Mercato del lavoro e quarta rivoluzione industriale

La quarta rivoluzione industriale rischia di dividere il mercato del lavoro tra privilegiati con un lavoro adeguato e stipendio commisurato e  precari in percorsi di carriera discontinui e mansioni dequalificate con bassi salari.

Sono per questo giunte da più parti proposte per attenuare gli effetti negativi di questa rivoluzione tecnologica. Tassare l’innovazione o i robot (come proposto da Bill Gates) o trasformare il mondo fatto da persone che vivono di sussidi (reddito di cittadinanza), sarebbe meglio aiutare i lavoratori a rimanere tali (proposta di Obama). Da qui l’importanza di misure attive per la prevenzione o la compensazione del reddito come programmi di formazione permanente, prestiti a lungo termine a fini di riqualificazione professionale con programmi di assicurazione sui salari.

La U.S. Bureau of the Census Displaced Workers Survey mostra che nel 2013-15 i lavoratori Usa spiazzati da globalizzazione e tecnologia sono stati 3,2 milioni, più del 2 per cento degli occupati americani. Due terzi di questi hanno ritrovato un lavoro nel gennaio 2016  (53%) e guadagna più o meno lo stesso reddito di una volta, mentre il 47% si è trovato a guadagnare di meno. Se la disoccupazione è causata dalla tecnologia e riguarda lavoratori esperti, occorrono strumenti di compensazione di reddito che durino nel tempo, più dell’indennità di disoccupazione, operando come strumento di assicurazione/rassicurazione sociale.

Il governo italiano sembra prendere sul serio queste idee. Nella legge di bilancio 2018 ci sono due articoli che destinano risorse a piani di integrazione salariale per accompagnare ristrutturazioni aziendali e la ricollocazione di lavoratori presso altre aziende. Nell’articolo 19 si stanziano fino a 100 milioni di euro annui per prorogare l’intervento straordinario di integrazione salariale nel caso di processi di riorganizzazione aziendale particolarmente complessi per gli investimenti richiesti e per le scelte di reintegro occupazionale. Nell’articolo 20 (comma 4) il lavoratore che accetta l’offerta di un contratto di lavoro con un’altra impresa viene esentato dal pagamento dell’Irpef sul Tfr, oltre al diritto a ricevere un contributo mensile pari a metà del trattamento straordinario di integrazione salariale che gli sarebbe stato altrimenti corrisposto con l’articolo 19. Per il datore di lavoro è previsto il dimezzamento dei contributi previdenziali (fino a 4.030 euro su base annua). Sono i primi passi nella direzione giusta ed equa.

Danilo Turco

Riforme fiscali Usa e EU

Molti si chiedono se la riforma fiscale di Trump avrà conseguenze anche in Europa. Diverse sono le misure che l’UE potrebbe adottare per mitigare/annullare il vantaggio competitivo USA, fatto che genererà di certo la concorrenza fiscale fra i Paesi.

La riforma fiscale americana prevede la deducibilità immediata, non in più periodi d’imposta, del costo di determinati beni strumentali per i prossimi cinque anni, con l’effetto di escludere da tassazione il rendimento normale del capitale investito; un’altra disposizione introduce anche un regime agevolativo di tassazione (il cosiddetto patent box) per i redditi derivanti dall’utilizzo di beni immateriali, al 13,125%. Conseguenza di questo è che la deduzione immediata dei componenti negativi di reddito può attrarre investimenti esteri in immobilizzazioni materiali negli Usa; d’altro canto, il patent box può incoraggiare lo spostamento dei profitti derivanti dallo sfruttamento delle opere di ingegno negli Stati Uniti. Ambedue le suddette disposizioni possono preoccupare i principali Paesi dell’UE, per la eventuale perdita di posti di lavoro e di gettito fiscale. A questo, una possibile reazione potrebbe essere un allineamento al ribasso, l’adozione di regole simili. Per esempio, il Regno Unito ha già annunciato la riduzione dell’aliquota dell’imposta sulle società dall’attuale 19 al 17 per cento entro l’aprile del 2020 e il patent box al 10 per cento.

Alcuni partner commerciali degli Stati Uniti, come Francia, Germania e Italia, potrebbero applicare la disciplina delle Controlled Foreign Companies alle controllate estere domiciliate negli Stati Uniti. Il regime statunitense prevede un sussidio (aliquota del 13,125 invece del 21%) che è direttamente legato al reddito dalle esportazioni ed è quindi incompatibile con le disposizioni dell’Organizzazione mondiale del commercio in materia di sussidi vincolati alle esportazioni. Come già avvenuto in passato, la UE impugnerà tali disposizioni in seno all’Omc e, probabilmente, vincerà. Di conseguenza, sotto la minaccia di sanzioni, gli Stati Uniti saranno costretti ad abbandonare il patent box e si inasprirà l’attuale livello di concorrenza fiscale internazionale, producendo il rimpatrio degli utili delle controllate estere esentasse delle multinazionali Usa, per spostarli in paesi con un’aliquota inferiore al 21%. A tutto questo potrebbe seguire un incentivo a localizzare investimenti e lavoro nei Paesi europei a bassa tassazione.

Danilo Turco

Nigeria, tra petrolio e Boko Haram si muove la prima economia africana

I World Development Indicators della Banca Mondiale relativi alla Repubblica Federale della Nigeria certificano come con i suoi circa 180 milioni di abitanti essa sia lo Stato più popoloso del continente e, a partire dal 2014, a seguito della revisione del metodo di calcolo del PIL, ormai anche la prima economia superando il Sudafrica.

Una terra ricca di materie prime e realtà tra le più privilegiate in un continente, però, spesso vittima della maledizione delle risorse. La rapida industrializzazione e l’urbanizzazione realizzata negli ultimi decenni è stata garantita e finanziata principalmente dal petrolio, che rappresenta oltre i 2/3 delle entrate dello Stato, e dall’afflusso di investimenti diretti esteri. La scoperta dell’oro nero nel 1956 da parte di Shell nello stato di Bayelsa ha reso il Delta del Niger un’area strategica a livello globale, e la città di Port Harcourt il principale hub petrolifero del Paese. Mentre solo recentemente è stato annunciato l’avvio dell’estrazione di petrolio anche al largo della capitale economica nigeriana Lagos, megalopoli da oltre 16 milioni di abitanti e settima città al mondo per velocità di crescita demografica. Di rilievo è anche l’estrazione di gas naturale, di cui la Nigeria possiede i più ricchi giacimenti del continente.

Eppure le difficoltà dovute ai sabotaggi agli impianti petroliferi  e la minaccia intermittente di Boko Haram a nord del Paese, ne fanno una realtà economica ancora poco stabile.

L’Italia, però, è da anni tra i sostenitori della necessità di rafforzare le relazioni con il continente africano. In questo quadro la Nigeria rappresenta un interlocutore imprescindibile e l’azione diplomatica del governo italiano negli ultimi anni in Africa lo ha dimostrato.

Dal 2014, infatti, l’attività diplomatica italiana nel continente africano è stata intensa, con missioni in Angola, Mozambico, Congo-Brazaville, Kenya ed Etiopia. Mentre nel febbraio del 2016 la terza missione africana del governo è partita proprio da Abuja per fare tappa successivamente in Ghana e Senegal.

Questa nuova attenzione per l’Africa da parte dell’Italia risponde alla convinzione strategica che per il nostro Paese è di fondamentale importanza rafforzare la cooperazione economica e politica non solo con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, storicamente e culturalmente a noi più vicini, ma anche in quell’Africa Sub-Sahariana ricca di opportunità quanto di contraddizioni. Anche per far fronte a nuove ed incisive politiche migratorie.

I settori di interesse sono molteplici non solo nell’ottica dello sviluppo del know-how e dell’industria locale e nell’ammodernamento e ricostruzione delle infrastrutture (idrocarburi, industria estrattiva, meccanizzazione agricola, costruzioni, infrastrutture, servizi portuali e ingegneristica), ma opportunità interessanti esistono per l’esportazione di beni di consumo (arredamento, agroalimentare, abbigliamento) e di lusso. L’obiettivo è intercettare i tanti ricchi nigeriani. Basti pensare che in una città come Lagos, secondo le stime di un recente studio di SACE e ISPI, sono circa 10.000 i milionari che possono permettersi tutte le eccellenze del Made in Italy.

La sfida, in Nigeria così come in tutto il continente africano, passa dalla capacità di convertire un “boom economico” decennale, garantito dal super ciclo delle commodities e dai prezzi del petrolio lontani anni luce da quelli attuali, in una traiettoria di crescita di lungo termine sostenibile che ne dispieghi appieno il potenziale, dando a queste realtà i mezzi per affrontare un futuro sempre più complesso. Una sfida difficile ma indubbiamente giusta.

E l’Italia in questa sfida può, vuole e deve avere un ruolo.

Rossella Marchese

Storica vittoria dell’Uruguay contro la multinazionale Philip Morris

La Philip Morris ha perso la causa che aveva presentato contro l’Uruguay presso l’organismo della Banca Mondiale per l’arbitraggio sugli investimenti, in quella che il Presidente del Paese sudamericano, Tabaré Vazquez, ha definito un successo nella lotta contro l’industria del tabacco.

È necessaria una precisazione, la giustizia internazionale, nel caso di specie un tribunale di fronte al quale possono presentarsi le imprese multinazionali che ritengono di essere state danneggiate da un determinato governo, si è occupata del caso ed ha respinto la richiesta di risarcimento da 25 mln di dollari avanzata da Philip Morris dichiarandosi incompetente sulla materia.

Vazquez in merito ha annunciato, in un breve discorso televisivo alla nazione, che il Tribunale di arbitraggio internazionale per il regolamento delle controversie relative ad investimenti (Icsid) ha respinto totalmente le pretese delle industrie del tabacco.

La Philip Morris, infatti, aveva denunciato Montevideo per violazione delle convenzioni internazionali sugli investimenti, ricorrendo al meccanismo della disputa internazionale investitore-stato (Isds), dopo che il governo di Vazquez aveva imposto condizioni molto restrittive per la vendita di sigarette in Uruguay, riducendo il numero di marche commercializzate dall’azienda e fissando regole drastiche per il packaging e la pubblicità dei suoi prodotti: il piccolo Paese sudamericano, infatti, ha approvato una legge che assegna l’80% della superficie dei pacchetti di sigarette agli avvisi scritti e visivi legati ai danni del fumo.

Il Presidente, non solo dirigente socialista, quanto piuttosto noto oncologo, ha sostenuto la sua personale battaglia contro le dipendenze create dal tabagismo e dall’utilizzo di marijuana, molto diffuse in Uruguay, e la sentenza del Tribunale arbitrale gli ha riconosciuto la vittoria, decidendo in favore delle misure adottate in funzione del potere sovrano della repubblica uruguayana: “d’ora in poi, qualora le industrie del tabacco cerchino di moderare le regolamentazioni degli accordi sui loro investimenti usando la minaccia di una causa, avranno a che fare con il nostro precedente”, ha sottolineato Vazquez. Ed in effetti, il carattere intimidatorio dell’azione presentata (e poi persa) dalla Philip Morris è apparso alquanto evidente.

In sostanza, una giustizia commerciale, parallela ai canali degli ordinamenti giuridici nazionali, davanti alla quale gli stati e i privati hanno lo stesso peso, ha stabilito con tale sentenza, per la prima volta a livello internazionale, la prevalenza dell’interesse pubblico, in questo caso della salute pubblica, rispetto agli interessi commerciali. Un risultato che conferma che sul tema della salute è stato toccato il limite rispetto alla libertà d’impresa.

Rossella Marchese

Lo scenario Ryanair sta cambiando

Ryanair ha riconosciuto i sindacati e accettato di dialogare con loro, ma in realtà non è altro che un tentativo di calmare le acque. Infatti, sono già state inventate le auto a guida autonoma e sono in fase di sperimentazione anche se non possono ancora sostituirsi a quelle a guida umana e per far volare gli aeromobili occorrono ancora piloti ed equipaggi. La verità è che per formare piloti occorre sostenere costi onerosi e impegnare molto tempo. Per questo, la domanda di piloti, in un mercato del trasporto aereo in accelerazione, risulta essere più dinamica rispetto all’entrata sul mercato del lavoro di nuovi piloti formati e va a generare scarsità e tendenza alla crescita dei loro salari.

E’ stata questa recente accelerazione del mercato che ha influenzato i cambiamenti di scenario, cogliendo Ryanair di sorpresa.

Nell’immediato futuro è evidente come le condizioni di utilizzo dei piloti di Ryanair e la loro remunerazione economica siano destinate ad avvicinarsi a quelle dei vettori tradizionali. Va quindi osservato come non sia l’aumento di stipendio ai piloti a minare la competitività di Ryanair, per questo la soluzione risulterebbe semplice: basta aumentare lievemente il costo dei biglietti e apportare una piccola riduzione dei profitti. Invece, occorre che Rayaner investa di più per affrontare lo scenario futuro di accelerazione di mercato.

Danilo Turco

La nuova via della seta verso la Cina

Oggi ci si chiede quale effetto produrrà la Belt and Road Initiative (Bri),  nuova frontiera della globalizzazione economica, quali le implicazioni possiamo attenderci sul commercio internazionale? Di certo il potenziamento delle infrastrutture di comunicazione e di trasporto terrestre e marittimo ne ridurrà i tempi e i costi, ma anche nuove relazioni commerciali  potranno rivelarsi convenienti tra gli stati che oggi sono tra di loro isolati o proibitivamente distanti. A riguardo attualmente va riconosciuto come la carenza di collegamenti internazionali nell’Asia per quei paesi che non hanno accesso al mare come il Pakistan. Infatti, a riguardo vanno considerati i costi di connettività marittima e l’efficienza logistica, le due variabili che incidono sui costi di trasporto più della distanza geografica. Infatti pare che l’assenza di un collegamento marittimo diretto riduce del 55 per cento il valore dell’export di un paese.

Per questo l’effetto di Bri che è più difficile da prevedere, da considerare piuttosto dirompente, è quello che riguarda le suddette sulle modalità di trasporto del commercio internazionale, per cui solamente se ci sarà potenziamento delle rotte terrestri per il trasporto via terra, le rotte marittime potrebbero subire la concorrenza e che riguarderà i rapporti commerciali Europa-Cina.

Oggi i costi di trasporto del commercio bilaterale Cina-Europa risultano più alti della media mondiale per cui in alcuni settori, high-tech ed elettronica, stanno già spostandosi su rotaia e d’altro canto, le agenzie marittime e le autorità portuali si sono messi all’opera per riprogettare le corsie marittime, con la finalità di migliorare , riducendo i tempi di spedizione.

Danilo Turco

Conferenza ministeriale WTO a Buenos Aires: la WTO viaggia in ripresa?

L’undicesima Conferenza ministeriale della Wto aperta a Buenos Aires non sarà come le altre. Non tanto perché è la prima in un Paese sudamericano, e nemmeno per i risultati che produrrà. Tutto questo è la cornice del vero dibattito, il faccia a faccia con l’Amministrazione americana con la sua fase di aperto riflusso della globalizzazione e di ritorno ai nazionalismi.

La Conferenza è terminata il 13 dicembre. I negoziati di preparazione svolti a Ginevra non hanno prodotto un testo condiviso di dichiarazione. E i lavori sono stati bloccati dagli Stati Uniti, reticenti a continuare gli esercizi e  intenzionati a evitare forse il sostegno al sistema multilaterale del commercio.

Gli Stati Uniti contribuiscono al bilancio della Wto per l’11%. Germania, Francia, Spagna e Italia da sole pesano quasi il doppio (20%). Se dagli Usa non si può prescindere, gli altri 163 soci della Wto non sono però disposti a subire i suoi atteggiamenti. La Ue vive con insofferenza le dichiarazioni dell’Amministrazione Trump e la Cina si è già proposta come campione del liberismo. Il Giappone e gli alleati asiatici di Washington devono ancora digerire il ritiro dalla Trans Pacific Partnership, che gli Usa avevano già siglato con 11 Stati del Pacifico.

Gli attacchi della Casa Bianca alla World Trade Organization hanno dato seguito alla retorica del candidato Donald Trump, che in campagna elettorale minacciò di portare gli Stati Uniti fuori da un’organizzazione «inutile», «disastrosa», «dannosa». A questo si è aggiunto il meccanismo di risoluzione delle dispute commerciali, che ha colpito al cuore con il boicottaggio della nomina di nuovi giudici nella “corte d’appello” (Appellate Body), ormai quasi alla paralisi. Mai nei suoi 70 anni di vita (l’accordo sul Gatt, precursore della Wto, fu siglato il 30 ottobre del 1947), l’Organizzazione ha vissuto una minaccia così pericolosa come l’aperto ripudio del Paese leader che nel dopoguerra ha progettato la struttura del sistema multilaterale.

Danilo Turco

La schedatura di massa di World-Check, il database utilizzato da banche e istituti finanziari

Quello di La schedatura di massa di World-Check, il database utilizzato da banche e istituti finanziari è l’ennesimo caso di dati sensibili utilizzati da operatori del mercato globale in maniera più o meno lecita, senza troppo badare alla privacy o al tipo di informazioni messe all’asta al migliore offerente.

In questo caso si tratta di circa 2 milioni di persone schedate ed incluse in una watchlist gestita da privati che la commercializzano in abbonamento. World-Check è un database confidenziale di proprietà del gigante dell’informazione finanziaria, Thomson Reuters, che stando ai dati dell’agenzia, viene utilizzato da circa 60mila clienti in 170 paesi del mondo, da 49 su 50 delle più importanti banche e da 300 tra forze dell’ordine e agenzie di intelligence, per valutare se chi hanno davanti può essere in qualche modo legato ai terroristi, criminali o anche politici a rischio corruzione.

Secondo quanto dichiarato dai portavoce di Reuters, questo database è stato creato per allertare chi lo usa su possibili rischi e su situazioni che potrebbero richiedere un ulteriore controllo, ma questo non implicherebbe che i soggetti inclusi pongano un vero rischio concreto. Eppure c’è chi si è visto chiudere il conto dalla propria banca, improvvisamente e senza spiegazione, perché il suo nome era stato inserito nella lista sbagliata di World-Check, com’è successo alla moschea londinese di Finsbury Park, presa, poi, di mira da un attentato terroristico lo scorso luglio. Una copia del database è finita pure online per errore, si trattava di un archivio di nomi risalente al 2014 ma comunque indicativo dei criteri di schedatura utilizzati da Reuters: criteri arbitrari, basati su fonti aperte, soprattutto articoli di giornale, non sempre aggiornati, o addirittura consultando siti web discutibili, come il controverso “Jihad Wath”considerato islamofobico.

Tra gli illustri presenti compaiono associazioni come Greenpeace, Medici Senza Frontiere, Human Rights Watch o addirittura il Pontefice; per quanto riguarda la politica italiana, ci sono tutti, da Renzi (famiglia tutta, inclusi i figli) a Beppe Grillo, ma le schedature più delicate sono quelle che compaiono sotto la voce “terrorismo” e che vedono incluse organizzazioni come CasaPound, mai finita in inchieste sul terrore, gruppi come la Federazione Anarchica Informale o attivisti politici come i NoTav o anche individui innocenti, perché completamente scagionati dalle accuse di terrorismo svariati anni fa.

Il problema di World-Check, insomma, è che un database completamente confidenziale per cui chi lo usa non va in giro a dirlo e chi ci finisce dentro spesso non lo sa e non lo scopre se non quando è troppo tardi. Il commercio di dati sensibili continua a fare danni e dimostra tutte le sue falle.

Rossella Marchese

Dal 1° gennaio 2018 gli insetti arrivano in tavola: “no” dal 54% degli italiani

Alcuni ristoranti di fascia elevata a Bangkok hanno iniziato a includere nei loro menu piatti a base di larve, mosche e simili. A detta degli studiosi l’entomofagia potrebbe essere la chiave per un’alimentazione più ecosostenibile nel prossimo futuro. Scorpioni, grilli e formiche che dai prati arrivano direttamente nelle tavole degli italiani. Dal primo gennaio 2018, come segnala Coldiretti, anche nel nostro Paese si potranno produrre e vendere gli ingredienti per il cosiddetto novelfood, come previsto dal nuovo regolamento dell’Unione europea. E quindi spazio agli insetti come nuova frontiera alimentare. Piatti che all’estero, soprattutto negli Paesi orientali, sono considerati vere e proprie prelibatezze e che presto potranno essere acquistati e consumati anche in Italia. Come gli spiedini di grilli o di cavallette dalla Thailandia, tarantole fritte e millepiedi al forno dalla Cina, la Coldiretti ne ha dato un assaggio al Forum internazionale dell’agricoltura di Cernobbio, con ricette che hanno coniugato la tradizione della cucina italiana con i nuovi e insoliti ingredienti, dalla pasta all’uovo condita con i grilli ai vermi giganti della Thailandia.

Si tratta di una novità che vede contrari ben il 54% degli italiani che li considerano estranei alla cultura alimentare nazionale mentre sono indifferenti il 24%, favorevoli il 16% e non risponde il 6%, secondo una indagine Coldiretti. “Al di là della normale contrarietà degli italiani verso prodotti lontanissimi dalla nostra cultura alimentare, l’arrivo sulle tavole degli insetti solleva dei precisi interrogativi di carattere sanitario e salutistico ai quali è necessario dare risposte, facendo chiarezza sui metodi di produzione e sulla stessa provenienza e tracciabilità degli insetti”, ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo nel ricordare che “la maggior parte dei nuovi prodotti proviene da Paesi extra Ue, come la Cina o la Thailandia, da anni ai vertici delle classifiche per numero di allarmi alimentari”. Di fatto, sono circa 2mila le specie di insetti che sono considerate commestibili. Il loro utilizzo in cucina è fortemente promosso dalla Fao, l’organizzazione Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, secondo la quale il consumo di questi animali sarebbe un valido alleato contro la fame nel mondo. Sono già 2 miliardi le persone che li mangiano e che assicurano che il sapore degli insetti non sia niente male, ma che anzi somigli a quello di animali come il pollo e il tacchino. Ma i più tradizionalisti, per il momento, possono tirare un sospiro di sollievo: è ancora lontano il giorno in cui una ‘spaghettata’ di scorpioni sostituirà il ragù della domenica.

Nicola Massaro

 

BCE: prosegue una strategia prudente

In seguito alla riunione svoltasi giovedì 7 settembre a Francoforte, il Consiglio dei governatori della Banca Centrale Europea (BCE) non ha mutato la sua strategia prudente.

Il Consiglio dei governatori BCE, i governatori delle Banche centrali e i membri del Comitato esecutivo si sono riuniti a Francoforte in un contesto di crescita. Nessuna nuova decisione è stata presa né in merito ai tassi d’interesse né su un eventuale ammorbidimento del Quantitative Easing (QE). Tale attendismo della BCE dipende sia dalla rimonta dell’euro (mercoledì ha raggiunto 1,1936 dollari) sia dalle dimissioni negli USA di Stanley Fischer – Vice-Presidente della Federal Reserve (FR) – che attestano il clima negativo esistente tra la Casa Bianca e i vertici della Banca Centrale americana.

Secondo gli analisti dell’istituto statunitense Citi, lo status di forza dell’euro serra le condizioni monetarie dell’eurozona. L’indebolimento dell’inflazione ha pertanto rinvigorito la strategia prudente della BCE. Un incremento dei tassi di cambio provoca sull’economia il medesimo effetto restrittivo causato da un aumento dei tassi d’interesse.

La rivalorizzazione della moneta unica rispetto al dollaro si attesta al 15% dall’inizio dell’anno e ha ottenuto un guadagno pari al 3,9% a partire dal 20 luglio. In questa data, durante la loro ultima riunione, i governatori BCE hanno manifestato la loro preoccupazione riguardante un’eccessiva rivalutazione specialmente sui mercati del cambio.

La BCE considera l’euro non soltanto dal punto di vista del cambio col dollaro, ma anche rispetto alle altre valute, ciò determina il tasso di cambio effettivo (TCE). Tale TCE ha ottenuto un incremento pari a 6,1% dall’inizio dell’anno e 1,7% a partire dal 20 luglio. Questo ha contribuito a diminuire l’inflazione. Secondo gli analisti di BNP-Paribas, a parità di tutte le altre variabili, a ogni incremento del TCE pari all’1%, l’inflazione flette dello 0,1% dopo un anno.

Anche se i prezzi dei consumatori sono aumentati negli ultimi mesi, il livello dell’inflazione non è quello auspicato da Mario Draghi. Il Presidente Draghi ha ripetuto che il mandato della BCE è la stabilità dei prezzi intesa con un tasso di inflazione pari o leggermente inferiore al 2%. Vi è una ripresa della crescita e i rischi della deflazione sembrano essersi dissolti. Pertanto, la Banca Centrale Europea può giustificare il proseguimento della sua strategia prudente.

Danilo Turco

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