Moby Prince: l’intera ricostruzione nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta

La sera del 10 aprile 1991, nel porto di Livorno, mentre si consumava una strage a bordo del traghetto Moby Prince, non c’era nebbia. Questa è l’ultima dichiarazione rilasciata da Guido Frilli davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta, istituita nel 2015 proprio per fare luce sull’incidente accaduto 26 anni fa, quando per colpa della collisione tra la  petroliera Agip Abruzzo ed il traghetto Moby Prince morirono 140 persone.

Le parole di Frilli, testimone della tragedia, che quel 10 aprile dalla sua abitazione assistette all’accaduto, non sono mai cambiate in tutto questo tempo: egli ha sempre dichiarato che non v’era nebbia quella sera in rada che poteva impedire la visuale alla petroliera. Un particolare non da poco, dato che proprio sulla persistenza di una densa foschia si sono basate le giustificazioni di chi non ha soccorso tempestivamente i passeggeri a bordo del traghetto. Eppure la sua testimonianza non è mai entrata a far parte del fascicolo giudiziario.

Pertanto la Commissione parlamentare, costituita ad hoc e presieduta dall’esponente PD Silvio Lai, potrebbe fornire una chiave importante nella riapertura del caso in Tribunale, dopo due  processi che hanno visto tutti i possibili responsabili assolti.

La relazione della Commissione, approvata lo scorso dicembre all’unanimità, sarà presentata nel corso del mese di gennaio in un incontro con i famigliari delle vittime, al quale seguirà una conferenza stampa.

Dunque, è auspicabile che grazie al lavoro della Commissione le cause della tragedia saranno a tutti più chiare, soprattutto ai parenti delle vittime, che dopo 26 anni ancora aspettano di capire quale sia la verità e cosa sia realmente accaduto quella notte che ha fatto ritardare i soccorsi così a lungo da procurare tante vittime. Due, in particolare, i fatti che potrebbero essere reinterpretati: la disattenzione dell’equipaggio della Moby Prince, che sarebbe stata causata proprio dalla nebbia che invece pare non ci fosse; e la durata dell’incendio, che secondo quanto appurato in seguito all’audizione di circa 72 testimoni, avrebbe consumato la nave per ore e non in soli 20 minuti, come hanno concluso le due sentenze che nel corso degli anni hanno chiuso il caso senza colpevoli.

Rossella Marchese

L’onda di ghiaccio

L’eccezionale freddo polare che ha colpito la costa atlantica degli Stati Uniti nei giorni scorsi  ha davvero dell’incredibile. Mai si erano sentite temperature del genere a New York e le copiose nevicate dei primi giorni dell’anno trovano precedenti nei lontani anni Cinquanta.

Tuttavia, in mezzo a tanta apocalisse climatica non sono mancati fenomeni straordinari e suggestivi legati al così detto “polar vortex”. Tra tutti, le onde ghiacciate di Nantucket.

Certamente il nome del luogo rievoca avventure marinaresche leggendarie, come baleniere a caccia di bianchi cetacei..ed è proprio così; ma Nantucket non è famosa soltanto per essere stata il punto di imbarco più importante di tutti gli Stati Uniti nell’Ottocento segnato dalla caccia alle balene, né soltanto per essere stata parte dell’ambientazione di Moby Dick, Nantucket è famosa per le sue onde di ghiaccio.

Le chiamano “slurpee” e sono un fenomeno naturale e rarissimo dovuto alla cristallizzazione dell’acqua salata a causa della temperatura esterna di molto sotto lo zero.

A differenza delle grandi onde di ghiaccio comparse negli inverni scorsi, fra il Canada, l’Alaska e le coste della Siberia orientale, dove si sono generati dei veri e propri muri di ghiaccio alti fino a più di 4-5 metri, in questo caso il fenomeno non assume dimensioni talmente significative da arrecare danni a cose e persone, eppure, su queste onde congelate recentemente si è acceso un interessante dibattito scientifico. Molti glaciologi sostengono che non basta una temperatura estremamente bassa, sotto il punto di congelamento, per fare congelare le onde e, in effetti,  sembrerebbe più logico pensare che le onde rompano il ghiaccio marino, piuttosto che sia questo a congelare le onde. Tuttavia, nella formazione di questo fenomeno larga parte è da attribuire all’azione dei venti.

Le onde ghiacciate sono destinate a durare pochissimo per il continuo movimento subacqueo, così il surfista e fotografo Jonathan Nimerfroh ha potuto immortalarle per sole 3 ore in una serie di immagini e video divenuti subito virali sulla rete.

Già nel 2015, e prima ancora nel 2012, le onde ghiacciate si erano formate sulle coste di Nantucket, e già allora Nimerfroh per primo le aveva fotografate, rendendole un simbolo per la città.

Rossella Marchese

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