La Napoli di Artemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi è una delle rare firme femminili dell’arte italiana del 1600. Figlia di un’artista, è ben istruita e mostra fin da subito una predisposizione naturale verso la pittura. Un talento il suo, che cresce ed influenza il panorama artistico delle capitale del viceregno quando decide di recarsi proprio a Napoli e vi rimane, affascinata dal’atmosfera partenopea, tra il 1630 e il 1653, anno della sua morte.

Escludendo un breve viaggio a Londra alla fine degli Anni ‘40 del 1600, Artemisia decide quindi di trascorrere buona parte della sua vita nel napoletano, dando origine ad opere d’arte di estrema bellezza.

L’omaggio della città alla pittrice prende forma grazie alla prima mostra nella nuova sede del museo napoletano delle Gallerie d’Italia in Via Toledo, dedicata proprio al suo soggiorno divenuto un capitolo fondamentale nell’arte e nella vicenda biografica di Artemisia.

La mostra, realizzata in special collaboration con la National Gallery di Londra e in collaborazione con il Museo e Real Bosco di Capodimonte, l’Archivio di Stato di Napoli e l’Università di Napoli L’Orientale, inaugurata il 3 dicembre 2022 resterà aperta fino al 20 marzo 2023 e presenterà un’accurata selezione di opere provenienti da raccolte pubbliche e private, italiane ed internazionali, in grado di esplorare l’enorme successo di Artemisia Gentileschi e restituire un’immagine attendibile della grandezza artistica di questo complesso momento storico. Il percorso espositivo, infatti, presenta sia 21 opere realizzate da Artemisia (per la prima volta sono esposte al pubblico italiano capolavori come la giovanile Santa Caterina d’Alessandria, di recente acquisita dalla National Gallery di Londra, ma anche le grandi commissioni pubbliche della pittrice, dall’Annunciazione di Capodimonte a due delle tre monumentali tele realizzate tra il 1635 e il 1637 circa per il coro della cattedrale di Pozzuoli, il San Gennaro nell’anfiteatro e i Santi Procolo e Nicea, quest’ultima restaurata per l’occasione), sia le opere realizzate da artisti di primo livello a lei strettamente collegati, per lo più attivi a Napoli negli stessi anni della pittrice, come Massimo Stanzione, Paolo Finoglio, Francesco Guarino, Andrea Vaccaro o la riscoperta “Annella” Di Rosa, la maggiore artista napoletana della prima metà del Seicento, anche lei vittima – secondo una tradizione antica però inattendibile – della violenza di genere.

La realizzazione della mostra è stata preceduta da una intensa attività di indagine scientifica e di ricerca archivistica che ha restituito nuovo e importante materiale per la biografia di Artemisia. Si sono finalmente chiarite le circostanze dell’arrivo di Artemisia Gentileschi a Napoli, nel 1630, direttamente da Venezia, così come si sono aggiunte ulteriori tracce per quegli anni afflitti da difficoltà economiche, sia la sua vicenda privata (il concubinato della figlia Prudenzia Palmira e il matrimonio riparatore seguito alla nascita del nipote Biagio, nel 1649), sia alcuni degli aspetti salienti della sua attività, a cominciare dal ruolo della committenza vicereale e borghese, per finire con le relazioni tra Artemisia e le accademie letterarie, che già in vita contribuirono ad amplificarne la fama.

Una mostra quindi da non perdere per scoprire, o riscoprire, il talento di questa grandissima artista, figlia acquisita della città di Napoli.

Camilla Golia

Chiara Macor: Enrico Caruso. Una canzone d’amore

Enrico Caruso. Una canzone d’amore” appare non come un saggio biografico bensì come una biografia romanzata.

Per quale ragione ha preferito adottare questa specifica tipologia narrativa per esemplificare una figura tanto complessa, carismatica, prodigiosa di cui, ad oggi, non esiste una biografia perfettamente aderente alle peculiarità del genere?

Insieme all’Associazione Alessandro Scarlatti e al suo direttore Tommaso Rossi, abbiamo cercato di immaginare la formula più adatta che ci permettesse di raccontare ad un vasto pubblico non specializzato, le vicende umane di alcuni dei più importanti interpreti della musica napoletana ed europea. Per questo motivo abbiamo pensato di creare una serie di biografie a fumetti, che compongono appunto la collana pubblicata da Guida Editori, chiamata “Scarlatti Musicomics”.

Il nostro scopo è quello di formulare una narrazione avvincente che permetta ai curiosi di avere un primo incontro con figure storiche importanti e complesse come, in questo caso, Enrico Caruso, per far sì che nasca una curiosità sul personaggio che li conduca poi ad approfondire il discorso, avvicinandosi così alla musica classica e alla sua storia.

Il nostro progetto è nato già nel 2021 quando abbiamo pubblicato il primo volume della collana chiamato “La Musica nel Sangue. Alessandro e Domenico Scarlatti”. Anche in questo caso si tratta di una biografia romanzata a fumetti dedicata al rapporto padre e figlio di questi due grandi musicisti.

Il prossimo numero sarà invece sul viaggio di Mozart a Napoli, e dovrebbe vedere la luce nel 2023.

Il fumetto “Enrico Caruso. Una Canzone d’Amore” vede la collaborazione di molti professionisti del settore. In effetti io ne ho curato il soggetto e la sceneggiatura, mentre i disegni sono di Alessio Petillo, i colori di Chiara Imparato e la direzione artistica è di Pako Massimo. Tutta la nostra squadra ha fatto sì che questo romanzo a fumetti raccontasse uno spaccato della vita del tenore, veicolato attraverso la nostra sensibilità di artisti. Di certo non c’era la volontà di fare una pedissequa ricostruzione della sua storia (di fatto in 64 pagine di fumetto sarebbe stato impossibile, vista la densità di eventi che lo coinvolgono), quanto piuttosto di creare attenzione sul suo personaggio, cercando di dare un taglio interpretativo.

Per scrivere questa sceneggiatura ho dovuto documentarmi a lungo sulla figura del tenore, e sono rimasta veramente sorpresa dalla quantità di aneddoti (non sempre attendibili) che lo riguardano. Leggendo tutta la documentazione la domanda che mi sono posta costantemente durante la scrittura di questa biografia era sempre la stessa: chi era veramente Enrico Caruso? Dove finisce il mito e dove inizia l’uomo? È una domanda alla quale non ho trovato risposta, e spero che chi avrà modo di leggere il nostro fumetto cercherà di trovare un proprio punto di vista sulla questione.

L’uso “anatomico” del diaframma, dei polmoni, delle corde vocali fanno sì che Caruso continui a detenere il primato nell’ambito dell’evoluzione musicale.

Produzione vocale eccezionale o addirittura “divina”.

Quali sono le specificità della voce di Caruso?

Caruso ha avuto la fortuna di essere la voce giusta in un momento storico del tutto peculiare, denso di grandi cambiamenti in ogni campo.

Sicuramente la stagione del verismo nell’Opera ha fatto sì che i compositori vedessero, nel timbro scuro e drammatico del cantante e nelle sue capacità attoriali, la possibilità di distaccarsi da una tradizione della quale non si sentivano più interpreti, guardando ad un più moderno e realistico ventaglio di situazioni drammatiche e  musicali.

A questo va aggiunto anche il fatto che Caruso è stato uno dei primi ad incidere la propria voce su disco. Di fatto ha visto nascere e ha contribuito a sviluppare l’industria musicale. Questo fatto che la sua voce sia stata una delle prime ad essere registrate rappresenta di certo un elemento fondamentale per comprenderne la grande fortuna. Il disco ha permesso al nostro tenore di farsi conoscere in tutto il mondo e da tutte le classi sociali: chiunque avesse un grammofono poteva sentire l’opera lirica e la voce di Enrico Caruso, ed in pochissimo tempo il nostro tenore è diventato uno dei primi veri Divi del Novecento.

Caruso divenne noto poiché era stato capace di condividere incessantemente con il prossimo anche la “natura intellettiva” della sua arte. Ebbene, si potrebbe asserire che la magia di Caruso consista nel lasciare che ognuno senta come propria la sua voce?

Caruso, come dicevo prima, è stato uno dei primi divi. Non solo fu attivo nell’ambito dell’emergente industria discografica, ma fu anche una sorta di influencer. Pubblicizzava prodotti, come le sigarette egiziane di cui era grande consumatore.

Abbiamo numerosissime testimonianze di amici e colleghi che ci raccontano di un Caruso umile, umano, generoso e costantemente pronto ad aiutare il prossimo. Divenne, peraltro, anche un punto di riferimento per le prime comunità italiane di New York. Abbiamo inoltre traccia della sua grandissima recitazione nel film My Cousin che girò nel 1918.

Evidentemente Caruso doveva apparire al pubblico come una persona vera, anche quando recitava. Forse anche questa sua maschera di uomo del popolo ha fatto in modo che le persone di qualsiasi ceto e rango simpatizzassero con lui e si sentissero emotivamente coinvolte dalle sue vicende, sia quelle personali sia quelle vissute dai suoi personaggi sul palcoscenico.

Caruso resta un filo conduttore tra due epoche, quella sua povera ma ricca di iniziative e quella attuale, moderna benché sterile di progetti nei termini dell’Arte.

A suo avviso, è collocabile nel tempo o travalica il tempo?

Sicuramente Caruso è diventato un’icona della nostra storia. Ma lo è diventato proprio perché ha saputo sfruttare tutti gli strumenti che la sua epoca gli ha offerto. Sicuramente il suo vissuto lo rende ancora oggi un personaggio moderno e attraente per il pubblico contemporaneo.

Lo spirito libertario di Caruso si espresse attraverso l’incessante opera di carità verso gli ultimi ed i più deboli.

Caruso fu anche un generoso Mecenate: in nome di quali principi etici e morali?

Il fatto che Caruso fosse sempre attento ai più deboli (soprattutto se compatrioti), ligio al dovere e al lavoro, compassionevole verso chi aveva più bisogno, credo facesse parte davvero del suo carattere. Era un ragazzo nato e cresciuto in un quartiere molto povero, in una famiglia umile. È riuscito, grazie alla sua arte, a raggiungere l’apice della carriera e della notorietà, diventando anche ricco. Studiando molte testimonianze di persone che l’avevano conosciuto, mi sono fatta l’idea che forse Caruso avesse sempre nel cuore le sue umili origini, che non le abbia mai rinnegate, e per questo motivo si comportava con chi aveva più bisogno d’aiuto come un uomo che usava il successo che si era guadagnato anche come un’opportunità per fare del bene a chi invece non aveva avuto la sua stessa sorte.

 

Chiara Macor. Storica dell’arte, musicista e scrittrice. In qualità di sceneggiatrice ha collaborato con The Jackal, la Scuola Italiana di Comix, Fondazione Melanoma Onlus, il MANN, Comicon Edizioni, Associazione Alessandro Scarlatti e altre istituzioni locali e nazionali, scrivendo guide a fumetti per la valorizzazione del patrimonio storico artistico e sulla divulgazione scientifica.

Cura la collana “Scarlatti Musicomics” per l’Associazione Alessandro Scarlatti, pubblicata da Guida Editori. Ha scritto soggetto e sceneggiatura di “Amici per la Pelle”, cortometraggio nato da un’idea del prof. Ascierto, con Gigi e Ross per la regia di Angela Bevilacqua e prodotto dalla Bronx Film, vincitore dell’edizione 2022 dell’Ischia Film Festival nella sezione Scenari Campani.

È docente di Scrittura Creativa per il Corso di II Livello in Design della Comunicazione e per il corso di II livello di Cinema presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Insegna Sceneggiatura e Storytelling alla Scuola Italiana di Comix.

Giuseppina Capone

 

L’evento “Planta, non solo giardino” all’Orto Botanico di Napoli

Napoli è di nuovo protagonista di un emozionante evento: “Planta, il giardino e non solo”, si terrà domenica 5 maggio fino a martedì 7 maggio 2023 all’interno dell’Orto Botanico di Napoli.

Per chi ama la natura, passeggiare tra le incantevoli coreografiche piante, i colorati e profumati fiori, non può non approfittare di questo momento per trascorrere una giornata in famiglia in un giorno di primavera. Arrivata oramai alla sua IX edizione, la Mostra Mercato di Planta, è dedicata al florovivaismo di qualità. Diverse  saranno le aziende che parteciperanno all’evento e tutte selezionate a seconda del loro impegno sul lavoro di ricerca, autoproduzione e, soprattutto, l’azienda che ha mostrato di avere maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale è stata scelta con maggiore preferenza. Durante la mostra saranno in esposizione prodotti per la realizzazione di orti e giardini, utensileria, collezioni botaniche esclusive, prodotti naturali ed arredo da esterni. Ad impreziosire l’evento, ci saranno kermesse artistiche e musicali per accompagnare gli ospiti con una dolce melodia. Ci sarà anche “Bimbi in Planta” per i più piccoli; intrattenimento tra giochi sempre a tema flower.

Storia Orto botanico Napoli

L’Orto Botanico, situato in via Foria a Napoli, appartiene all’Università Federico II. All’interno dell’Orto vi sono oltre 900 specie vegetali e quasi 25000 esemplari diversi.  L’Orto è stato fondato il 28 dicembre del 1807 con decreto di Giuseppe Bonaparte, anche se l’iniziativa fu del re Ferdinando IV ma, a causa della Rivoluzione Napoletana del 1799, la costruzione fu irrealizzabile. Al termine della rivoluzione, furono due architetti a iniziare il progetto: Giuliano de Fazio (autore della facciata monumentale e del viale a essa perpendicolare) e Gaspare Maria Paoletti che terminò, invece, la parte inferiore. Michele Tenore fu il primo direttore dell’Orto nel 1811. Tenore si interessò all’attività scientifica e alle relazioni esterne; fece coltivare sia piante esotiche ma anche molte specie di uso per quanto riguarda il campo della medicina.

Nel 1861 fu nominato direttore Guglielmo Gasparini migliorando ancor di più la qualità delle piante dell’Orto; accolse piante alpine, fece costruire una nuova serra riscaldata, e valorizzò anche il Museo botanico. Nel 1868 la direzione dell’Orto passò a Vincenzo Cesati, ancora, nel 1983 fu Giuseppe Antonio Pasquale ad occupare il posto di direttore. Federico Delpino, direttore dal 1893 al 1905, ebbe diverse difficoltà nella gestione dell’orto. Ma, nel 1906, la gestione passò a Fridiano Cavara che aveva come scopo quello di rinnovare diverse strutture, aumentare le collezioni e istituire la Stazione sperimentale per le piante officinali. Biagio Longo fu il direttore del 1930.

Nel 1940, all’interno della Mostra d’Oltremare si tenne una riunione della Società Botanica italiana.  Dopo la guerra, i danni dovuti dai bombardamenti furono notevoli; sottrazione di ferro per uso militare, popolazioni rifugiate all’interno dell’orto e uso dei terreni per coltivazione di cibo per sopravvivenza e tante altre conseguenze distruttive per l’Orto.

Il primo direttore dopo il dopoguerra fu Giuseppe Catalano. Il suo compito fu quello di ristrutturare l’Orto e riguardo l’arricchimento delle piante. Valerio Giacomini lo sostituì nel 1959. Per la storia dell’Orto  il momento importante fu nel 1963 quando direttore fu nominato Aldo Merola. Grazie a lui, nel ‘67, l’Orto ottenne autonomia economica e amministrativa e questo diede l’opportunità di ricevere finanziamenti straordinari per migliorare l’architettura dell’Orto.  Grazie a questo finanziamento, Merola riuscì a far realizzare diverse serre. Ma, nel 1980 l’Orto fu nuovamente rifugio per molte persone a causa del terremoto che, non solo fu invaso dalla popolazione, ma subì numerosi danni a causa delle forti scosse (periodo di direzione di Giuseppe Caputo). Nel 1981 iniziarono la totale ristrutturazione  della struttura seguito dal nuovo direttore Paolo De Luca.

Alessandra Federico

Il velo e l’inferno

Sandro e Luigi sono i protagonisti di “Il velo e l’inferno”, il romanzo di Luigi Esposito  che si muove intorno ad “un favore da ricambiare” e a informazioni da raccogliere che li coinvolgeranno in una storia più grande di loro.

La narrazione è semplice, piacevolmente misteriosa. Una telefonata di Luigi riporta Sandro ai tempi della ricerca della croce (n.d.r. La Croce e il peccato –  cfr. networknews24.it 7.3.2023).

Una nuova complessa avventura li aspetta, su richiesta del Vicario del Cardinale dovranno aiutare la Madre Superiora del convento delle Periclitanti. Prete e antiquario, però, dovranno aspettare ancora un po’, il giorno successivo al loro incontro,  per soddisfare la loro curiosità e sapere cosa la Madre Superiora chiederà come “favore”.

La narrazione si muove agile e, nella successione delle pagine, il lettore potrà vedere tutte le loro certezze messe alla prova fino a vacillare fortemente sotto il peso di qualcosa di imponderabile messo in atto da un nemico ancestrale.

E la conclusione, quale sarà, si chiederà il lettore? Niente paura i due protagonisti ne usciranno rafforzati.

Bianca Desideri

Flash Gordon, le avventure continuano

“Il continente perduto”  e “Tocco mortale” sono rispettivamente il numero 3 e il 4 della collana “I grandi classici del fumetto” della Gazzetta dello Sport, dedicati all’eroe Flash Gordon e agli amici e” nemici” protagonisti delle storie che, con cadenza settimanale, vanno in edicola per gli appassionati dei fumetti.

L’eroe terrestre iniziò ad appassionare i lettori degli Anni ’30 e il quotidiano sportivo lo ripropone nella “serie inedita che raccoglie le strisce quotidiane” firmate da Dan Barry dal 1951 al 1968 e nato dalla fervida immaginazione di Alex Raymond.

Nel numero 3  Fash è alle prese sul pianeta Zoran con la minaccia del bandito Moko e nel numero 4  l’eroe del fumetto è vittima di un morbo che lo porta a distruggere qualsiasi cosa tocchi. Per questo motivo è costretto ad esiliarsi in un razzo in orbita intorno alla Terra.

Le avventure proseguono con “Space circus” in edicola dall’8 marzo e la settimana successiva con “Kag il conquistatore”, buona lettura.

Antonio Desideri

L’infanzia: quanto conta l’esempio dei genitori per il bambino

L’infanzia, con le sue fasi,  è la prima parte della vita, dal momento in cui il bambino viene al mondo fino a quando inizia l’adolescenza. Durante il ciclo della vita questo periodo si può considerare di fondamentale importanza (sia psicosociale che biologica) poiché determina il comportamento e la personalità che assumerà una volta divenuto adulto.

La sua personalità deriva da tutto ciò che ha assorbito all’interno del suo nucleo familiare; le persone con cui nasce e cresce il bambino influenzano, senza ombra di dubbio, il suo sviluppo. Ragion per cui, sarà attraverso l’educazione ma soprattutto l’esempio che avrà da parte dei suoi genitori che si formerà la sua personalità. Non solo, anche i rapporti con i suoi compagni di scuola o con le maestre, sin dal momento della scuola materna, sono di vitale importanza perché fanno parte del suo periodo infantile (detto anche periodo spugna)  in cui il bambino assorbe tutto ciò che sente o che vede. Insomma, l’evoluzione del bambino nell’ambito linguistico, scio-affettivo deriverà da questa fase. I genitori sono per il bambino un modello da imitare, ed è importante, dunque, che questi ultimi si impegnino al massimo per soddisfare i bisogni del proprio bambino e per cercare di essere un esempio migliore, nei loro limiti del possibile.

Dal punto di vista evolutivo-educativo, le funzioni che i genitori devono svolgere sono molte, soprattutto per garantire al bambino comfort e tanto affetto: naturalmente cure mediche, qualora ne avesse bisogno, procurare sempre cibi sani essendo estremamente attenti a non utilizzare prodotti di bassa qualità. Massima attenzione riguardo la comunicazione verbale e non verbale; il bambino percepisce anche solo l’atteggiamento, senza bisogno di parole. La funzione cognitivo-affettiva, invece, è l’espressione che indica la gestione dei sentimenti che si apprendono all’interno del nucleo familiare. Per questo motivo, mamma e papà devono instaurare una relazione empatica con il proprio figlio in modo da favorire per lui la comprensione di sentimenti ed emozioni. Tuttavia, la mancanza di affetto anche da parte di un solo genitore, causa conseguenze negative per lo sviluppo del bambino in ambito sia biologico, psicologico e sociale.

Un’adeguata comunicazione familiare insegna al bambino ad assumere un sano atteggiamento anche nel contesto sociale, (perché è  sempre la famiglia a modellare il suo comportamento e la sua identità personale), attraverso il processo di separazione-individuazione. Tale processo, consiste non solo in una sana comunicazione, ma nell’insegnare al bambino a divenire autonomo, attraverso spiegazioni e anche atteggiamenti adeguati. Questo metodo può essere d’aiuto sia al bambino che ai genitori per sciogliere il sentimento di appartenenza e radicamento tra loro.

I genitori che vogliono dare il massimo al proprio figlio devono mostrare alti livelli di affetto e comunicazione. Dovranno avere un atteggiamento dialogico, stabilire regole coerenti ma non rigide, introdurre tecniche educative induttive basate sul ragionamento e sull’educazione. Il loro rapporto deve essere affettuoso e amorevole ma allo stesso tempo stimolare il bambino a cavarsela da solo nelle situazioni anche difficili, anche se consapevole che i genitori saranno sempre il suo porto sicuro.

Il bambino deve godere di libertà ma di regole da seguire per la sua disciplina, senza sfociare nella severità estrema. Aiutarlo ad avere un alto autocontrollo e un’elevata autostima. Insegnare lui ad essere persistente e determinato nei compiti importanti della vita, e spronarlo ad avere la forza e il coraggio per affrontare nuove situazioni, far sì che abbia massima fiducia di sé per sviluppare alte competenze per affrontare la sfera sociale.

Se i genitori se ne prendono cura non solo per quanto riguarda l’alimentazione o lo studio, ma soprattutto nella sfera emozionale del bambino, le probabilità che possa crescere in pace con sé stesso e che sia in grado di relazionarsi con il mondo esterno, saranno molto alte.
Alessandra Federico

Il sogno di essere napoletano.Gli ottanta anni di Lucio Dalla celebrati al MANN a Napoli

“Un giorno di grande gioia!”. Il semplice, veritiero incipit di Paolo Giulierini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, saluta l’affollata platea di giornalisti, addetti ai lavori, rappresentanti la Musica, la Cultura Italiana, semplici amici del festeggiato ritrovatisi presso l’auditorium del MANN nella tarda mattinata del quattro marzo.

Un sabato italiano, napoletano, appena bagnato da una pioggia lieve e discontinua.

In una giornata dove il meteo incrocia ricordi recenti – il Vesuvio imbiancato dalla neve –

con l’approssimarsi dei venti miti di scirocco annunciatori di una primavera imminente.

“Lucio da lassù ci guarda e sarebbe felice che il suo ottantesimo compleanno sarebbe stato a Napoli.”

L’incipit di Alessandro Nicosia inaugura, nell’emozionante atmosfera, la conferenza stampa che apre ufficialmente la mostra evento dedicata a uno degli artisti più amati della nostra storia. “Lucio Dalla. Il sogno di essere napoletano”, prosegue il percorso iniziato un anno fa a Bologna, approdato con enorme successo a Roma.  Giunto nella città del cuore in occasione degli Ottanta anni trascorsi dalla nascita.

La mostra, promossa da MANN Museo Archeologico Nazionale di Napoli e Fondazione Lucio Dalla con Ministero della Cultura, con la collaborazione e il sostegno di Regione Campania e Fondazione Campania dei Festival è organizzata e prodotta da C.O.R. Creare Organizzare Realizzare. L’esposizione a cura di Alessandro Nicosia con la Fondazione Lucio Dalla, con il supporto di Lavoropiù è inclusa nelle iniziative “Il MANN per la città”.

L’attività vede la partecipazione di Archivio Luce Cinecittà. Con il patrocinio di RAI e la collaborazione tecnica di SIAE Società Italiana degli Autori e degli Editori, Universal Music Publishin Group, Grand Hotel Vesuvio e Broker Insurance Group. Il pregiato catalogo affidato a Skira editore.

Improbabile condensare in poche righe, le sensazioni di unanime empatia, oltre i contenuti e le testimonianze vitali offerte nel corso dell’incontro. Ancora più complicato descrivere l’intimo, struggente allestimento dei locali adibiti a ospitare la mostra.

Un termine non sufficiente a rappresentare un viaggio emozionale in un tempo e in uno spazio che trascendono i limitati recinti dell’umana ratio.

“Napoli era una nazione per Lucio. La cicogna aveva sbagliato sede facendolo nascere a Bologna”– ricorda Nicosia – fra gli innumerevoli aneddoti di uno sviscerato rapporto d’amore fra l’artista bolognese e il suo Regno, ai piedi del Vesuvio.

Fra i saluti istituzionali non poteva non risaltare il sempre originale intervento “a braccio” del Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, prodigo nell’omaggiare alla sua maniera, il talento geniale e innovatore di Dalla.

Incarnato in una napoletanità amata, vissuta e approfondita con uno studio quotidiano della lingua per più lustri della sua straordinaria vita.

Dopo l’avvio a Bologna, nella prestigiosa sede del Museo Civico Archeologico, la grande

Mostra ha fatto tappa a Roma, nella splendida cornice del Museo dell’Ara Pacis, per poi

festeggiare a Napoli, con l’inaugurazione del 4 marzo 2023, quello che sarebbe stato l’ottantesimo compleanno dell’artista.

Se la prima tappa è stata dedicata al legame indissolubile tra Lucio Dalla e la città natale,  la seconda ha rievocato i lunghi periodi trascorsi dall’artista a Roma. La terza, inaugurata al MANN, celebra la grande passione che Lucio Dalla nutriva per la città di Napoli.

 

Andrea Faccani, cugino dell’artista, suo collaboratore per vent’anni e oggi Presidente della Fondazione Lucio Dalla, ribadisce  l’amore incondizionato per la città partenopea.

“Diceva spesso che se qualcuno avesse inventato un’iniezione di dialetto napoletano a qualunque prezzo se la sarebbe fatta praticare, tanto grande era il desiderio di immergersi nella cultura di Napoli e di farla propria”.

Una passione carnale espressa a metà degli anni Novanta nel brano “Nun parla’”, scritto da Lucio e incluso nel bellissimo album “Canzoni”.

L’amore di Dalla per Napoli è stato ricordato con tanti contributi, giunti dalla platea.

L’incontro con la Canzone Napoletana, i suoi Autori, gli Interpreti, rimane la cifra di un legame di sangue.

Che vibra forte e permea la fisicità nelle stanze del Museo.

Enrico Caruso, Salvatore Di Giacomo, Roberto Murolo. Il culto personale per “Era de Maggio”, sino alla scrittura del brano “Caruso”. Realizzato a Sorrento mirando il mare dalla camera dell’Hotel Vittoria, in cui aveva alloggiato il grande Maestro .

E proprio la sezione dedicata alla vita napoletana di Lucio “vive” in tante situazioni e spaccati dell’esploratore felsineo.

Nelle vie, nei quartieri più popolari, negli anfratti e vicoli del centro storico partenopeo.

L’incontro con uno dei ristoratori più antichi della città è una perla di questo intrigante itinerario.

Impossibile ricordare tutte le candeline luminose di questi meravigliosi ottanta nel sogno di un sabato mattino al MANN.

Non possiamo dimenticare il contributo di Red Ronnie nel collegare la genesi di “Henna”, una preghiera laica scritta nel 1993, per scongiurare la guerra nei Balcani con la recidiva più sanguinosa e tragica, nell’ecatombe dell’invasione russa in Ucraina.

E ancora, la presenza affettuosa di tante anime della Cultura Partenopea, della Società Civile  e del Popolo più anonimo e verace.

Da Marisa Laurito ad Alessandra Clemente (consiglio comunale di Napoli) a tanti ospiti, napoletani e no.

Pronti a rivivere una parentesi entusiasmante di questo passaggio terreno con un grande compagno di viaggio.

C’è tempo al MANN (https://mann-napoli.it/) sino al prossimo venticinque giugno.

Luigi Coppola

 

(Foto: Luigi Coppola)

Elena di Euripide a cura di Barbara Castiglioni

“E’ divino riconoscere quelli che amiamo”:  Elena riconosce  Menelao e pronuncia queste parole sublimi. Lei suggerisce l’amore come un sentimento che intrappola, che non dà scampo e non prevede vie di fuga. Perché questo tema è tanto accarezzato dal patrimonio letterario occidentale?

Nel fr. 16 Voigt, Saffo presenta un’Elena piegata alle leggi dell’amore, che diventa exemplum della forza devastante del sentimento: quella di Saffo non è una vera e propria difesa di Elena, ma la rappresentazione dell’impossibilità – e della vanità – di opporre resistenza a un impulso inviato dalla divinità. Effettivamente, il mito di Elena, in tutte le sue riprese, è la rappresentazione di un sentimento fortissimo, quasi feroce, di un amore che piega ogni ragione. L’amore «tutto muove – e Omero e il suo mare», come scriverà Osip Mandel’štam, oppure l’«amore ebbro e disperato» di Margaret Atwood sono espressi in maniera diversa, ma descrivono lo stesso, identico sentimento che ha portato via Elena da Sparta: perché l’amore, come scriveva Keats in una meravigliosa lettera a Fanny, è una religione, ed è forse l’unica speranza di fede rimasta ad una società completamente priva di dèi come quella occidentale.

Elena, tesoro d’arte ed umanità, probabilmente la donna più celebre dell’antichità, innumerevoli volte tradotta e, talvolta, tradita negli intenti. Per quali ragioni da sempre emerge quale pioniera nell’indagare i sentimenti dell’essere umano ed antesignana nella ricerca individuale di un posto nell’esistenza?

Elena è in una posizione molto complicata, tra le donne della letteratura antica, perché la bellezza, che è la sua dote involontaria, determina il suo destino e la rende, contemporaneamente, vittima e carnefice: Elena è vittima, perché non ha scelto il suo dono e non può non essere bella, come dimostra molto bene l’Elena di Euripide, ma è anche carnefice, perché la sua rovinosa bellezza ha provocato la guerra di Troia. L’ambiguità di questa condizione impedisce una vera comprensione del personaggio: greca per i Troiani, troiana per i Greci, Elena è indecifrabile tanto per gli uomini, che la vogliono e la temono, quanto per le donne, che la odiano e la condannano, ed è, il più delle volte, considerata un mero oggetto di cui non sono quasi indagati i sentimenti. Ed è notevole osservare che, anche se in maniera obliqua, uno dei pochi testi che considera la sofferenza di Elena è proprio il primo e più antico in cui compare come personaggio, cioè l’Iliade. Per quel che riguarda l’essere antesignana di una ricerca individuale di un posto nell’esistenza, possiamo dire che Elena – figlia di Zeus, dea,vittima di rapimenti, seduttrice involontaria, moglie di Menelao, amante di Paride, sposa di molti mariti, madre di Ermione, ombra, fantasma, ma sempre causa di infedeltà – è contemporaneamente, moltissime donne e una «figura unica», immutabile, sempre identica a sé stessa, come la definiva meravigliosamente il Faust di Goethe, e rappresenta l’indipendenza – che è sempre temuta ma in una donna ancora di più – e continua ad essere, soprattutto, l’immagine dell’arma femminile con cui una donna può sconvolgere il mondo: la sovrana bellezza.

Elena, donna intelligente, scaltra, coraggiosa. Perché mai il teatro, il cinema, le innumerevoli riscritture la presentano come l’antesignana della vamp o della donna senza scrupoli?

Elena rappresenta l’inevitabilità della bellezza, che non concede scelta, né a chi la ammira, né, soprattutto, a chi la vive e ne subisce le conseguenze. Prima di essere una donna, prima di essere una persona, Elena è bella, e questo determina ogni aspetto della sua esistenza. La bellezza, soprattutto quella femminile, è spesso una colpa. La civiltà greca, non a caso, aveva elaborato il concetto di kalokagathìa. Questo ideale di identità tra bellezza e virtù, però, è prevalentemente maschile: non ne esiste – e non è casuale – una versione femminile della kalokagathìa. Non è impossibile, per una donna bella, essere anche virtuosa, ma si presuppone che non lo sia: l’universale positivo, implicito nell’ideale maschile, è capovolto nel caso della donna, per cui la bellezza, come esemplifica il mito di Elena, si rivela soprattutto una colpa. Questa paura della bellezza femminile, però, non è solo greca né solo antica, ma ritorna insistentemente nella letteratura e nella civiltà – non solo – occidentali: pensiamo ad autori molto diversi come Huysmans, che definiva la bellezza di Elena maledetta e irresponsabile, «che avvelena tutto quello che l’avvicina, tutto quello che tocca», o a Marina Cvetaeva, che deprecava Elena, la «bigama, predatrice, spiffero di morte».

Il primo scontro tra Occidente e Oriente, la guerra di Troia, fu combattuto soltanto per un’illusione. E’ illuminare Achille quale il più forte degli eroi il vero obiettivo della contesa?

Non è difficile immaginare come Euripide, mediante l’εἴδωλον di Elena, volesse rappresentare anche l’illusione delle guerre del Peloponneso che stavano devastando la città e la società in cui era vissuto: il fantasma di Elena è il simbolo di tutto quel che ha condotto i Greci a Troia, ma è anche, con ogni probabilità, la rappresentazione della vita umana. Per quel che riguarda l’Iliade, sicuramente Achille emerge come uno dei centri del poema, che segue, con molte, meravigliose digressioni, il suo eroe: l’Iliade inizia con l’ira di Achille, e finisce con i funerali di Ettore, ucciso proprio da Achille. Senza dubbio Achille è il più forte degli eroi, ma l’Iliade è, forse, più di ogni cosa, il ritratto dei valori della società eroica, rappresentata dall’epos omerico.

Le opere greche si confermano quali testi archetipici del pensiero occidentale, contemporanee ad ogni epoca. Quali ragioni ravvede nella specifica proprietà della classicità di porsi sempre in maniera speculare alle fratture epocali?

Penso sia difficile immaginare la letteratura europea senza la conoscenza dei classici greci e latini. Ora abbondano le riscritture e i rimaneggiamenti, che si allontanano spesso sin troppo dall’originale, deformandone il messaggio; oppure, dall’altra parte, c’è la Cancel Culture, che pretende di rimuovere quello che ora non ci piace, senza considerare il tempo, che è il motore immobile di ogni letteratura, che è, a sua volta, lo specchio di una società. Penso si debba tornare a leggere i testi; in pochi lo fanno davvero. Spesso soprattutto l’accademia si concentra su pochi versi, o poche righe o pochi capitoli, e perde il centro. In questo modo, però, si rischia di notare la pagliuzza, e perdere il messaggio a cui si deve ritornare.

 

Barbara Castiglioni, laureata in Lettere Classiche, Dottorata in Studi Umanistici presso l’Università di Torino con una tesi sull’Elena di Euripide, si occupa di tragedia antica e di ricezione del classico. Ha pubblicato vari saggi sulla tragedia greca e sul rapporto tra dramma antico e moderno.

 

Giuseppina Capone

Luigi Esposito: La croce e il peccato

Una dedica “a chi non mi ha fatto mai mancare il suo supporto” apre il libro di Luigi Esposito “La croce e il peccato”.

Un delicato intreccio di storie è alla base di questo lavoro dell’Autore che definisce il suo scrivere così: “la mia non è una scrittura ricercata ma semplice e fruibile perché ho sempre pensato che chi comincia a leggere un libro, deve appassionarsi fin dalle prime pagine e capire in modo semplice e diretto, altrimenti non avrebbe senso scrivere per te stesso e per chi ti legge” ed è proprio sin dalle prime battute che gli occhi del lettore non possono non proseguire a scorrere le righe per saperne di più.

Un cocktail di emozioni che si muovono tra diversi personaggi e diversi luoghi, ben tre città della provincia napoletana protagoniste della storia e delle vicende che portano ad un finale emozionante.

“Un antiquario, un prete, una croce, una misteriosa chiesa sconsacrata” sono il fulcro della narrazione che porterà ad una conclusione inaspettata. Dopo oltre due secoli Luigi e Sandro riusciranno a far ritornare assieme, oltre la vita, i resti di due sfortunati innamorati, un ricongiungimento possibile grazie ad un crimine compiuto da Giustino, il furto di una croce, comprata da Sandro in un mercatino, oggetto che sarà, però, l’elemento cardine di una ricerca che porterà a sanare una dolorosa vicenda risalente al passato.

Bianca Desideri

Filosofare è da donne

Le donne sono capaci di filosofare?

Musonio Rufo, notabile del neostoicismo romano, consigliere di molteplici antineroniani,  si pose siffatto quesito nel I secolo d.C. Per tale ragione condannato alla pena dell’esilio, rientrò a Roma subito dopo il decesso di Nerone. Delle sue lezioni permane la memoria nelle Diatribe; in una si legge: “Poiché uno gli chiese se anche le donne devono filosofare, così cominciò a dimostrare che anch’esse devono farlo:

le donne, disse, ricevono dagli dei lo stesso logos degli uomini, che noi usiamo l’uno con l’altro, e per mezzo del quale intendiamo se una cosa è buona o cattiva, bella o brutta. Allo stesso modo, la donna ha sensazioni uguali all’uomo, la vista, l’udito, l’olfatto e le altre. Inoltre, il desiderio e l’inclinazione naturale per la virtù non esistono solo nei maschi, ma anche nelle femmine. Stando così le cose, perché mai gli uomini dovrebbero cercare e studiare come vivere bene, nel che consista la filosofia e le donne no?”

Nell’estesa enumerazione delle espressioni pericolosamente tangenti la misoginia degli antichi, ecco una gradevole eccezione, valevole di menzione.

Effettivamente, la storia della filosofia non ha reso giustizia alle donne.

Eppure, si possono citare Ipazia, Hannah Arendt, Simone de Beauvoir, Angela Davis, George Eliot, Edith Stein, Anita L. Allen, Ban Zhao, Mary Wollstonecraft.

Scorrazzando tra i secoli tra le donne-filosofo dell’antichità si segnala la nota Aspasia di Mileto che appare in alcuni degli scritti filosofici di Platone, Senofonte, Eschine Socratico, Antistene. Taluni ricercatori sostengono che Platone stesso fosse rimasto parecchio colpito dalla sua esuberante intelligenza e sottigliezza; il personaggio di Diotima di Mantinea presente nel dialogo Simposio è fondato sulla sua figura. Socrate attribuisce alla irreale, probabilmente, Diotima il suo sapere nell’arte di Eros e parrebbe che proprio lei gli avesse offerto lezioni, contribuendo all’evoluzione della sua ricerca filosofica. Le tarde opinioni platoniche verso le donne rimangono viceversa molto contraddette ma La Repubblica suggerisce che le donne sono analogamente in grado di conquistare istruzione, immaginario intellettuale e competenza organizzativa all’interno dello Stato.

La filosofia medievale è dominata dalla figura di Ipazia, esponente del Neoplatonismo, così descritta nell’Antologia palatina:

Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parole,/ vedendo la casa astrale della Vergine,/
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto/ Ipazia sacra, bellezza delle parole,/
astro incontaminato della sapiente cultura”.

Secondo Socrate Scolastico unica erede del platonismo interpretato da Plotino: “Era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica riportata in vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tutte le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico”.

La filosofia moderna vede l’interesse delle filosofe su temi quali l’istruzione femminile con Harriet Martineau; i diritti delle donne con Charlotte Perkins Gilman, la quale sostenne che le donne fossero oppresse da una cultura pregna di “androcentrismo”; la teoria politica con Rosa Luxemburg, teorica del marxismo consiliarista.

La contemporaneità coincide con la professionalizzazione della disciplina. Tra i nomi rilevante è quello di  Simone Weil: innamorata del pensiero greco; combattente per la giustizia ed il rispetto della dignità umana, appassionata all’idea di Dio, cui corrispondere senza limiti confessionali.

A lei non dobbiamo solo la vasta mole di scritti ma i singhiozzi, scoppiati alla notizia di una catastrofe quale la guerra, tutte le guerre, l’interesse concreto per l’istruzione ed i problemi di operai, contadini e disoccupati,  la condanna dei totalitarismi di destra e di sinistra e la difesa  del pacifismo tra gli stati nazionali.

Nel mese delle donne non possiamo immaginare una filosofia ideata, scritta e creata da filosofe.

Maura Gancitano asserisce “Siamo sempre state filosofe. Lo eravamo anche prima di poter seguire un corso universitario, di poter pubblicare libri, di poter tenere conferenze pubbliche. Lo eravamo prima che iniziasse a collassare l’idea granitica secondo cui una donna che studiava fosse un abominio. Lo eravamo già, ma non potevamo dare spazio al nostro desiderio di riflessione, di studio, di dialogo, di speculazione, e per questo il mondo ha perso migliaia di filosofe che forse nei millenni avrebbero potuto imprimere un altro corso alla storia umana.”

Giuseppina Capone

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