Sorelle per sempre: la storia di Melissa e Caterina scambiate in culla la notte di capodanno

Due bambine siciliane scambiate in culla dagli infermieri la notte di capodanno e  ritornate nelle famiglie biologiche all’età di tre anni, cresciute come sorelle.

“Non ricordiamo molto dello scambio, ricordiamo solo che siamo cresciute insieme. Quello di cui siamo sicure è che i nostri genitori hanno sofferto molto, ma sono stati molto bravi a non far soffrire noi facendoci crescere insieme come una famiglia allargata, questo per noi è meraviglioso. Noi siamo sorelle gemelle” hanno più volte dichairato.

Era la notte di San Silvestro del 1998 quando, gli infermieri di turno all’Ospedale di Mazara del Vallo in Sicilia,  coinvolti dal festeggiamento per l’arrivo dell’anno nuovo, commettevano l’imperdonabile errore di scambiare le culle delle due neonate.

Tre anni vissuti nell’inconsapevolezza che stavano crescendo con la famiglia sbagliata. Ma, nell’autunno del 2001, le due bambine Melissa e Caterina frequentavano la stessa scuola materna e, a notare le somiglianze che le piccole avevano con la madre dell’altra fu proprio la loro maestra.  Così via con analisi del sangue e test del DNA per confermare che ciò che stavano presupponendo fosse la verità. Iniziava così l’incubo che avrebbe scombussolato due nuclei familiari. Un incubo che si sarebbe, però, ben presto trasformato in lieto fine; Caterina e Melissa tornano dai genitori biologici all’età di 3 anni, ma senza separarsi mai l’una dall’altra sin dalla scuola materna fino a proseguire gli stessi studi anche al liceo e all’università di Chieti. Ad oggi si definiscono sorelle gemelle, hanno due mamme, due papà, otto nonni. Prima di arrivare alla serenità, però, hanno inevitabilmente trascorso un periodo complicato sia i genitori ma soprattutto le bambine anche se ad oggi ricordano ben poco.

Ma in che modo, ad una bambina così piccola, si può spiegare, senza ferirla, che la mamma che l’ha allattata e il papà che le raccontava la favola della buona notte in realtà non erano i veri genitori e che avrebbe dovuto cambiare famiglia?

Per entrambi i papà e le mamme di Melissa e Caterina, la scelta di restituire ai rispettivi genitori la figlia biologica non è stata presa su due piedi anzi, hanno inizialmente attraversato un lungo periodo di titubanza consultandosi con diversi psicologi, giudici, e avvocati per capire quale sarebbe stata la cosa più giusta da fare e soprattutto meno dolorosa e traumatizzante per due bambine di soli 3anni di età. La decisione definitiva fu quella di attuare lo scambio affinché le bambine potessero vivere con i rispettivi genitori, anche se questo non ha mai impedito loro di crescere come una splendida famiglia allargata svolgendo ogni passo della vita assieme.

Non è facile far comprendere a bambini di tenera età che chi ti ha cresciuto e coccolato non era in realtà chi ti ha messo al mondo. A quanto pare, però, la scelta di far crescere le due bambine come se avessero quattro genitori è stata la decisione più giusta e senza dubbio quella più sana per tutti. Ad oggi Melissa e Caterina (ventitre anni) sono felici di essere nate quella stessa notte di capodanno e di essere state scambiate in culla per potersi felicemente definire sorelle gemelle.

Alessandra Federico

InnaMORAti dell’Arte

Piacevole serata quella di domenica scorsa, svolta in quel di Angri, al Ritrovo degli Artisti, curata dall’Associazione Culturale “Fratelli De Rege”, inaugurazione stagionale della rassegna teatrale InnaMORAti dell’Arte ideata e realizzata dall’attrice Evelina De Felice. Sul palcoscenico, allestito in ampio spazio all’aperto, gli attori Giovanni Allocca ed Enzo Varone, protagonisti dello spettacolo “…Vieni avanti cretino. Omaggio a Napoli e ai suoi artisti”, nel corso del quale si sono prodotti in scenette che ripigliavano certe semplici ma efficaci modalità umoristiche di un tempo, basate su frizzi, lazzi, incomprensioni e distorsioni lessicali, riportando alla mente figure comiche del passato, mai dimenticate, come Totò, Mario Castellani, Peppino De Filippo, Walter Chiari, Carlo Campanini o Nino Taranto.

A rimpinguare lo spettacolo, la voce e la tastiera elettronica di Sasà Benitozzi e gli interventi dell’attrice Carmen Pommella. Ad arricchire la serata, l’esposizione dei particolarissimi oggetti e capi di abbigliamento realizzati da Benedetta Iovino con foglie vegetali opportunamente lavorate e la mostra d’arte estemporanea di Orsola Supino.

L’iniziativa nasce da riunioni amichevoli all’ombra di una pianta di more, come lascia trasparire il titolo, e dalla sensibile percezione, da parte di Evelina De Felice, di una istanza di socializzazione indomita, a dispetto di ogni pandemia, che l’attrice ha acutamente coniugato alle preclare virtù del teatro.

Gli applausi che hanno coronato l’incontro e le risate che ne hanno costellato lo svolgimento restano la migliore conferma della bontà dell’idea e della sua felice realizzazione.

Sabato prossimo, “Il cane di fuoco. Spettacolo di cunti e canti di mare e di terra, fiabe green, dark, rouge, ma soprattutto bio”, di, e con, Massimo Andrei, che si esibirà con la fisarmonicista Eduarda Iscaro.

Rosario Ruggiero

A Roma la mostra “Touch Nature”

13Cambiamenti climatici, inquinamento da plastica dei mari, cibo sprecato e trivellazioni selvagge: l’arte nell’era del Covid scende in campo per denunciare e contrastare la distruzione dell’ambiente per mano dell’uomo.

Il Forum Austriaco di Cultura di Roma, diretto da Georg Schnetzer, ospiterà dal 15 settembre al 15 novembre 2021 TOUCH NATURE, la collettiva di artisti austriaci e italiani   concepita da Sabine Fellner e curata dalla stessa con Adriana Rispoli. Pittura, grafica, fotografia, scultura, installazioni e video sono i mezzi utilizzati dagli artisti per affrontare i nodi dell’ambiente, di cui l’uomo è diventato il fattore determinante. “Con l’inizio dell’industrializzazione – spiega Sabine Fellner – l’idea di un addomesticamento della natura si è fatta sempre più consistente. Ma l’intervento sempre più esteso dell’uomo nei processi biologici, geologici e atmosferici della terra significano non solo la perdita progressiva della natura incontaminata come risorsa emozionale, ma anche la distruzione degli habitat, l’ingente estinzione delle specie nonché le crisi umanitarie, politiche ed economiche”.

Da qui l’idea di riunire artisti austriaci e italiani sensibili al tema, che con le loro opere, realizzate negli ultimi quindici anni,  “formulano azioni di resistenza contro lo sfruttamento globale delle persone e contro lo spreco delle risorse – continua Fellner – ed elaborano strategie che incoraggiano un radicale cambiamento di prospettiva, con visioni piene di speranza per una riconnessione dell’uomo alla natura. Rappresentare ed esplicitare gli interventi distruttivi nella natura è, infatti, una strategia artistica”.

La mostra intercetta il trend “ecologista” che l’arte manifesta da tempo e che la pandemia da Covid-19, con l’evidente drammatico cambiamento delle nostre vite, ha reso ancor più urgente. “La Natura  – aggiunge Adriana Rispoli – non è più materia prima, medium o specchio, ma, come testimonia una nuova generazione di artisti di ogni latitudine, un’esigenza primaria manifesta nella necessità di riavvicinarsi ad essa, nel ricercare un doveroso equilibrio, nel rileggerne la forza propulsiva facendosi portavoce della sua potenza e soprattutto della sua fragilità. La nostra mostra si inserisce in un proliferare di eventi espositivi iniziato già da alcuni anni a livello globale, che mischiando generazioni, aree geografiche e modalità espressive, dimostrano quanto la tematica ambientale sia presente nell’orizzonte dilatato dell’arte contemporanea. Ma la tempestività del momento, settembre 2021, un periodo di apparente transizione tra un’era pre e post Covid, fa di Touch Nature, e naturalmente degli artisti coinvolti, un caposaldo da cui ripartire”.

 

Orari di apertura al pubblico:

16 settembre – 15 novembre 2021

lun – ven, ore 9.00 – 17.00

Nei seguenti giorni le opere esposte nella biblioteca non saranno accessibili:

16, 17, 22, 23 settembre

24 settembre (fino alle ore 14.00)

21 ottobre

22 ottobre (fino alle ore 15.00)

3 novembre (a partire dalle ore 15.00)

4 novembre

Chiusura:

26 ottobre (Festa nazionale austriaca)

1 novembre (Ognissanti)

 INGRESSO GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA

Per prenotarsi scrivere a prenotazione.forumaustriaco@gmail.com indicando nome e cognome e numero di telefono. La prenotazione sarà valida solo con una email di conferma.

Per accedere alla mostra è necessario esibire la Certificazione verde COVID-19 (Green Pass, in formato digitale o cartaceo) o presentare il referto negativo di un tampone antigienico o molecolare effettuato nelle 48 ore precedenti, insieme a un documento di riconoscimento valido. Le disposizioni non si applicano ai bambini di età inferiore ai 12 anni e ai soggetti con certificazione medica specifica.

All’interno obbligo di indossare la mascherina e distanziamento interpersonale di almeno 1 metro. Le sale hanno una capienza contingentata nel rispetto della distanza fisica prevista per la sicurezza dei visitatori.

Emilio Salgari, il fascino e l’avventura

“Fino a sei anni volevo fare il tranviere, poi a otto ho incominciato a leggere Salgari. Così iniziai a scrivere dei racconti”, così  ha scritto del narratore romanziere torinese, che ha regalato un ciclo fantastico di racconti, Umberto Eco.

Un’immaginazione straripante quella di Emilio Salgari grazie alla quale ha dato vita a tanti famosi lavori che hanno accompagnato ed accompagnano tuttora intere generazioni con i loro protagonisti: Sandokan, Yanez, la Perla di Labuan, Kammamuri, il Corsaro Nero, Jolanda la figlia del Corsaro Nero,  e tantissimi altri immortalati anche dal cinema e dalla televisione.

Trame avvincenti, eroi invincibili, pirati, luoghi esotici e misteriosi, terre lontane, dove in effetti non andò mai ma che seppe descrivere in maniera mirabile grazie ad un grande lavoro di documentazione e studio.

Una vita dedicata alla scrittura anche se avrebbe voluto diventare capitano di gran cabotaggio e solcare i mari vivendo avventure. Una vita non facile, gravata dalla malattia della moglie e da problemi economici nonostante la ricca produzione letteraria, che culminò con il suicidio seguendo il rito giapponese del seppuku, più conosciuto come karakiri, a soli 48 anni. Una grande perdita per la letteratura.

Le sue opere vengono riproposte da RBA nella collana composta da 60 uscite in edicola in un’edizione prestigiosa con la riproduzione delle copertine originali in stile Liberty realizzate da alcuni degli illustratori più importanti del Novecento come Alberto Della Valle, Pipein Gamba, Gennaro Amato, Carlo Chiostri o Giuseppe Garibaldi Bruno.

La prima uscita è stata Sandokan alla riscossa illustrato da G. Amato. La prossima “Il Corsaro Nero”.

Alessandra Desideri

Regine e ribelli, protagoniste della storia

RBA ha dedicato una collana alla storia al femminile. Figure illustri, donne di potere, che molto hanno amato e molto hanno sofferto, con “Regine e ribelli”, un focus sulla vita di donne passate alla storia.

L’opera propone “una collezione unica che riscatta le loro vite e i loro ritratti”. L’intento è quello di scardinare “l’immagine delle nostre protagoniste che è stata forgiata nel tempo, mettendo in discussone l’iconografia esistente, per costruire il loro profilo più fedele  con la consulenza di storiche riconosciute”.

Un modo per rileggere e riscoprire le grandi donne del passato, per meglio comprendere attraverso loro luoghi, momenti, episodi, immagini, e, soprattutto la loro storia, i tempi in cui vissero.

Apre la collana Cleopatra, a seguire Lucrezia Borgia.

La Divina Commedia per i bambini

Quest’anno si celebrano i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri e la Hachette Fascicoli ha deciso di realizzare una pubblicazione, con uscita periodica nelle edicole, “La Divina Commedia per bambini”.

Un adattamento originale destinato ai bambini per avvicinarli al grande Vate scritto con linguaggio semplice e positivo facendo conoscere i principali personaggi dell’Inferno, Purgatorio e Paradiso. Due le prestigiose firme per illustrazioni e testi.

Le illustrazioni sono di Fabiano Fiorin e con le immagini veicolano oltre al testo il messaggio e accompagnano i giovani lettori a scoprire il famosissimo poema dantesco, capolavoro della nostra letteratura conosciuto e tradotto in tutto il mondo.

I compagni di Dante nel suo viaggio sono personaggi famosi e meno famosi, buoni e cattivi, scelti da Paolo Pellegrini che ha realizzato anche i testi della collana arricchita da una Guida all’opera per i genitori e una tavola poster per ogni cantica.

Antonio Desideri

 

 

Le prime fiabe: una collana per i piccoli lettori

Inizia con “Il Re Leone” la collana edita da Hachette Fascicoli “Le mie prime fiabe”. Una collana in 100 uscite in edicola che accompagna le piccole lettrici e i piccoli lettori alla scoperta del fantastico mondo delle avventure e delle fiabe con i personaggi Disney. Un’immersione nel mondo dei più grandi successi Disney ispirati a grandi capolavori, volumi ricchi di illustrazioni che i genitori possono leggere ai loro piccoli o che i più grandicelli possono scoprire leggendoli.

La scoperta del mondo attraverso le avventure e a volte le  disavventure dei personaggi preferiti aiuteranno i piccoli a comprendere e vivere diversi stati d’animo ed emozioni, una ricca possibilità di crescita anche grazie ai valori positivi e i tanti esempi educativi di cui sono ricche le storie. “Gli esempi positivi aiutano ad acquisire fiducia in se stessi e stimolano i comportamenti corretti anche nei bambini più piccoli”. I titoli dei primi 15 libri in vendita in edicola:  Il Re Leone, Biancaneve e i sette nani, Il Libro della Giungla;  Bambi; Dumbo; Aladdin; La carica dei 101; Toy Story; Cenerentola; Le Avventure di Peter Pan; Bolt – Un eroe a quattro zampe; Chicken Little – Amici per le penne; La Principessa e il ranocchio;  I tre porcellini; Ratatouille.

Livia Sambrotta premio Bancarella 2021 con “Non Salvarmi”

 

Macchinazioni, intrighi, segreti, misteri, verità sapientemente celate, insabbiamenti, enigmi: sono ingredienti essenziali del thriller.
Il suo romanzo in che misura diverge dal genere codificato?

In “Non salvarmi” ho aderito a tutti gli stilemi del genere, pur decidendo in alcuni casi di attualizzarli. Il romanzo è infatti giocato su una suspense crescente, sui colpi di scena legati ai diversi protagonisti e sui twist della storia, tutti elementi congeniali al mistery. Avevo però anche la necessità di scardinare alcuni canoni dell’alta tensione. L’incipit del libro ne è un esempio. Siamo all’aeroporto di Phoenix e la protagonista, Deva Wood, sta per imbarcarsi su un volo diretto a Milano. Attraversa la hall per andare in bagno, e qui viene ripresa per l’ultima volta con le gambe macchiate di sangue. Da quel momento scompare misteriosamente e non salirà mai sul suo aereo. Generalmente il reato in un thriller viene associato all’ignoto e al buio. Qui invece accade tutto il contrario. Ci troviamo in un luogo di massima sicurezza in pieno giorno, sorvegliato dall’occhio imperscrutabile della videocamera. In questo ambiente siamo rassicurati che nulla possa fuggire al nostro controllo. Invece è proprio qui che si innesca il mistero.
“Ecco chi siamo” pensa. “Fiocchi di neve destinati a sciogliersi a terra”
Lei scandaglia esistenze elitarie, privilegiate ma fragilissime.
Il dolore come condizione ontologica?

Nel libro indago le storie di diversi protagonisti, molti dei quali appartenenti al mondo privilegiato di Hollywood. Nonostante le loro carriere dorate e la loro fama, ogni personaggio in questa storia cova un dolore profondo e sotterraneo. Ma nel mondo del potere, la fragilità come il fallimento e la debolezza sono degli stati umani da censurare e isolare. I figli di queste star milionarie, affetti da dipendenze di varia natura, dalle droghe al sesso compulsivo, vengono infatti curati in un centro di rehab nel deserto dell’Arizona. Un luogo estremo, in cui non sono ammesse comunicazioni con l’esterno e dove la vita quotidiana è ridotta alla basica volontà di sopravvivere. Come dichiara il filosofo Byung-Chul Han: “Nella società odierna il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione.” In realtà è proprio la sofferenza a rendere unica l’esperienza umana e a dare valore alle nostre vite. Nel romanzo inesorabilmente ogni personaggio si troverà a dover affrontare il proprio dolore e a comprendere, al di là delle maschere dell’eterno consenso, chi è veramente.
Questo è un libro che gratta il fondo della sfera affettiva; vaglia meticolosamente i sentimenti, emozione, ossessione, attrazione, passione, per poi scaraventarli, di nuovo, sul fondo, senza sterili edulcorazioni. Qual idea ha voluto che emergesse dei rapporti umani?
Ritengo che i rapporti umani siano la base di tutti i nostri raggiungimenti e allo stesso tempo dei nostri ostacoli invalicabili. Sono le piccolezze quotidiane dovute alle nostre relazioni, quelle minuscole inquietudini e ossessioni irrisolte, che nel tempo crescono fino a diventare così intense da modificare le traiettorie del nostro destino. La tensione di “Non salvarmi” si svela proprio in questa sfaccettata dimensione emotiva dovuta all’interdipendenza di ogni personaggio. Per questo ho scelto la soluzione del thriller corale, proprio perché il vero mistero è legato alle conseguenze dei rapporti umani. Mettere da parte la nostra visione egoica e autoreferenziale è sicuramente il modo per approcciarsi all’altro, gratificando non solo noi stessi, ma anche la vita delle persone intorno a noi. Abbiamo più bisogno di alterità che di uno specchio che continuamente rimandi la percezione di noi stessi.
La sua scrittura, scorrevole ed incisiva, diretta ed immediata, pare rinviare al linguaggio delle serie TV.
Quanto risponde ad una sua precisa volontà la contaminazione dei linguaggi?

Sicuramente la congiunzione di diversi stili è stato l’obiettivo compositivo di questo romanzo. Per definire la mia voce prima di tutto ho lavorato sulla potenza e l’immediatezza dell’immagine attraverso le ambientazioni. Da una parte abbiamo la suggestione del deserto dell’Arizona, nella sua nuda immensità e nel suo silenzio scalfito solo dalle onde di colore in continuo movimento. Dall’altra parte abbiamo Milano, nella sua frenetica ascesa espansionistica e il fascino rivoluzionario della sua architettura verticale. La polarizzazione di queste due location così diverse ha reso al meglio il mio approccio cinematografico e ha regalato alla storia un ritmo molto intenso simile a quello delle serie tv. Avevo però anche la necessità di indagare psicologicamente i miei protagonisti, regalando al lettore delle emozioni sospese, le stesse che si possono vivere al cinema quando al buio si vede un film e si può assorbire la storia visceralmente in ogni suo dettaglio.
Lei è Film Promotion Coordinator Southern Europe per la company UCI Cinemas. Il suo ruolo l’ha supportata nel puntare l’attenzione sui figli di Hollywood?
Il mio ruolo professionale mi ha dato il privilegio di vivere il cinema da addetta ai lavori. In questi anni ho vissuto esperienze straordinarie che sono state ispirazionali per il mio libro. Partecipare alle anteprime mondiali con le grandi star del cinema, condividere con i leader del mercato strategie e visioni del business per il lancio dei film di successo globale, mi ha dato la possibilità di comprendere fino in fondo il settore cinematografico. Ho potuto quindi raccogliere testimonianze e retroscena che non sono accessibili al pubblico e rivelano anche l’anima nera di questo mondo in evoluzione. Ad esempio nel romanzo il finanziere più potente del mondo hollywoodiano, si trova a Ryhad perché sta portando il cinema in Arabia Saudita, dopo trentacinque anni di chiusura delle sale cinematografiche. Questo processo elettrizzante l’ho potuto seguire realmente da vicino perché è stato proprio il nostro gruppo, AMC, a riaprire la prima sala a Ryhad nel 2018.

Livia Sambrotta è laureata in Lingue e Letterature Straniere con indirizzo spettacolo, dopo aver lavorato come redattrice per i magazine di promozione cinematografica 35mm e Primissima, nel 2015 pubblica il primo romanzo noir Amazing Grace (Tragopano Edizioni) e diverse short stories. Nel 2017 vince con un suo racconto il premio letterario Torinoir Memonoir 2017 del gruppo letterario fondato dall’autore Enrico Pandiani. Dal 2015 ha condotto diversi seminari di scrittura creativa a Milano. Nel 2017 ha pubblicato il romanzo noir Tango Down (Edizioni Pendragon). Il romanzo è stato selezionato tra i finalisti al Festival Giallo al Centro Rieti e ha ricevuto il Premio Menzione Speciale al Festival Garfagnana in Giallo. Attualmente lavora a Milano per la company internazionale UCI Cinemas come Film Promotion Coordinator Southern Europe. Il suo ultimo thriller Non salvarmi (SEM Libri) ha vinto il Premio Selezione Bancarella 2021.

Giuseppina Capone

Federica Castelli: Comunarde. Storie di donne sulle barricate


Le Comunarde si sono formate politicamente e pubblicamente in un contesto storico che le negava proprio in quanto donne.
Quale idea di collettività propongono?

Le comunarde sono tante e diverse. Non propongono un’idea univoca di collettività, né ricette politiche valide per tutte e tutti. Sanno intessere storie e strategie di lotta alleandosi senza annullarsi, rispettandosi nelle loro differenti visioni e genealogie politiche. Non hanno una visione ideologica della società che vogliono contribuire a creare. Rifiutano il potere, lo Stato, l’imperialismo, e ci restituiscono un’idea plurale, contingente di politica: radicata nelle relazioni, nei vissuti, che nasce nelle strade, negli spazi condivisi, fuori dai palazzi governativi. Che si fa lottando, cantando, scrivendo, discutendo in assemblea, e in mille altri modi.
Le Comunarde sfuggono alle narrazioni misogine dell’epoca. Ebbene, quali percorsi seguono per imporsi?
Non credo che “imporsi” sia il termine più appropriato. Ciò che importa loro, in prima istanza, è svincolarsi, “schivare”, quelle narrazioni. Hanno un obiettivo – creare una società nuova, diversa, più giusta – e vogliono realizzarlo assieme. Si muovono su un piano per certi versi inatteso, quello delle pratiche quotidiane e delle assemblee. Non mirano a prendere il potere, a creare un governo, a istituire leggi: vogliono esserci, ed esserci tutte intere. Vogliono che la loro parola politica abbia valore, così come le loro decisioni collettive. Vogliono poter agire e dare vita, nei fatti, concretamente, a una nuova società. Ma la società del tempo dice loro cosa essere, a cosa aspirare, dove stare. Le fa madri o puttane, vittime o assassine. Ne dequalifica il pensiero, la riflessione collettiva e soprattutto cancella la portata politica della loro azione. Di nuovo, come nel 1789, rischiano di essere lasciate sullo sfondo, fuori dalla scena politica vera e propria. Questo perché una lunga tradizione di pensiero, che risale almeno alla polis ateniese, vede le donne e il potere come piani opposti e inconciliabili. Le comunarde dimostreranno che la politica è un orizzonte più ampio del potere, e che non si esaurisce in esso. Come le femministe italiane sottolineeranno a un secolo di distanza, “potere e politica non sono la stessa cosa”.
“Sante, puttane, furiose, sanguinarie, bestie, streghe, virago. Eppure, nonostante questa fittissima cortina innalzata su di loro dallo sguardo maschile, le comunarde oggi possono dirci e insegnarci davvero moltissimo”
Nell’anno del 150° anniversario quanto è attuale il loro messaggio politico?

Personalmente penso che la loro esperienza abbia molto da insegnarci oggi, in tempi in cui le lotte femministe si intrecciano con quelle di altre soggettività non eteronormate, creando alleanze puntuali, contingenti e plurali. Ci insegnano a lottare insieme nonostante le differenti genealogie politiche e le diverse esperienze verso un obiettivo comune. Ci insegnano anche, però, che è fin troppo facile, nel momento in cui si lotta insieme, dimenticarsi delle specifiche urgenze di ogni soggettività o gruppo in lotta e cominciare a parlare per altrз. Ci insegnano soprattutto che l’ideale non deve mai sovrascrivere la realtà dei vissuti e che la politica si fa assieme, giorno per giorno, nelle pratiche e nel quotidiano.

Il saggio da Lei redatto rilegge l’esperienza della Comune di Parigi con una visione femminista: “voglio rileggere questa esperienza a partire da una postura femminista, incarnata e sessuata, lasciandomi orientare da chiavi interpretative semplici: pratiche, alleanze, soggettività in conflitto, corpi, relazioni, rapporti di genere, mutamento dell’immaginario.”
Quali sono le ragioni di tale approccio?

I femminismi mi hanno insegnato che pretendere che il sapere non sia situato, ma che sia anzi oggettivo, razionale e universale, e soprattutto che sia neutro, è una finzione che non solo maschera la complessità del reale, ma che produce (e riproduce) oppressione. Il sapere è un campo di forze, attraversato da numerose linee di potere. Nominare il proprio posizionamento, e dunque la propria parzialità, orientando lo sguardo verso ciò che quel sapere “scientifico” e oggettivo della modernità ha lasciato in ombra in nome della “razionalità” – i conflitti, i corpi, i vissuti, i rapporti tra i sessi – è in questo senso un atto radicale che libera storie, relazioni e immaginari per tuttз.
Louise Michel, Nathalie Lemel, Paule Mink, André Léo, Elisabeth Dmitrieff e Victorine Brocher: figure antitetiche per molti versi.
Qual è il filo rosso che le accomuna?

Le comunarde hanno orizzonti politici, genealogie, posizionamenti diversi. Lungi dal leggere la complessità come un ostacolo o un elemento di difficoltà, le donne della Comune hanno saputo pensare la politica come a un intreccio di relazioni, come un’alleanza che non cancella, né assimila. Le accomuna la volontà di essere insieme, partecipare alla Comune e alla creazione di una nuova società, dando priorità al quotidiano, ai vissuti, alle urgenze concrete prima ancora che agli ideali astratti o alle dinamiche classiche di potere, a cui sono scarsamente interessate. Ripartono dalle esperienze, dalla materialità, dal fare assieme e immaginano un mondo nuovo.

Federica Castelli, filosofa femminista e coordinatrice del Master in Politiche e studi di genere dell’Università Roma Tre.

Giuseppina Capone

La carriera artistica di Raffaello a Firenze

Il giovane e promettente pittore Raffaello per approfondire la propria crescita culturale e artistica (pur essendo già un artista affermato in Umbria) si trasferì per un breve periodo a Firenze (1504-1508) per ammirare Leonardo e Donatello durante la decorazione della medesima sala del Maggior Consiglio,  e difatti, dedicò il suo tempo allo studio della tradizione figurativa fiorentina. Durante il suo soggiorno a Firenze, Raffaello, strinse amicizia con diversi artisti come Ridolfo del Ghirlandaio, Antonio da Sangallo, Aristotele da Sangallo, Francesco Granacci e in breve tempo riuscì ad ottenere numerosi incarichi da facoltosi cittadini come Lorenzo Nasi (per il quale dipinse la Madonna del Cardellino) e Domenico Canigliari (per il quale realizzò la Sacra Famiglia Canigiani). Il ritratto del facoltoso mercante e illustre Mecenate Agnolo Doni, fu uno dei ritratti che Raffaello realizzò per le famiglie dell’aristocrazia mercantile fiorentina. In questa opera l’artista si rifà alla tradizione realistica e biografica più che psicologica del busto fiorentino e si ispira ai modelli leonardeschi. Nella Madonna con il Bambino, invece, applicò il nuovo principio di organizzazione formale con la nuova flessibilità di ritmi compositivi suggeritagli da Leonardo. Mentre  il tema sacro è quello in cui dedicò maggiormente una grande ricerca di forme ed espressività. Per Raffaello queste opere sono state il terreno di prova su cui si concentrano una chiara ricerca di espressione, e così diede vita ad un proprio linguaggio figurativo.


Le varie tecniche artistiche di Raffaello

Nell’essenzialità dell’impianto strutturale della Madonna del Prato (1506) l’organicità dello schema piramidale stringe le nuove complesse articolazioni compositive in una struttura bilanciata, conferendo all’immagine una nuova cinquecentesca monumentalità. Le ricerche di Raffaello si articolano verso diverse direzioni: nel dipinto della Madonna Esterhazy, Raffaello, è stato in grado di applicare le tecniche apprese da Leonardo dando vita a diversi intrecci di movimenti e donando all’immagine della Madonna l’espressione reale. Da lì a poco, Raffaello abbandonò la tecnica appresa da quest’ultimo per attingere a una fermezza monumentale (suggerita dalle opere di Michelangelo) assieme ad una ricerca di naturalezza e armonia espressiva. Queste ricerche approfondite aiutarono il pittore nell’evoluzione dello stile rinascimentale maturo.

Il principale modello per le Pale d’Altare fiorentino del secondo decennio del secolo fu il dipinto della Madonna del Baldacchino, grazie alla nuova ambientazione architettonica e al respiro spaziale creato dalle figure scalate in profondità, Raffaello riuscì a  rendere intenso lo sguardo dei personaggi religiosi dell’affresco, tanto trasmettere un grande senso di naturalezza e umanità. Conclusa l’esperienza toscana, Raffaello si interessò alla narrazione drammatica. Nel 1503 ricevette l’incarico dalle Monache del convento di Sant’Antonio a Perugia di una Pala di Altare. Nel 1504 dipinse la Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista e Nicola. Nel 1505 si dedicò all’affresco con la Trinità e Santi nella Chiesa del Monastero di San Severo (Perugia). Da quel momento Raffaello era continuamente in viaggio per lavoro e  nel 1505 partì per Urbino accolto alla Corte di Guidobaldo da Montefeltro.

Sanzio, dipinse per il Duca una piccola Madonna e tre tavolette come quella di San Michele e il drago, un San Giorgio e il drago. Per alcune famiglie della borghesia medio-alta a Firenze, Raffaello dipinse diversi affreschi di Madonna con bambino: la Madonna del Cardellino e la Madonna del Belvedere e la Bella Giardiniera. Agnolo Doni, la Dama col Liocomo e Donna gravida sono altri affreschi di Raffaello in cui è presente un’evidente influenza di Leonardo. La pala Baglioni (1507) gli fu commissionata da Atlanta Baglioni e destinata a un altare nella chiesa di San Francesco al Prato a Perugia. Mentre la Madonna del Baldacchi fu l’opera con la quale concluse la sua carriera artistica fiorentina (1507-1508). Nel 1508 il giovane artista si trasferì a Roma in seguito alla convocazione del papa Giulio II, il quale il suo intento  era quello di rinnovare, a livello artistico, la città e in particolare il Vaticano. Per la decorazione dei nuovi appartamenti papali collaborarono diversi artisti come il Bramantino, il Sodoma, Baldassare Peruzzi, Lorenzo Lotto e tanti altri. Il papa rimase estasiato dal lavoro di Raffaello che decise di commissionargli tutta la decorazione dell’appartamento. Raffaello in quegli anni si dedicò anche alla realizzazione dei ritratti dando vita a nuove tecniche come nel ritratto di Cardinale, oggi al Prado  (1510-1511 ) il ritratto di Baldassarre Castiglione (1514-1515), il ritratto della Freda Inghirami (1514-1516) e soprattutto con il ritratto di Giulio II che l’artista manifestò tutto il suo nuovo studio di tecniche del ritratto. Le opere di Raffaello comprendono un notevole numero di affreschi:

Ritratto di giovane donna, (1518-1519) olio su tavola Strasburgo, Musée des Beaux-Arts.  Santa Margherita, (1518) olio su tavola, Vienna, Kunsthistorisches MuseumMadonna della Rosa – Ritratto di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino (1518)olio su tela già Christie’s – Galleria degli Uffizi Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, (1518-1519) olio su tavola Firenze, Uffizi, Perla di Modena, (1518-1520) Modena, Galleria Estense e tanti altri meravigliosi affreschi. A soli 37 anni Raffaello morì ma nonostante la giovane età è stato uno degli artisti che hanno dato vita alla storia dell’arte italiana.

Alessandra Federico

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