Il via del parlamento europea alla nuova direttiva sul copyright

Il Parlamento europeo ha approvato di recente la nuova direttiva sul copyright. Essa è a favore dei produttori di contenuti online rispetto alle grandi piattaforme che li distribuiscono. Occorre individuare  strumenti e metodi su come neutralizzare il rischio censura.

Lo sviluppo contemporaneo della definizione dei cosiddetti diritti di proprietà intellettuale, (brevetti, software, design, marchi, diritto d’autore), ha fatto sì che a un certo punto le idee possono diventare patrimonio comune.

La tecnologia, internet, i social network, impongono oggi la necessità di pensare a come questi diritti di proprietà intellettuale e in particolare i diritti d’autore, debbano essere tutelati in presenza di una forte espansione dei contenuti digitali.

Così accade quando la stessa notizia o filmato diventa virale e finisce per apparire su centinaia di migliaia di pagine internet. In tal caso è stata coltivata l’dea che i meccanismi di trasmissione dei contenuti su internet potessero essere decentrati secondo un meccanismo apprezzabilmente “democratico”.

Con il tempo invece, la dominanza di pochi motori di ricerca e pochi social network ha fatto sì che la distribuzione dei contenuti sia avvenuta in maniera accentrata, secondo un meccanismo di finanziamento basato in larga parte sugli introiti pubblicitari ottenuti dalle grandi piattaforme, che hanno consentito di sfruttare i contenuti pubblicati senza pagare “il giusto prezzo”, cioè il diritto d’autore.

Questo fatto riguarda i giornali e i produttori di notizie nei confronti dei siti che aggregano le notizie, Google News, e per i produttori di video e brani musicali che compaiono su You Tube e social network come Facebook e Twitter.

Questo ha spinto il Parlamento europeo in seduta plenaria ad approvare di recente e a larga maggioranza una direttiva sul copyright digitale che – negli articoli 11 e 13 – sposta il bilanciamento della tutela del diritto d’autore nella sfera digitale a favore dei produttori di contenuti e a svantaggio delle grandi piattaforme. L’articolo 11 in particolare si focalizza sull’estensione del diritto d’autore per gli editori e in generale i produttori di notizie rispetto agli “information society service providers”, cioè le piattaforme che ospitano link e riassunti delle notizie.

Nel caso invece dell’articolo 13, il riferimento è ai contenuti audio e video, per i quali è necessario che le piattaforme verifichino l’identità di chi detiene il diritto d’autore e – grazie a tecnologia adeguata – siano in grado di rimuoverli sotto richiesta di chi detiene i diritti originali. In attesa che il processo legislativo UE si concluda con l’approvazione dei singoli stati, affinché la direttiva possa essere definitivamente applicata attraverso provvedimenti legislativi nazionali, va riconosciuto che tale norma tiene maggiormente conto della tutela dei diritti di proprietà, così da incentivare e finanziare la produzione di contenuti. Occorre comunque dare risposte esaudienti alle critiche mosse dagli oppositori, perché si eviti un utilizzo strumentale della nuova disciplina  specialmente dell’articolo 13, per censurare contenuti sgraditi.

Danilo Turco

E’ iniziato il nuovo anno scolastico… Quale valutazione dei docenti?

Come valutare i docenti è una questione ancora irrisolta… occorrerebbe dare peso e valore alla esperienza in aula come spazio e tempo di apprendimento sull’area dell’insegnamento.

Quest’anno, le scuole iniziano con un forte carico d’ansia per le famiglie non solo per le nomine in ritardo. Infatti, la mobilità, le immissioni in ruolo e la lotta al precariato restano sempre problemi aperti e non risolti, nonostante di recente siano state investite ingenti risorse.  Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le norme si susseguono, vengono cambiate, ma non c’è mai  risoluzione di questi problemi.

Occorrerebbe che la politica scolastica affrontasse queste questioni con un piano strategico basato sulla ricerca culturale e la qualità dell’istruzione, fattori caratterizzanti la mission educativa e che consente di operare le scelte delle risorse professionali in risposta ai reali bisogni specifici.

Infatti, attualmente si è in una nuova fase di contrattazione collettiva, dove ai sindacati è stato riconosciuto un ruolo maggiore, modificando in parte la stessa legge sulla “Buona scuola”. Gli aumenti di merito sono stati ridimensionati in valore e sono rientrati in qualche misura sotto il controllo della contrattazione collettiva. A essa ora spetta definire i criteri sulla base dei quali i dirigenti scolastici vanno a definire gli aumenti salariali.  Ora spetta alla contrattazione collettiva tra sindacati e preside indicare quali criteri individuare su quelli proposti dal Comitato sulla buona scuola, debbano essere legati al merito in termini di compensi da attribuire effettivamente ai singoli docenti. Questo ci fa tornare indietro sull’affrontare un’antica questione. Si tratta di riuscire a separare i criteri di valutazione dei singoli docenti da quelli da seguire per concedere gli aumenti retributivi agli stessi. Cosa di non facile applicazione e l’esperienza del passato dimostra che le soluzioni proposte hanno creato confusione di ruoli e scarsa efficacia dello strumento. Per questo, è necessario superare il continuo susseguirsi di riforme che ogni governo attua come risposta risolutiva agli errori del governo che lo ha preceduto, senza  una visione strategica e di sistema per il bene e lo sviluppo del nostro paese.

Occorre partire dal tener conto delle considerazioni OCSE, che indicano come gli insegnanti italiani, pur tenendo conto dell’aumento contrattuale medio, guadagnano il 18 per cento in meno rispetto ai colleghi stranieri nella primaria, il 14 alle medie e il 16 per cento nelle superiori.

La carriera dei docenti italiani rimane così una delle più brevi e meno articolate dell’area Ocse.

Danilo Turco

La poesia oltre la vita, Elisa Ruotolo in libreria

“In Antonia c’è molto di me. E molto è anche inconfessabile. Tuttavia, il senso di libertà spesso negato, il bisogno d’amore e la ricerca delle parole più giuste a raccontare se stessi nello stare al mondo, credo siano comuni. Non avrei potuto raccontarla dicendo “io” se in qualche modo non l’avessi sentita vicina e quasi sorella”.

In queste note Elisa Ruotolo ci svela l’intensa vicinanza con la protagonista del suo ultimo lavoro letterario, la giovane poetessa Antonia Pozzi, scomparsa suicida il 3 dicembre del millenovecentotrentotto.

“Una grazia di cui disfarsi” è un testo unico nel suo genere, edito per i caratteri di rueBallu, disponibile in libreria dalla scorsa primavera. Uno struggente incontro fra prosa e poesia, confezionato in una seducente veste grafica curata da Pia Valentinis.

L’occhiello presente in copertina riconosce nella protagonista e nella sua breve vita, l’essenza e la potenza delle parole, i versi delle liriche. Strumenti unici e disperati esprimono i  propri sentimenti: l’amore manifestato per il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, molto represso dal perbenismo borghese dei genitori.

I suoi interessi culturali furono molteplici: la passione per la fotografia e per la natura incontaminata dei luoghi natii, la settecentesca villa di famiglia a Pasturo nel Lecchese, gli aneliti solidali e una spiccata sensibilità nell’amore per la vita. Elementi contrastanti sino all’epilogo tragico indotto dalla cultura intransigente e oscurantista dell’epoca, avallata dai genitori che negarono l’ipotesi del suicidio. Un moto irreversibile degenerato proprio nell’anno della sua scomparsa, con la promulgazione delle leggi razziali.

Nel lavoro di Elisa Ruotolo emerge un’elaborazione interiore che si sovrappone all’esperienza  della poetessa, visitata e “abbracciata” potremmo dire in una nemesi storica dalle decisive e diverse eredità. Quest’incontro solidale fra la scrittrice che presta voce e stati d’animo alla “amica” Antonia si esprime nel prologo, primo capoverso del volume.

E’ la stessa scrittrice che ci conferma il suo legame con Antonia Pozzi e l’idea ispiratrice del testo.

“I motivi che mi hanno spinto a questo progetto sono vari: direi che in primis ha giocato un ruolo determinante la mia profonda devozione verso le parole di Antonia; inoltre mi piaceva l’idea di farla conoscere ai ragazzi. Antonia è stata troppo a lungo dimenticata e tradita (poco presente o del tutto assente in antologie scolastiche, spesso manipolata o ridotta al silenzio – penso all’intervento del padre, Roberto Pozzi, sulle poesie lasciate da Antonia). Scrivere di lei ha significato conoscerla, ma così profondamente che mi sembra di averla appunto ricordata, più che raccontata”.

L’intensità della prosa, il dolore espanso nella narrazione degli eventi cruciali si stempera in pause di serenità e piacere grazie ai disegni semplici e belli di Pia Valentinis, ai giusti stacchi cromatici, idonei, probabilmente empatici alla lettura (sempre complicata) dedicata ai lettori più giovani, alle scolaresche.

La dedica che la Ruotolo offre proprio ai suoi allievi nella prima pagina del libro è la cifra di un percorso impegnativo e dirimente. La grazia di cui disfarsi appartiene alle esperienze di vita di ogni persona. Questo libro ci aiuta a riconoscerla.

Luigi Coppola

La militanza politica equiparata alla fede religiosa; così convivono nuovi e vecchi nazionalismi 

Viviamo in un tempo in cui le ideologie, per quanto estremiste e nazionaliste, o dettate dalle emozioni   possano essere, ritornano in auge, prendendo le più strane sembianze; tutta l’Europa è attraversata da questo fremito e, per quanto ormai fuori dall’Unione, la stessa Gran Bretagna non può essere esclusa.

A riprova di ciò, il fatto è questo: l’indipendentista e militante dello Scottish National Party, Chris McEleny, inizialmente rimosso dal posto di elettricista presso un deposito di munizioni del ministero della Difesa britannico a causa delle sue opinioni politiche, dopo essere stato invitato a riprendere il proprio lavoro, perché giudicato “innocuo” da una sommaria inchiesta delle autorità, ha deciso di dimettersi comunque e denunciare il ministero per discriminazione.

In tribunale, gli avvocati di McEleny hanno costretto il ministero della Difesa di sua maestà a battersi e prendere posizione sulla natura dell’indipendentismo, fede religiosa o idea politica? Sorprendentemente, ha prevalso la posizione dell’attivista scozzese che concepisce la sua devozione alla causa scozzese come un vero credo religioso, fondamentale per la persona e, dunque, meritevole della  massima tutela.

Pertanto, la discriminazione c’è stata e va risarcita.

Ottenuta una equiparazione tra la sua militanza politica ed un culto religioso, l’attivista McEleny ha tracciato un’ennesima linea della forma che assume la nuova politica; intervistato sulla faccenda della prima causa vinta, ha rivendicato come il suo credo concernesse la vita intera ed ogni sua scelta, azione e decisione. La giudice che ha emesso il verdetto, Frances Eccles, ha smontato una ad una le obiezioni governative; soprattutto ha rifiutato l’idea che il credo religioso si differenziasse in serietà e cogenza, al punto da determinare i codici morali in base ai quali le persone scelgono di vivere la propria vita, mentre le opinioni politiche riguarderebbero questioni più mondane. Ha replicato per iscritto la giudice: “sono convinta, che il modo in cui un Paese debba essere governato sia sufficientemente serio da potersi considerare un credo filosofico. Inoltre il ricorrente mi ha anche persuaso che il suo credo nell’indipendenza della Scozia sia cogente quanto un credo religioso”.

Sarà vincente chi intercetta emozioni, incubi e sogni della politica di oggi.

Rossella Marchese

 

Se la fede diventa fonte di scontro, un’intelligenza artificiale potrà prevederlo

Sembra l’incipit di un libro di fantascienza, stile Matrix, invece è esattamente ciò per cui è stato progettato il Modeling Religion in Norway (Modrn).

Lo studio, condotto da un team di programmatori, sociologi e teologi della University of Agder, in Norvegia, applica l’intelligenza artificiale alla realtà permettendo di testare scelte politiche prima di attuarle.

I ricercatori hanno riprodotto un modello verosimile di società  in cui gli individui, chiamati agenti, interagiscono e reagiscono ai cambiamenti.

Modificando alcune variabili, come il livello di educazione, benessere e soprattutto religiosità degli agenti, gli studiosi verificano come i cambiamenti introdotti incidono sulle dinamiche sociali.

L’obiettivo scientifico dichiarato da Le Ron Shults, leader del gruppo dei ricercatori, è quello di capire i meccanismi del conflitto, assieme ad un altro: offrire ai politici uno strumento per capire meglio la religione ed il suo impatto sulla società.

Già nel 2015, a Boston, era stato sviluppato un modello di intelligenza artificiale molto simile a quello norvegese, con lo scopo di studiare il motivo per cui le religioni vengano considerate attrattori così potenti. Tra i risultati della ricerca, indicativo quello per cui lo scontro tra gruppi avviene con più facilità se il rapporto tra maggioranza e minoranza è inferiore a 70/30.

Rispetto al progetto di Boston, è stata cambiato l’approccio allo studio della religione; il gruppo norvegese, infatti, oggi sta lavorando  ad una piattaforma che possa essere utilizzata da chiunque.

I più scettici sono preoccupati per la pericolosità di uno strumento del genere, qualora dovesse rispondere alla morale di chi lo adotta, in fondo il modello fornisce una previsione utile a scegliere la strategia più funzionale da utilizzare, perché l’intelligenza artificiale non possiede alcuna sensibilità, ma chi la usa si.

Rossella Marchese

Passaggio da ora solare a ora legale addio?

Ora solare o ora legale permanente? Sarà ogni singolo Stato dell’Unione Europea a deciderlo se dovesse passare l’intenzione di proporre l’abolizione del passaggio dall’una all’altra nel corso dell’anno, infatti la “scelta del fuso orario resta una competenza nazionale”.

L’annuncio è del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. E’ stata infatti oggi 31 agosto depositata la proposta definitiva della Commissione UE che dovrà essere approvata successivamente dal Parlamento europeo e dai Capi di Stato e di Governo dell’UE all’interno del Consiglio europeo.

“La gente vuole farlo, quindi lo faremo”, ha dichiarato Junker. 4,6 milioni di persone hanno infatti hanno partecipato al sondaggio sull’argomento commissionato dalla Commissione europea.

Il risultato? Sembra da varie fonti che più dell’80 per cento dei partecipanti abbia chiesto l’abolizione dell’ora legale.

Niente più attenzione al fatidico cambio delle lancette degli orologi di un’ora che ci hanno accompagnato fino ad oggi.

Fu introdotta per permettere di fruire di risparmi di energia elettrica guadagnando un’ora di luce solare e sfruttare meglio le ore di luce naturale nel periodo estivo.

Abbandoneremo l’ora legale che nel nostro Paese ha avuto alterne vicende. Introdotta nel 1916 fu abolita nel 1920 per poi essere reintrodotta ed abolita più volte, per diventare definitiva nel 1966. Nel resto d’Europa è stata adottata fra gli anni Settanta e Novanta. Nel 2000 una direttiva comunitaria ha obbligato gli stati membri a introdurla fra il 25 e il 31 marzo di ogni anno e a rimuoverla fra il 25 e il 31 ottobre.

Il 2018 potrebbe quindi essere l’ultimo anno del cambio di lancette sui nostri orologi.

Salvatore Adinolfi

Opacità dell’Italia e trasparenza dell’Ordinamento europeo

Sempre maggiore trasparenza delle istituzioni è prevista dall’ordinamento europeo.

In Italia invece, non si fa luce su diverse zone d’ombra istituzionali e quindi sulle politiche pubbliche.

L’ordinamento europeo si è sempre più evoluto in termini di trasparenza sull’operato delle istituzioni. In Italia non esiste un moderno funzionamento delle Camere, una disciplina delle lobby e, pertanto, a differenza di quanto accade in UE, vi è opacità sulle scelte che influenzano il processo legislativo. Inoltre, sono mal gestiti e applicati gli strumenti per la trasparenza riferiti alla regolamentazione sulla produzione del governo, come l’analisi di impatto, la valutazione preventiva di costi e benefici delle ipotesi di intervento normativo, come risultato di una comparazione fra opzioni alternative; la verifica di impatto, vale a dire l’esame degli effetti prodotti dall’opzione prescelta. Infine, manca un compiuto “ciclo di valutazione” delle politiche pubbliche sui profili regolatori, ma soprattutto per gli studi di fattibilità delle diverse ipotesi di azione risolutiva, del  controllo in itinere e alla verifica dei risultati.

La trasparenza di tale “ciclo” consentirebbe di conoscere realmente l’operato dei pubblici poteri. Quindi, per la conferma dello sviluppo democratico del nostro Paese, si spera che i recenti miglioramenti in ambito di trasparenza in sede UE possano contaminare il nostro sistema italiano in tempi non lunghi.

Danilo Turco

Meno conflittualità nel dibattito pubblico per la costruzione di opere pubbliche

Il dibattito pubblico può certo aiutare a migliorare le decisioni delle amministrazioni sulle scelte riguardanti le opere pubbliche, ma è opportuno che tutti i soggetti interessanti siano consapevoli dei limiti da non superare.

Sulla Gazzetta ufficiale del 25 giugno 2017 è stato, infatti, pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 76 del 10 maggio 2017 sul dibattito pubblico (Dp). Il testo del Dpcm ha avuto una lunga gestazione nella precedente legislatura, ma non era stato possibile emanarlo a causa dello scioglimento delle Camere. Questo nuovo strumento può migliorare l’efficacia delle decisioni amministrative, a condizione che tutti i soggetti interessanti, oltre a coglierne le opportunità, siano anche coscienti dei confini che non possono essere superati. La sua introduzione, sul modello del dèbat public francese, costituisce una novità per l’ordinamento statale, ma non per quello regionale (vedi la legge regionale 46/2013 della Regione Toscana o quella 28/2017 della Regione Puglia).

Questo Dpcm definisce il dibattito pubblico e lo intende un processo di informazione, partecipazione dei soggetti interessati sul confronto pubblico sull’opportunità e sulle soluzioni progettuali di opere, progetti o interventi e, per poter migliorare la progettazione e l’efficacia delle decisioni pubbliche, Individua le tipologie, le caratteristiche e il valore economico degli investimenti che devono essere sottoposti a Dp, ne definisce la procedura da seguire e i tempi del suo svolgimento.

Questo Dp consente di superare questioni emerse negli anni che hanno alimentato spesso contestazioni non fondate su conoscenze , ma su superficiali e non corrette idee diffuse e che hanno bloccato la realizzazione ad esempio di strade, aeroporti. Si tratta di prese di posizioni alimentate anche dal fatto che i soggetti e le comunità interessate non sono state coinvolte e informate, o lo sono state a decisione già presa.

Il suddetto Dpcm, prevede che il Dp debba svolgersi “nelle fasi iniziali di elaborazione di un progetto di un’opera o di un intervento, in relazione ai contenuti del progetto di fattibilità ovvero del documento di fattibilità delle scelte progettuali”.  La documentazione, approntata dall’amministrazione promotrice, dovrà fornire ai soggetti interessati le informazioni sulle motivazioni dell’investimento, sulle alternative alla soluzione proposta, anche con l’ipotesi di non realizzarlo affatto, sulle scelte progettuali e sulle valutazioni dei suoi impatti sociali, economici ed ambientali. Il Dp è una procedura consultiva che intende garantire la realizzazione dell’opera senza alcuna contestazione, riducendo le occasioni di tensioni e conflitti, specie se animate da motivazioni politiche pregiudiziali.

Danilo Turco

 

L’immigrazione di colf e badanti

I lavoratori domestici in Italia (più di due milioni) sono affidati gran parte a stranieri e quasi il 60 per cento non è in regola. Basterebbe una sanatoria per garantire benefici sostenibili?

In Italia lo Stato ha sempre più delegato alle famiglie la gestione del welfare. Secondo stime Istat, solo il 10 per cento degli oltre 2 milioni di persone non autosufficienti è assistito in strutture residenziali (Ra).

L’Italia, come Germania e Giappone, è uno dei Paesi più anziani al mondo e si stima che nel 2050 il numero delle persone con più di 75 anni è destinato ad aumentare, da 7 a 12 milioni (+74%), cioè passare dall’11% al 21% della popolazione.

L’assistenza domiciliare si compone di assistenza domiciliare integrata, a cura delle Asl, e servizi di assistenza domiciliare, a cura dei Comuni, che raggiungono rispettivamente 650 mila e 130 mila anziani, anche se quasi sempre per un tempo molto limitato.

Nel nostro Paese la figura del “caregiver familiare” è molto diffusa. Si tratta di un familiare che si prende cura, a titolo gratuito, di un genitore o del coniuge non autosufficiente. Figura istituzionalizzata alla fine della scorsa legislatura con un fondo di sostegno piuttosto modesto (60 milioni di euro). Per questo motivo in Italia si è andato affermando l’impiego di badanti e colf  e da una ricerca Domina dell’Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico, risulta che le famiglie italiane spendano per i lavoratori domestici 7 miliardi ogni anno, facendone risparmiare 15 allo Stato che, altrimenti, dovrebbe farsi carico di circa 800 mila anziani non autosufficienti.

Danilo Turco

Una professione emergente: il data scientist

In Italia sono stati assunti circa 1500 data scientist nel 2017, si tratta di una figura che richiede competenze multidisciplinari (statistiche, matematiche ed economiche).

Si generano quantità immense di dati attraverso l’utilizzo dei social network, del web e dei processi automatici/digitali specie per  acquisti on line e anche gli scontrini di supermercati connessi alla carta fedeltà, Questi cosiddetti big-data se analizzati con intelligenza, consentono di conoscere i diversi aspetti qualitativi sullo stile di vita e le loro tendenze, informazioni utili per poter poi pianificare le politiche pubbliche o i piani di marketing aziendali.

I “big-data” evidenziano i comportamenti umani e le loro analisi avvengono attraverso lo studio delle reti neurali artificiali (artificial neural networks) o dell’apprendimento automatico (machine learning), riferiti allo studio sull’intelligenza artificiale, che si evolvendo negli anni grazie soprattutto al miglioramento della potenza di calcolo e nella capacità analitica di affinare le tecniche di stima, di classificazione e di previsione del dato.

Come si forma un data scientist?

Diversi Paesi cercano di sfruttare le sinergie fra insegnamento universitario e apprendimento a distanza. Uno dei casi più noti è quello del professor Balaraman Ravindran in India, che tiene i suoi corsi tramite una piattaforma governativa che consente successivamente agli studenti di sostenere gli esami di persona in diverse parti del paese, guadagnando una certificazione formale riconosciuta in ambito lavorativo.

Si tratta di una scelta professionale utile in campo lavorativo in quanto risulta in costante aumento il numero di aziende (di grandi e piccole dimensioni) che manifestano l’esigenza di assumere figure professionali specializzate, denominati data scientist, o capaci di maneggiare ed estrapolare informazioni a supporto dei processi decisionali. Sono figure professionali ancora rare da trovare, ma necessarie. Le loro analisi devono  risultare chiare e semplici per poter essere divulgate. Si tratta di una figura che richiede competenze multidisciplinari (statistiche, matematiche ed economiche) e deve essere capace di estrarre dati da database MySQL, di gestire gli Analytics, di sviluppare algoritmi di ottimizzazione e di saper disporre di sufficienti competenze nel settore del business.

La piattaforma Kaggle è di grande stimolo per chi desideri approcciarsi a questo lavoro. Essa presenta un concorso a premi in lingua inglese, per individuare tali figure professionali e offre gratuitamente anche la potenza di calcolo on-line per i partecipanti con risorse limitate perché ciò che viene premiato al concorso è la capacità analitica, cioè la competenza di base posseduta.

Danilo Turco

 

 

 

1 14 15 16 17 18 29
seers cmp badge