Alle Gallerie d’Italia a Napoli conferenza dell’Istituto Italiano dei Castelli Campania

Martedì 4 novembre alle ore 17 presso le Gallerie d’Italia, in via Toledo 177, promossa dall’Istituto Italiano dei Castelli, si terrà la conferenza del prof. Leonardo Di Mauro “La pianta Dupérac Lafréry e il suo studio per la conoscenza della città contemporanea”

La pianta di Napoli del 1566 incisa da Etienne Dupérac ed Antoine Lafréry è la più importante raffigurazione della città di Napoli nel XVI secolo. I limiti del territorio rappresentato sono ad oriente il Ponte della Maddalena, lo stradone per Poggioreale ed il borgo di Sant’Antonio Abate; a nord la collina di Capodimonte; la chiesa di Santa Maria di Piedigrotta ad occidente. La data di edizione è contemporanea alle prime prammatiche vicereali e ad una delle più antiche descrizioni della città di Napoli, quella di Giovanni Tarcagnota. Con l’estrema precisione del rilievo la pianta sembra rispondere alla domanda che nel 1566 si poneva proprio il Tarcagnota: “Ora per gratia ditemi chi mi saprà mostrare di qui a cento anni dove fosse porta Petruccia, porta Reale, porta di San Spirito, porta Donnorso? Chi mi saprà di qui a poco dove la Duchesca si fosse? Chi dimandasse di qui a cento anni, dove il Tribunale della Vicaria, o della Sommaria, o del Sacro Consiglio si fosse, come saprebbe huomo renderne conto, se da alcuno scrittore non se lascerà qualche memoria ai posteri?”

Campus Salute a Scampìa: Oltre 3000 prestazioni mediche gratuite e il Festival della letteratura sportiva

Campus Salute a Scampìa con oltre 3000 prestazioni mediche gratuite per tutti e la diffusione della cultura della prevenzione “che insieme a corretti stili di vita rappresenta il primo farmaco per la salute”, come ha spiegato la coordinatrice scientifica professoressa
Annamaria Colao, al taglio del nastro dell’iniziativa ospitata quest’anno negli ambienti della Chieda di Maria SS del Buon Rimedio a Scampìa. Durante i tre giorni del Campus Salute ETS presieduto da Pasquale Antonio Riccio sono state elargite centinaia di visite gratuite, come sempre realizzate grazie al contributo dei numerosi medici e dei volontari che hanno offerto le loro prestazioni in tanti ambulatori specialistici: Prevenzione Osteoporosi, Geriatria, Gastroenterologia, Dermatologia, Cardiologia, Senologia, Ginecologia, Eco Tiroide, Pneumologia, Nutrizione, Ecodoppler venoso, Ecodoppler arterioso, Andrologia, Prevenzione Diabete, Fisioterapia, Attività Fisica Adattata.
Anche quest’anno, inoltre, si è svolto il Festival della letteratura sportiva organizzato da Tommaso Mandato con la presentazione di numerosi libri accolti soprattutto da un pubblico di giovanissimi.
Infine c’è stata anche l’opportunità di approfondire il ruolo della comunicazione nel volontariato e per la prevenzione nell’ambito del seminario promosso con l’Ordine dei Giornalisti della Campania.

La scelta per il secondo anno consecutivo di Scampia è dettata dalla volontà di essere sempre più vicini ai cittadini che più hanno bisogno di cure”, ha dichiarato la professoressa Annamaria Colao, vicepresidente del Consiglio nazionale di Sanità.
Intendiamo raggiungere le aree periferiche e più distanti dalle grandi strutture ospedaliere e avvicinare alla cultura della prevenzione le fasce sociali maggiormente in difficoltà della popolazione”, ha concluso il presidente del Campus Salute Ets Pasquale Antonio Riccio.

La nascita della filatelia Lions. La Ventiquattresima Convention. Avana, 1940

Molte associazioni di servizio, come gli Scout, Croce Rossa, Rotary sono onorate spesso dai Paesi nei quali operano da emissioni filateliche che ne celebrano l’operato. Anche i Lions hanno i loro riconoscimenti filatelici con emissioni che ne tracciano la storia e l’evoluzione. Quando le emissioni raggiungono un certo numero allora comincia anche il collezionismo. Si tratta di un tipo di collezionismo definito “Tematico” per il suo esclusivo interesse. Ed allora anche la nascita della filatelia Lions che ora conta centinaia di emissioni riveste un particolare interesse tanto essa si intreccia con la vita dell’Associazione. La nostra filatelia nasce ufficialmente (prima c’erano stati decine di annulli filatelici in varie nazioni ma non emissioni in senso stretto) il 23, 24 e 25 luglio 1940 quando si tenne all’Avana la ventiquattresima Convention Internazionale dei Lions. Fu la prima fuori dal continente americano.

A Cuba, all’epoca, il Presidente facente funzioni era Federigo Laredo Brù, che fu sostituito il 10 ottobre 1940, pochi mesi dopo la Convention, dall’ex Generale Fulgencio Batista, che rimase in carica fino al 1944. In quei mesi, ci fu un tentativo di dare a Cuba una Costituzione, ma alla fine tutto crollò con la rivoluzione castrista.

I presidenti, uscente ed entrante, del Lions International erano Alexander Wells di New York e Karl Sorrick del Michigan. I giornali dell’epoca avevano pubblicizzato ampiamente la Convention cubana a quella di New York dell’anno precedente: quindi la partecipazione dei Lions fu serrata. Un mese prima, per conto dei Rotary, Hemingway era stato il testimonial della pesca al marlin blu nelle calde acque di Cuba.

Fin dalla nascita dei Rotary e dei Lions ci fu una lunga serie di annulli postali, culminata infine a Cuba, dove fu emesso il primo francobollo dedicato. Il primo francobollo Rotary vide la luce nel 1940, ma qualche mese prima. In effetti nel 1931, in occasione del Congresso internazionale Rotary di Vienna, le Poste austriache celebrarono l’evento con una serie di sei francobolli raffiguranti paesaggi di località turistiche austriache. Adottarono infatti la tecnica della sovrastampa: ovvero, lo stemma dei Rotary con la dicitura “Convention-Wien 1931” venne sovrapposto a una serie turistica preesistente – piuttosto triste dal punto di vista grafico – emessa due anni prima. Come è tipico della sovrastampa, l’effetto non è particolarmente brillante, ma il francobollo aveva valore legale; quindi, non ci sarebbe nulla da eccepire sulla primogenitura della filatelia Rotary. Ma per ottenere un francobollo dedicato ed originale bisogna aspettare il 1940 per entrambe le Associazioni.

Nel frattempo, in Europa, la gente combatteva e moriva per ideologie assurde, e le associazioni di servizio venivano chiuse perché diffondevano idee di libertà. Vale la pena considerare che in Germania alcuni Rotary club furono costretti ad espellere i soci ebrei per sopravvivere un po’ più a lungo. In Europa, i Lions arrivarono dopo la guerra, ma questa è un’altra storia.

A quella Convention, Cuba onorò la presenza dei Lions emettendo un francobollo originale dedicato all’Associazione, dando così inizio alla filatelia Lions, che in seguito conquistò i soci grazie all’entusiasmo di Melvin Jones, tenace filatelico. Le cose non furono però semplici. A quei tempi le emissioni di Cuba erano molto frequenti e ad alta tiratura. Per questo motivo le autorità postali cubane tentarono, nella fase preliminare, di riciclare per i Rotary e i Lions un francobollo che avevano emesso in 25 milioni di esemplari, con la sovrastampa dell’emblema ripetendo l’operazione Vienna di 9 anni prima – abbiamo l’acetato di prova – ma grazie alla forza delle due associazioni alla fine cedettero ed emisero un francobollo originale prima per i Rotary e poi per i Lions.

Per noi si trattò di un francobollo rosso carminio, da 2 centesimi, emesso in una tiratura di 250.000 fogli (totale 2 milioni e mezzo di esemplari), che presentava il “centro-foglio”, una bellissima combinazione che fungeva da marchio di fabbrica delle emissioni filateliche cubane degli anni ’40. In effetti, questo tipo di emissione, particolarmente elegante, fu utilizzato anche per altri eventi e personalità da commemorare.

Il nostro primo francobollo raffigurava la bandiera cubana e lo stemma dei Lions in primo piano, con la scritta “Convention – L’Avana 1940”; sullo sfondo, tre palme e, nell’angolo in basso a destra, il valore (2 centesimi) (Scott # 363). Per chi ama le coincidenze, il 1940 segnava il centenario del primo francobollo, il famoso penny black.

Ma perché le palme sul nostro francobollo, se Cuba è sempre stata ed è la patria di grandi sigari e tabacco pregiato? È semplice: il simbolo del tabacco era già stato utilizzato per la trentunesima Convention Internazionale del Rotary International di Cuba dal 9 al 14 giugno 1940. Particolare curioso: durante la Convention Rotary, la vignetta fu a lungo sbeffeggiata come “pianta di thè” data la grande somiglianza ad una pianta del thè della pianta di tabacco che voleva raffigurare.

Per avere una nuova emissione filatelica i Lions dovranno aspettare il primo Congresso Distrettuale di Manila, dal 2 al 4 giugno 1950 quando le Filippine emisero una serie di quattro emissioni: arancione, viola, verde e blu, con l’emblema Lions al centro. Da quel momento, le emissioni divennero molto più frequenti fino a costituire un corpus degno di una collezione tematica e nel 1951 nacque ad Atlantic City il primo Club Filatelico Lions voluto dall’instancabile segretario Melvin Jones.

Antonio Marte

Past Governatore Distretto 108 Ya Lions International

Lions Club Filatelico Italiano

 

Fig. 1. Il primo francobollo Lions. Cuba 1940 (Scott# 363)

 

Fig. 2. Il primo francobollo Rotary. Cuba 1940 (Scott# 362)

 

Fig. 3.  Il bellissimo “Centro de Hoja” del Cuba 1940

Istituto Italiano dei Castelli Campania: alle Gallerie d’Italia a Napoli conferenza sulla pianta Dupérac Lafréry

Martedì 4 novembre alle ore 17,00 presso le Gallerie d’Italia, in via Toledo 177, promossa dall’Istituto Italiano dei Castelli, si terrà la conferenza del prof. Leonardo Di Mauro “La pianta Dupérac Lafréry e il suo studio per la conoscenza della città contemporanea”

La pianta di Napoli del 1566 incisa da Etienne Dupérac ed Antoine Lafréry è la più importante raffigurazione della città di Napoli nel XVI secolo. I limiti del territorio rappresentato sono ad oriente il Ponte della Maddalena, lo stradone per Poggioreale ed il borgo di Sant’Antonio Abate; a nord la collina di Capodimonte; la chiesa di Santa Maria di Piedigrotta ad occidente. La data di edizione è contemporanea alle prime prammatiche vicereali e ad una delle più antiche descrizioni della città di Napoli, quella di Giovanni Tarcagnota. Con l’estrema precisione del rilievo la pianta sembra rispondere alla domanda che nel 1566 si poneva proprio il Tarcagnota: “Ora per gratia ditemi chi mi saprà mostrare di qui a cento anni dove fosse porta Petruccia, porta Reale, porta di San Spirito, porta Donnorso? Chi mi saprà di qui a poco dove la Duchesca si fosse? Chi dimandasse di qui a cento anni, dove il Tribunale della Vicaria, o della Sommaria, o del Sacro Consiglio si fosse, come saprebbe huomo renderne conto, se da alcuno scrittore non se lascerà qualche memoria ai posteri?”

Simonetta Tassinari: Il sapere dell’anima. Tre filosofe al confine tra ragione e fede

Cosa l’ha spinta a scegliere proprio queste tre filosofe come protagoniste del suo libro?

Mi interessava indagare il punto in cui il pensiero femminile incontra la trascendenza, ma senza rinunciare alla ragione. Le tre protagoniste del libro – diverse per epoca, contesto e linguaggio – condividono una tensione comune: cercare Dio o il senso ultimo del reale non come dogma, bensì come esperienza conoscitiva. Ognuna di loro, a modo suo, fa filosofia con il corpo, con la visione e con la parola poetica. In loro il pensare è anche un modo di guarire il mondo.

In che modo la loro riflessione rappresenta un “confine” tra ragione e fede?

Il “confine” non è una linea che divide, ma uno spazio vivido, attraversato dal pensiero. È un territorio dove la ragione e la fede non si escludono, ma si interrogano a vicenda.
Le filosofe di cui parlo non scelgono un campo contro l’altro: abitano il varco, il punto in cui la ricerca razionale si apre al mistero senza smarrirsi.
In Ildegarda di Bingen, per esempio, la conoscenza nasce dalla luce interiore, ma si organizza in un vero e proprio sistema del sapere: mistica e metodo, visione e logica convivono.
In lei la fede non spegne la ragione: la accende, la rende più profonda e luminosa.

Pensa che oggi esista ancora una contrapposizione tra filosofia e spiritualità, o si sta trasformando?

Credo che si stia trasformando. Dopo secoli di separazione, la filosofia sembra riscoprire la dimensione interiore, la vulnerabilità, la domanda di senso.
Molti filosofi contemporanei – da Hadot a Ricoeur, fino a Vattimo – hanno dimostrato che pensare non significa solo argomentare, ma anche prendersi cura di sé e del mondo.
Oggi non è più scandaloso parlare di spirito, purché lo si faccia senza retorica.

Quale delle tre figure l’ha più colpita a livello personale, e perché?

Senza esitazioni: Ildegarda di Bingen.
È una donna che dirige un monastero, compone musica, scrive trattati di medicina e di filosofia naturale, e nel contempo si esprime con un linguaggio di pura luce.
Mi affascina la sua capacità di “vedere con l’anima” e di tradurre le visioni in parole concrete, utili alla vita. È una filosofa che non impone verità: cura, ascolta, guida le consorelle, affronta lunghi e difficili viaggi per diffondere la parola divina. E poi è modernissima: la sua idea di equilibrio tra corpo, mente e natura anticipa persino l’ecologia contemporanea.

Come hanno contribuito queste pensatrici a ridefinire il ruolo delle donne nella filosofia?

Hanno dimostrato che il pensiero femminile non è un’appendice della filosofia maschile, ma una forma autonoma di conoscenza.
Non cercavano di “fare come gli uomini”, ma di pensare da sé, partendo dal vissuto, dal corpo, dal simbolico.
La loro voce ha aperto una possibilità in un mondo che non prevedeva monache né mistiche né filosofe: eppure, malgrado tutto, si sono imposte come autorità intellettuali.

Il titolo parla di “sapere dell’anima”: come lo descriverebbe in termini contemporanei?

Il “sapere dell’anima” è una conoscenza che unisce logos e pathos, ragione e vita interiore.
Oggi potremmo chiamarlo intelligenza emotiva, coscienza ecologica, o semplicemente consapevolezza.
È un sapere che non pretende di dominare, ma che accoglie la complessità invece di ridurla. È la sapienza che nasce dal silenzio, non dal rumore.

Quali sono, secondo lei, le principali difficoltà che queste filosofe hanno incontrato nel far accettare il loro pensiero?

Prima di tutto, naturalmente, la semplice evidenza di essere delle donne. Dovevano giustificare ogni parola, scrivere “per obbedienza” o fingere di essere solo strumenti di una rivelazione divina per poter essere ascoltate.
In realtà, sapevano benissimo ciò che stavano facendo: trasformavano la marginalità in uno spazio di libertà.
Ma la difficoltà più grande era – ed è ancora – essere prese sul serio non come mistiche, ma come pensatrici.

C’è un legame tra la loro ricerca interiore e le sfide del nostro tempo, come la crisi di senso o la perdita di valori?

Senza dubbio. In un’epoca che misura tutto ma non sa più dove andare, queste filosofe ci ricordano che la conoscenza senza interiorità è vuota.

Ildegarda, ad esempio, direbbe che l’uomo moderno ha perso la “viriditas”, la linfa vitale che connette spirito e natura.
La loro lezione è attualissima: non si tratta di tornare alla fede dogmatica, ma di riscoprire una spiritualità del pensare, una dimensione del senso che non si compra e non si calcola.

In che modo il suo lavoro intende avvicinare il grande pubblico a figure filosofiche spesso trascurate?

Ho cercato di unire rigore e narrazione.
Non scrivo per specialisti, ma per lettori curiosi: il linguaggio è chiaro, le fonti sono solide, e il ritmo narrativo -almeno lo spero!- permette di entrare agevolmente nella vita di queste donne.
Credo che la filosofia, se dovesse restare nei chiostri accademici, correrebbe il rischio di inaridirsi un po’; viceversa, scendendo nella vita, tornerebbe a essere ciò che era all’inizio, ovvero un esercizio dell’anima.

Se potesse dialogare con una di queste tre filosofe oggi, quale domanda le porrebbe?

A Ildegarda chiederei: “Come si fa a mantenere la luce dentro, quando tutto intorno sembra spento?”
E sono certa che lei risponderebbe senza parole, forse con un canto o con un’erba medicinale.
Perché il suo insegnamento più grande è proprio questo: la conoscenza autentica non separa mai il sapere dal vivere, la mente dal cuore, la ragione dal respiro del mondo.

Simonetta Tassinari ha insegnato storia e filosofia nei licei e nel Laboratorio di didattica della filosofia dell’Università del Molise. Da anni coltiva la psicologia relazionale, la psicologia dell’età evolutiva, il counseling filosofico e divulga la filosofia tra bambini e ragazzi. Anima partecipati caffè filosofici e tiene conferenze in tutta Italia e all’estero. Collabora con la fondazione Quid+ e con Treccani Futura. Molto apprezzata dai lettori per la sua capacità di rendere la filosofia alla portata di tutti, è autrice per Feltrinelli del fortunatissimo Il filosofo che c’è in te (2019), cui ha fatto seguito Il filosofo influencer (2020), Contro-filosofia dell’amicizia (2022) e Il bello tra le crepe. Manuale di riparazione della vita quotidiana (2025). Per Gribaudo ha pubblicato diversi manuali, tra cui Instant filosofia (2021) e Il libro rosa della filosofia (2024).È stata candidata al premio Strega 2023 con il romanzo storico Donna Fortuna e i suoi amori (Corbaccio).

Giuseppina Capone

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