occhio attento osserva  quello che accade attorno a lui e riesce a trasporlo in versi con grande capacità evocativa.
Proponiamo alle nostre Lettrici e ai nostri Lettori “Trema la Terra” una poesia intensa e pregnante che il poeta Armando Fusaro ha dedicato a questi giorni terribili di guerra. Una guerra, anzi tante guerre, combattute nella nostra Europa e in tutto il mondo che vedono impegnati donne, bambini, uomini, anziani nella battaglia per la sopravvivenza.
“Trema la Terra” sconquassata dal dolore, “E trema la questa Terra/e si dice: Signore perché?…”. Una domanda che ci stiamo ponendo tutti e alla quale dare una risposta è difficile. Una poesia forte e densa di significato che porta ad una profonda riflessione.
Il poeta afferma: “in una società dove prevale il materialismo, difficilmente regna la pace”. Nonostante questo la speranza in noi è viva perché i focolai che insanguinano qua e là il nostro pianeta vengano annientati e la poesia rappresenta insieme alla cultura un canale positivo e costruttivo per essere vicino ai popoli che soffrono e contemporaneamente un incitamento al dialogo.
Forte l’invocazione al Signore per la fine delle guerre e il trionfo della pace e della libertà.
La libertà, forse solo “sogno” senza scadenza temporale agognata dalle donne e dagli uomini e da tutti i popoli.
Una poesia che invita alla riflessione, attenta e partecipata per stimolare la cultura della pace affinché non si debba soffrire e morire per la guerra.
Bianca Desideri
Trema la Terra
Il vento di tempesta infuria
e la storia si ripete.
E trema la questa Terra
e si dice: Signore perché?…
L’uomo in emergenza
non è indifferente,
ha paura e prega
il Trascendente.
Il Mondo è in rivolta
e i potenti… si comprano
l’amore e la morte.
Sono secoli che si
cerca la pace e,
per la pace si fanno guerre.
Il Padrone del Creato
è morto in croce
per amore dell’altro.
E trema questa Terra
e si dice:
Signore, Signore, perché?…
Armando Fusaro

Tommaso Urselli: Oggi ti sono passato vicino

C’è solo l’andare senza fermarsi:/ se i piedi il sonno volesse mangiarseli/
è permesso cadere, non addormentarsi.
Lei scrive versi che narrano una quotidianità quasi atemporale, in cui si stenta a riconoscere il contesto storico in cui la vita si svolge. La vita umana vive una costante condizione di anonimato?
Non ne farei una questione di anonimato, se con questo si intende una condizione in cui sia dominante una passività di fondo o l’inutilità di ogni ricerca di senso.
L’assenza di coordinate storiche e una certa atemporalità possono suggerire a mio avviso un’altra possibilità: quella di rendersi conto che ogni essere vivente, non solo umano, indipendentemente dal contesto in cui vive e dalla sua specifica identità, è parte di un “tutto” di cui, questo sì, spesso ci sfugge l’enorme complessità. Ma non mi sembra un dato sminuente o avvilente, anzi… dovrebbe contribuire ad accendere curiosità, senso di reciprocità…
Per venire al nostro ambito, credo nella possibilità della poesia come fotografia di un processo in continuo divenire, più che come affermazione dell’io che la produce. Del resto, per dirla con Rimbaud, “Io è un altro. Se l’ottone si sveglia tromba, non è affatto colpa sua…”
Lei sta spendendo il suo tempo quale autore di teatro. In un tempo politico, sociale ed economico che grida l’impellente bisogno di tessere un dialogo con sé stessi, la conflittualità interiore può essere lenita dalla Poesia?
Qualche mese fa, lo scorso maggio, una compagnia teatrale con cui avevo precedentemente collaborato come drammaturgo mi ha proposto di tenere una giornata di laboratorio di scrittura poetica rivolto agli allievi di un corso di formazione teatrale.
Si trattava per me della prima volta dopo tempo, di un incontro di lavoro in presenza, e non ho saputo fare di meglio che pensare di dare lo stesso titolo del libro che avevo composto durante il lockdown, “Oggi ti sono passato vicino”; non per mania di autoreferenzialità (durante il lavoro non sono stati utilizzati testi dal libro) ma perché nelle mie intenzioni esso contiene e racconta di un desiderio, una necessità che tutti abbiamo avvertito in questo periodo, sia pure in maniere e declinazioni differenti: quello di stringersi, di fare fronte comune dinanzi a qualcosa di sconosciuto, in una situazione in cui proprio la possibilità di essere uniti veniva per forza di cose a mancare. Come tradurre allora questa necessità in una pratica realizzabile?
Da circa venti anni mi occupo di drammaturgia. Scrivere per il teatro significa scrivere per degli attori che porteranno sulla scena il tuo lavoro… niente di più impensabile durante il lockdown, in cui come autore teatrale sono stato decisamente in lutto… mi era del tutto impossibile pensare di scrivere qualcosa che sarebbe andato in scena “dopo”, in un momento in cui i teatri erano chiusi, morti… il teatro non è fatto di “dopo”, è fatto di “adesso”, un adesso da condividere corpo a corpo: corpo del drammaturgo, corpo del regista, i corpi degli attori, i corpi degli spettatori… Così la mia scrittura ha cercato altre strade, già frequentate in passato anche se non in maniera sistematica: dalla rivisitazione di quegli sporadici tentativi in versi e dalla composizione di testi ex-novo, ha così pian piano preso forma questo libro, che porta in sé le tracce di una necessità evidente fin dal titolo (anche se quasi mai nei testi c’è esplicito riferimento al tema del virus e della pandemia, tranne che in una composizione).
Dunque, tornando al laboratorio, la cosa che ho sentito più sensata e organica, è stata quella di trasformare in oggetto di lavoro di gruppo la pratica di scrittura in versi che mi aveva accompagnato durante il lockdown – badando di non cedere alla tentazione di farne una ricetta o un manifesto, ma di restare sempre nell’ambito dell’interrogativo, a sé e al gruppo – da cui il sottotitolo:
“Nella distanza dei corpi, può la poesia avvicinare? Un laboratorio di incontro attraverso la scrittura.”
Quale “lenimento” migliore della condivisione?
Ti sento, è la tua voce, il tuo/ articolare lento e cadenzato. /Oggi ti sono passato vicino.
La sua versificazione è lucida, nitida, disincantata, priva di edulcorazioni, scevra da vergogne. C’è un limite a ciò che si può narrare?
È una domanda a cui credo sia possibile dare risposte anche molto differenti, e tutte legittime. Quello che conta, a mio parere, è che questa risposta scaturisca da un percorso, una pratica di lavoro che l’autore avverte come necessaria. È questa necessità, forse, a disegnare il limite tra ciò cui è importante dare forma e ciò che può essere tenuto per sé.
I morti, onde del mare/bianca spuma che a lungo ha viaggiato/ e a casa ritorna,/alla madre infinita.
Le parole che inanella in versi appaiono sensibilmente refrattarie al rispetto ovvio ed ossequioso delle norme grammaticali, compromettendo irrimediabilmente la logica connessione lettura-comprensione.
Qual è la chiave d’accesso per discriminare i suoi intenti comunicativi?
Non credo che un autore debba fornire chiavi d’accesso… caso mai, forse, fabbricare porte… Sta poi al lettore la scelta di aprirle o meno, per visitare i luoghi su cui si affacciano; questo a prescindere dalla comprensibilità o meno dei suoi testi e da quelli che potrebbero essere i suoi intenti comunicativi. Ma a proposito di comunicazione, vorrei qui citare la poesia e le parole di Antonio Neiwiller, uomo di teatro che ci ha lasciato nel secolo scorso; in particolare queste righe da un frammento del 1993 (stesso anno della sua scomparsa) dedicato a un altro grande uomo di teatro, Tadeusz Kantor:
“…È tempo che l’arte
trovi altre forme
per comunicare in un universo
in cui tutto è comunicazione…”
(da “l’altro sguardo: per un teatro clandestino, dedicato a t. kantor”)
Ad ogni modo, tornando ai testi della raccolta e ad eventuali strumenti di comprensione, mi riconosco nello sguardo di Franca Alaimo, di cui riporto qui un estratto da una sua nota di lettura:
“… l’autore fa uso di altre esperienze artistiche a lungo praticate, essendosi cimentato con il teatro (si ritrovano, infatti, in molti testi l’estro drammatico, l’impianto dialogico, ma anche l’asciuttezza di un autore grandissimo quale Beckett), e con la musica, specialmente il jazz (da cui provengono il ritmo sincopato di certi testi) … Né escluderei la meditazione buddhista e per l’epigrammatica sapienza di certi versi e per la concezione dell’Uno come inizio e ritorno di ogni cosa in una perenne ciclicità…”
La sua silloge potrebbe scomporsi in quattro momenti: memoria, contemporaneità, teatro, dolore. C’è un filo rosso che le congiunge?
Giocando un po’ a parafrasare Artaud: la vita, e il suo doppio.
Tommaso Urselli è autore di teatro. In passato alcuni suoi componimenti poetici sono stati pubblicati e positivamente recensiti da Maurizio Cucchi su Lo Specchio de La Stampa. Oggi ti sono passato vicino, da poco pubblicata per Ensemble, è la sua prima silloge poetica; la sezione “Parole alle formiche”, particolarmente apprezzata dal poeta Giuseppe Conte (sue le parole in quarta di copertina), è giunta finalista al Premio InediTO – Colline di Torino 2019. Tra i suoi testi teatrali rappresentati e pubblicati: Un vecchio gioco (La Mongolfiera Editrice; premio Fersen, Piccolo Teatro di Milano); Boccaperta (La Mongolfiera Ed.) commissionato da Teatro Periferico; Ipazia. La nota più alta (pubblicato da Sedizioni, e in e-book da Ledizioni nella versione inglese) su commissione di PactaDeiTeatri; Il Tiglio. Foto di famiglia senza madre, prodotto dall’autore in collaborazione con l’attore-regista Massimiliano Speziani (il testo, tra i vincitori del premio Borrello per la drammaturgia – e premio Fersen alla regia – è pubblicato sul n. 727 della rivista Sipario, in volume per La Mongolfiera Editrice, in e-book per Morellini Editore); su commissione del Festival Connections – Teatro Litta, Milano, scrive In-equilibrio; viene prodotto dal Teatro Litta il suo testo Esercizi di distruzione. L’importanza di chiamarsi Erostrato (pubblicato in volume per Edizioni Corsare e sul n. 758 della rivista Sipario; vincitore del premio Lago Gerundo); Ma che ci faccio io qua (Edizioni Corsare); cura con Renata Molinari e Renato Gabrielli la pubblicazione di A proposito di menzogne – testi per Città in condominio, L’Alfabeto urbano, Napoli; scrive inoltre Canto errante di un uomo flessibile, tra i vincitori del Premio Fersen per la drammaturgia e pubblicato da Editoria&Spettacolo; vince la prima edizione del premio Parole in scena per il teatro-ragazzi con il testo La città racconta (Edizioni Corsare); Piccole danze quotidiane (messo in scena al PimOff e presso la Triennale di Milano per il Festival Tramedautore, Outis); La porta (Festival Tramedautore, Outis; pubblicato da La Mongolfiera Editrice). Blog: https://tommasourselli.wordpress.com/
Giuseppina Capone
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