Floreana Nativo: I volti della Grande Madre

La Grande Madre è una divinità femminile primordiale, rinvenibile in forme molto diversificate in una vasta gamma di culture, civiltà e popolazioni di varie aeree del mondo. Qual è la ragione della pervasività di tale figura?

Chiariamo innanzitutto che la Grande Madre è la Terra. Questo spiegherebbe l’universalità del mito. La Dea è anche la Luna con le sue maree e questo accostamento rende la donna simile alla Dea per il mistero della nascita e del periodo mestruale uguale a quello lunare. Dal mito pelasgico di Eurinome a quello finnico (Kalevala) di Luonnotar possiamo rilevare che l’universo è creato dalla Dea che esce dall’acqua, danza, si forma il vento e il vento diventa serpente per Eurinome ed aquila per Luonnotar, dall’accoppiamento nascerà il mondo. Stiamo parlando dei primordi della civiltà, il cosiddetto periodo d’oro narrato dagli scrittori greci e latini, quando non si uccideva per combattimento, ma solo per nutrirsi, la discendenza era matrilineare e c’era parità fra i due sessi. Questo periodo durò fino alla calata dei popoli indoeuropei.

La tesi che le varie divinità femminili adattabili alla concezione antropologica moderna di Dea Madre fossero intercambiabili, utili in ogni caso in ambito mitografico, è stato oggetto di dibattito. Qual è la sua posizione in merito?

La Dea Madre è una sola, ma ha diverse facce a seconda delle esigenze dei popoli. Si possono fare diversi esempi. Demetra e Kore (Persefone) sono madre e figlia e conosciamo tutti la leggenda del rapimento da parte di suo zio Ade e della prigionia agli Inferi finché non verrà liberata, ma per un chicco di melograno assaporato nel regno sotterraneo vi dovrà periodicamente tornare. È chiaramente un mito di stagionalità , ma la Dea è sempre la stessa. Demetra nella sua veste invernale e in quella primavera/estate. Non due dee, ma una sola dea. A questo esempio potremmo aggiungere quello di Cerere, sempre attinente a Demetra oppure nel Pantheon egizio la dea Sekhmet che diventa Bastet.

La simbologia della Grande Madre rimanda alla fertilità della terra, talora identificata con il suo stesso corpo, o quantomeno ritenuta l’ambito di sua pertinenza. In tal senso essa può fungere da mediatrice con il divino celeste?

Certo, la simbologia inizia dai graffiti delle caverne ed ovviamente si riferiscono al corpo della donna. Il simbolo delle onde sono le acque uterine, la spirale è il cordone ombelicale che diverrà poi il serpente e le tube di Falloppio che diventeranno il Labrys (primo simbolo della Grande Madre e che troviamo in tutte le sale di Cnosso) o la farfalla (Psiche). A Panama la dea Mur (Farfalla) con il battito delle ali crea il mondo. In ogni caso la donna è il vaso fertile che genera come la Terra. Esiste una dea primordiale celtica la Sheela – na – gig che è composta da una piccola testa e una vagina che lei allarga con le mani. È la Terra che ci fa nascere e che ci riaccoglie con la morte. Questa divinità (non bella a vedersi) verrà anche scolpita nelle pareti delle chiese irlandesi e inglesi,  le donne inumidivano un fazzoletto e lo strofinavano sulla statuina, poi a casa scioglievano la polvere in un bicchiere d’acqua e lo bevevano invocando la fertilità. Si è ritrovata l’immagine di Sheela anche sulla tomba di alcuni vescovi inglesi. Nei Celti la dea Eriù era il territorio stesso: le montagne i seni della dea, i laghi il ventre umido, i fiumi il sangue e le gole e i burroni le parti intime. Sempre per i Celti la dea Cerridwen deteneva il calderone della fertilità che rimestava, quando il calderone verrà rotto avremo il patriarcato. La dea Inanna, la prima grande dea sumera a cui seguiranno altre più note come Ishtar, instituisce il primo Hieros gamos cioè la Dea che consacra con il suo corpo un re. Da allora in poi i re, per poter regnare dovranno congiungersi con la sacerdotessa della Dea ed ogni sette anni dovranno sottoporsi alle prove di prestanza. Cioè dovranno dimostrare di saper ancora difendere il popolo, diventeranno il “re cervo” che verrà inseguito dai pretendenti nel bosco (che rappresenterà il ventre materno o della dea), se ne uscirà vivo regnerà per altri sette anni altrimenti sarà ucciso e destituito. L’uccisione verrà poi sostituita con il sacrificio di un cervo.

Nella psicologia di Jung, la Grande Madre è una delle potenze numinose dello inconscio, un archetipo di grande ed ambivalente potenza. Distruttrice e salvatrice, nutrice e divoratrice?

C’è un capitolo del mio saggio che ho chiamato “Pulchra mater sed terribilis” che corrisponde alla dualità della domanda.  Madre bella, ma terribile. Una madre severa a cui cerchiamo di sfuggire, ma di cui continuiamo a cercare l’approvazione. Il volto terribile della Grande Madre è la morte. La Dea dispensa la morte perché è necessaria per ricominciare il ciclo. Lo fa con lo sposo sacrificale per un’alternanza delle stagioni: Inanna con Tammuz (dio pastore).

Oppure è la rappresentazione vera e propria della Morte come la norrena Hell che ha metà del viso scheletrico e metà normale o Kalì, ma qui s’innesta un discorso di salvezza in quanto Kalì sconfiggerà i demoni e la coppa da cui beve è colma di energia lo shakti. In ogni caso dobbiamo a Bachofen l’apertura del dibattito sul Matriarcato che poi numerosi altri autori hanno svolto e alle pubblicazioni della Gimbutas sulle scoperte dei suoi scavi archeologici se c’è stata una evoluzione sul discorso della Grande Madre. Jung ha dato il suo apporto con l’accostamento alla psiche.

L’archetipo della Grande Madre riappare non di rado nelle opere creative della tradizione occidentale: dalla figura di Medea a certe battute e immagini del cinema di Woody Allen. In cosa consiste il fascino della Grande Madre?

Il fascino della Grande Madre è dato dalla sua universalità e  nella sua adattabilità nelle varie epoche della Storia. Medea è un caso a parte; può far orrore che la madre uccida i propri figli, ma è un discorso sull’autodeterminazione del proprio destino e quello della prole. Un ragionamento sul tipo di vita a cui i figli sarebbero destinati se lasciati al padre. Il concetto di Grande Madre può avere, come ha fatto notare Neumann, effetti deterrenti come nel caso del Flauto Magico dove la Madre inibisce la Figlia ed a maggior ragione se il figlio è maschio con un carattere debole. Ne dà un esempio Woody Allen, nella sua immensa filmologia, con un episodio del film “Edipo a pezzi” in cui l’immagine della madre compare onnipotente nel cielo di New York e sappiamo che la discendenza ebraica è matrilineare. Un altro esempio è dato da Jodorowsky con il suo libro sulla madre “Quando Teresa si arrabbiò con Dio”.

Vorrei concludere con una frase di Pindaro che ho citato nel mio libro: “Uno è degli uomini, uno degli Dei il genere, da una Madre traiamo il respiro ambedue.”.

 

Floreana Nativo spazia le sue ricerche nel mondo della saggistica per ritrovare l’origine delle religioni, dei miti, delle leggende.

Con lo Scarabeo ha già pubblicato, creando la sceneggiatura vari mazzi di tarocchi fra cui: Tarot of Sacred Feminine, Universal Celtic Tarot, Tarocchi dei Templari e Herbs & Plants Lenormand.

Diversi saggi sono usciti con “Tra le righe libri” fra gli ultimi: “Superstizione – Tra Malasorte, Ragione, Sorte e Paura.”, “Guida insolita delle piante” e “I volti della Grande Madre”.

Con Panda Edizioni ha pubblicato: “La Cucina del Delitto”, “I Benandanti. Una storia senza tempo”, “Tarocchi in cucina” “Schegge. Storie di vita vittoriana” e i saggi “Templari tra fede, malicidio e leggenda”, “I Celti. Miti, storia e religione”.

Inoltre con Amazon: La Materia in Nero dei Tarocchi e Per Sempre Inanna.

Hanno parlato di lei: Il Corriere della Sera, La Repubblica, SETTE, IO Donna, Sirio, Dampyr, La Voce del Tabaccaio, Il Messaggero Veneto, Il Piccolo, Il Friuli, Top Taste of Passion.

Sito: floreananativo.wix.com/flora

 

Giuseppina Capone

Un incontro per ricordare “Novantasei ore” per liberare Napoli

Si è svolto il 29 settembre scorso, organizzato dall’Associazione Viviquartiere presieduta da Giuseppe Esposito, un importante momento di incontro molto partecipato, interessante e coinvolgente, presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus nel cuore di Materdei.

Protagoniste dell’evento le novantasei ore che cambiarono la storia di Napoli durante quello storico settembre del 1943.

L’occasione per parlare delle Quattro Giornate nell’80mo anniversario è stata data dalla presentazione del libro di Gregorio Rucco “Novantasei ore” edito da “I Libri di Icaro”, organizzata dal presidente dell’Associazione Viviquartiere Giuseppe Esposito.

Un romanzo in grado di evocare attraverso le parole del protagonista Gregorio Rucco, nonno dell’Autore, i luoghi e le immagini di quei tragici giorni che videro protagonisti uomini e donne uniti per la libertà di un intero popolo, quello napoletano, dall’oppressore.

La scrittura scorre con un intreccio di vicende storiche e autobiografiche che fanno rivivere gli eventi di quei tragici giorni che andarono dal 27 al 30 settembre 1943.

Dopo i saluti dei rappresentanti delle Istituzioni Fabio Greco, presidente della Municipalità 3 del Comune di Napoli; Ciro Guida, vice presidente della Municipalità 3 con delega alla Memoria ed Enrico Platone, consigliere delegato alla Consulta delle Associazioni Organizzazioni di Volontariato e ETS della Municipalità 2, il pomeriggio è entrato nel vivo.

Nel corso dell’evento l’Autore Gregorio Rucco ha letto alcuni passi del romanzo alternandosi agli interventi della scrittrice e professoressa Isabella Pedicini e dei relatori Salvatore Ivone per l’ANPI; della giornalista Bianca Desideri vice presidente dell’Associazione Culturale “Napoli è” e direttore del Centro Studi e Ricerche “Mario Borrelli” della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus, presieduta dal prof. Antonio Lanzaro; Vincenzo Nicolella dell’Associazione Presepistica Napoletana che ha presentato il pastore realizzato da un’associata, Marina Contento, dedicato a Lenuccia Cerasuolo;  Gaetano Bonelli direttore del Museo di Napoli; Suor Angela delle Maestre Pie Filippini; Antonio Esposito di Mea Edizioni, tutti in rappresentanza del mondo della cultura e dell’associazionismo.

Importante la presenza di Gaetana Morgese, figlia di Maddalena Cerasuolo, da sempre in prima linea per portare nelle scuole e tra i più giovani “La guerra di Mamma” e le preziose testimonianze, e Fulvio de Innocentiis, storico, collezionista e consulente del Museo di San Martino.

Antonio Desideri

“Napoli è” partecipa alla Race for the cure

“Anche quest’anno saremo presenti il 15 ottobre in piazza del Plebiscito, come Associazione Culturale Napoli è, all’iniziativa di Komen Italia per la lotta al cancro al seno – evidenzia Alessandra Desideri, giornalista e direttore del Museo dei Sedili di Napoli”.

“La nostra Associazione partecipa con la squadra NAPOLI E’ – MUSEO DEI SEDILI ed è da sempre impegnata nelle campagne di sensibilizzazione, in particolare quella legata alla prevenzione dei tumori. La prevenzione – prosegue la giornalista – è essenziale e dopo le difficoltà legate alla pandemia deve tornare ad avere una nuova e più forte centralità così come la ricerca. Sono 56.000 in Italia le donne che ogni anno si confrontano con la malattia  e il supporto e la vicinanza che queste iniziative possono portare è fondamentale.

Iniziative come quella di Komen Italia sono quindi importanti per la ricerca e per tenere alta l’attenzione sull’importanza della promozione della cultura della prevenzione.

In ricordo di Francesco

Imbarcato su torpediniera di scorta a convoglio, durante un attacco aereo nemico, rimaneva, incurante del pericolo, al posto di combattimento, assolvendo serenamente i suoi compiti, finché, colpito da schegge di bombe esplose in prossimità dello scafo, sacrificava la vita nell’adempimento incondizionato del dovere”, queste le parole del riconoscimento al valor militare conferito al giovane sergente S.T. Francesco Altomonte che perse la vita al servizio della Patria sull’Antares il 12 ottobre 1942 a soli 23 anni.

Morì a Tobruck e fu tumulato fino al 1965 a Creta, il suo corpo fu restituito alla famiglia ben 23 anni dopo la scomparsa.

Il suo nome, insieme a quello di tanti altri caduti, è ricordato su una lapide sulla facciata della chiesa del SS. Redentore in piazza dei Martiri a Marina di Palizzi, ridente cittadina in provincia di Reggio Calabria.

Con il sacrificio di questo giovane, morto per la sua Patria 80 anni fa, che non ho potuto conoscere se non attraverso il racconto di mia madre e dei miei zii, ricordiamo anche il sacrificio di tutti coloro, civili e militari, che hanno perso e perdono la vita nei conflitti armati e il dolore che queste perdite causano indelebilmente nei familiari.

Il loro ricordo rimane scolpito nei cuori dei familiari e di coloro che attraverso i loro racconti e ricordi di vita lo tramandano.

Bianca Desideri

Fabio Francione: Il Cinema per capire. Scritti Scelti 1960-2023 Liliana Cavani

Il 12 gennaio 2023 Liliana Cavani ha compiuto novant’anni. Un anniversario importante per il cinema e la cultura italiana.

Ebbene, cos’è il cinema di Liliana Cavani?

La regista di Galileo, dei tre Francesco, di documentari e inchieste che hanno fatto scuola, non ha mai nascosto la propria natura anfibia di cineasta scomoda e attenta alle mutazioni della società contemporanea, filtrata però da studi classici e dalla conoscenza approfondita di miti antichi, illuminati in prospettive contraddittorie e inedite, anche per la modernità novecentesca. Il tutto cerchiato da esperienze esistenziali che le hanno consentito di realizzare un’opera composta, eccole di nuovo, da endiadi intercambiabili; tra queste, per l’appunto e recuperate dal recente passato, “Follia Santità Potere Povertà” rappresentano solo una scelta delle tante possibili e si prestano a nascondersi e a riemergere in quest’antologia. Pertanto, la cinematografia di Liliana Cavani è avviata e mossa da un’esigenza intima che, aperta a dubbi e a interrogativi, diventa storia e narrazione, impegno etico e civile, riflessione politica e religiosa, in cui convivono posture retrospettive e futuri prossimi venturi.

“Il cinema è la maniera in cui i miei pensieri prendono forma. Se i fratelli Lumière non ci avessero dato il cinema, io sarei condannata a non esprimermi e sarei infelicissima oppure in un manicomio”, così Cavani.

Qual è lo specifico del cinema di Liliana Cavani?

Alla regista è stato assegnato il Leone d’Oro alla Carriera in occasione dell’80a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Val la pena ricordare le parole del direttore del festival, Alberto Barbera.

“Il suo è sempre stato un pensiero anticonformista, libero da preconcetti ideologici e svincolato da condizionamenti di sorta, mosso dall’urgenza della ricerca continua di una verità celata nelle parti più nascoste e misteriose dell’animo umano, fino ai confini della spiritualità. I personaggi dei suoi film sono calati in un contesto storico che testimonia una tensione esistenziale verso il cambiamento, giovani che cercano risposte a quesiti importanti, soggetti complessi e problematici nei quali si riflette l’irrisolto conflitto fra individuo e società. Il suo è uno sguardo politico nel senso più alto del termine, antidogmatico, non allineato, coraggioso nell’affrontare anche i più impegnativi tabù, estraneo alle mode, refrattario ai compromessi e agli opportunismi produttivi, aperto invece a una fertile ambiguità nei 10 Il Cinema per capire confronti dei personaggi e delle situazioni messe in scena. Una feconda lezione che è insieme di estetica e di etica, da parte di una protagonista del nostro cinema, che ne definisce la perenne modernità”

Liliana Cavani è una scrittrice fecondissima. Come si è orientato per offrirci una  così meticolosa ricognizione?

Mi sono accorto che c’era, oltre un cospicuo numero di pagine, la cui divisione e diversificata provenienza, tra articoli per quotidiani, lettere aperte, interventi più complessi per riviste specializzate e prefazioni o introduzioni a libri, presentavano nell’intensità dei discorsi una coerenza che, senza soluzione di continuità, era la prosecuzione di tutta la produzione radunata in precedenza. Dunque, su tali rinvenimenti e a mo’ di nuova introduzione al suo cinema, la curatela, trovata ospitalità nella collana L’Arte e le arti dei Libri Scheiwiller, si è spostata da una suddivisione in capitoli, suggerita allora dalla doppia endiadi, “Follia santità potere povertà”, a una scelta di scritti che, in quel “Cinema per capire” (Leitmotiv preso a prestito per questa nuova raccolta), spalma cronologicamente tutti i temi che la regista emiliana ha sviluppato nella sua carriera. Mentre in chiusura del libro si è montata una cronologia dei film sulle dichiarazioni e interviste rilasciate in sessant’anni di attività intellettuale e creativa.

Il libro antologizza una cospicua scelta della pubblicistica della regista emiliana. Quali sono le principali tappe che ne hanno segnato la redazione?

La prima tappa di un certo rilievo appartiene alla retrospettiva, voluta dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, allora guidato da Massimiliano Finazzer Flory e diretto da Antonio Calbi, Follia Santità Potere Povertà. Il cinema di Liliana Cavani (Cinema Gnomo, Milano 3 – 7 marzo 2010).

L’edizione 2014 del Ca’ Foscari Short Film Festival ospitò il programma speciale Studiare da registi. I saggi accademici di Luigi Di Gianni, Liliana Cavani e Emidio Greco, che consentì di vedere i primi passi nel cinema di alcuni dei più importanti registi del cinema italiano.

Il 4 ottobre 2014, il giorno di San Francesco d’Assisi, la 16a edizione del Lodi Città Film Festival diede spazio a una retrospettiva dedicata al patrono d’Italia e al suo rapporto con il cinema. Furono proiettati Francesco Giullare di Dio di Roberto Rossellini, Letter to Peter. On Saint François d’Assise by Olivier Messien di Jean-Pierre Gonin, Fratello Sole, Sorella Luna di Franco Zeffirelli, Assisi di Alessandro Blasetti, Il Cantico delle Creature di Luciano Emmer e Francesco di Liliana Cavani. Due anni dopo fu la volta 270 Il Cinema per capire dell’omaggio, ospitato e promosso dal Festival Le voci dell’Inchiesta (Pordenone, 13-17 aprile 2016), Liliana Cavani. Istruzioni per l’uso del cinema come indagine sulla vita. Per l’occasione venne pubblicato il libro Liliana Cavani, Follia Santità Potere Povertà scritti e interviste 1960-2016.

Fabio, cosa deve a Liliana Cavani?

Il mio personalissimo e speciale ringraziamento per aver sostenuto e incoraggiato la nuova edizione dei suoi scritti e per la generosità con cui si offre al prossimo cercando di far capire – e capire con il cinema – il mondo.

 

Fabio Francione vive e lavora a Lodi. Scrive per “il manifesto” ed è condirettore della rivista di studi salgariani e popolari Ilcorsaronero. Si è occupato a vario titolo di Edmondo De Amicis, Emilio Salgari, Giovanni Testori, Franca Rame e Dario Fo, i Mondo Movie e Gualtiero Jacopetti, Andrea Camilleri, Franco Basaglia. Ha inoltre curato libri di Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Antonio Gramsci, Gillo Pontecorvo oltre che la mostra del centenario di Paolo Grassi a Palazzo Reale e l’omonimo libro Paolo Grassi. Senza un pazzo come me, immodestamente un poeta dell’organizzazione. Nel 2020, in occasione del duecentesimo anniversario della nascita del suo autore, ha curato la nuova edizione de La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene di Pellegrino Artusi (La nave di Teseo).

Giuseppina Capone

Gli insegnanti di cui abbiamo bisogno. Se ne discute a Roma con il Ministro Valditara

Docenti: Formazione per il Domani. Gli insegnanti di cui abbiamo bisogno

Una scuola al passo con i tempi, dove le parole didattica, inclusione, educazione e conoscenza siano termini sempre più aderenti alla realtà, è ormai un’assoluta esigenza.

In tale contesto, la formazione assume un aspetto determinante e la figura dell’insegnate diventa un punto di riferimento indispensabile per la costruzione del domani e per le famiglie stesse.

Le delicate tematiche che i docenti affrontano sono spesso appesantite da difficoltà legate alle condizioni di lavoro e a contesti di una certa complessità. Il loro ruolo deve essere, pertanto, sostenuto e valorizzato al fine di coltivare e arricchire l’arte di formare le giovani generazioni.

Per discutere del tema, l’Associazione Italiana Maestri Cattolici e l’UGL Scuola – in occasione della Giornata mondiale degli Insegnanti promossa dall’Unesco – hanno organizzato un incontro-dibattito pubblico che si terrà giovedì 5 ottobre alle ore 12.30 presso l’IH Hotels Roma Cicerone in via Cicerone 55/c a Roma e trasmesso in diretta web (https://www.youtube.com/@AIMC-Nazionale).

L’evento si inserisce nella XIII Edizione di “CENTOPIAZZE per l’impegno educativo” promosso dall’AIMC e vedrà collegati in diretta 100 istituti scolastici in rappresentanza di tutto il territorio nazionale.

Parteciperanno e interverranno all’incontro-dibattito:

Giuseppe ValditaraMinistro dell’Istruzione e del Merito

Ornella CuzzupiSegretario Nazionale UGL Scuola

Giuseppe DesideriSegretario Generale Unione Mondiale Insegnanti Cattolici

Esther FloccoPresidente Nazionale AIMC

Albert KabugePadre missionario, comp. Centro Cattolico Internazionale di Coop. con l’UNESCO

S.E. Antonino Raspanti – Vescovo di Acireale e Presidente CESI

Cristina RiccardiVice Presidente Forum delle Associazioni Familiari

Anna Paola SabatiniDirettore Generale USR Lazio

Maurizio SibilioProrettore dell’Università degli Studi di Salerno

Arte contemporanea protagonista assoluta del Museo Madre

Non lontano dalla fermata della metro di Piazza Cavour a Napoli troviamo il Museo Madre, luogo molto caratteristico, ricco di cultura e tanta bellezza. “Madre” è l’acronimo di Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina, inaugurato nel 2005 e ultimato soltanto nel 2007. A partire dal2010 è stata stretta una collaborazione congiunta con un team di operatori scientifici.

La direzione logistica e artistica fu curata dal brillante architetto portoghese Alvaro Siza, invece quest’anno la direzione artistica è passata ad Eva Elisa Fabbris, che ha saputo portare in esposizione artisti del calibro di Kazuko Miyamoto.

Il museo, situato nell’antico palazzo Donnaregina, da cui prende nome, è diviso in tre piani, in base ad ospiti ed esposizioni, infatti al primo troviamo le opere permanenti, create appositamente per spazi ed ambienti del museo, tra queste spiccano l’opera di Francesco Clemente, seguace della transavanguardia, originario partenopeo ma cittadino statunitense, che attraverso i simboli folkloristici della città, ha saputo sviluppare un’opera ricca di dettagli; la seconda è quella di Luciano Fabro, che attraverso l’arte povera ha reso una delle stanze un vero capolavoro, con una nota enigmatica. Il primo piano conserva altre opere di grande caratura, mentre gli altri due sono adibiti alle opere temporanee, come il secondo, dedicato alla mostra dell’artista nipponico Kazuko Miyamoto.

L’arte contemporanea non è di facile comprensione, soprattutto a primo impatto, ma il Madre riesce a lasciare stupito in un modo o nell’altro chiunque lo visiti.

Rocco Angri

Marilisa D’Amico: Parole che separano. Linguaggio, Costituzione, Diritti

Le questioni linguistiche trascinano, smuovono le folle sui social e coinvolgono i media, spesso suscitando sdegni e querelle.

Ne consegue che la grammatica riguarda noi tutti: come assumere posizioni sensate tra isterismo e ragionevolezza?

Le parole, le espressioni, i modi di dire e le consuetudini linguistiche sono divenute sempre più centrali nel dibattito pubblico, soprattutto a seguito delle potenzialità dei social networks.

La possibilità di esprimere pensieri, di qualsiasi natura essi siano, con immediatezza e senza apparenti filtri rappresenta certamente un tratto caratterizzante la società contemporanea e un fenomeno che necessita di essere preso sul serio anche

e, soprattutto, da chi si occupa di verificarne la compatibilità con i principi costituzionali su cui si fonda il nostro ordinamento giuridico.

Da questo punto di vista, la Costituzione credo rappresenti la prima e più importante bussola per orientare i comportamenti dei singoli individui.

La “ragionevolezza” di cui si riferisce nella domanda impone, cioè, di assicurare che sussista sempre un adeguato bilanciamento tra i diritti fondamentali che vengono esposti e che si trovano, assai spesso, contrapposti gli uni agli altri.

La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero con qualsiasi mezzo, inclusi quindi i nuovi e più diffusi social networks, non potrà mai e non dovrà risolversi in una violazione di altri principi che la Costituzione del nostro Stato salvaguardia con particolare forza. Il riferimento è, per prima cosa, al principio di eguaglianza e di non discriminazione che sancisce l’articolo 3 della nostra Costituzione, così come, più in generale, il rispetto della dignità umana e dei diritti inviolabili di cui riferisce prima l’articolo 2.

Ritengo, detto altrimenti, che, al di là delle specifiche scelte in materia di regolamentazione del fenomeno che qui ci occupa, è fondamentale ispirare qualsiasi intervento legislativo al doveroso rispetto dei principi che riconosce e garantisce la nostra Costituzione.

La stessa ragionevolezza costituisce un principio, che soggiace alla nostra Carta costituzionale ed è ad essa e al punto di equilibrio da tracciare tra principi costituzionali che vengono in rilievo, senza che nessuno ne venga interamente sacrificato, a cui dobbiamo attenersi per favorire una coesistenza pacifica e l’inclusione sociale di tutti e di tutte.

“Famiglia”, “genere”, “matrimonio”, così come “norma”, “natura”, “trasgressione”. L’analisi etimologica e storica di questi termini può contribuire a comprendere la qualità del mutamento in atto?

È sempre importante partire dai significati e dalle definizioni delle parole, che impieghiamo nel nostro linguaggio, scritto e parlato.

Allo stesso tempo, credo sia centrale saper riconoscere che questi stessi significati non possono considerarsi “cristallizzati”, come direbbe la nostra Corte costituzionale.

Piuttosto, dai significati originari è necessario partire per verificarne la persistente attualità entro il contesto sociale, così da potere accogliere nuovi significati, più inclusivi e capaci di riflettere gli inarrestabili mutamenti sociali di cui siamo testimoni ogni giorno.

In definita, potremmo dire, che uno sguardo al passato aiuta sempre a comprendere le origini delle parole, ma non può frenarne l’evoluzione e la capacità delle parole di assumere significati nuovi e diversi in linea con i tratti della società contemporanea.

La polisemia di accezioni, ovvero genere linguistico, biologico e sociale, su cui riflette, dimostra quanto la dimensione linguistica emani riecheggiamenti nella maniera in cui si avverte la realtà, si erige l’identità e si calcificano i preconcetti. Reputa che modi di dire, proverbi e battute possano costituire l’anticamera di forme di violenza?

La domanda potrebbe, credo, essere riformulata concentrandosi sul ruolo che i pregiudizi, o meglio, gli stereotipi assumono entro il contesto sociale.

Certamente, e purtroppo, modi di dire, espressioni, parole e, appunto, stereotipi costituiscono spesso la prima causa di fenomeni sociali quali la violenza.

Penso, soprattutto, alla violenza nei confronti delle donne e delle categorie più svantaggiate, come, ad esempio, le persone con disabilità oppure i e le migranti che arrivano nel nostro Paese dopo viaggi estenuanti ed estremamente pericolosi.

Gli stereotipi, in particolare, possono rivelarsi particolarmente nocivi, perché fissano pregiudizi, spesso negativi, nei confronti di chi è diverso oppure diversa da noi.

Prendendo quale esempio la violenza nei confronti delle donne, non si può certo disconoscere che la costruzione sociale diseguale tra uomini e donne che, spesso, contribuisce a rendere oppure a fare concepire la donna alla stregua di una proprietà dell’uomo non può non essere considerata causa di comportamenti violenti che, purtroppo, costituiscono un fenomeno in crescita nel nostro Paese così come a livello globale.

Le parole, le espressioni e gli stereotipi, aggiungerei, devono essere pesati ed utilizzati con cautela nella piena consapevolezza del loro potere e della loro capacità di influenzare in modo decisivo comportanti e condotte violente, lesive dei diritti fondamentali delle persone.

Lei ripercorre anche la quotidianità linguistica: abitudini, consuetudini, situazioni in cui tutti possono identificarsi, aprendo una riflessione sulla libertà che conferisce un uso pregno e consapevole della lingua. La Parola possiede un potere civico?

La parola, se utilizzata in modo non lesivo di diritti fondamentali come nei casi citati appena sopra, certamente può e deve assolvere ad una funzione civica.

Ho fatto riferimento alla Costituzione. Anche la Costituzione, come ovvio, ha un proprio linguaggio, fatto di parole ed espressioni ed è a quelle parole, a quelle espressioni che occorre guardare quando si voglia discutere della funzione civica delle parole.

Le parole hanno una forza intrinseca, perché orientano i comportamenti individuali e collettivi. Sta a noi, come cittadini e cittadine, scegliere le parole e le espressioni più “giuste” per favorire la diffusione di un linguaggio rispettoso dei diritti e delle libertà di tutti e tutte e non al contrario violento e offensivo della dignità altrui.

Una discriminazione davvero aggressiva, oggi, è costituita dall’hate speech.

In qual misura i social network hanno acuito il fenomeno?

Sicuramente il discorso d’odio, il c.d. Hate Speech, costituisce una delle conseguenze più gravi legate ad uso delle parole lesivo dei diritti fondamentali.

L’ingresso dei social networks ha sicuramente contribuito ad amplificarne la dimensione quantitativa e qualitativa.

La velocità, l’immediatezza, l’assenza di filtri e di controlli efficaci di tutto ciò che viene espresso e diffuso sui social networks ha reso il discorso d’odio un fenomeno quotidiano e assai complesso da regolamentare.

Si tratta di un fenomeno che non si mantiene ovviamente entro i confini dei singoli Stati, ma che possiede una dimensione globale, che rende necessarie risposte uniformi e, ancora una volta, globali. Risposte difficili da trovare ma di cui molto ci si sta occupando a livello sicuramente europeo.

L’auspicio è che si riesca ad arginare le conseguenze più pericolose di questo fenomeno, senza che si opti per soluzioni che comportino il sacrificio integrale di un diritto, la libertà di manifestazione del pensiero, che la nostra Corte costituzionale ha affermato rappresentare la “pietra angolare” della nostra democrazia.

 

Marilisa D’Amico è professoressa ordinaria di Diritto costituzionale e Prorettrice con delega a Legalità, trasparenza e parità di diritti nell’Università degli Studi di Milano. Come avvocato ha difeso davanti alle Corti italiane ed europee questioni relative ai diritti fondamentali, come quelle sulla procreazione medicalmente assistita, sul matrimonio omosessuale, sulla presenza femminile nelle Giunte regionali. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Una parità ambigua (2020) e Parole che separano (2023).

Giuseppina Capone

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